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Renzo Foa: il suo amore per Israele

giovedì 11 giugno 2009 Generico 0 commenti

Martedì sera è scomparso Renzo Foa, dopo aver lottato a lungo con la malattia. Liberal, il giornale che ha diretto fino all'ultimo, gli dedica il ricordo di tanti amici e personalità.
Questo è il mio.

"Il suo amore per Israele"
Liberal, 11 giugno 2009

Prima di raccontarne una sola, lasciatemi dire quante cose belle potrei ricordare parlando di Renzo Foa: a me colpiva particolarmente il suo garbo, la sua gentilezza, la voce bassa e quieta quando si esercitava in osservazioni molto pungenti e ironiche; mi soddisfaceva il fatto che una domanda a lui non rimanesse mai inevasa;  aveva il coraggio e la cultura per concentrarsi e rispondere a tutto, per quanto la questione fosse “overwhelming” come dice Thomas Elliott. Renzo era un amico e un intellettuale eccezionale per coraggio e cortesia. Ma, a me, lasciatemi piangere l’amore di Renzo Foa per Israele. Era radicato dentro il suo amore per la vita. La storia del mio venirvi in contatto va da intervista a intervista: la prima, quando Renzo divenne direttore dell’Unità e io lo intervistai insistendo sul Medio Oriente. In tempi di antisemitismo di sinistra, trovai una posizione limpida, con chiarezza morale sapeva già benissimo da che parte stavano il torto e la ragione.
Per tanti anni, prima dell’ultima intervista, l’uno ottobre 2008, abbiamo condiviso l’ottima avventura culturale di Liberal, fin dai tempi del mensile, con le pagine color sabbia. L’ultima intervista la fece Renzo a me. La malattia lo riempiva di dolori, l’esercizio del lavoro e del movimento erano uno spettacolo di incredibile volontà. Con l’aiuto di Luisa Arezzo, sulla sua scrivania di Liberal, Renzo frugò partendo da tutto ciò che può definire un pensiero complesso su Israele; mi mise alla prova in lungo e in largo col suo amore per Israele, esigendo che dai suoi dubbi spremessi la promessa infallibile della sopravvivenza. La pace, voleva sapere, come la si raggiunge? [...]

Visita di Gheddafi: necessaria cautela

mercoledì 10 giugno 2009 Attivita parlamentari 0 commenti

Roma, 10 GIU (Velino) - “Forse il Senato non è la sede più adatta per un discorso di Gheddafi: la sua visita di Stato può benissimo articolarsi in una quantità di altre sedi più consone alla cortesia e alla cautela al contempo. La visita di Stato del leader libico Gheddafi fa seguito a un trattato che, sia dal punto di vista della cooperazione che nel contenimento del fenomeno dell’immigrazione clandestina, può portare a importanti risultati. Esso è frutto di un ottimismo politico che, per altro, nei mesi passati è stato condiviso dall’ONU, che ha messo la Libia alla presidenza della commissione per i diritti umani e dall’Unione Africana, che ha posto Gheddafi alla sua testa". Lo afferma Fiamma Nirenstein (Pdl), vicepresidente della commissione Esteri
della Camera.
"Tuttavia, ci sembra che un personaggio dal passato e anche dal presente complicato come quello di Muammar Gheddafi, sia da guardarsi e, di conseguenza, da accogliersi sì con cortesia, ma anche con la dovuta cautela. Il nostro Senato, casa della democrazia, difficilmente può essere considerato come luogo ideale per una concione di un personaggio che viola i diritti umani; sui cui servizi segreti pesa il sospetto di avere imprigionato e torturato quattro ex islamici convertiti al cristianesimo; che nel suo Libro Verde sanziona la libertà femminile nel campo del lavoro e della vita civile, che la vede pari “ai fiori creati per attrarre i granelli di polline e produrre i semi”. Gheddafi ha invitato il mondo arabo a impugnare le armi contro Israele; la sua storia è punteggiata di estremismo e di episodi di terrorismo e solo recentemente nuovi accordi hanno portato all’arresto del programma di sviluppo di armi di distruzione di massa. La proposta poi di un incontro con la comunità ebraica romana di origine libica proprio di Shabbat, il giorno del riposo per gli ebrei, sembra un inconscio ripetersi di quell’atteggiamento di supremazia riservato ai dhimmi nel corso dei secoli.
Auspichiamo dunque che Gheddafi, in Senato e in ogni altra circostanza istituzionale, esprima il suo apprezzamento verso l’apertura di credito che l’Italia gli concede, impegnandosi a rispettare i diritti umani, ad affermare la sua considerazione per la piena libertà della donna, ad assumere un atteggiamento nettamente di contrasto all’estremismo islamista quando si parla dello Stato d’Israele. Per quanto riguarda invece il precedente richiamato dall’On. D'Alema di Arafat che venne alla Camera con la pistola, si trattò - conclude Nirenstein - di un episodio abominevole, certo non da citare come esempio”.

