Fiamma Nirenstein Blog

In memoria di mio padre

venerdì 21 settembre 2007 Generico 45 commenti
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Cari amici, questa è una lettera di ringraziamento per i vostri messaggi di cordoglio dopo la morte di mio padre, Aron Alberto Nirenstein. La sua storia l'avete letta negli articoli che ho messo per voi su questo mio sito e che seguono questo post.
Ho pensato che, pur trattandosi di un avvenimento così evidentemente personale - mentre su questo sito parliamo molto di politica, di guerra, di mediorente, di Islam estremista - i significati che la vita del mio babbo trasmette sono in maniera del tutto chiara la fonte dell'ispirazione che domina il nostro dialogo e il vostro interesse nell'accedere a questa casa.
Ho pensato, penso molto, come capita a ogni figlio che perde un genitore, a quale sia stato per me il suo messaggio, la sua eredità. Mio padre parlava poco, molto poco. I suoi messaggi mi sono giunti sempre per vie traverse: il primo è stato quello della resistenza, dell'opporsi, un messaggio che mia madre traduceva nella storia del suo arrivo da Israele - che all'epoca, nel '45, ancora non esisteva: soldato volontario dell'yishuv ebraico, che agli ordini degli Inglesi, sbarcò a Salerno, con un piccolo gruppo di soldati ebrei provenienti dalle privazioni e dalla grande gioia dell'opera della creazione sionista; risalì lo stivale combattendo i nazisti, fino a incontrare mia madre Wanda, partigiana di Giustizia e Libertà, a Firenze. Credo che l'idea dell'amore e della lotta per la libertà come un'unica strada da percorrere siano stati silenziosamente suggeriti alla Fiamma bambina, e che siano rimasti impressi come un pilastro nella mia mente, anche quando mio padre per quattro anni fu trattenuto in Polonia dove era andato a cercare i documenti del Ghetto di Varsavia, liberato dal confino solo quando Stalin morì. "Stamina", questo era il messaggio che è pervenuto fino all'ultimo dal babbo. Quando telefonava dalla Polonia nella casa dei miei nonni a Firenze, dove vivevamo la mamma, la Susanna ed io, ci assemblavamo intorno al telefono nero appoggiato su un tavolino antico, trattenendo col fiato corto e l'ansia di scambiare almeno una parola la sensazione tragica di una lontananza infinita. Sapevamo che a lui mancavano il cibo, gli abiti, le scarpe, la libertà; gli mancava di nuovo, dopo la perdita della sua famiglia di Baranov nella Shoah e dopo gli anni duri della fondazione di Israele, un nido dove posare il capo. Però, eravamo forti: questo era il messaggio. Dovevamo essere forti, perdurare nonostante le privazioni. Leggere, imparare, godere della bellezza, della natura di cui ci parlava, ignorare le privazioni. Privazioni e sacrifici sono sempre stati compagni della vita di mio padre, ma sempre vissuti come strada per conquistare la gioia che viene insieme a loro nel perseguire uno scopo enormemente desiderato. E' difficile dire con quale apprensione come di madre, più che di figlia, io oggi penso a quando il piccolo Aron a tredici anni lasciò a piedi e senza un soldo in tasca, solo con i panni che aveva addosso, la sua casa di Baranov divenutagli estranea a causa di una terribile matrigna, per andare a studiare da solo a Lublino, basando la sua sopravvivenza e la sua condizione di alunno di una scuola cattolica - e non ebraica, dove quindi era accettato per un miracolo di cui si è stupito ad ogni racconto fino a ieri - sulla sua grande bravura soltanto. Mio padre, poco più avanti, durante i suoi solitari anni di ragazzo che studia contro e nonostante le più difficili circostanze, ha dormito in una gelida falegnameria fra le assi di legno, si è rammendato, ancora bambino, i calzini, non sapeva come mangiare giorno dopo giorno. Una a una ricordava le persone che gli hanno offerto un pranzo. In particolare le donne, per le quali aveva una tenerezza particolare, dato che non aveva mai conosciuto la sua mamma, morta pochi anni dopo la sua nascita. E quando nel 36 andò per vie avventurose oltre misura, a piedi, su vecchie ferrovie, su ferri vecchi che galleggiavano a stento, fino a Haifa, quando giunse a casa di sua sorella Ada, essa si mise a piangere perché non aveva un tozzo di pane da dargli. Mio padre studiò tuttavia con successo all'Università Ebraica di Gerusalemme, costruendo strade per mantenersi: mangiava soprattutto banane, un cibo che costava poco. Mio padre era fra quegli ebrei che, appartenenti all'Hashomer Ha-Tzair, il movimento socialista sionista, combatterono e credettero insieme nella convivenza con gli arabi, e amò il kibbutz in cui ancora vivono alcuni dei nostri parenti.
La storia di come mio padre incontrò e sposò la mamma a Firenze è tutta intrecciata col suo rapporto con la cultura e la storia italiana, sempre guardata con ironia, con distacco, con feroce senso di critica antiborghese, anti denaro, anti belle maniere. Il babbo non ha mai fatto mancare il suo sarcasmo a nessuno, neanche a noi, fino agli ultimi giorni. Non lo ha fatto mancare alla politica, alla religione. La sua capacità di uscirsene con battute terribili e imbarazzanti per ogni senso comune conformista, divenne famosa. Gli piaceva metter in crisi i borghesi con una canzone improvvisa in yiddish, con una battuta impossibile. Gli piaceva parlare con la gente diretta e semplice, raccontare e ascoltare piccole cose, era il preferito delle signore giornalaie, dei vicini agricoltori della casa del mare, del barista. Gli piaceva camminare in piena natura ancora più che in mezzo alle opere dell'uomo, che pure amava e ci mostrava con passione. Amava saltare nell'acqua, notare un albero o un fiore particolare, scherzare, in maniera da fargli un po' paura, con ogni bambino che incontrava per la strada. Non gli piacevano i gatti, come si conviene a un vero ebreo dello shtetl. Però diceva che gli animali erano come noi, né più né meno, nostri fratelli minori. La natura era per lui una fonte di pura gioia.
Questi sono i messaggi che ricevevevamo dai lui, senza bisogno di parlare, insieme a un chiaro ordine di disprezzare il denaro e le chiacchere. Messaggi difficili soprattutto se si pensa che venivano a noi sorelle insieme a quello grande e terribile della memoria della Shoah e a quelli del mistero di essere ebreo. Della Shoah è stato uno dei primi storici in Europa, e non ha esitato a affrontare anche i temi più difficili e scabrosi. I suoi libri raccontano tutto. Posso aggiungere che mio padre non ha mai perdonato, non ha mai pensato che i tedeschi potessero essere assolti nemmeno nella posterità; invece, per i polacchi aveva un affetto profondo, une serie di memorie tenere e familiari, oltre naturalmente alla consapevolezza dei crimini antisemiti. Ma se sulla Shoah - di cui non parlava se non per comunicare il suo vivissimo sconcerto, la sorpresa, lo strazio furioso che non aveva trovato nessuna consolazione, come fosse accaduta ieri - il messaggio era chiaro, sull'ebraismo il babbo ci ha consegnato un messaggio misterioso, poliedrico, disorientante. Sicura è stata soltanto la sua preminenza nella vita, la sua fonte inesauribile di identità e la sua connessione inscindibile col sionismo. Israele era per lui un dato di fatto dell'anima prima ancora che della storia. Per il resto, in che dovesse consistere la nostra personale relazione con esso, tutto è stato lasciato alla nostra discrezione, alla nostra fantasia, alla nostra fedeltà. Il babbo comunque veniva in Israele un paio di volte all'anno, pieno di regali per i suoi nipoti figli di Miriam e Ada, le sorelle che vennero con lui a vivere nei kibbutz dei pionieri. Quando gli ho chiesto, camminando per il viottolo di fronte alla nostra casa del mare, se avrebbe voluto essere a Gerusalemme ha detto "naturalmente". E alla domanda se preferisse Firenze o Gerusalemme ha detto che le amava tutte e due, di un amore diverso.
 
