Fiamma Nirenstein Blog

La guerra antisemita contro l'Occidente

7 ottobre 2023 Israele brucia

Jewish Lives Matter

Informazione Corretta, il nuovo video di Fiamma Nirenstein

Museo del popolo ebraico

L'esodo dimenticato degli ebrei

martedì 16 giugno 2009 Attivita parlamentari 1 commento

Oggi, in un’audizione alla Commissione Esteri della Camera, è stata per la prima volta affrontata la questione dei profughi ebrei dai paesi arabi. La Commissione ha ascoltato il Prof. Irwin Cotler, già Ministro della Giustizia Canadese e presidente onorario dell'organizzazione "Justice for Jews form Arab Countries" e il Prof. David Meghnagi dell'Università Roma Tre, lui stesso scappato dalla Libia nel 1967.
E’importante portare alla conoscenza degli italiani quello che nessuno sa: ovvero che oltre alla ben nota nakba palestinese, esiste una ben più voluminosa, e prolungata nei tempi, nakba ebraica, che è nata dal cuore dell’antisemitismo arabo nei confronti degli ebrei, una realtà che si contrappone al mito della tolleranza islamica nei confronti delle minoranze religiose.
Il numero di profughi ebrei cacciati dai paesi arabi si aggira intorno al milione, superando quindi quello dei palestinesi. La portata delle persecuzioni e dei sequestri di beni fu ben più duratura: ebbe il suo apice nel periodo 1945-48 e poi di nuovo nel 1967.
La nakba palestinese fu causata dall’invito arabo ad andarsene e da una guerra contro Israele da parte di cinque eserciti che si opposero alla risoluzione di partizione dell’Onu del novembre 1947, mentre l’espulsione degli ebrei dai paesi arabi era rivolta a una popolazione che non aveva mai adottato un atteggiamento ostile verso quelle che consideravano le loro patrie.
E' impressionante come questi fatti storici siano del tutto ignorati: siamo abituati ad assistere alla commozione generale per i discendenti dei profughi palestinesi del 1948, il cui status è mantenuto artificiosamente come alibi e arma per una politica anti-israeliana, mentre tutti ignorano invece questo enorme esodo ebraico, che è costato vite e sofferenze.
Dopo la proposta del premier israeliano Netanyahu, nel suo discorso di domenica, di trattare sulla base di due stati per due popoli, si capisce quanto ci sia di attuale in questa questione: oltre all’evidente necessità di non invadere Israele con un numero sovrastante di nipoti e pronipoti di profughi palestinesi, così come accadrebbe se si applicasse il - peraltro univoco - diritto al ritorno, di nuovo la leadership palestinese solleva la questione dell’impossibilità di riconoscere Israele, la patria degli ebrei, come Stato ebraico. Questa è la negazione dell’identità degli ebrei come nazione, che va a braccetto con la negazione dell’identità della sofferenza ebraica provocata direttamente dall’antisemitismo arabo e che ha prodotto quest’altra nakba ignota ai più, che è giunto il momento che il mondo metta almeno alla pari di quella dei palestinesi.
La nostra iniziativa non è di rivendicazione, ma di memoria, verità e giustizia nella speranza che il riconoscimento delle reciproche sofferenze serva alla causa della pace. 
 
Potete riascoltare l'audizione qui:




e la conferenza stampa che è seguita, qui:

