Fiamma Nirenstein Blog

La guerra antisemita contro l'Occidente

7 ottobre 2023 Israele brucia

Jewish Lives Matter

Informazione Corretta, il nuovo video di Fiamma Nirenstein

Museo del popolo ebraico

Le istituzioni internazionali ostaggio della cultura dell'odio: no a Farouk Hosni alla guida dell'UNESCO

venerdì 22 maggio 2009 Generico 22 commenti

E' con grande senso di partecipazione che facciamo nostro l'appello lanciato su Le Monde e sul Corriere della Sera dal premio Nobel Elie Wiesel, dal filosofo Bernard Henri Levy e dallo scrittore Claude Lanzmann. I tre firmatari dell'appello si rivolgono all'intero consesso internazionale perché impedisca che l'attuale Ministro della cultura egiziano, Faruk Hosni, ottenga il ruolo di direttore generale dell'Unesco.
Wiesel, Levy e Lanzmann descrivono la basilare importanza che, nella storia di Hosni, ha avuto l'incitamento all'odio verso lo Stato ebraico.
E' impensabile che L'Organizzazione delle Nazioni Unite per l'Educazione, la Scienza, la Cultura e la Comunicazione possa essere guidata da un personaggio che ha fatto della cultura dell'odio nei confronti di Israele - uno stato con il quale l'Egitto è in pace da 30 anni - la propria bandiera politica.
Che contributo può portare alla promozione della pace e dei diritti umani attraverso il canale della cultura, come si prefigge l'UNESCO, un candidato che invita a bruciare i libri israeliani e che enuncia teorie chiaramente antisemite parlando di "infiltrazione degli ebrei nei mass media internazionali" e imputando alla cultura israeliana di "rubare quello che non le appartiene per poi pretendere di impadronirsene"? [...]

Viaggio del Papa: quei temi politici distorti dai media

sabato 16 maggio 2009 Il Giornale 10 commenti

Il Giornale, 16 maggio 2009

Il Papa si era posto l’obiettivo durante il suo viaggio in Terra Santa di volare alto sopra i conflitti regionali: Gerusalemme è sempre accompagnata nei Salmi da invocazioni di pace e il Papa sperava che il suo viaggio aiutasse la concordia; il vento del luogo, metà arso dal deserto, metà fresco di pini, ha, nei secoli, soffiato sul viso di Cristo e dei profeti; la sua dimensione terrestre sconfina in quella celeste; là è nato il monoteismo che le tre religioni si contendono e a Benedetto XVI interessava un messaggio per lo spirito di tutti: unità, pace, lotta contro la violenza e la sofferenza dei poveri. Ma proprio il cercare di evitare gli spigoli politici ha fatto sì che essi diventassero il coro quotidiano di tutti i media, tv, radio, giornali, compresi i nostri. Così il viaggio papale ne è uscito stropicciato. Molti dei suoi temi sono poi risultati sui media parte del più abusato schema di colpevolizzazione di Israele. Il tema Shoah non c’entra: ha avuto un impatto un po’ controverso, ma a noi sembra che là il Papa non abbia dato adito a veri equivoci sul negazionismo. L’obbrobrio è stato condannato. [...]

Benedetto XVI: dopo un inizio positivo la verità purtroppo non ha trionfato

giovedì 14 maggio 2009 Generico 1 commento

Intervista a L'Occidentale
di Fabrizia B. Maggi
14 maggio 2009

La visita in Medio Oriente di Papa Benedetto XVI sta per concludersi dopo un viaggio di otto giorni che ha toccato i principali luoghi sacri delle tre religioni monoteiste. Dopo i viaggi di Paolo VI nel 1964 e Giovanni Paolo II nel 2000, il viaggio di Ratzinger rappresenta la terza visita di un capo della Chiesa cattolica in Terrasanta. Nonostante l’apprezzamento da parte della maggioranza dei media internazionali, non sono mancate le critiche, specialmente da parte della stampa israeliana che ha parlato di “occasioni perse”. Ne parliamo con Fiamma Nirenstein, deputata del Pdl e vicepresidente della Commissione Affari Esteri e Comunitari della Camera dei Deputati, che definisce quelle usate dal Pontefice come “parole che hanno rafforzato ancora di più il rapporto che unisce il popolo ebraico e quello cristiano”.