Ecco alcuni dei ritratti che gli sono stati dedicati in questi giorni dal Corriere, Il Giornale, Il Giornale della Toscana, L'Unità, Il Foglio e Il Sole 24 Ore.
 
 
Testimone della Shoah
Il Sole 24 Ore, 9/09/2007
Giulio Busi
 
Il Novecento è stato costellato di destini ebraici singolari, quasi sempre tormentati e drammatici, ma la vita di Alberto Nirenstein (morto domenica scorsa a Firenze) risalta per una sua acuta esemplarità. Dallo shtetl polacco di Baranow, dov'era nato nel 1915, alla Palestina del mandato britannico e alle brigate ebraiche, sbarcate in Italia con gli alleati. Poi la Firenze del dopoguerra e di nuovo, all'indietro, a Varsavia, ostaggio dello stalinismo. Ce n'è abbastanza per riassumere lo sradicamento di un'intera cultura: quella ashkenazita dell'Europa orientale, cancellata dal nazismo. «Non ho un album di famiglia da consultare e non possiedo materiale visivo per i miei ricordi» - confidava Nirenstein in apertura di un suo brogliaccio - eppure, forse proprio perché costruiti solo su appigli interiori, i frammenti autobiografici che ha lasciato paiono tanto vivi. Aron (prenderà il nome di Alberto in Italia) comincia a scoprire il mondo nel villaggio ebraico, dietro il bancone della grande ferramenta paterna, con le giornate scandite da un ritmo ancora quasi feudale. Negli occhi «albe silenziose e appena illuminate» e, come premio speciale, «un bicchiere di acqua di prugne». A leggere i ricordi dei suoi primi anni, si misura lo scarto da un'altrove ormai introvabile. Nel 1939 Aron riesce a fuggire in Palestina. È la sua personale fortuna. Durante la Shoah, tutti i suoi cari vengono assassinati e la Baranow ebraica viene cancellata dalla carta geografica. «Misteriose sono le strade dei fuggiaschi, strappati alla patria»: quella di Nirenstein passa per i primi difficili esperimenti sionisti. Si guadagna da vivere come maestro elementare, ma «l'armata apocalittica, passati mari e deserti», sembra volerlo inseguire anche nel suo nuovo rifugio. Le truppe dell'Asse sono in Nord Africa e gli inglesi arruolano volontari ebrei. Nirenstein si unisce alla Brigata, combatte a El Alamein e infine partecipa alla liberazione d'Italia. A Firenze conosce Wanda Lattes e la sposa, ma il desiderio di capire è imperioso. Torna allora a Varsavia, alla ricerca di documenti sullo sterminio. Sono gli anni della guerra fredda e, per crudele ironia, le autorità comuniste gli impediscono di rientrare in Italia fino al 1953. Nirenstein non ha ancora quarant'anni, ma la prima parte della sua vita contiene un completo inventario di tragedie, speranze, disillusioni. Per un altro mezzo secolo raccoglierà testimonianze sulla catastrofe dell'ebraismo polacco. Del resto, l'accesso alle fonti originali gli permette di sfatare molti stereotipi, come quello di un giudaismo solo passivo di fronte alla tragedia: importanti sono i suoi contributi alla storia della disperata resistenza che alcuni gruppi ebraici seppero opporre ai nazisti. Il suo Ricorda cosa ti ha fatto Amalek esce per Einaudi già nel 1958, saggio precoce di una raffinata coscienza storiografica. Nella tradizione ebraica, Amalek è il simbolo per eccellenza del persecutore. Per tutta la sua lunga vita, Nirenstein è rimasto convinto del valore di quel " ricorda".
 

