Frattini incontra Noam Shalit
(ANSA) - ROMA, 1 LUG - Nel giorno del conferimento della cittadinanza onoraria della citta' di Roma al caporale israeliano Gilad Shalit, il ministro degli Esteri Franco Frattini ha incontrato Noam Shalit, il padre del ragazzo, assicurandogli che ''tornera' a fare pressioni anche in sede europea'' per la richiesta di ''liberazione immediata''.
Erano presenti all'incontro - si legge in una nota della Farnesina - anche Fiamma Nirenstein, vicepresidente della Commissione Esteri della Camera, Riccardo Pacifici, presidente della Comunita' ebraica di Roma e Joanna Arbib, presidente mondiale del Consiglio di amministrazione del Keren Hayesod.
Gilad Shalit e' stato rapito il 25 giugno 2006 mentre pattugliava il confine con la Striscia di Gaza in territorio israeliano; da oltre tre anni e' ostaggio nelle mani di Hamas e
non si sono mai avute notizie ufficiali circa il luogo della sua detenzione, ne' sul suo stato di salute, fisica o psichica.
Il ministro ha affermato che la richiesta di liberazione immediata di Shalit e' una questione cruciale perche' riguarda il tema universale del rispetto dei diritti umani e della liberta' dell'individuo. Per questo tornera' a fare pressioni in questo senso anche in sede europea.
I partecipanti all'incontro hanno manifestato al ministro Frattini l'auspicio che Hamas possa dimostrarsi piu' flessibile riguardo alla richiesta di rilascio, in cambio del soldato, di prigionieri palestinesi detenuti nelle carceri israeliane, scendendo ad un compromesso sul numero di prigionieri condannati per crimini gravissimi e che Israele e' riluttante a liberare. Inoltre, durante l'incontro si e' espresso l'auspicio che Israele dia segno di buona volonta' nell'alleviare le difficolta' della popolazione di Gaza. In questo senso, e' stata anche ribadita la fiducia nella mediazione del capo dell'intelligence egiziana Omar Suleiman, che sta lavorando a un prossimo incontro di riconciliazione tra Hamas e Fatah. Tali tentativi - si legge ancora nella nota - sono fondamentali per creare un clima di maggiore fiducia, che possa porre le premesse anche per ottenere l'immediato rilascio di Shalit e, in generale, il raggiungimento di una soluzione pacifica in Medio Oriente.
Ora l’Occidente mostri se ha coraggio
Fra poco, se da Teheran promanerà solo il silenzio e i ragazzi spariranno dai tetti e dalle piazze, sarà colpa nostra. Perché avremo fatto mancare loro la bandiera con la nostra mancanza di coraggio. Il leader di quei giovani non è Moussavi, né chiunque altro dal 12 giugno si sia atteggiato a difensore della loro libertà. Il loro leader, ovvero l’icona libertaria in cui essi si rispecchiano, su cui proiettano i loro desideri, la parte da cui deve venire lo squillo di tromba, siamo noi. È il nostro modo di vivere arioso che li guida, i luoghi di lavoro misti, energici e frenetici, le serate dell’estate cittadina al concerto, i ragazzi e le ragazze che camminano allacciati, le palestre, le donne con le maniche corte e la gonna al ginocchio, l’aperitivo, le letture, i film, la musica. La libertà di andare per la strada preferita, di «leggere Lolita a Teheran». Siamo anche, ai loro occhi carichi di utopia, quelli che sanno far funzionare l’economia, redistribuire la ricchezza, buttar giù inflazione che là è al 30 per cento e la disoccupazione, a più del 20 per cento. [...]
Le cautele israeliane su Teheran
Israele cammina sul filo. Il maggiore di tutti i suoi problemi modifica il suo profilo, ha un esito misterioso: nessun commentatore è in grado di prevedere cosa diverrà, una volta che le armi tacciano e le folle si ritirino dalle piazze, l'Iran dell'attuale rivoluzione postelettorale. E Israele, che fino a ieri aveva impostato l'insieme della sua politica internazionale, compresa la prospettiva di pace con i palestinesi, su una sostenuta politica anti nucleare iraniano, si riposiziona. La parola d'ordine è: cautela. Pare che essa venga direttamente dalla Casa Bianca, che avrebbe ispirato il tono decisamente sobrio di Benjamin Netanyahu sulla questione iraniana in genere durante il famoso discorso di Bar Ilan, due domeniche or sono. Bibi ha sottolineato, certo, il pericolo iraniano, ma ha lasciato che le prospettive di pace con i palestinesi occupassero il centro del palcoscenico retorico. Il messaggio è: noi non ci sbracciamo per l'opposizione democratica, come del resto anche Obama, e la piazza di Teheran non è ispirata da un complotto filooccidentale. Un atteggiamento che tuttavia si è un po' modificato quando Bibi ha detto: «Là sta accadendo qualcosa di molto profondo, di fondamentale, si nota fra la gente un gran desiderio di libertà». Ma non si tratta ancora di sostegno aperto alla rivolta, e molti considerano miope il mancato aperto sostegno alla piazza. [...]