Hezbollah sconfitto non rinuncia alle armi

martedì 9 giugno 2009 Il Giornale 4 commenti
Il Giornale, 9 giugno 2009

È difficile credere che il Libano adesso ce la farà. Eppure ci prova ancora, ed è commovente: ieri sera il capo di Hezbollah, lo sceicco Nasrallah, ha ammesso la sconfitta e si è addirittura complimentato con i vincitori. Buona parte dei libanesi, soprattutto per merito dei cristiani risvegliati dal vescovo maronita Nasrallah Boutros Sfeir, andando a votare hanno scelto un Libano ancora arabo, e non dominato da interessi iraniani; pluralista, e non musulmano sciita; in cui una ragazza possa camminare per mano con un ragazzo. L’unico, solitario Paese arabo multietnico, multiculturale e multireligioso tenta ancora di liberarsi del continuo tentativo di asservirlo a una logica totalitaria, come nel ’58 quando i sunniti cercarono di forzarlo nell’orbita ultranazionalista di Nasser, nel ’75 la guerra civile portò l’Olp in posizione dominante e mise in giuoco Israele e la Siria, che solo due mesi fa aprendo l’ambasciata a Damasco ha formalizzato l’idea di non essere il padrone. Nell’82 la rivoluzione iraniana allungò le mani sul Libano con la nascita della forza armata degli hezbollah, che da allora hanno cercato di disegnare il Paese dei Cedri come punta della guerra islamista sciita, asservendolo al gioco bellico che chiamano “resistenza”: ma mentre si disegnavano come la testa di ponte del rifiuto antisraeliano e antioccidentale, un esercito armato di 50mila missili, che ama la morte e scambia con uomini vivi feretri e pezzi di soldati israeliani, l’amico più intimo dell’Iran e il più fedele fratello della Siria, cercavano anche, pazientemente, legittimità interna e internazionale. [...]

Premio Polena a Fiamma Nirenstein

domenica 7 giugno 2009 Generico 1 commento

Da Il Riformista, 7 giugno 2009, pag. 14:

Questa settimana il "Premio Polena" per l'articolo più interessante va a Fiamma Nirenstein con "Il vero ostacolo: il mondo musulmano non è quello che il presidente USA dipinge" pubblicato sul Giornale di venerdì 5 giugno 2009.
Scrive Fiamma Nirenstein che sarebbe bello vivere nel mondo disegnato da Obama al Cairo: un mondo senza conflitti tra islam e cristianesimo e con un tratto comune fondamentale tra le due civiltà, rappresentato dalla tutela dei diritti umani. Purtroppo però non è così.
Prima di tutto, sostiene Nirenstein, la storia dei diritti umani è saldamente ancorata all'Europa e agli Usa, non certo a uno o più paesi orientali. In secondo luogo, la storia delle due culture è sempre stata conflittuale e, mentre le nostre masse lo hanno dimenticato, quelle islamiche ne fanno invece la bandiera di ogni giorno. E, anzi, la strategia dei terroristi è proprio quella di tenere vivo lo scontro, con lo scopo fondamentale di emarginare l'islam moderato.
Obama sbaglia a negare l'esistenza dello scontro; sarebbe invece più opportuno offrire aiuto concreto ai paesi arabi moderati.
Conclude Fiamma Nirenstein: solo la battaglia dei moderati contro gli estremisti potrebbe confederare l'islam in un segno di pace.

www.ilriformista.it, www.polena.net

Riportamo il testo dell'articolo:

Obama nel paese delle buone intenzioni

venerdì 5 giugno 2009 Il Giornale 17 commenti

"Il vero ostacolo: il mondo musulmano non è quello che il presidente USA dipinge"

Il Giornale, 5 giugno 2009

Sarebbe bello vivere nel mondo disegnato ieri da Obama al Cairo, ma il senso di realtà suggerisce che non sarà possibile. Tralasciamo le ovvie parole di apprezzamento per la volontà di pace e per il coraggio politico del presidente americano: chi potrebbe negarli. Obama ha tentato al Cairo di creare con la forza della sua magia una svolta epocale, quella in cui non esiste il conflitto fra islam e Occidente. Ne è risultato il ritratto un po’ banale di un giovane presidente buono. Obama immagina il mondo a partire da Obama, dalla sua autobiografia: non a caso non ha nemmeno citato la parola terrorismo. Il presidente americano si è presentato come la prova vivente della negazione del conflitto di civiltà, un giovane uomo cresciuto senza conflitto fra islam e cristianesimo, il padre e il nonno musulmani, la madre cristiana e bianca, gli Stati Uniti il porto d’arrivo, dove anche l’islam è una componente indispensabile. Obama ha parlato un’ora intera, ma il mondo ha sentito bene solo alcune cose: la prima riguarda il tono apologetico, io ho fatto del male a te, tu ne hai fatto a me, tu hai dei pregi e dei difetti, io ne ho altrettanti, parliamone, capiamoci, in fondo abbiamo principi simili, quelli dei diritti umani. Ma non è andata così. [...]

