L’impossibile tentativo di sradicare la storia ebraica da Gerusalemme
martedì 1 settembre 2009 Diario di Shalom 0 commenti
Shalom, settembre 2009Esiste un negazionismo palestinese che nega la millenaria presenza degli ebrei sulla spianata del tempio.
Esiste un negazionismo che è infame almeno quanto quello che riguarda l’Olocausto, ed è quello su Gerusalemme e il Monte del Tempio, dove sorsero il Primo e il Secondo tempio.
Proprio alla fine di agosto, di nuovo, in una infinita serie di attacchi palestinesi che suonano insopportabili e disgustosi all’orecchio di chi abbia un minimo di cultura storica, il capo della corte islamica dell’Autorità Palestinese sceicco Taysir Rajab Tamimi ha detto che non c’è nessuna prova che Gerusalemme sia mai stata abitata dagli ebrei, che il Beit ha Migdash non è mai esistito, che gli archeologi israeliani hanno ammesso che gli ebrei non hanno nulla a che fare con la capitale di Israele. “Gerusalemme è una città araba e islamica, ed è sempre stato così”.
Questa linea ridicola, mai sperimentata prima dalla propaganda palestinese e araba che anzi si pregiava di avere i propri santuari costruiti sopra le vestigia del Tempio, ha il suo inizio conclamato a Camp David, quando Arafat nel 2002, al nono giorno di summit, impose a Clinton, stupefatto, una lezione di revisionismo: “Non c’è traccia del Tempio degli ebrei sul Monte del Tempio” disse a Clinton.
Clinton gli rispose “Come cristiano sono certo del contrario” e, off the records, gli disse anche, con tono molto deciso, che se non avesse cessato questa vile propaganda, avrebbe rotto i rapporti. Non ha funzionato: da allora questa folle linea ha preso enormemente piede, tanto che oggi persino i giornalisti occidentali - che pure hanno letto dei ritrovamenti relativi al Tempio (locazioni, bolle, proibizioni incise su pietra, e strutture basilari evidenti a tutti) e sanno che tutto è minutamente provato sia dal punto di vista archeologico che dei ricordi storiografici e biblici - scrivono del Tempio “che secondo gli ebrei sorgeva a Gerusalemme...”, oppure “secondo il mito”, o “secondo la religione ebraica...”. Il Time Magazine scrisse “il luogo dove gli ebrei credono che Salomone e Erode costruirono il Primo e il Secondo tempio”. La dottrina della “negazione del Tempio” divenne velocemente popolare mentre i bulldozer palestinesi accumulavano tonnellate di detriti e li distruggevano (poi con lavoro minuzioso e santo archeologi israeliani hanno ritrovato prove anche in mezzo ai detriti) senza che le organizzazioni di difesa della cultura mondiale dicessero una parola, e tritavano le memorie archeologiche possibili. I palestinesi “moderati” come Abu Mazen, Nabil Shaat, Yasser Sbed Rabbo, Sa’eb Erakat, tutti quanti sono stati arruolati da Arafat a dare il loro contributo negazionista, e hanno ripetuto che “non ci sono prove storiche della presenza ebraica a Gerusalemme”.
La traduzione politica, attuale come non mai in tempo di discussione sugli insediamenti, è che gli ebrei sono dei colonizzatori senza nessuna radice locale, esattamente come i turchi, o gli inglesi, e come loro devono essere spazzati via. Eppure anche i testi islamici sono chiari: nell’ “al Jalayn” del nono e del decimo secolo i due autori spiegano che la “moschea Lontana” cui Mohammed vola nel Corano è da intendersi come “bayt al Maqdis”, chiaramente il “beit ha miqdash” degli ebrei. Anche il famoso commentatore del Corano Umar al Baydawi dice che “non c’era moschea quando Maometto volò a Gerusalemme”. Lo storico Al Tabari racconta come Umar durante la conquista andò al sito dove “i romani seppellirono il Tempio al tempo dei figli di Israele” e David e Salomone sono citati nella Sura 27.