Al via i Giochi del Mediterraneo. Senza Israele
Tuttavia suscita in noi grave sconforto e persino un senso di disagio morale il fatto che, anche a questa edizione dei Giochi, come avviene sin dalla loro istituzione negli anni ’50, Israele non sia invitata". Lo ha sottolineato Fiamma Nirenstein, parlamentare del Pdl e vicepresidente della Commissione Esteri della Camera. "Come ha scritto Maurizio Caprara sul Corriere della Sera di lunedì, il nome 'Giochi del Mediterraneo' non è appropriato, dato che l’unica democrazia che dal Medio Oriente si affaccia su di esso, non vi è stata inclusa. Escludere Israele è un gesto di apartheid e di razzismo, privo di qualsiasi ragione e di qualsiasi significato. Speriamo almeno che il momento dell’inaugurazione dei Giochi sia l’occasione per affermare l’indecenza di una simile esclusione, che non deve e non può essere messa da parte. Speriamo anche, dopo questa edizione, di vedere chiuso ufficialmente un capitolo che non fa onore allo sport mondiale, né al nostro paese che li ospita quest'anno."
Ghilad Shalit: tre anni di buio totale
Tre anni fa, il 25 giugno 2006, veniva rapito il soldato israeliano dicianovenne Ghilad Shalit, prelevato da terroristi di Hamas mentre pattugliava il confine con la Striscia di Gaza, in territorio israeliano. Suo padre, Noam Shalit, che conduce una battaglia estenuante per cercare di sensibilizzare l'opinione pubblica e i leader mondiali sul suo caso, oggi invita tutti a tenere gli occhi chiusi per tre minuti, per figurarsi l'oscurità, l'isolamento, la pena in cui si trova suo figlio da tre anni. Tre minuti contro tre anni di oblio totale.
Durante questo lunghissimo periodo né i genitori di Ghilad, né nessun altro ha mai potuto ricevere la minima informazione sulla salute del ragazzo. Neppure la Croce Rossa Internazionale, in contrasto con quanto stabilito dalla Convenzione di Ginevra, ha potuto visitare Ghilad per verificarne le condizioni di salute, fisica e psichica, o semplicemente per potere certificare che sia ancora in vita.
Ci rivolgiamo quindi oggi alla Croce Rossa Internazionale affinché si impegni con ogni mezzo per visitare Ghilad Shalit, rinnovando così l'invito formulato nello scorso dicembre dal confine con la Striscia di Gaza con una lettera sottoscritta da 24 parlamentari italiani in visita in Israele.
Ci appare inoltre molto significativa e da prendere d'esempio l'iniziativa del Comune di Roma di conferire la cittadinanza onoraria a Ghilad Shalit, decisione che è stata presa oggi in Consiglio Comunale concludendo così l'iter avviato il 2 aprile scorso.
Da oggi pomeriggio, in piazza del Campidoglio, campeggerà un manifesto con la foto di Ghilad e la scritta: "Roma vuole il suo cittadino Gilad Shalit libero".
Ora è l’Europa il miglior alleato di Israele
Il Giornale, 25 giugno 2009
Uno spostamento di alleanze, forse è questo ciò che si è visto in questi giorni durante la visita europea di Benjamin Netanyahu, abbracciato con la sua nuova linea di pace da Berlusconi e Sarkozy, e invece costretto ad annullare l’appuntamento con l’inviato americano Mitchell a Parigi. C’è chi dice che Obama avrebbe mandato a dire a Bibi di «preparare bene i compiti di casa», ovvero di decidere di consegnare agli Usa la decisione di congelare gli insediamenti come Obama richiede e poi di dare il via a una discussione fattiva con la mediazione americana sulle prospettive.