Il mondo diventa vittima impotente dell’odio di piccoli e grandi dittatori

domenica 14 giugno 2009 Il Giornale 7 commenti
Il Giornale, 14 giugno 2009

Chavez, kim Jong-li, Ahmadinejad: il comune desiderio d'umiliare l'Occidente


Quale orribile risultato. Mettiamo pure che i brogli elettorali riducano la proporzione della vittoria di Ahmadinejad, mettiamo anche che gli scontri a Teheran possano modificare o condizionare la leadership iraniana. È molto difficile tuttavia evitare il pensiero che le preferenze per il futuro, ed anche ex, presidente iraniano, sono il doppio di quelle per Hossein Moussavi, la pallida stella di un cambiamento che tuttavia avrebbe avuto un carattere interno. È anche interessante, e denota il consueto ottimismo pacifista, che la stampa di tutto il mondo e i vari leader mondiali abbiano seguitato a immaginare che Moussavi potesse vincere, nonostante fosse facile prevedere la vittoria di Ahmadinejad: il supremo ayatollah Khamenei, tutta la classe dirigente della Repubblica islamica hanno rinnovato semplicemente la scelta fatta a suo tempo, nel 2005, per l’uomo che avrebbe raddrizzato l’Iran dopo otto anni di tentennamenti del riformista Khatami. Khamenei, che durante la campagna ha tenuto un atteggiamento da Sibilla Cumana, tuttavia alla fine l’ha detto chiaramente: «Noi siamo favorevoli al candidato più capace di contrapporsi all’Occidente». [...]

Un disegno per Ghilad Shalit

venerdì 12 giugno 2009 Video 1 commento
Cari amici,

questo video è stato realizzato da una scuola elementare di Pistoia, dopo che le insegnanti avevano letto il libro Quando il pesciolino e lo squalo s’incontrarono per la prima volta tratto da una storia che Ghilad Shalit aveva scritto quando era piccolo. Tra due settimane, il prossimo 25 giugno, ricorrerano 3 anni dal rapimento del giovane soldato, e nessuna notizia certa si ha finora sul suo destino, nessun operatore umanitario ha mai potuto fargli visita, contro quanto stabilito da ogni convenzione internazionale.


Renzo Foa: il suo amore per Israele

giovedì 11 giugno 2009 Generico 0 commenti

Martedì sera è scomparso Renzo Foa, dopo aver lottato a lungo con la malattia. Liberal, il giornale che ha diretto fino all'ultimo, gli dedica il ricordo di tanti amici e personalità.
Questo è il mio.

"Il suo amore per Israele"
Liberal, 11 giugno 2009

Prima di raccontarne una sola, lasciatemi dire quante cose belle potrei ricordare parlando di Renzo Foa: a me colpiva particolarmente il suo garbo, la sua gentilezza, la voce bassa e quieta quando si esercitava in osservazioni molto pungenti e ironiche; mi soddisfaceva il fatto che una domanda a lui non rimanesse mai inevasa;  aveva il coraggio e la cultura per concentrarsi e rispondere a tutto, per quanto la questione fosse “overwhelming” come dice Thomas Elliott. Renzo era un amico e un intellettuale eccezionale per coraggio e cortesia. Ma, a me, lasciatemi piangere l’amore di Renzo Foa per Israele. Era radicato dentro il suo amore per la vita. La storia del mio venirvi in contatto va da intervista a intervista: la prima, quando Renzo divenne direttore dell’Unità e io lo intervistai insistendo sul Medio Oriente. In tempi di antisemitismo di sinistra, trovai una posizione limpida, con chiarezza morale sapeva già benissimo da che parte stavano il torto e la ragione.
Per tanti anni, prima dell’ultima intervista, l’uno ottobre 2008, abbiamo condiviso l’ottima avventura culturale di Liberal, fin dai tempi del mensile, con le pagine color sabbia. L’ultima intervista la fece Renzo a me. La malattia lo riempiva di dolori, l’esercizio del lavoro e del movimento erano uno spettacolo di incredibile volontà. Con l’aiuto di Luisa Arezzo, sulla sua scrivania di Liberal, Renzo frugò partendo da tutto ciò che può definire un pensiero complesso su Israele; mi mise alla prova in lungo e in largo col suo amore per Israele, esigendo che dai suoi dubbi spremessi la promessa infallibile della sopravvivenza. La pace, voleva sapere, come la si raggiunge? [...]