Il Corano non cerca di sradicare la memoria degli ebrei da Israele, e anche nel ventesimo secolo persino leader estremisti come Haj Amin Al Husseini, il famoso mufti pro nazista, fece pubblicare nel 1935 una guida dell’Haram al Sharif, il Monte del Tempio a Gerusalemme, che parla del sito “la cui identità col sito del Tempio di Salomone è al di là di ogni disputa”. Anche nel 1924 abbiamo una guida che dice la stessa cosa, sempre a cura del WAQF l’organizzazione islamica che sovrintende ai luoghi santi islamici. La verità dei fatti è che nonostante gli ostacoli posti dall’WAQF ci sono testimonianze scritte e archeologiche sia del Primo Tempio che del Secondo Tempio. Il primo fu costruito dal re Salomone dopo che suo padre, il re David, l’aveva già iniziato, e fu costruito, dicono gli archeologi, nel 957 a.C. Fu distrutto nel 586; anche se il Talmud dice che resistette 410 anni, la storia precisa che fu distrutto da Nabuchadnezzar nel 586. L’errore non è così grande, la Bibbia è molto precisa nel descrivere architetture, funzioni, locazioni. Centinaia di studi conclamano che “la Bibbia aveva ragione”. Il Secondo Tempio, secondo il Libro biblico di Ezra, fu iniziato dopo che Ciro permise agli ebrei di tornare a casa, a Gerusalemme, nel 537 e Erode il Grande, audace costruttore di immense strutture, lo rinnovò del tutto nel 20 avanti Cristo, dotandolo di una struttura (già importata precedentemente) che ancora regge oggi, di 150 per 50 metri. Un’impresa meravigliosa, cui si accedeva, tramite scalinate possenti ancora in vista, da 13 porte sul cortile centrale, quattro grandi ingressi a ovest e quattro a nord, le strutture per il pubblico, i mikve (i bagni rituali), una immensa costruzione di pietra e di legno di cedro (basta pensare che il ciclopico muro del pianto è solo una piccola porzione delle mura, aperto da due ingressi a parte) visitata dai pellegrini di tutto il mondo, in cui si recitava lo Shema quasi esattamente nello stesso modo la millenaria presenza degli ebrei sulla spianata del tempio in cui lo si recita oggi.
Pompeo Magno vi fece irruzione nel 63 a.C. quando prese Gerusalemme, ma non gli fece danno, meravigliandosi e irritandosi tuttavia, dice Tacito, del fatto che il centro più santo del Tempio, aperto solo ai più importanti sacerdoti, fosse silente e vuoto di oggetti da adorare. Nel 70 i Romani distrussero la famosa struttura fino alle fondamenta, e la terribile vicenda si ricorda il 9 di Av con partecipazione infinita e lacrime vere, cosa che risulta incomprensibile a chi non ricordi Gerusalemme ogni giorno della sua vita come facciamo noi ebrei.
Giuseppe Flavio l’ha raccontata per filo e per segno, il fuoco, il sangue, i pilastri e il sottosuolo, e la tragedia è fotografata plasticamente sull’arco di Tito che mostra, come fosse oggi, gli ebrei trascinati nel corteo del trionfo imperiale a Roma con la Menorah e altri ornamenti della più bella e grande struttura del mondo ebraico antico. Sul terrapieno del Tempio e sulle sue rovine sia i cristiani che i mussulmani hanno costruito i loro santuari, e non solo per un motivo di dominazione bellica crociata o islamica.
Il fatto che dal quel luogo fosse promanato il maggiore fra i pensieri religiosi di tutti i tempi, l’idea di un Dio morale e invisibile, l’idea stessa della costruzione di un uomo e di un mondo migliore destinati a glorificare, progredendo, un disegno superiore, il fatto che la nuova spiritualità fosse originata dalla forza del pensiero ebraico in quel luogo, ha creato quasi la necessità, per le religioni monoteistiche successive, di impossessarsi della sua area, della sua terra, di prenderne il posto disegnandolo a propria immagine e somiglianza.
I cristiani cacciarono gli ebrei da Gerusalemme e la chiamarono Elia Capitolina, mentre inventavano anche il nome di Palestina. La dinastia Ummayyade, molto lungimirante nella sua complessa riorganizzazione dell’Islam, costruì in suoi due santuari, la Moschea di Omar e il Duomo della Roccia, nel sito del Tempio.
Ma il Tempio non solo c’era, ma ancora se ne vedono le possenti strutture se solo si visitano i sotterranei che circondano i muri perimetrali delle Moschee. L’idea di sradicare la storia ebraica da Gerusalemme è pazzoide e impossibile, per un popolo che anche quando è stato disperso non l’ha mai veramente abbandonata, che anche dai quattro angoli del mondo più remoto l’ha nominata e sognata ogni giorno, che esclama “se ti dimentico Gerusalemme mi dimentichi la mia mano destra”, che da quando ne ha fatto la sua capitale l’ha curata e fatta fiorire come non mai nella storia, e in cui già un secolo prima dell’avvento dello Stato Ebraico i residenti ebrei, nonostante gli immani pericoli, erano la maggioranza. Samuel Joseph Agnon nel suo discorso di accettazione del premio Nobel per la letteratura nel 1966 diceva: “A causa di una catastrofe storica, la distruzione di Gerusalemme da parte dell’imperatore di Roma… sono nato in una città della diaspora.
Ma mi sono sempre considerato come se fossi, in verità, nato a Gerusalemme”. Che i negazionisti sappiano: siamo tutti gerosolimitani da quattromila anni.