Tant’è: il fatto nuovo è che l’Europa, incarnata da Berlusconi e Sarkozy e sullo sfondo dalla Merkel, pur chiedendo di fermare gli insediamenti e, come ha detto Sarkozy, di dare un chiaro segnale di buona volontà, pure valorizza la scelta di Bibi di ammettere uno Stato palestinese smilitarizzato; e comprende ciò che i palestinesi per ora rifiutano: che Israele chiede, per procedere con le trattative, che essi accettino l’esistenza dello Stato ebraico. «Noi riconosciamo lo Stato dei palestinesi, che loro riconoscano lo Stato degli ebrei» dice Netanyahu. E pare che stia trattando per un congelamento, come segnale di buona volontà, di tutti gli insediamenti per sei mesi. [...]
Diritti umani e contro-terrorismo al Consiglio d'Europa
E’ possibile rispettare i diritti umani quando le forze armate intervengono in operazioni contro il terrorismo? Per rispondere al quesito l’On. Fiamma Nirenstein, membro della delegazione parlamentare italiana presso il Consiglio d’Europa di Strasburgo, ha organizzato assieme al suo collega polacco Tadeusz Iwinski, una tavola rotonda. Oltre a numerosi parlamentari e giornalisti, hanno preso parte al dibattito in qualità di esperti “sul campo” il colonnello inglese Richard Kemp, comandante delle forze britanniche in Afghanistan nel 2003, e il professore Barry Rubin, direttore del Global Research in International Affairs di Tel Aviv. A moderare l'incontro è stato Alexander Guessel, Coordinatore delle attività di contro-terrorismo del Consiglio d'Europa.
Tutti gli interventi sono partiti dal presupposto basilare che una delle maggiori violazioni di diritti umani consiste nell'attacco consapevole della popolazione civile da parte di autentici eserciti di terroristi in quasi tutti i teatri di guerra apertisi nel mondo, che hanno come obiettivo principale i civili del nemico e che usano i priopri civili come scudi umani. Gaza e l'Afghanistan sono gli esempi che stanno quotidianamente di fronte all'opinione pubblica di tutto il mondo. I vari interventi – tutti molto appassionati e sentiti – hanno purtroppo evidenziato come, nonostante i buoni propositi, non vi siano risposte certe a questa domanda, e hanno auspicato un aggiornamento degli strumenti giuridici e delle tecniche di guerra che possano consentire il minore danno alle popolazioni civili e la più larga garanzia di rispetto dei diritti umani. [...]
LEGGI RAZZIALI: FINE DI UN DOLOROSO EQUIVOCO PER CITTADINI ITALIANI VITTIME DI DISCRIMINAZIONE
Dichiarazione dell'On. Fiamma Nirenstein, Vicepresidente della Commissione Esteri della Camera
Tutti ricordano certamente la vicenda del signor Bert Vorchheimer, che sul Corriere della Sera ha occupato per diversi giorni intere pagine.
Il signor Vorchheimer, nato a Milano ed emigrato nel 1944 negli Stati Uniti, denunciava l'impossibilità di riacquistare la cittadinanza italiana, che gli fu revocata in seguito alle leggi razziali del 1938. All'epoca seguimmo assiduamente la vicenda e sollevammo la questione rivolgendoci al Ministro dell'Interno Maroni e al sottosegretario Mantovano, che mostrarono ambedue grande sensibilità.
Apprendiamo ora che il Ministero dell'Interno, con una circolare del 15 giugno, ha provveduto a fare chiarezza su questa dolorosa vicenda.
La sorte del signor Vorchheimer fu quella di tutti quei cittadini che avevano acquisito la cittadinanza italiana dopo il 1 gennaio 1919. Il Regio decreto n. 1381/38 e il RDL 1728/38 prevedevano infatti la revoca delle "concessioni di cittadinanza italiana fatte a stranieri ebrei posteriormente al 1 gennaio 1919". Questi cittadini, a fronte delle persecuzioni, sono stati costretti in molti casi ad emigrare all'estero, facendo domanda di cittadinanza ai paesi che li avevano accolti. Nonostante nel 1944 tali leggi furono abrogate, questi cittadini, nel momento in cui si sono rivolti alle rappresentanze diplomatiche italiane all'estero per vedere ripristinata la loro cittadinanza italiana, si sono trovati ad affrontare lunghe trafile burocratiche, spesso con esito negativo, come denunciato dal signor Vorchheimer.