Onorevole, che opinione si è fatta quindi del viaggio di Benedetto XVI in Medio Oriente fino a ora?

L’impressione è quella di un viaggio all’insegna della buona volontà perché impregnato dal sogno del dialogo fra le tre religioni. Ho apprezzato le sue buone intenzioni, soprattutto quando ha invitato i giovani palestinesi a non farsi affascinare dall’incitamento all’odio e alla violenza o quando ha chiesto ai politici di esplorare ogni possibile via per la pace. Ho giudicato molto positivamente che, durante la visita allo Yad Vashem, il Papa abbia invitato a non dimenticare il passato, affermando che non bisogna permettere che l’orrore della Shoah possa ripetersi. A differenza dei media israeliani, a me non interessava avere delle scuse ufficiali da Ratzinger per l’atteggiamento di Pio XII e della Chiesa cattolica durante l’Olocausto. Devo ammettere però che da un Papa così saggio, così carico di sapienza teologica, mi aspettavo una testimonianza sulla gravità delle minacce di morte che gli ebrei devono ancora sopportare, prima tra tutte quella che proviene dall’Iran. [...]

Il Papa in Israele - Consigli: il momento è pessimo ma è un'occasione da non perdere

sabato 9 maggio 2009 Il Giornale 1 commento

Il Giornale, 9 maggio 2009

Il Papa in Israele e a casa dei palestinesi è una grande occasione, proprio perché il momento di questo viaggio è pessimo. Mai il nodo dei problemi è stato così gordiano, e dunque mai tanto opportuno cercare di dire davvero qualcosa che, come nei progetti della Santa Sede, promuova la pace nei cuori e fra le parti. Israele e i palestinesi hanno interessi contrapposti e ciascuno parlerà al Papa così da convincerlo alla sua causa. Ma, se ci possiamo permettere un consiglio, il Papa potrebbe utilmente attenersi ai temi della verità e della libertà religiosa.
La verità: il Papa andrà a Yad Vashem, il museo della Shoah, la cui eccezionale rappresentazione di certo gli solleverà emozioni e pensieri, specie a lui tedesco (un aspetto, questo, di cui Israele discute in tesa sospensione). Oggi, mentre è in atto un attacco senza precedenti alla memoria dell’Olocausto capeggiato dal presidente iraniano Ahmadinejad, la negazione della Shoah è diventata l’aggancio politico, ormai istituzionalizzato, per una narrativa antisemita diffusa che si conclude con la distruzione dello Stato d’Israele. Se il Papa chiarirà fino in fondo il senso malefico del negazionismo compirà giustizia anche rispetto all’episodio del vescovo Williamson, ma soprattutto se indicherà il negazionismo come un peccato dello spirito, più che come un errore storico, questo sarà un gesto da ricordare nella storia della pace. E allora un suo ritornare sulla storia di Pio XII non sarà visto come una prepotenza, ma come una proposta di discussione. [...]

