Ulteriori arresti in vista in Iran. Come deve agire l'Occidente?
The Death of the Islamic Republic
di Michael Ledeen, 9 Agosto 2009
The show trials now on display in Tehran have several purposes. First, to purge the regime’s ranks of those who have shown tolerance or enthusiasm for the dissidents who are now calling for “death to the dictator.” Second, to intimidate anyone contemplating action against the regime. Third, to gauge the attitude and resolve of the West, in order to calculate just how far the regime can go without a potentially damaging reaction. That is why Saturday’s procession of “spies and traitors” included French and British citizens or employees. The reaction must have been encouraging to Supreme Leader Ali Khamenei, his son, and his band of loyalists: thus far, the Brits and the French have limited themselves to diplomatic tongue clicking, with nary a whisper of serious sanctions, and no sign of active support for the millions of Iranians who pray, and fight, for freedom. As the distinguished scholar and analyst Afshin Ellian tells us nearby, the regime has already prepared arrest warrants for the leaders of the national uprising, and an elite unit of the Revolutionary Guards has been charged with carrying out the arrests. Such a move is fraught with peril for the regime. The arrest of the dissident leader, Mir Hossein Mousavi, would surely throw the country into convulsion, and, if it lasted long enough, might convince some Western leaders to finally defend its own ideals, and thus the Iranian people. There is no doubt, as Professor Ellian stresses, that Khamenei’s people desperately want to crush the opposition. [...]
Adesso Al Fatah vuole tutta Gerusalemme
Betlemme è tutt’altro che quel luogo di pace che tanti cristiani sognano e, in questi giorni, meno che mai. Proprio da qui, da quella che è stata (e che continuerà, per cercare di sedare gli scontri, ancora fino a martedì prossimo) la prima convenzione di Fatah in venti anni, oltre alla rielezione bulgara di Abu Mazen avvenuta ieri, potrebbe scaturire una terza intifada. Non è mancato nessuno dei classici segnali del regresso e di un totale rifiuto del dialogo: il documento di ieri invita a sacrificarsi, ovvero a perpetrare atti di terrorismo, fin che Gerusalemme non sarà interamente, anche nella sua parte ovest, anche dentro la Linea Verde, consegnata ai palestinesi: fino ad allora Fatah, la parte moderata rispetto a Hamas, non si siederà a parlare con gli israeliani. Una linea inusitata, che dichiara guerra fino a che vivrà non solo l’ultimo israeliano, ma anche l’ultimo ebreo: Gerusalemme è nelle sue preghiere tre volte al giorno da che mondo è mondo, citata 622 volte nella Bibbia e migliaia di altre volte con altri nomi. [...]
'Israel should drop apologetic tactics, admit it is at war'
by Cnaan Liphshiz
Israel should drop its apologetic advocacy and admit it's fighting a war.
This is the message that Italian legislator Fiamma Nirenstein impressed upon members of the new Knesset lobby that she recently helped create, which aims to "strengthen ties between Israel and European parliaments."
Nirenstein, a staunch supporter of Israel and a legislator for the party of Italian President Silvio Berlusconi, was the driving force behind the formation last month of Israel's European Forum of the Knesset (EFK).
The new body - whose dozen-odd members include Tzipi Livni, Shaul Mofaz, Daniel Ben-Simon and other notable lawmakers from across the political spectrum - is meant to serve as a counterpart for the European Friends of Israel, an umbrella organization for some 1,000 pro-Israel legislators from all over the continent.
But while the European body - in which Nirenstein plays a central role - aims to better Israel's image in Europe, the Jewish Italian journalist and lawmaker has a different vision for the new Israeli counterpart. [...]
"MKs launch new alliance with European parliaments"
Jerusalem Post, August 3, 2009
by Carrie Sheffield
Seeking to combat a perceived growing anti-Israel trend in Europe, Knesset leaders have joined a new alliance intended to strengthen ties with European parliaments.
Funded by wealthy patrons within European Jewish circles, the alliance is seeking to lower the rhetorical temperature on the Palestinian issue and heighten awareness of a potential Iranian nuclear threat, which has been downplayed by many European leaders.
Last week, the lobbying group European Friends of Israel (EFI) launched the European Forum of the Knesset, a coalition spearheaded by MK Yohanan Plesner (Kadima) with the blessing of Knesset Speaker Reuven Rivlin (Likud).
"I welcome you from the bottom of my heart," Rivlin told European diplomats and ambassadors gathered at the Knesset for the inaugural meeting of the alliance. Rivlin acknowledged Israel's somewhat troublesome relationship with Europe, but asserted, "The right not to agree between two friends is very important, so long as everyone understands the opinion." [...]