Albert, eroe della Brigata ebraica contro le SS
Il Foglio, 8/9/2007

Albert Nirenstajn nacque un giorno del 1915. La data esatta non la sappiamo. La metodicità nazista ha cancellato l’anagrafe. Albert Nirenstajn nacque a Baranow, città che la metodicità dei nazisti e il disordine della guerra hanno reso inutile cercare sulla carta geografica. A Varsavia seppe delle imprese, delle sconfitte temporanee, dell’ostinazione che Ben Gurion, cucciolo di leone, affrontava per creare in Palestina uno

stato ebraico. “Saranno i coloni, i contadini, e non i militari e i politici, a creare lo stato d’Israele”, aveva detto Ben Gurion. Nel 1936 Nirenstajn si fece colono. Fu il coraggio di impegnarsi in Palestina a sottrarlo alle stragi nel ghetto di Varsavia, alla deportazione nei campi di sterminio. Fu il coraggio di combattere e la lungimiranza politica a farlo arruolare nel Jewish Brigade Group che l’esercito britannico finì per accettare come contingente autonomo, nazionale. Lealmente, con le brigate ebraiche, con gli Alleati, Albert Nirenstajn sbarcò a Salernò e risalì l’Italia. Depose le armi per continuare la sua guerra. La memoria era altrettanto importante della terra. Ben Gurion, l’antico maestro, aveva già realizzato il suo progetto, era già il primo ministro del nuovo stato indipendente di Israele, aveva già cominciato la guerra infinita contro i vicini arabi ostili, quando Albert Nirenstajn scelse il fronte della memoria. Tornò in Polonia, occupata dai sovietici, a raccogliere le memorie di coloro che avevano combattuto nei ghetti delle città, che erano scomparsi aldilà dei cancelli dei campi di sterminio.

Sfatò il luogo comune degli ebrei che si offrivano all’Olocausto come vittime sacrificali,

raccolse le storie di ragazzi coraggiosi che male armati opposero la loro determinazione di vivere alla determinazione di uccidere delle SS. Ricostruì la scena polacca del più grande crimine della storia. Come aveva tradotto il suo cognome da Nirenstajn in Nirenstein, tradusse i documenti raccolti dall’yiddish e dall’ebraico in Italiano.

I comunisti polacchi che lo avevano lasciato rientrare in patria, si rifiutarono di lasciarlo uscire. La morte di Stalin e l’intervento di Palmiro Togliatti lo aiutarono a lasciare quello che era stato il suo paese e che era ora diventato la sua prigione. Nel 1958 fu pubblicato presso la casa editrice Einaudi un libro destinato a diventare famoso. Il titolo era un versetto del Deutonomio, “Ricordati quello che ti ha fatto Amalek”.

Era forse la prima ricostruzione organica dell’Olocausto mai pubblicata.

 
 
L'ebreo che volle farsi apolide
Corriere della Sera, 3.9.2007
Ernesto Galli della Loggia
 
L' ultima volta che lo incontrai, qualche anno or sono, Alberto Nirenstein aveva ancora la memoria lucida di sempre, lo stesso tono ironico nella voce e nel tratto, la stessa curiosità inesauribile per uomini e cose, che era sempre pronta a sottoporre l'interlocutore, come se nulla fosse, anche alle domande più personali e dirette. Ma poi le spire della malattia avevano cominciato ad avvolgersi implacabili intorno alla sua mente fino a rinchiuderla e ottenebrarla del tutto. A liberarlo solo la morte, a suo modo benigna, ormai poteva riuscire. E la morte è arrivata ieri mattina, a Firenze. Tra pochi giorni avrebbe compiuto 92 anni.
L'ebraismo di Alberto Nirenstein che tuttavia, anche quando l'ebraismo è diventato così alla moda, egli ha vissuto sempre con una certa qual sprezzatura snobistica, all'insegna di un understatement ostentato e divertito il suo ebraismo, dicevo, ha racchiuso l'intera parabola del Novecento. E quasi a suggellare simbolicamente l'uno e l'altra egli ha voluto chiudere gli occhi con lo status di apolide. Allorché aveva chiesto la cittadinanza italiana, molti decenni fa, la nostra burocrazia aveva opposto le sue solite lungaggini e difficoltà; quando poi, in base a nuove leggi, il suo matrimonio con Wanda Lattes gliene avrebbe dato il diritto, aveva preferito lasciar perdere.
Alberto era nato in Polonia, figlio di un piccolo bottegaio, in una cittadina dello shtetl, all'inizio di quella Grande Guerra che doveva aprire le cataratte delle sciagure europee. Della sua infanzia ricordava ancora lo stupore affascinato ma carico d'inquietudine con il quale lui e i suoi compagni spiavano le cerimonie religiose cattoliche, le processioni per le vie con le grandi statue ai loro occhi vagamente minacciose. Qualcosa di quell'antico stupore, poi mutatosi in interesse intellettuale, gli era rimasto nei tanti rapporti che in seguito gli sarebbe capitato di intrattenere con i cristiani, quando per l'appunto non si stancava di chiedere, di informare e di informarsi, di mettere a confronto le due grandi tradizioni. Alberto rimase sempre fedele all'ispirazione dell'ebraismo che ama definirsi laico, ma come può essere laico chi porta inciso per sempre nella carne e nell'anima l'ammonizione imperitura dello «Shema' Israel». Ad allontanarlo da quel fragile piccolo mondo antico dello shtetl e a gettarlo nella fornace del secolo erano stati gli studi ma soprattutto la politica. Tra gli anni Venti e Trenta, per tanti giovani ebrei come lui, specialmente dell'Est europeo, politica aveva voluto dire il sionismo e insieme il comunismo, riuniti in una sola fiammeggiante utopia dal l'Hashomer ha-Tsair, con il suo sogno di uno Stato socialista e binazionale, arabo-ebraico, in Palestina, dove poco prima della guerra anche Nirenstein emigrò. Di quella moderna e generosa gioventù sionista, del suo idealismo ardente, Alberto conservò fino alla fine alcuni tratti distintivi: il disprezzo per la ricchezza e per tutto ciò che fosse ostentazione ed esteriorità, il tratto rude e sbrigativo, l'ampiezza spregiudicata degli interessi culturali, l'attenzione umana e culturale per gli ultimi (lui che in Palestina aveva fatto il maestro anche dei bambini arabi), e infine l'amore per la fisicità, il piacere del corpo disinibito all'aria aperta, nell'acqua.
L'incontro con l'Italia avvenne nel l943. Vi sbarcò come soldato della Brigata Ebraica dell'ottava Armata britannica, vi trovò moglie, e dopo il '45 vi restò per favorire l'immigrazione illegale in Israele degli ebrei in fuga dagli ex territori dell'Asse. Forse pensò che potesse essere una parentesi. Invece non fu così. Tornato temporaneamente in Polonia per ricostruire la resistenza dei suoi compagni dell' Hashomer, che fino all' ultimo erano caduti combattendo in pratica a mani nude nei ghetti contro i carnefici hitleriani (vicende che divennero poi l'oggetto del suo libro più noto, Ricorda cosa ti ha fatto Amalek, uscito da Einaudi nel '58 e seguito da numerosi altri sullo stesso tema), vi fu trattenuto dalla paranoide crudeltà dello stalinismo, virtualmente prigioniero per ben cinque anni. Si consumarono in questo modo il suo addio al comunismo e la decisione di stabilirsi definitivamente a Firenze, anche se la sinistra da un lato, con i suoi travagli e le sue lotte intestine, e dall'altro il sionismo e il destino d'Israele (della cui stampa di orientamento radicale fu per tanto tempo corrispondente dal nostro Paese) rimasero fino alla fine le uniche e vere grandi passioni di Alberto Nirenstein. Ma pur partecipando egli in parecchie occasioni alla vita culturale specie di Firenze, il suo carattere schivo e insieme la feroce struttura di clan della nostra intellettualità, il suo sostanziale provincialismo, hanno sempre impedito che potesse essere ascoltata davvero la voce di questo intellettuale cosmopolita, di questo ebreo solitario, a cui l'Italia è riuscita ad essere rifugio, ma ha il rimorso di non aver saputo essere patria.
 