Leggi razziali? Il Pd non infanghi la Shoah

venerdì 8 maggio 2009 Il Giornale 21 commenti

Il Giornale, 8 maggio 2009

È umiliante che Franceschini abbia usato l’argomento delle leggi razziali riferendosi al ddl sulla sicurezza sul quale verrà richiesta la fiducia martedì mattina. Non fa piacere che il leader dell’opposizione in Italia diseduchi i giovani italiani circa la storia del proprio Paese, usandone titoli senza contenuto come specchi per le allodole. Il segretario del Pd ha reso una fra le nostre peggiori tragedie moneta corrente di una disputa politica che oltretutto è impropria e superata, perché sia sulla questione detta dei “medici spia” sia su quella dei “presidi spia” il governo ha promesso di correggere il provvedimento. Impossibile non essersene accorti. Quindi, tanto più l’osservazione di Franceschini è pretestuosa. Scrivo di questo argomento avendo firmato la cosiddetta "lettera dei 101", che semmai ha dimostrato che obiezioni sollevate con chiarezza possono essere ascoltate e possono cambiare le cose. Non così i gorghi concettuali di Franceschini.
Le leggi razziali dell’autunno 1938 furono in Italia la premessa necessaria alla delegittimazione degli ebrei in quanto cittadini italiani, e quindi li resero profughi pronti per le fauci della Shoah. I fascisti espulsero alcuni membri della mia famiglia dalla scuola, altri dal lavoro, mio nonno fu cacciato dalla banca in cui lavorava in posizione onorata. Fu vietato il matrimonio fra italiani ed ebrei; proibito avere alle proprie dipendenze domestici; vietato alle pubbliche amministrazioni, alle banche, alle assicurazioni e altre società private di avere dipendenti ebrei; furono chiuse la professione di giornalista e di notaio e altre libere professioni, ai ragazzi l’iscrizione alle scuole pubbliche, alle scuole fu proibito adottare libri di testo di autori ebrei. [...]

«Io, colono di Cisgiordania, cederei casa per una pace vera»

martedì 5 maggio 2009 Il Giornale 5 commenti

Il Giornale, 5 maggio 2009

È senz’altro molto assertivo, ma statelo a sentire, perché sa molto bene quel che si dice, e il messaggio che ha portato all’Italia è fiduciosamente innovativo, ma non alieno dalla pace. Solo che lui vuole farla con la certezza che il nemico non userà il processo di pace o lo sgombero di terra come un’arma. Lo dice chiaro, a costo di apparire un falco, come lo descrivono quasi tutti.
«Io, che sono un colono di un piccolo insediamento del West Bank...»: il ministro degli Esteri israeliano Avigdor Lieberman, detto “Yvette”, ama mostrare sovente questa sua inusitata carta d’identità, gli piace far balenare all’interlocutore italiano (che sovente fa una faccia di circostanza alla notizia) la sua casa di Nokdim, con la moglie e i tre figli che lo aspettano nel cuore della Giudea ogni notte. Bene, sembra dire il ministro mentre spiega che lui e i palestinesi sono vicini di casa e che anzi il suo villaggio è la migliore risorsa economica per loro: un colono ha due gambe e due braccia, vedete, può anche essere ministro, può dire cose ragionevoli e innovative. Per esempio Lieberman dice che benché stia a Nokdim dall’88 lo lascerebbe subito ai palestinesi se questo potesse aiutare la pace. Ma, ha spiegato varie volte, del mio insediamento, dei «territori» come del resto del West Bank, non se ne farebbero niente, come non se ne sono fatti niente di Gaza, se non per le rampe di lancio. E poi i Territori sono stati offerti tante volte, i palestinesi hanno rifiutato ogni accordo. E inoltre, insiste, sono in guerra con noi da ben prima che esistessero i «Territori». [...]

L'esecuzione della Darabi oggi è l'ennesima dimostrazione dell'inaffidabilità dell'Iran

venerdì 1 maggio 2009 Generico 1 commento

PENA MORTE: NIRENSTEIN (PDL), IRAN TOTALMENTE INAFFIDABILE 
(ANSA) - ROMA, 1 MAG - 'La notizia dell'avvenuta esecuzione oggi della giovane pittrice iraniana Delara Darabi, condannata per l'omicidio di un parente con un processo di dubbia attendibilita', e' un'ennesima dimostrazione della totale inaffidabilita' dell'Iran'. Lo dichiara in una nota Fiamma Nirenstein, deputata del Pdl e vicepresidente della commissione Esteri della Camera.
'Il 19 aprile scorso, anche grazie alla mobilitazione di Amnesty International, che oggi ha reso nota la notizia dell'esecuzione - ricorda Nirenstein -, era stata garantita all'imputata, minorenne all'epoca del reato, una sospensione di due mesi della pena. L'improvvisa esecuzione della giovane, per altro avvenuta senza darne comunicazione neppure al suo avvocato, e' una chiara mossa di aggiramento della mobilitazione internazionale che si era fatta sentire in questi giorni e che aveva contribuito ad ottenere la sospensione'.
'Dall'inizio del 2009 - conclude - la Darabi e' il secondo minorenne al tempo del reato giustiziato in Iran. Cio' porta il bilancio generale delle esecuzioni nel solo 2009 a 140: l'Iran si guadagna cosi' il record mondiale, secondo solo alla Cina'.(ANSA).
COM-KVI 01-MAG-09 19:36 NNNN 