Visita di Gheddafi: necessaria cautela

mercoledì 10 giugno 2009 Attivita parlamentari 0 commenti

Roma, 10 GIU (Velino) - “Forse il Senato non è la sede più adatta per un discorso di Gheddafi: la sua visita di Stato può benissimo articolarsi in una quantità di altre sedi più consone alla cortesia e alla cautela al contempo. La visita di Stato del leader libico Gheddafi fa seguito a un trattato che, sia dal punto di vista della cooperazione che nel contenimento del fenomeno dell’immigrazione clandestina, può portare a importanti risultati. Esso è frutto di un ottimismo politico che, per altro, nei mesi passati è stato condiviso dall’ONU, che ha messo la Libia alla presidenza della commissione per i diritti umani e dall’Unione Africana, che ha posto Gheddafi alla sua testa". Lo afferma Fiamma Nirenstein (Pdl), vicepresidente della commissione Esteri
della Camera.
"Tuttavia, ci sembra che un personaggio dal passato e anche dal presente complicato come quello di Muammar Gheddafi, sia da guardarsi e, di conseguenza, da accogliersi sì con cortesia, ma anche con la dovuta cautela. Il nostro Senato, casa della democrazia, difficilmente può essere considerato come luogo ideale per una concione di un personaggio che viola i diritti umani; sui cui servizi segreti pesa il sospetto di avere imprigionato e torturato quattro ex islamici convertiti al cristianesimo; che nel suo Libro Verde sanziona la libertà femminile nel campo del lavoro e della vita civile, che la vede pari “ai fiori creati per attrarre i granelli di polline e produrre i semi”. Gheddafi ha invitato il mondo arabo a impugnare le armi contro Israele; la sua storia è punteggiata di estremismo e di episodi di terrorismo e solo recentemente nuovi accordi hanno portato all’arresto del programma di sviluppo di armi di distruzione di massa. La proposta poi di un incontro con la comunità ebraica romana di origine libica proprio di Shabbat, il giorno del riposo per gli ebrei, sembra un inconscio ripetersi di quell’atteggiamento di supremazia riservato ai dhimmi nel corso dei secoli.
Auspichiamo dunque che Gheddafi, in Senato e in ogni altra circostanza istituzionale, esprima il suo apprezzamento verso l’apertura di credito che l’Italia gli concede, impegnandosi a rispettare i diritti umani, ad affermare la sua considerazione per la piena libertà della donna, ad assumere un atteggiamento nettamente di contrasto all’estremismo islamista quando si parla dello Stato d’Israele. Per quanto riguarda invece il precedente richiamato dall’On. D'Alema di Arafat che venne alla Camera con la pistola, si trattò - conclude Nirenstein - di un episodio abominevole, certo non da citare come esempio”.

Hezbollah sconfitto non rinuncia alle armi

martedì 9 giugno 2009 Il Giornale 4 commenti
Il Giornale, 9 giugno 2009

È difficile credere che il Libano adesso ce la farà. Eppure ci prova ancora, ed è commovente: ieri sera il capo di Hezbollah, lo sceicco Nasrallah, ha ammesso la sconfitta e si è addirittura complimentato con i vincitori. Buona parte dei libanesi, soprattutto per merito dei cristiani risvegliati dal vescovo maronita Nasrallah Boutros Sfeir, andando a votare hanno scelto un Libano ancora arabo, e non dominato da interessi iraniani; pluralista, e non musulmano sciita; in cui una ragazza possa camminare per mano con un ragazzo. L’unico, solitario Paese arabo multietnico, multiculturale e multireligioso tenta ancora di liberarsi del continuo tentativo di asservirlo a una logica totalitaria, come nel ’58 quando i sunniti cercarono di forzarlo nell’orbita ultranazionalista di Nasser, nel ’75 la guerra civile portò l’Olp in posizione dominante e mise in giuoco Israele e la Siria, che solo due mesi fa aprendo l’ambasciata a Damasco ha formalizzato l’idea di non essere il padrone. Nell’82 la rivoluzione iraniana allungò le mani sul Libano con la nascita della forza armata degli hezbollah, che da allora hanno cercato di disegnare il Paese dei Cedri come punta della guerra islamista sciita, asservendolo al gioco bellico che chiamano “resistenza”: ma mentre si disegnavano come la testa di ponte del rifiuto antisraeliano e antioccidentale, un esercito armato di 50mila missili, che ama la morte e scambia con uomini vivi feretri e pezzi di soldati israeliani, l’amico più intimo dell’Iran e il più fedele fratello della Siria, cercavano anche, pazientemente, legittimità interna e internazionale. [...]