Fatah a congresso, ma i «falchi» hanno già vinto
Se il mondo si era affacciato alla finestra per guardare meglio la conferenza di Fatah che da oggi raccoglie 2265 delegati a Betlemme per tre giorni, meglio torni a dormire. Non ci sarà un cambio della guardia, i più che settantenni resteranno al potere; non ci sarà un cambiamento di linea che porti il Mediorente verso la pace; non ci sarà la base per un accordo fra Fatah e Hamas. Il fatto che si tratti della sesta convenzione in venti anni è una grande occasione di incontro fra personaggi sparsi ai quattro angoli del Mediorente in cui il West Bank è contro Gaza, i vecchi contro i giovani, i moderati, pochi, contro i moltissimi rivoluzionari permanenti. Hamas, che ha tentato di impedire ai 200 delegati di Fatah provenienti dalla sua zona di arrivare, è di fatto, per Fatah, il nemico da battere ma anche il remoto ispiratore di una linea sempre più tragicamente dura: la leadership di Abu Mazen, ormai 74enne, così come quella dei cinquantenni come Mahmud Dahlan o il carcerato Marwan Barguti, in dura competizione fra di loro, hanno in comune la determinazione a reggere la competizione di Hamas sfoderando toni durissimi. [...]
Obama fa il duro con Israele, non con i palestinesi
Va bene, adesso è quasi sicuro, Bibi Netayahu ha intenzione di dichiarare un “congelamento” temporaneo degli insediamenti, proprio come gli hanno chiesto tutti gli inviati, dal segretario della difesa Robert Gates, all’incaricato per il Medio Oriente George Mitchell, al Consigliere per la Sicurezza James Jones, giunti in processione dagli Stati Uniti. Ma questo aiuterà a fare la pace? Sembra quasi che la linea Obama, di cui le concessioni israeliane sono il perno, stia creando una specie di scivolamento inerziale verso una strana, pericolosa neghittosità palestinese, e un altrettanto automatico riflesso antisraeliano da parte dell’Europa. Insomma: come se Israele dovesse far tutto e i palestinesi, e anche il mondo arabo, richiesto invano di un gesto di buona volontà, solo quel che gli pare. Obama, al contrario di quello che si sapeva, non ha più voglia di presentare un piano di pace per il Medio Oriente. Gli USA ora tenderebbero semplicemente a puntare su ciò che sembra a portata di mano, ovvero un accordo con Israele per lo sgombero di alcuni “out post” illegali e per il “congelamento” temporaneo degli insediamenti , in attesa che Abu Mazen batta un colpo. Per spingere il mondo arabo a un gesto di buona volontà, Mitchell ha visitato gli Emirati, la Siria, l’Egitto: cerca una pace onnicomprensiva, ma per ora Obama dovrà approfittare della sola buona volontà israeliana. E così, tutti spingono su Bibi che vuole buoni rapporti con Obama a causa della minacciosità dell’Iran. [...]
La Knesset guarda all'Europa
Questo martedì sono stata invitata a parlare come key-note speaker al Parlamento Israeliano in occasione dell'inaugurazione del Forum Europeo della Knesset, un'istituzione volta a rafforzare i legami e la cooperazione tra i parlamentari israeliani ed europei (sia a livello delle singole assemble ligislative nazionali, sia a livello di Parlamento Europeo).
All’evento, coordinato dall’On. Yohanan Plesner (Kadima), promotore del Forum, ha partecipato anche Presidente della Knesset, Rubi Rivlin, e vi hanno preso parte numerosi parlamentari dei diversi schieramenti nonché oltre una quindicina di Ambasciatori di Paesi Europei (per l’Italia era presente il Vice Capo Missione Davide La Cecilia), un rappresentante della Commissione Europea in Israele, alcuni esponenti del mondo accademico israeliano e coordinatori di organizzazioni non governative.
Dopo il Presidente della Knesset è intevenuto l’On. Plesner che ha moderato la tavola rotonda. Dopo il mio intevento, che trovate per ora in inglese più sotto, sono intervenuti alcuni parlamentari israeliani, tra cui Tzipi Livni, Capo dell’Opposizione e leader del partito Kadima e Majalli Whbee, già Vice Ministro degli Esteri nel precedente Governo Olmert. Erano presenti anche Shaul Mofaz, già Ministro della Difesa, Rony Bar-On, già Ministro del Tesoro, l’On. Daniel Ben-Simon. [...]
Appello all'UNESCO contro la candidatura di Farouk Hosny
Senza l’intervento attivo delle istituzioni e del mondo della cultura, la direzione dell’UNESCO potrebbe essere prossimamente assegnata a Farouk Hosny, attuale Ministro della Cultura egiziano, che, nel corso della sua carriera, si è qualificato per le sue spudorate campagne antisemite e contro lo Stato d’Israele, che è per altro in pace con l’Egitto da 30 anni a questa parte.
L’Italia fa parte dei 58 Paesi del Consiglio Esecutivo che a settembre dovrà scegliere, tra gli aspiranti alla Direzione, il candidato che ad ottobre sarà sottoposto al voto di ratifica della Conferenza Generale dei 193 stati membri dell’UNESCO.
Per questo ho proposto l'appello che segue tra i parlamentari e stiamo raccogliendo le firme, in vista della elezione preliminare di settembre.