 
Morto Nirenstein, una vita dedicata alla Shoah
Il Giornale, 3.9.2007
Paolo Bianchi
 
Si è spento ieri nella sua casa alle pendici della collina di Fiesole (Firenze) Alberto Nirenstein. Combattente delle Brigate Ebraiche nella seconda guerra mondiale, in Nord Africa e in Italia (sbarcò a Salerno), aveva lasciato Varsavia nel 1936 ed era stato sionista e fra i primi coloni dello stato di Israele, rispondendo alla chiamata di Ben Gurion. Era nato nel 1915. La data esatta è imprecisata, causa la distruzione dei documenti anagrafici dopo l’invasione nazista e la Shoah. Il suo paese d’origine, Baranow, tra Lublino e Varsavia, fu raso al suolo durante la guerra e mai più rifondato. Proprio alla ricostruzione delle vicende dell’Olocausto Nirenstein (il cui cognome originario, Nirenstajn, venne poi italianizzato) aveva dedicato gran parte della vita, tornando a Varsavia nel 1950 alla ricerca di documenti e testimonianze. Scrisse tra l'altro il primo libro sullo sterminio, Ricorda cosa ti ha fatto Amalek (Einaudi, 1960). A Varsavia, il giovane studioso ritrovò i diari che un gruppo di intellettuali avevano nascosto in dieci casse, dopo aver descritto accuratamente le cronache dell’istituzione del ghetto e del massacro che ne seguì. Tradusse tutti i documenti redatti in ebraico e in yiddish. Ma una volta terminato il lavoro, gli venne impedito l’espatrio. Come ricorda una delle sue tre figlie, Fiamma, nota giornalista ed editorialista del Giornale, «fu rilasciato solo alla morte di Stalin, nel 1953. Prima, neppure mia madre, Wanda Lattes, riuscì a ottenere che la burocrazia sovietica gli permettesse il rimpatrio, pur essendosi rivolta direttamente a Palmiro Togliatti». Alberto Nirenstein era un uomo schivo. Non cercava la notorietà. Forse anche per questo, spiega ancora la figlia «l’Italia non gli ha mai riconosciuto il ruolo di testimone diretto né di studioso della Shoah, relativamente alle vicende polacche». Aveva studiato anche le vicende di Cracovia. Sostenne: «È giusto parlare di Schindler, ma sarebbe anche giusto parlare di quei ragazzi e ragazze di 18, 20 anni, poco meno di un centinaio che attaccavano le Ss, ancora prima della rivolta del ghetto di Varsavia. Giovani anarchico-romantici, molto idealisti, che sapevano di avere poche possibilità di scampare. Furono quasi tutti catturati dopo un attacco a un grande caffè di Cracovia. Prima di morire una ragazza è riuscita a scrivere, rinchiusa nella cella, un diario che si chiama Il diario di Justina. È quasi più commovente del Diario di Anna Frank». Lo scrittore rimase sempre apolide, scegliendo di vivere nel nostro paese per motivi familiari, ma mantenendosi attivo nel movimento La Giovane Guardia e collaboratore del giornale israeliano Al Hamishmar, (La Guardia). Lui, laico che frequentava la sinagoga nelle festività, aveva incontrato papa Giovanni Paolo I e gli aveva parlato della questione ebraica in Polonia, in termini franchi e diretti, ricevendone manifestazioni di simpatia, anche personale. Alcune sue toccanti rievocazioni sono nei racconti del volume Come le cinque dita di una mano (Rizzoli, 1998) scritto insieme alla sua famiglia. Un’altra figlia, Susanna, è giornalista e una terza, Simona, musicista. Nirenstein ha avuto una vita dura e romanzesca, costellata di prove spaventose, ma animata da una fame inesauribile di verità. Eppure, come recita il titolo di un altro suo libro, È successo solo cinquant’anni fa (La Nuova Italia, 1993). Cinquanta o cento, non fa differenza.
 