Premio Polena a Fiamma Nirenstein

domenica 7 giugno 2009 Generico 1 commento

Da Il Riformista, 7 giugno 2009, pag. 14:

Questa settimana il "Premio Polena" per l'articolo più interessante va a Fiamma Nirenstein con "Il vero ostacolo: il mondo musulmano non è quello che il presidente USA dipinge" pubblicato sul Giornale di venerdì 5 giugno 2009.
Scrive Fiamma Nirenstein che sarebbe bello vivere nel mondo disegnato da Obama al Cairo: un mondo senza conflitti tra islam e cristianesimo e con un tratto comune fondamentale tra le due civiltà, rappresentato dalla tutela dei diritti umani. Purtroppo però non è così.
Prima di tutto, sostiene Nirenstein, la storia dei diritti umani è saldamente ancorata all'Europa e agli Usa, non certo a uno o più paesi orientali. In secondo luogo, la storia delle due culture è sempre stata conflittuale e, mentre le nostre masse lo hanno dimenticato, quelle islamiche ne fanno invece la bandiera di ogni giorno. E, anzi, la strategia dei terroristi è proprio quella di tenere vivo lo scontro, con lo scopo fondamentale di emarginare l'islam moderato.
Obama sbaglia a negare l'esistenza dello scontro; sarebbe invece più opportuno offrire aiuto concreto ai paesi arabi moderati.
Conclude Fiamma Nirenstein: solo la battaglia dei moderati contro gli estremisti potrebbe confederare l'islam in un segno di pace.

www.ilriformista.it, www.polena.net

Riportamo il testo dell'articolo:

Obama nel paese delle buone intenzioni

venerdì 5 giugno 2009 Il Giornale 17 commenti

"Il vero ostacolo: il mondo musulmano non è quello che il presidente USA dipinge"

Il Giornale, 5 giugno 2009

Sarebbe bello vivere nel mondo disegnato ieri da Obama al Cairo, ma il senso di realtà suggerisce che non sarà possibile. Tralasciamo le ovvie parole di apprezzamento per la volontà di pace e per il coraggio politico del presidente americano: chi potrebbe negarli. Obama ha tentato al Cairo di creare con la forza della sua magia una svolta epocale, quella in cui non esiste il conflitto fra islam e Occidente. Ne è risultato il ritratto un po’ banale di un giovane presidente buono. Obama immagina il mondo a partire da Obama, dalla sua autobiografia: non a caso non ha nemmeno citato la parola terrorismo. Il presidente americano si è presentato come la prova vivente della negazione del conflitto di civiltà, un giovane uomo cresciuto senza conflitto fra islam e cristianesimo, il padre e il nonno musulmani, la madre cristiana e bianca, gli Stati Uniti il porto d’arrivo, dove anche l’islam è una componente indispensabile. Obama ha parlato un’ora intera, ma il mondo ha sentito bene solo alcune cose: la prima riguarda il tono apologetico, io ho fatto del male a te, tu ne hai fatto a me, tu hai dei pregi e dei difetti, io ne ho altrettanti, parliamone, capiamoci, in fondo abbiamo principi simili, quelli dei diritti umani. Ma non è andata così. [...]