"Obama in Good Intentions Land"

Il Giornale, 5 June 2009

It would be wonderful to live in the world that Obama paintedyesterday in Cairo, but a sense of reality suggests that it isimpossible. We can leave aside obvious words of appreciation for the USPresident’s desire for peace and his political courage: both areundeniable. In Cairo, Obama used all the force of his magic to try tocreate a turning point for our era, where the conflict between Islamand the West would cease to exist. What came out was a ratherpredictable portrait of this young, good president. Obama’s image ofthe world starts from his own autobiography: it is no accident that henever even mentioned the word terrorism. The American Presidentexhibited himself as living proof that the conflict of civilizations isinexistent, a young man who grew up without conflict between Islam andChristianity, with a Muslim father and grandfather, a white, Christianmother, and the United States as his destination, a US where Islam isalso an essential component. Obama spoke for an entire hour, but theworld only really heard a few points. The first was his apologetictone: in essence, we have similar principles, those of human rights.But that is not the way it is. [...]

Più piano, presidente Obama...

mercoledì 3 giugno 2009 Il Giornale 13 commenti

Il Giornale, 3 giugno 2009

Dovrebbe andarci più piano, dar segno di capire che la posta in gioco non è la sua popolarità. Invece Obama sembra incamminarsi sulla via del Cairo innamorato della sua stessa bontà, delle sue parole innovatrici, a tutto gas ancora prima di aver guardato negli occhi un mondo cui spesso la cortesia appare debolezza. Il presidente sembra in queste ore essere alla ricerca di consensi preventivi, plateali, le sue parole prima della partenza sembrano ripetere quello strano gesto di profonda riverenza nei confronti del re saudita che lasciò anche i suoi più grandi ammiratori stupefatti.
Obama si è espresso contro il pericolo di cercare di imporre la «nostra cultura» a chi ha «storia e cultura diversi». Pericoloso, difficile può esserlo. Certo però quando Obama specifica e dice che «la democrazia, lo stato di diritto, la libertà di espressione, la libertà di culto, non solo valori propri dell’Occidente ma sono valori universali» e quindi insiti anche nelle culture non occidentali, viene da ridere per la (speriamo voluta) ingenuità dell’affermazione, in cui si avverte o superficialità o cinismo; soprattutto essa fa compiangere i dissidenti, i condannati a morte, le donne oppresse, quelle torturate con mutilazioni genitali, gli omosessuali perseguitati. Si appanna l’America che ha sempre cercato di salvare gli oppressi, dall’Europa sotto il nazismo, all’Urss, all’Irak. Sembra ritirarsi dalla grande gara mondiale per istaurare la libertà. Obama ha dichiarato semplicemente che vorrà servire da esempio passivo, e ignora che invece l’Islam per esempio, si vede come esempio estremamente, aggressivamente attivo, in fase di espansione. Sembra che la visione da lui più volte espressa dell’Occidente come di un mondo sostanzialmente oppressivo, che deve fare ammenda e quindi essere trasceso, sia vincente nelle sue esternazioni. [...]


More slowly, President Obama...

Il Giornale, 3 June 2009

He should go more slowly, demonstrating that he understands that what is at stake is not his popularity. Instead, Obama seems to walk towards the road to Cairo in love with his own goodness, with his own innovative words, which go at full throttle before he has first looked in the eyes a world in which often courtesy appears as weakness. The president seems to be at this time in search of consensus estimates, blatant, his words before departure seem to repeat those of a bizarre gesture of deep reverence towards the King of Saudi Arabia, which have left even his greatest admirers perplexed.
Obama has spoken against the danger of trying to impose "our culture" on those who have a "different history and culture." Dangerous, difficult as it can be. Surely, but when Obama says that "democracy, rule of law, freedom of expression and freedom of worship are not just the values of the West but are universal values" and are therefore embedded also within non-Western cultures, one comes to laugh (we hope that is the desired outcome) in relation to the ingenuousness of the statement in which one notices superficiality or cynicism; especially this ingenuousness sympathizes with dissidents, those condemned to death, oppressed women, those tortured by genital mutilation and homosexuals persecuted. [...]