Leggi anche:
"Salvare l'UNESCO da Farouk Hosni", di Giulio Meotti
"Ecco la lista nera dei libri banditi al Cairo dal ministro egiziano che 'per l’Italia è il favorito'", di Giulio Meotti
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"Noi parlamentari della Repubblica Italiana ci rivolgiamo ai 58 Paesi che siedono nel Consiglio Esecutivo dell’UNESCO per evitare che le istituzioni delle Nazioni Unite subiscano l’ennesimo oltraggio.
Il prestigioso incarico della Direzione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l'Educazione, la Scienza, la Cultura e la Comunicazione (UNESCO) potrebbe essere affidato a Farouk Hosny, attuale Ministro della Cultura egiziano, che, nel corso della sua carriera, si è qualificato per le sue spudorate campagne antisemite e contro lo Stato d’Israele, che è per altro in pace con l’Egitto da 30 anni a questa parte. [...]
Gioco delle parti fra Usa e Israele
Panorama, n. 31, 30 luglio 2009, pag. 90
Da lontano Israele e la nuova amministrazione americana sembrano in continuo scontro. Il grande dice al piccolo: lascia gli insediamenti. Il piccolo al grande: invece di giocherellare con la politica della mano tesa, attento all'Iran nucleare. Ma il gioco Usa-Israele è complesso, anche perché il nucleare di Mahmoud Ahmadinejad è ormai alle porte e il governo degli ayatollah ha mostrato con la spietata repressione di non avere da parte sorrisi neanche per Barack Obama, che pure vuole dialogare. Notizie riservate mostrano all'orizzonte una visita del segretario della Difesa americano Robert Gates in Israele agli inizi della prossima settimana. Solo pochi giorni fa Gates ha detto all'Economic club di Chicago: «L'iran mi preoccupa più di ogni altra cosa perché non vedo uno scenario in cui si trovino opzioni positive. La mancanza di ottimismo non è solo legata alla sua scelta nucleare, ma anche alla incapacità della comunità internazionale di influenzare la determinazione a portarla a termine». Il programma di Gates in Israele è soprattutto, possiamo arguire, la discussione sull'Iran. Ma attenzione: con lui agli incontri di massimo livello parteciperà (fatto di non piccolo significato) l'inviato del presidente Obama per il Medio Oriente George Mitchell. Mitchell è in realtà il responsabile dei rapporti fra israeliani e palestinesi e quindi degli eventuali sviluppi di un processo di pace. [...]
I muscoli di Hezbollah fanno paura
L’attacco subito nel sud del Libano dalle truppe dell’Unifil mentre tentavano di verificare in che cosa consistesse il deposito d’armi degli hezbollah saltato per aria qualche giorno prima con morti e feriti, è un pessimo segnale per la pace in Medio Oriente. Quel centinaio di abitanti di Kirbat a Silm, che alla fine si sono persino messi a sparare contro le forze internazionali, sono il segno della solida presenza degli hezbollah al sud del fiume Litani, dove hanno comprato, costruito, arruolato; è un segnale della determinazione della milizia sciita a proteggere le armi e le loro infrastrutture nonostante la risoluzione dell’Onu che ne stabilisce lo smantellamento.
La chiave dell’aggressività delle ultime azioni degli hezbollah, che hanno taciuto per lungo tempo e che sembravano determinati a conquistare il potere in Libano tramite un percorso di legittimazione democratica, deve essere letta alla luce dei risultati delle ultime elezioni, anche se è lo scontro con Israele la stella polare intorno a cui costruiscono l’azione e il consenso. [...]
Le illusioni della politica estera americana
Il discorso di Obama all´Islam è un mistero per chiunque si occupi con mente fredda e occhio allenato delle questioni mediorientali: è chiara solo la determinazione di Obama a restare fedele al proprio modello, quello che gli ha conquistato la fiducia e oseremmo dire, per una parte, persino qualche idolatria da parte della maggioranza del pubblico americano. Obama è determinato a incarnare, al di là della ratio politica e storica, una figura messianica, post moderna, decisamente relativista. La sua barca veleggia sempre più lontana, decisa a tracciare una nuova scia, dal sogno americano tradizionale, inteso come determinazione, spazio, libertà a ogni costo; trasfigura e modifica nella mente del mondo intero il disegno dei valori americani, della loro letteratura, della loro musica e della loro filmografia. La figura del cow boy, e non solo del tipo duro alla John Wayne, ma persino di quello più solitario e elegiaco alla James Dean, persino la figura del bohemienne newyorkese, alla Bob Dylan, si spengono e si trasfigurano su Barack Hossein Obama, il nuovo americano. Gli interessa molto di più mostrarsi comprensivo e pieno di buone intenzioni; non frequenta l´ironia amara, democratica e irridente, consapevole dei limiti della natura umana, il poetico disprezzo per il politically correct, e infine anche il coraggio di affermare la leadership americana nel mondo, costi quello che costi, anche quando deve imporsi, certa di farlo per il bene comune. Gli manca la follia generosa e severa dello sbarco in Normandia e anche, ebbene sì, della guerra in Iraq. Gli manca l´imperativo ineludibile di tenere a viso aperto per il coraggio dei manifestanti iraniani, e di aiutarli a vincere. [...]