Israele? Per i suoi nemici non è uno Stato ebraico

mercoledì 29 aprile 2009 Il Giornale 9 commenti

Il Giornale, 29 aprile 2009

Oggi compie 61 anni, ancora non lo vogliono chiamare per nome e dicono che non aveva diritto a nascere. Ha perso 22.570 soldati in guerra, 3.000 cittadini in attentati terroristici, ma la popolazione non ha abbandonato le case di pietra, i vicoli, i ristoranti di Gerusalemme, né sono rimasti spopolati spiagge e pub di Tel Aviv; nessuno ha smesso di frequentare le scuole o le università; l’high-tech è settore di eccellenza, la musica della Filarmonica fra le più apprezzate del mondo, la medicina, la fisica, l’agricoltura producono premi Nobel, l’Alta Corte è un esempio di correttezza. Eppure, secondo alcuni, a 61 anni lo Stato ebraico è lì per caso, paracadutato in un’area con cui non ha niente a che fare, solo per realizzare un vasto disegno colonialista e razzista, oppure, secondo altri, è stato edificato per riparare ai sensi di colpa degli Europei dopo la Shoah, che per altro non è esistita. Insomma, deve sparire: lo dicono Ahmadinejad, Hamas, gli Hezbollah, e altri lo pensano. Ad Abu Mazen, Netanyahu propone di ricominciare a discutere su «due Stati per due popoli» purché il rais riconosca Israele come Stato Ebraico, ma egli ha ripetuto anche lunedì che non accetta, e il motivo è evidente: non vuole permettere che ciò diventi un ostacolo per il «diritto al ritorno» o per l’idea di Israele come «Stato dei suoi cittadini». Arafat a Camp David rifiutò la Spianata delle Moschee pur di non riconoscere quella che è un’affermata verità storica registrata in tanti testi musulmani, ovvero che sotto la Spianata giacciono le memorie del Grande Tempio ebraico di Erode distrutto nel 70 d.c. dai Romani. Flavio Giuseppe descrisse da cronista le fiamme e la rovina. [...]


Israel? For its enemies is not the Jewish State

Il Giornale, April 29, 2009


Today Israel celebrates 61 years, and still there are those who don't want to call it by name and say that it had no right to be born. It has lost 22,570 soldiers in war, 3,000 citizens in terrorist attacks, but the population has not abandoned the stone houses, alleys and restaurants of Jerusalem, nor have beaches and bars of Tel Aviv remained deserted; no one has stopped attending schools or universities; its high tech sector is among the first, its Philharmonic Orchestra is among the most esteemed in the world, its medicine, physics and agriculture produce Nobel Prizes, its Supreme Court is an example of propriety. And yet at 61, the Jewish State would be there by accident, it was parachuted into an area that it has nothing to do with, it is in the Middle East only in order to fulfill a vast colonialist and racist design, or else it was built to make up for the European's guilt after the Shoah - which however has never happened. In short, it must disappear: Mahmoud Ahmadinejad, Hamas and Hezbollah say it openly while others think it. To Abu Mazen, Benjamin Netanyahu proposes to start to talk again of “two states for two peoples,” provided that the Rais recognizes Israel as a Jewish State, but he repeated again last Sunday that he does not accept it, and the reason is clear: he does not want to allow that to become an obstacle for the “right of return” or for the idea of Israel as a “State of its citizens.” At Camp David, Yasser Arafat refused the Temple Mount in order not to recognize what is a stated historical truth registered in many Muslim texts, or rather that under it lie the memories of the Second Great Jewish Temple of Herod, destroyed in 70 CE by the Romans. Josephus Flavius described like a reporter the flames and ruin.. [...]