Candidly Speaking: Ugly vibes from Europe

lunedì 1 giugno 2009 English 0 commenti

Quei folli sogni di conquista e dominio del mondo

lunedì 1 giugno 2009 Diario di Shalom 0 commenti
Shalom, giugno 2009

Pur profondamente diverse, l’Iran e la Corea del Nord hanno una strategia in comune: sfidare l’Occidente creando insicurezza.
L’episodio più impressionante è la costruzione della centrale nucleare siriana di Kimbar, dove si sono trovate tracce di tecnologia e uomini di ambedue i Paesi dopo che grazie al cielo Israele l’ha distrutta

La storia di questi giorni ha una doppia lettura, e ognuno è libero di credere a quella che gli piace di più, salvo poi prendersi la responsabilità della propria inter- pretazione. Da una parte assistiamo a una delle situazioni più conflittuali mai rappresentate sulla scena mondiale. Dall’altra alla messa in scena di una encomiabile speranza di pace che fa acqua. Lasciamo da parte l’area Pakistana e Afghana di cui si è parlato tante volte. Basterà ricordare che la crescente aggressività talebana e di Al Qaeda non trova nessun contenimento adeguato, e che le “bombe islamiche” pakistane, nel numero di almeno 90 secondo gli esperti, sono custodite in una situazione mancante di qualsiasi garanzia di sicurezza politica o militare.
Ma se guardiamo agli avvenimenti più recenti, per capire che il livello dell’antagonismo antioccidentale è molto alto, basta pensare alla bomba atomica nord coreana, un evento per niente sorprendente per chi non si è abituato a farsi illusioni inutili; l’esperimento ha sviluppato un’esplosione di potenza terrificante, assai più significativa del precedente esperimento del 2006, pari come potenza a una magnitudine fra 4,5 e 5,3 pari all’esplosione che distrusse Nagasaki. [...]

La pressione di Obama per gli insediamenti: un inutile siparietto

domenica 31 maggio 2009 Il Giornale 9 commenti

Il Giornale, 31 maggio 2009

Sembra semplice e diretta, là per là, l’idea di puntare tutte le carte sul blocco degli insediamenti e lo sgombero degli outpost: Obama ha insistito nei suoi incontri con Netanyahu e Abu Mazen rovesciando l’impostazione americana. Prima lo sgombero, poi le trattative, poi semmai si riparla dell’Iran, del suo assedio a Israele tramite Hamas e Hezbollah. «Gli Usa chiedono di smantellare gli insediamenti», e poi «Doccia fredda di Israele sulle richieste americane» e poi «Abu Mazen si appoggia a Obama e crea un nesso fra il piano arabo e la pace israelo-palestinese». Questo sarebbe lo stato dell’arte, nell’opinione pubblica. Ma è vero? Solo in parte. E che cosa significa? Con la guerra degli insediamenti Obama innanzitutto vuole, prima di andare al Cairo per il suo discorso al mondo islamico del 4 giugno, dare un forte segnale che il vento è cambiato, che gli Usa pressano gli israeliani senza tanti complimenti e non ritengono indispensabile un impegno prioritario palestinese per la democrazia e contro il terrorismo. Se si ricorda cos’è stato lo sgombero di Gaza sotto Ariel Sharon, l’uso dell’esercito nell’estrarre donne, bambini, vecchi, dalla Striscia; se, parlando di outpost, ovvero di ciò che deve essere subito smantellato, si pensa a Amona, nel West Bank, in cui la cronista ha visto 300 feriti fatti dai soldati a cavallo in un paio d’ore, si capisce cos’è uno sgombero. [...]

Piano Obama: la buona volontà non basta

venerdì 29 maggio 2009 Panorama 4 commenti

Panorama, 29 maggio 2009, pag. 110

Democratico, contiguo, demilitarizzato: con queste tre parole magiche, il giornale londinese in lingua araba AlQuds al-Arabi ha presentato il piano di Barack Obama per il futuro stato palestinese. Lo ha fatto a dispetto dei santi: il premier israeliano Benjamin Netanyahu si era appena incontrato con il presidente Usa e, per quel che se ne sa, non aveva avuto alcuna rivelazione diretta. Abu Mazen, il presidente dell'Autonomia palestinese, stava dirigendosi a Washington e i palestinesi si sono detti stupiti per il piano. Obama il 4 di giugno al Cairo dovrebbe rendere ben chiaro che le piramidi non faranno da sfondo al piano di pace. E che il suo discorso sarà tutto una mano tesa dall'Occidente all'Islam. Ma la sensazione è che anche il piano uscito su Al-Quds al-Arabi sia in rodaggio, perché Obama comprende che i sogni non sempre si possono avverare e compie verifiche. Che se ne farà Obama della buona volontà se, come previsto, gli Hezbollah, longa manus dell'Iran, il 7 giugno otterranno un grande successo elettorale in Libano e il confine con Israele sarà sotto il controllo a distanza di Teheran? E che ne sarà del tanto pubblicizzato dialogo con l'Iran? [...]

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