Con Alberto Nirenstein è andato via un pezzo di storia
Il Giornale della Toscana, 4.9.2007 
Leonardo Tirabassi

"Ieri al cimitero ebraico di Firenze si è svolta la cerimonia di addio a uno degli uomini eccezionali del nostro tempo. Era presente tutta la grande famiglia che lui, polacco, aveva costruito in Italia, la moglie Wanda Lattes, le figlie Fiamma, Susanna, Simona, i quattro nipoti, i numerosi amici – tra cui Ernesto Galli della Loggia, Giovanni Sabbatucci, Pierluigi Battista - e autorità quali il vice sindaco di Firenze Giuseppe Matulli, il senatore Paolo Amato, il consigliere regionale Angelo Pollina, il direttore del Giornale della Toscana Riccardo Mazzoni.

Ho conosciuto Alberto Nirenstein agli inizi degli anni settanta, io adolescente sessantottino presuntoso nella mia assoluta ignoranza e lui già con il peso della storia più terribile del Novecento sulle proprie spalle.

L'occasione fu una manifestazione di sostegno all'OLP dove Alberto si presentò con il tipico "zuccotto" ebraico sulla testa. Fino allora ero venuto a sapere della sua storia attraverso i racconti delle figlie, ma mai l'avevo incontrato. Mi stupì subito il coraggio sereno su un bel volto polacco dai chiari occhi celesti, che poi sarà anche di Wojtyla, che rendeva l'uomo autorevole e più grande della sua reale altezza. Nessuno di quel pubblico schierato a fianco di una sola parte nel conflitto, a quei tempi, arabo israeliano osò dire niente. Una vita vera spesa a fianco degli oppressi si contrapponeva alle nostre sicurezze ideologiche senza nessun riferimento con la realtà. Quel semplice gesto di testimonianza fu più forte di qualsiasi discorso e riuscì a chiudere la bocca a noi tutti.

Alberto ha conservato sempre fino agli ultimi giorni della sua malattia, oserei dire fino alla morte, quel rapporto diretto con la vita, quell'attaccamento alle cose essenziali che senza dubbio gli derivava dalla durezza della propria storia. Quelle esperienze esistenziali e politiche, dalla tragedia della Shoà al tradimento della sinistra comunista fino alla scoperta dell'impossibilità di un Israele socialista accanto ad uno Stato arabo, avevano reso essenziale il suo discorso, quasi scarnificato, mai rendendo le sue parole ciniche o tanto meno stanche. Anzi, la vita lo aveva diretto verso una ricerca continua della verità. Ecco allora la descrizione terribile del funzionamento dei ghetti polacchi sotto il nazismo dove mostrò anche le tragiche connivenze degli ebrei. Perché Alberto era un vero storico e di grande levatura che non sceglieva i documenti secondo le proprie personali convinzioni. Aveva iniziato scrivendo il primo importante libro sullo sterminio, "Ricorda cosa ti ha fatto Amalek" (Einaudi, 1960) di cui la storiografia ufficiale italiana, chiusa nel suo provincialismo di casta, non si era accorta, come giustamente ha sottolineato Ernesto Galli della Loggia sul Corriere della Sera di ieri. E dedicò tutta la vita a spiegare incessantemente la barbarie delle azioni hitleriane che avevano portato alla cancellazione di un pezzo di Europa. Libero da ogni manierismo mondano e da qualsiasi vezzo intellettuale, la sua franchezza lo aveva reso un personaggio scomodo, difficilmente collocabile in una delle pigre caselline italiane.

Alberto era l'incarnazione di quarant'anni di storia europea con tutti i suoi drammi, contraddizioni e tradimenti. Come ha ricordato la moglie Wanda Lattes con parole commoventi davanti alla sua tomba, la sue vita è stata segnata da una coerenza eccezionale, sempre ispirandosi a quegli ideali di un socialismo umanitario che lo hanno accompagnato dai tempi di Ben Gurion fino alla sua morte.

Convinto socialista, dopo aver visto l'Olocausto, era dovuto passare anche per l'incubo stalinista che lo aveva preso prigioniero, nella sua patria martoriata, dopo la guerra, separandolo dalla sua famiglia italiana. Nato in Polonia, in un piccolo villaggio ebraico da una famiglia di commercianti – si può ritrovare la bella viva descrizione di quegli anni nel libro corale "Come le cinque dita di una mano" – aveva subito aderito alle idee sioniste che si ispiravano ad un socialismo laico a favore di un Israele dove avrebbero dovuto convivere in pace ebrei e arabi. Nel 1936 era partito per l'allora Palestina e fu la sua personale salvezza. Il suo natio shetl infatti fu completamente distrutto dalla furia nazista e i suoi abitanti, compresa la sua famiglia, sterminata. Partecipò alla seconda guerra mondiale nelle file della Brigata ebraica. Combattè in Italia, a Firenze conobbe una giovane partigiana, Wanda Lattes che poi diventerà sua moglie. Dopo la prigionia ritornò in Italia e ha dedicato tutta la sua vita a comprendere e a far capire la tragedia del Novecento con quel suo modo di parlare semplice e diretto che qualcuno scambiava per scontrosità.

Voglio salutarlo ricordando una delle sue espressioni tipiche. Una piccola figura con una mano aperta con il palmo verso l'alto, il braccio proteso in avanti, la testa inclinata da una parte, ma con lo sguardo ben diretto, che interroga, scruta, discute fino in fondo con l'interlocutore di turno.

Caro Alberto, questa è l'immagine che porterò sempre nella mia memoria."
 