La circolare ministeriale di questi giorni chiarisce che "poiché non si trattò di una scelta volontaria in quanto determinata dalle tragiche vicende storiche, i nostri ex connazionali, salvo espressa rinuncia, non hanno mai perso la cittadinanza italiana, trasmettendola dunque ai loro discendenti".
Si pone così fine a un equivoco che ha amareggiato la vita di cittadini sui cui già nel passato si era accanita la sorte di un'odiosa discriminazione razziale.
In piazza per la democrazia in Iran

Sono con tutto il cuore al fianco del popolo iraniano, contro gli orrori di un regime antisemita e guerrafondaio, e spero che i governi democratici di tutto il mondo, sappiano finalmente porgere quell'aiuto sostanzioso e decisivo, che sino a oggi purtroppo è mancato, ai dissidenti che difendono i diritti umani e che sono contro la bomba atomica.
Per questo aderico e sarò presente alla manifestazione promossa da Il Riformista e Radio Radicale, oggi, mecoledì 17 giugno, dalle 18:30 a Piazza Farnese a Roma.
Spero di incontrarvi lì.
GUARDA IL VIDEO DELLA MANIFESTAZIONE:
DIAMO UNA MANO AI RAGAZZI DI TEHERAN
di Antonio Polito
Dobbiamo dare una mano ai coraggiosi di Teheran. Sfidare il regime, in così tanti, per chiedere elezioni libere senza brogli, è una prova che l'Iran può cambiare, se il mondo gli dà una mano a cambiare. Spedite la foto che pubblichiamo in questa pagina all'ambasciata iraniana a Roma, la troverete sul nostro sito www.ilriformista.it insieme con l'indirizzo mail. Venite a Piazza Farnese domani sera, alle 19, dove il Riformista e Radio radicale terranno una no-stop di solidarietà col popolo iraniano. Mettete qualcosa di verde, un nastro, una t-shirt, un berretto, per dire ai ragazzi di Teheran che non sono soli. Gli europei e gli americani hanno una responsabilità nei confronti dell'Iran. E si comportano invece spesso in modo schizofrenico. I governi passano da minacce di intervento armato, per fermare la corsa al nucleare di un regime fanatico e pericoloso, a profferte di dialogo e di strette di mano. Negli ultimi tempi l'Italia si è distinta in questo secondo atteggiamento, e ancora ieri Frattini ha detto che sì, l'Europa è preoccupata della sorte dei ragazzi che protestano a Teheran, sì, è preoccupata dei brogli elettorali, sì, è preoccupata delle violenze del regime: ma la priorità resta l'Afghanistan, e quindi resta anche l'invito al governo iraniano per i colloqui di Trieste. [...]
La sfida di Netanyahu: ora tocca ai palestinesi decidere
Il Giornale, 16 giugno 2009
Per pronunciare quelle tre parole, Stato palestinese smilitarizzato, Bibi Netanyahu ha sofferto i dolori del parto. La casa del padre, lo storico Benzion, il sacrificio del fratello Yoni capo dell’operazione di Entebbe, la sua stessa vicenda di membro della Saieret Mathal, l’unità speciale antiterrore, i libri che fanno di lui un antesignano nel disegnare i pericoli del terrorismo, tutto gli vietava di promettere lo Stato ai palestinesi. Eppure l’ha fatto, non ha detto né «autonomia» né «confederazione con i giordani», ha proprio parlato di Stato palestinese a fianco dello Stato ebraico. E qui sta l’altro punto di novità: Netanyahu ha spostato il tema alla questione reale, quella che nel corso di questi anni ha impedito la pace con i palestinesi. E non si tratta di territorio: si tratta del rifiuto arabo. Bibi l’ha gettato sul tappeto come questione politica, e adesso non ci sarà più chi potrà ignorarlo. Adesso, la palla è nel campo palestinese e arabo, ma anche nelle mani di Obama. Il presidente americano ha fatto sapere di ritenere il discorso un importante passo avanti, ma in realtà il passo deve farlo lui e chiedere ad Abu Mazen: ma voi lo Stato degli ebrei accanto al vostro, lo accettate davvero? Fino a che punto desiderate il vostro Stato? O desiderate di più la scomparsa di Israele? [...]