"Obama in Good Intentions Land"

Il Giornale, 5 June 2009

It would be wonderful to live in the world that Obama paintedyesterday in Cairo, but a sense of reality suggests that it isimpossible. We can leave aside obvious words of appreciation for the USPresident’s desire for peace and his political courage: both areundeniable. In Cairo, Obama used all the force of his magic to try tocreate a turning point for our era, where the conflict between Islamand the West would cease to exist. What came out was a ratherpredictable portrait of this young, good president. Obama’s image ofthe world starts from his own autobiography: it is no accident that henever even mentioned the word terrorism. The American Presidentexhibited himself as living proof that the conflict of civilizations isinexistent, a young man who grew up without conflict between Islam andChristianity, with a Muslim father and grandfather, a white, Christianmother, and the United States as his destination, a US where Islam isalso an essential component. Obama spoke for an entire hour, but theworld only really heard a few points. The first was his apologetictone: in essence, we have similar principles, those of human rights.But that is not the way it is. [...]

Più piano, presidente Obama...

mercoledì 3 giugno 2009 Il Giornale 13 commenti

Il Giornale, 3 giugno 2009

Dovrebbe andarci più piano, dar segno di capire che la posta in gioco non è la sua popolarità. Invece Obama sembra incamminarsi sulla via del Cairo innamorato della sua stessa bontà, delle sue parole innovatrici, a tutto gas ancora prima di aver guardato negli occhi un mondo cui spesso la cortesia appare debolezza. Il presidente sembra in queste ore essere alla ricerca di consensi preventivi, plateali, le sue parole prima della partenza sembrano ripetere quello strano gesto di profonda riverenza nei confronti del re saudita che lasciò anche i suoi più grandi ammiratori stupefatti.
Obama si è espresso contro il pericolo di cercare di imporre la «nostra cultura» a chi ha «storia e cultura diversi». Pericoloso, difficile può esserlo. Certo però quando Obama specifica e dice che «la democrazia, lo stato di diritto, la libertà di espressione, la libertà di culto, non solo valori propri dell’Occidente ma sono valori universali» e quindi insiti anche nelle culture non occidentali, viene da ridere per la (speriamo voluta) ingenuità dell’affermazione, in cui si avverte o superficialità o cinismo; soprattutto essa fa compiangere i dissidenti, i condannati a morte, le donne oppresse, quelle torturate con mutilazioni genitali, gli omosessuali perseguitati. Si appanna l’America che ha sempre cercato di salvare gli oppressi, dall’Europa sotto il nazismo, all’Urss, all’Irak. Sembra ritirarsi dalla grande gara mondiale per istaurare la libertà. Obama ha dichiarato semplicemente che vorrà servire da esempio passivo, e ignora che invece l’Islam per esempio, si vede come esempio estremamente, aggressivamente attivo, in fase di espansione. Sembra che la visione da lui più volte espressa dell’Occidente come di un mondo sostanzialmente oppressivo, che deve fare ammenda e quindi essere trasceso, sia vincente nelle sue esternazioni. [...]


More slowly, President Obama...

Il Giornale, 3 June 2009

He should go more slowly, demonstrating that he understands that what is at stake is not his popularity. Instead, Obama seems to walk towards the road to Cairo in love with his own goodness, with his own innovative words, which go at full throttle before he has first looked in the eyes a world in which often courtesy appears as weakness. The president seems to be at this time in search of consensus estimates, blatant, his words before departure seem to repeat those of a bizarre gesture of deep reverence towards the King of Saudi Arabia, which have left even his greatest admirers perplexed.
Obama has spoken against the danger of trying to impose "our culture" on those who have a "different history and culture." Dangerous, difficult as it can be. Surely, but when Obama says that "democracy, rule of law, freedom of expression and freedom of worship are not just the values of the West but are universal values" and are therefore embedded also within non-Western cultures, one comes to laugh (we hope that is the desired outcome) in relation to the ingenuousness of the statement in which one notices superficiality or cynicism; especially this ingenuousness sympathizes with dissidents, those condemned to death, oppressed women, those tortured by genital mutilation and homosexuals persecuted. [...]

Candidly Speaking: Ugly vibes from Europe

lunedì 1 giugno 2009 English 0 commenti
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