Morto Alberto Nirenstein, testimone e storico dell'Olocausto
L'Unita, 04/09/2007
Virginia Lori


Intellettuale schivo, Alberto Nirenstein rifuggiva le luci della
ribalta. Forse è anche per questo che non sono in molti a conoscere la sua storia e le sue opere. Tra i primi storici della Shoah, combattente della Brigata ebraica che si oppose all?occupazione
nazista in Italia, Alberto Nirenstein è scomparso l?altro ieri a
Firenze. Era nato nel 1915 in un paese polacco, Baranow, che fu raso al suolo durante la guerra e mai più ricostruito. È stato uno dei
primi studiosi ad occuparsi di sionismo e punto di riferimento
importante per generazioni di storici e intellettuali per la sua
conoscenza diretta e approfondita dell?Olocausto e della Shoah. La sua scomparsa è stata annunciata domenica dalla Comunità Ebraica di Roma, ieri si sono svolte le esequie nel cimitero ebraico di Caciolle, a Firenze. In un messaggio alla moglie dello studioso, la giornalista Wanda Lattes (anche due delle sue tre figlie, Fiamma e Susanna sono giornaliste, la terza Simona, è musicista) il sindaco di Firenze Leonardo Domenici esprime «la commossa partecipazione per la scomparsa di Alberto, affettuoso marito, compagno di una vita». Messaggi di cordoglio anche dal ministro per i rapporti con il
Parlamento e le Riforme Vannino Chiti che ricorda come Nirenstein
«lasci in eredità alle nuove generazioni la testimonianza dell?orrore
della guerra, delle persecuzioni e dei campi di sterminio, affinché
possano meglio preservare i principi di libertà e democrazia che
stanno anche alla base della Costituzione e del nostro vivere civile»
e dal presidente del consiglio regionale della Toscana Riccardo
Nencini che sottolinea come «dalla sua vita, dedicata allo studio
dello sterminio, l?insegnamento a non dimenticare l?orrore nazista.
Non è solo il dovuto riconoscimento al combattente della brigata
ebraica o allo studioso schivo e riservato dei documenti sulla Shoah.
È anche per il ruolo e l?esempio, che ci ha consegnato con la sua
stessa vita, a lottare per la libertà e la democrazia. Tutti noi
dobbiamo essergli grati».
Pionere prima nella Palestina sotto mandato britannico, uomo della
resistenza poi quando decise di combattere l?occupante nazista in
Italia, arruolandosi nella Brigata Ebraica. Infine uno dei primi
storici della Shoah, appena finita la guerra, raccolse le prime
testimonianze sulla resistenza nel Ghetto di Varsavia e scrisse poi il
più noto libro Ricorda cose ti fece Amalek, Nirenstein aveva lasciato Varsavia nel 1936 ed era stato sionista e fra i primi coloni dello stato di Israele, rispondendo alla chiamata di Ben Gurion.
Proprio alla ricostruzione delle vicende dell?Olocausto aveva dedicato gran parte della vita, tornando a Varsavia nel 1950. Lì ritrovò i diari nei quali un gruppo di intellettuali aveva raccolto le cronache dell'istituzione del ghetto e del massacro che ne seguì. Nirenstein rimase sempre apolide, mantenendosi attivo nel movimento La Giovane Guardia e collaboratore del giornale israeliano Al Hamishmar (La Guardia). Laico, aveva dicusso con Giovanni Paolo II e gli aveva parlato della questione ebraica in Polonia. Alcune sue rievocazioni sono nei racconti del volume Come le cinque dita di una mano (Rizzoli, 1998).

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Silvio Riva , MILANO - ITALIA
 sabato 26 luglio 2014  00:23:52

Cara Fiamma, spinto dalla curiosità, ho scoperto oggi la storia di tuo padre (e, di conseguenza, delle tue radici).Sono nato nel 1938, ed ho incominciato REALMENTE a sapere, capire e ricercare la storia VERA, solo negli anni '50-'60, mentre persone come tuo padre la vivevano.Sette anni non sono tanti (passano così velocemente.....), ma mi sorprendo a riflettere sulle mutazioni intervenute in questo periodo di tempo.In meglio ed in peggio: non sto a fare cronache che conosci meglio di me.Vorrei fare solo una notazione, forse di scarsa importanza: il giornale "l'UNITA'", pur tributando lodi a tuo padre ed alla sua vita, cita il suo rientro in Polonia ma omette il particolare della prigionia fino alla morte di Stalin.Non stupisce che tuo padre si fosse allontanato da certa gente.



Massimo Balzano , Castel di Sangro - Italia
 venerdì 2 luglio 2010  20:04:39

Mi sembra di camminare su passi conosciuti.. Mio padre era italiano, (forse) classe 1912. Combattente nel Corno d'Africa ( Gondar, Asmara) poi fatto prigioniero in Tunisia dagli Inglesi, poi passato ai Francesi in Algeria ( li ha odiati per il resto dei suoi giorni senza eccesive esternazioni...) poi passato (non si sa per quale grazia divina, altrimenti, a suo dire, non sarebbe mai tornato)) agli americani e trasferito in USA fino alla fine della guerra.Era un mago della meccanica, passione che mi ha trasmesso con tutto il suo amore e con la furba capacità che aveva di incuriosirmi , insegnandomi con l'esempio, più che con le parole, che erano sempre poche, in maniera da poterle ricordare bene. Mia madre si chiama Franca Milano. Leggendo la storia del suo grande padre, non ho potuto fare a meno di pensare al mio, modesto eppur importante anche lui per quello che mi ha testimoniato sugli anni della guerra; mi è sembrato come se avessi conosciuto anche suo papà......Dio lo Benedica !!



Pia Migliorino , Palermo
 venerdì 22 agosto 2008  20:12:41

Non so l'importanza d'essere fra questi commenti, (t'ho trovata nella mia email e son giunta, qui).Non so cosa servono le parole a volte a niente.Ma il dolore conosciuto e vissuto, ci rende tutti uguali, più vicini da usuali distanze.E' tutto dentro e chi muore non muorirà mai.



cossunicola , siena italia
 venerdì 18 luglio 2008  11:49:24

Con sincero dolore. Che Dio sia con lui. Nicola.