Sono israeliani i salvatori della nave Melody. Ma non fa notizia

lunedì 27 aprile 2009 Generico 2 commenti

La reazione alla notizia del salvataggio della nave Melody da parte del capitano e del servizio di sicurezza formato da cinque israeliani è stata davvero strana. Probabilmente è stata una pulsione spontanea, una incontenibile preferenza per il politically correct, il quale insiste in genere su quanto sia cattivo e dannoso per il mondo lo Stato d’Israele e tutto ciò che ne promana. Perché non possiamo pensare che sia invece una mancanza di consapevolezza delle più elementari regole del giornalismo, che, certo, non espungerebbero mai dall’informazione il dato che una nave carica di italiani sia stata salvata prevalentemente da giovani israeliani. Anche per la suggestione che comporta la storia del valore dei ragazzi di quelle parti in azioni straordinarie, come Entebbe o tante altre imprese di salvataggio dal terrorismo internazionale.
Invece ieri il tg1 delle 13,30 e anche delle 17 e il tg2 delle 13 hanno citato i salvatori della Melody, appunto, come i “ragazzi della sicurezza” o gli “uomini della sicurezza”, mentre il dato indispensabile alla completezza dell’informazione, ovvero che la sicurezza era composta da ex soldati israeliani, non c’era. Anche il sito di Repubblica non riportava l’elementare dato di cronaca e sinceramente non posso fare a meno di pensare che se la squadra della sicurezza fosse stata formata da cinque, che so, bulgari, o cinesi, tutti avrebbero esclamato: “Duecento italiani salvati da cinque bulgari”. O cinesi.

Manifestazione a Ginevra di fronte all'ONU

sabato 25 aprile 2009 Attivita parlamentari 3 commenti

      

Cari amici,

mercoledì scorso ho partecipato a Ginevra a una manifestazione in un luogo altamente simbolico: alle mie spalle il grande palazzo dell’Onu con le sue 192 bandiere, appena insozzato dall'indecenza del discorso del presidente iraniano Ahmadinejad. Davanti a me, invece, un pubblico che gridava il proprio sostegno alla vita e all’unica democrazia in Medio Oriente. La manifestazione è stata convocata da numerose organizzazioni internazionali che protestavano contro l’impostazione dei lavori della "Conferenza dell’Onu contro il razzismo e le discriminazioni", la ormai nota "Durban 2", che si è conclusa ieri, boicottata da 10 paesi (Italia, Polonia, Olanda, Germania, Repubblica Ceca, Canada, Stati Uniti, Israele, Australia, Nuova Zelanda). L'evento voleva anche ricordare il sessantesimo anniversario della Risoluzione 273 che ammetteva Israele all'Onu come uno Stato amante della pace (peace-loving state). Su quel palco rappresentavo l'Italia nella sua coraggiosa scelta che ha fatto da apripista a una maggiore consapevolezza dell'Unione Europeasulla farsa che si stava nuovamente per compiere sotto l'egida delle Nazioni Unite e, questa volta, nel cuore dell'Europa, a Ginevra. [...]

Dear friends,

last Wednesday, April 22, I participated in a rally in Geneva in a very symbolic location: behind me the huge UN building with its 192 flags, that has just been soiled by Iranian president Ahmadinejad's indecent speech. In front of me, a public showing its support for life and for the only democracy in the Middle East. The rally was promoted by a large number of international organizations protesting against the works of the "UN conference against racism and discrimination", better known as "Durban 2", which eventually ended last Friday being boycotted by 10 countries. The rally was aimed also at celebrating 60th Anniversary of UN Resolution 273, which admitted Israel to the UN as a peace-loving state.
On that stage, I, as Vice-president of the Committee on Foreign Affairs of the Italian Parliament, represented Italy in its courageous choice not to attend the Conference, being thus the first European country to pull out of it and paving the way for a major European Union consciousness of this umpteenth farce in the name of human rights, which was taking place within the UN frame and this time in the core of Europe, Geneva. [...]

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