Mario Cossu , Roma
 martedì 18 settembre 2007  18:20:39

Cara Fiamma,nel rinnovarle le mie piu' affettuose condoglianze,mi peretto ricordare quanto segue: oggi ho potuto assistere su RAI 2 (Piazza grande alle 13 circa ),sia pure in maniera saltuaria, al racconto di un giovane attore di lontana origine israelitica. Nella sua 'leggenda metropolitana' egli ha affermato che la salvezza della nonna è stata dovuta a Edda Ciano, che nella sala del Mappamondo (Palazzo Venezia) ha 'sottratto' dall' elenco degli ebrei da deportare nei campi di sterminio,il fascicolo della sua amica israelita. Non è certo per difendere la memoria del duce,ma per amore della verita',che contesto una simile fandonia. Soltanto dopo l'otto settembre '43 la RSI collaboro' con le autorita' naziste nella ricerca degli ebrei,da avviare nei 'campi di concentramento',dove erano tra l'altro finiti centinaia di migliaia di soldati italiani,prigionieri e non collaborazionisti. Senza voler nulla togliere all'infamia delle leggi razziali del '38,dove gia' si poteva scorgere quale abominevole progetto era in corso . Cordialmente, mc



tullio , firenze
 sabato 15 settembre 2007  18:25:28

esprimo le mie più sentite condoglianze per la grave perdita.Le voglia estendere anche a mamma Wanda, mia concittadina e anche abitante nella mia stessa strada Via Laura.



Andrea Ceccorulli , Pesaro-Italia
 sabato 15 settembre 2007  17:11:45

In vita ha fatto molto per difendere la libertà e la dignità degli uomini, e continuerà a farlo attraverso lei........Condoglianze



Mario , modena
 venerdì 14 settembre 2007  12:24:03

Da lontano, un caloroso abbraccio e tutta la mia solidarietà a apprezzamento per il suo lavoro.



giovanna luccardi , roma italia
 mercoledì 12 settembre 2007  10:03:19

è incredibile che l'unità non accenni minimamente alla "permanenza coatta" in Polonia subita da Alberto Nirenstein .L'angoscia di non poter rientrare in Italia presso la famiglia non deve essere stata cosa da poco.Per una persona "libera"come lo scrittore l'impedimento a muoversi deve essere stato terribile.



pier giorgio gillio , torino
 mercoledì 12 settembre 2007  09:17:22

tuo padre ti ha trasmesso i suoi stessi ideali la liberta la passione ma sopratutto l'amore per la vita shalom



giancarlo saran , castelfranco veneto - Italy
 martedì 11 settembre 2007  10:57:41

Purtroppo letto solo ora.Mi associo ai messaggi di tutto questo bel gruppo riunito attorno al Suo coraggioso Diario in pubblico.



luca , bologna
 lunedì 10 settembre 2007  16:29:45

Condoglianze e un abbraccio affettuoso. Lucap.s. Domenica sul Sole24ore anche Giulio Busi ha ricordato in un articolo la figura di Alberto Nirenstein.



Giuseppe Fontana , Milano
 lunedì 10 settembre 2007  16:28:34

Un grande padre non poteva che lasciare una pari Fiamma.Con tutto il cuore, posso solo offrire una mia preghiera e mettermi in fila dietro ai tanti, che ricordano lui e seguono te.Che la serenità ti raggiunga al più presto: Giuseppe.



Vincenzo Garzillo , Italia
 lunedì 10 settembre 2007  12:03:53

Condoglianze.Ho letto sabato sul Foglio un bel pezzo che mi ha fatto venire voglia di leggere il suo libro con le memorie dei sopravvissuti.



jochanan , Italia
 domenica 9 settembre 2007  18:41:34

Condoglianze. Ma i ricordi sono e saranno sempre vivi.........



Davide , Roma -Italia
 domenica 9 settembre 2007  16:41:18

Sentite condoglianze a te ed a tua sorella Susanna!!!Anche se non è il momento adatto, ti consiglio vivamente di prendere contatti con il Keren Kayemeth leIsrael Italia ( http://www.kklitalia.it )per ricordare la memoria di tuo padre(giardino Italia ecc...)Permettimi di mandarti l'Hatikvà cantato da Barbra Streisand, lo trovi a questo link: http://www.ariel.ac.il/projects/inet/music/Hatikva-Streisand.mp3



bruno d'alessandro , pomezia
 sabato 8 settembre 2007  22:17:14

Sentite condoglianze.



Clio , Verona
 sabato 8 settembre 2007  21:39:26

Condoglianze. Un forte abbraccio.



Primo Fornaciari , Ravenna
 sabato 8 settembre 2007  15:02:14

Sentite condoglianze, a nome del gruppo di ricerca storica "Amici della Brigata Ebraica di Mezzano" (Ra). Primo Fornaciari



Maria Pia Bernicchia , Verona/Italia
 venerdì 7 settembre 2007  15:56:54

Carissima Fiamma,avrei preferito scriverle un messaggio in un altro momento per dirle quanto ammiri il suo scrivere e il suo dire.... Le sono vicina in questo dolore, ogni volta che muore un padre, per me torna ad andarsene il mio. Se poi il padre veniva chiamato "babbo" allora il nodo alla gola si fa soffocante. Anch'io chiamavo babbo mio padre. Del suo babbo, cara Fiamma, conservo la stessa passione, anch'io faccio della mia vita una ricerca continua sulla Shoah e non smetto di "ricordare cosa ci ha fatto Amalek..."un abbraccio sinceromariapiabernicchia



Gaetano Strano , Catania
 giovedì 6 settembre 2007  22:13:47

Sono vicino al suo dolore per la scomparsa di suo padre grande testimone del secolo degli orrori nazisti. Ha contribuito a rendere viva la Memoria della Shoah nelle giovani generazioni.



Roberto Salvadori , Varsavia/Polonia
 giovedì 6 settembre 2007  17:07:30

Ho appena saputo, dal blog di Goldkorn, della scomparsa del babbo. Non avendo altro modo per dirti che ti sono vicino con tanto affetto, lo faccio così, adesso, sperando che ti giungano, da Varsavia, queste parole di amicizia.



Daniele Giomi , Livorno Italia
 giovedì 6 settembre 2007  13:57:28

Sono all'estero e ho saputo della scomparsa di suo padre. Non sapevo come farLe arrivare le mie piu' sincere e sentite condoglianze, poi ho scoperto il Suo sito e quindi... Le sono vicino in questo triste momento.Daniele Giomi



Gianfranco Massi , Tarquinia-Italia
 giovedì 6 settembre 2007  13:22:49

condoglianze



Marco , Terni
 giovedì 6 settembre 2007  12:16:22

Ogni parola è di troppo in queste circostanze; sentite condoglianze.



MAURO DE GREGORI , pavia
 mercoledì 5 settembre 2007  19:15:29

Le porgo sentite condoglianze.



pierluigi mannino , Cagliari
 mercoledì 5 settembre 2007  19:01:52

In momenti così tristi le parole vengono a mancare e spesso risultano essere superflue. Un abbraccio. Pierluigi



luca wulzer , roma
 mercoledì 5 settembre 2007  16:45:07

Condoglianze



Vlad , MILANO
 mercoledì 5 settembre 2007  14:36:31

Vorrei esprimerle le mie condoglianze, suo padre fu veramente un uomo dalla grande levatura morale



Ilsignoredeglianelli , italia
 mercoledì 5 settembre 2007  11:19:29

Che la terra gli sia lieve!



Frederick Dooley , Milano
 mercoledì 5 settembre 2007  10:43:42

Sentite condoglianze per la dolorosa perdita.



Lucia Roditi , Verona
 mercoledì 5 settembre 2007  09:48:36

Le più sentite condoglianze a lei e alla sua famiglia



Sonia Valenzin , Italia
 martedì 4 settembre 2007  22:47:16

Partecipo con profondo rispetto e sincero affetto al dolore di tutta la vostra famiglia.Sonia V.



claudio iungg , besenello (trento)
 martedì 4 settembre 2007  22:41:12

Anche da parte di mia moglie tiziana una sincera partecipazione al suo grande dolore, ed un abbraccio ,almeno elettronico.Il valore di Suo Padre le farà compagnia per sempre.Claudio



Daniele Frizzo , Brione Bs
 martedì 4 settembre 2007  19:55:44

Sentite condoglianze



Pingu , Napoli
 martedì 4 settembre 2007  19:40:33

Sentite condoglianze!Un grande abbraccio...



Francesca Berardi , Brescia
 martedì 4 settembre 2007  19:20:33

Mi dispiace tanto..



Giorgia Greco , Bologna
 martedì 4 settembre 2007  17:49:56

Ho appreso da pochi minuti dal caro amico Leonardo della dolorosa perdita per tutta la famiglia Nirenstein ma anche per tutti coloro che hanno avuto la straordinaria fortuna di conoscere Alberto: una persona forte, tenace e di straordinaria umanità.Io sono fra quelle. Alcuni anni fa a Siena lo incontrai ad un Convegno sul totalitarismo e rimasi affascinata dalla sua forza morale e dal suo rigore storico, dalla sua competenza e dalla sua grande umiltà nel coonfrontarsi con persone come me, certamente meno colte di lui.L'anno scorso a Firenze l'ho rivisto ad un incontro con scrittori israeliani e la dolcezza mista a una punta di malinconia dei suoi profondi occhi azzurri sono a tutt'oggi un ricordo indelebile.Sono sicura che Fiamma e tutti i suoi cari ne conserveranno e tramanderanno la memoria anche per tutti coloro che non l'hanno conosciuto.



Massimo , Roma
 martedì 4 settembre 2007  16:38:54

Condoglianze visissime.Con stima e simpatia.



roberta p. , macerata
 martedì 4 settembre 2007  15:50:21

Sincere condoglianze Roberta P.



Crusader , Palermo/Italia
 martedì 4 settembre 2007  12:47:03

Cara Fiamma, mi dispiace moltissimo per la grave perdita che ti colpito e ti esprimo le mie condoglianze più sincere. Tuo padre ha vissuto una vita avventurosa e travagliata alla ricerca della verità e per il trionfo della giustizia. In questo momento la sua luce sta brillando e lui si trova lassù, giusto tra i giusti...



Piero P. , Reggio Emilia
 martedì 4 settembre 2007  09:16:53

Cara Fiamma, ti sono vicino in questo triste momento. Sono, tuttavia, certo che il tuo babbo rimarrà sempre nei cuori non solo dei loro cari, ma anche in quello di coloro che hanno potuto leggere le sue toccanti testimonianze di un orrore indescrivibile. Come tu hai voluto scrivermi, simpaticamente in ebraico in occasione della morte di mia moglie, ripeto per lui: "Il suo ricordo sia di benedizione". Con tanto affetto.



Francesco Giuseppe Pianori , Rimini / Italia
 martedì 4 settembre 2007  01:22:42

Gentilissima Signora Fiamma,ieri mattina al giornale radio delle 7 ho appreso della morte di suo padre.Mi conceda di dirle il dolore che mi ha colpito, pensando a lei e alla sua famiglia. Ho pregato la Madonna per voi. In fondo anche Lei è una giovane ebrea e conosce bene il vostro cuore.Suo padre ora vede viso a viso tutto il significato della sua storia e della sua sofferenza, della gioia avuta in voi, della passione civile che lo ha sostenuto.Voglia accettare le mie condoglianze e la mia partecipazione. Lei, Signora Fiamma con tutto ciò che è suo fa ormai parte della mia vita e nulla è dato se non per sempre.



Erik , Genova
 lunedì 3 settembre 2007  23:12:08

Non esistono parole per alleviare il dolore dato dalla perdita di qualcuno che ami,sincere condoglianze.



ariela , israele
 lunedì 3 settembre 2007  23:00:35

Per anni ho letto A. Nir su Al Hamishmar. Partecipo al tuo dolore.



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