Pregiudizio antiisraeliano
Panorama, 26 febbraio 2009
Che Hamas si dichiarasse subito schifato dai risultati delle elezioni israeliane, anzi «sioniste», non può sorprendere. Fawzi Barhoum, esponente di Hamas, ha definito i risultati «la dimostrazione del sostegno di Israele per un governo estremista guidato da una troika del terrorismo», intesa come Benjamin Netanyahu, Tzipi Livni e Avigdor Lieberman. Osama Hamdan, un altro alto dirigente, ha detto che «ambedue le parti (Netanyahu e Livni) agiscono contro Hamas, contro i palestinesi» e che la differenza fra «Bibi» e Tzipi è questa: il primo lo fa «in modo indifendibile da chiunque», la seconda «più delicatamente, così da poter essere difesa dall’Occidente e dagli Stati Uniti».
Fin qui nessuna sorpresa. Ma fa specie che Sa’eb Erakat, il più classico fra i negoziatori di Al-Fatah, abbia deciso che «considererà il prossimo governo un non partner». Per questi motivi: «Nessuno dei governi che possono uscire da queste elezioni accetterà la soluzione di due stati per due popoli». Ma come, non hanno detto ambedue che è una soluzione a cui guardare con fiducia, sia pure con sfumature diverse? Il fatto è che la delegittimazione di qualsiasi governo come partner di pace, il disprezzo degli israeliani, è una carta da giocare sul fronte interno, dove Al-Fatah cerca sempre simpatie nella zona di Hamas (che invece lo ritiene un traditore), ma anche un alibi per evitare la strada del compromesso e della messa al bando del terrorismo. È anche una specie di riflesso condizionato, tanto che già prima che fossero aperte le urne i giornali arabi prevedevano risultati spaventosi, legati soprattutto alla figura di Avigdor Lieberman e alla crescita del suo partito. [...]
Il no della Livni a Netanyahu
Il Giornale, 23 febbraio 2009
Incontro all’Hotel Inbal nel pomeriggio gerosolimitano, una specie di convegno sull’uscio di casa, niente pompa e circostanze come quando si va al King David. La situazione infatti è fluida, incerta. Bibi Netanyahu, incaricato da Shimon Peres di formare il governo, ha offerto a Tzipi Livni (che di seggi ne ha 28, mentre lui 27, ma anche la possibilità accertata di formare un governo di destra) piena partnership, stesso numero di ministeri fondamentali. E lei, durissima, ha spiegato ai giornalisti fuori della porta che, se Kadima venisse bloccata sulla strada della pace da un governo con Netanyahu, che senso avrebbe farne parte? Meglio restare all’opposizione, ripete, del resto ve lo avevo già annunciato. E fa vedere le lettere e i telegrammi di centinaia di membri del partito, sindaci, leader, che le chiedono di andare all’opposizione. Dunque, tutto concluso? Non si può ancora dire.
Guardiamo bene lo sfondo. Netanyahu non ha nessun desiderio di formare un governo di destra. Nel '96, quando era primo ministro, ha già pagato prezzi altissimi ai settler che non lo lascerebbero fare il minimo sgombero, alle famiglie delle vittime del terrorismo che chiedono senza tregua severità e sicurezza, si ricorda bene che quando era al governo a detronizzarlo furono le trappole interne e le proteste di piazza della destra che lo odiava per aver ceduto Hevron ad Arafat e per avere firmato con lui accordi a Wye Plantation. Si ricorda anche che quando Sharon decise per lo sgombero di Gaza, è stata la destra a trattarlo da traditore e vigliacco fino alla scissione del Likud, senza pietà. Bibi sa che, come diceva Sharon, “ma she roim mi khan lo roim mi sham”, quello che si vede da qua non si vede da là e che anche se l’Iran ha completato il programma di costruzione della bomba, Hezbollah spara dal Libano, Hamas giura la distruzione di Israele, pure il terreno della trattativa non può essere chiuso. [...]
L’odio irrazionale nutre i fautori dell’antisemitismo
Il Giornale, 22 febbraio 2009
Nella grande sala delle riunioni della Lancaster House, il ministero degli Esteri inglese, con noi 120 membri di 40 Parlamenti seduti tutto intorno al tavolone, fra specchi, marmi, stucchi, e dietro di noi gli esperti, professori, giornalisti, capi di organizzazioni internazionali, si alza per parlare Abe Foxman, il presidente dell’Anti Diffamation League, e chi lo conosce sa che farà un discorso pieno di dati, deciso e ironico, da mastino abituale della lotta all’antisemitismo. Siamo alla «London Conference on combating antisemitism», tenutasi dal 15 al 17 febbraio. Invece quando Abe si alza, parla lento e strano. In realtà piange: «Sono un sopravvissuto dell’Olocausto, e vi devo dire che dagli anni Trenta, quando si preparava la Shoah, mai, fino a oggi, è stata cosi brutta». Ha ragione: nei giorni in cui il deputato laburista John Mann preparava questo incontro, da cui è nata la «Carta di Londra», si è acceso un fuoco nella delegittimazione di Israele e degli ebrei, nei giornali, nelle istituzioni, nel discorso pubblico, nella crescita del 300 per cento degli attacchi a uomini e proprietà che abbiano a che fare con l’ebraismo e con Israele. E’ un odio irrazionale che non sente spiegazioni, che attacca l’autodefinizione maggiore dell’ebreo contemporaneo, Israele, ma non solo. In Europa il 35 per cento delle persone attribuiscono agli ebrei la crisi economica e li considerano traditori della patria. È difficile oggi indossare una kippah nelle strade di Londra o di Stoccolma, o di Madrid, o di Parigi. Di Israele si ripetono disperanti menzogne, si usano foto e informazioni false, si ignora il tema centrale dell’uso degli scudi umani e delle stragi di Hamas, l’ipotesi della sua sparizione è ormai corrente. [...]
Irrational Hate Feeds the Proponents of Anti-Semitism
Il Giornale, 22 February 2009
In the great meeting hall at Lancaster House, the Foreign and Commonwealth Office, with us, 120 members of 40 Parliaments, all sat around a huge table, between mirrors, marble, stucco, and behind us experts, professors, journalists and heads of international organizations, Abe Foxman, President of the Anti-Defamation League, gets up to speak. Those who know him expect that he will give a speech full of data and be decisive and ironic – the habitual mastiff in the fight against anti-Semitism. We are at the “London Conference on Combating Antisemitism”, held 15-17 February. But this time when Abe got up, he speaks slow and strange. This time he cries: “I am a survivor of the Holocaust, and I must say that from the 1930s, when the Shoah was prepared, never, until today, have things been so bad”. He's right: in the days in which the British Labor MP John Mann prepared this meeting, where the “London Declaration” was born, a fire has been lit in relation to the de-legitimization of Israel and of the Jews, in newspapers, in institutions, in public discussions and in the astonishing increase of the 300 percent in attacks on men and property that have to do with Judaism and with Israel. It is an irrational hatred that doesn't listen to explanations, which attacks the major self-definitions of the contemporary Jew and Israel, but not only this. In Europe, 35 percent of its citizens attribute the economic crisis to the Jews and consider them traitors to their countries. It is difficult today to wear a kippah in the streets of London, Stockholm, Madrid or Paris. About Israel, they repeat despairing lies, they use photos and false information, they ignore the central theme of the use of human shields and of Hamas' bloodbath, and the hypothesis of its disappearance is by now frequently heard. [...]
Allarme antisemitismo
Cari amici,
da molti anni ormai l’antisemitismo attanaglia la vita e i pensieri degli ebrei di Israele e della Diaspora. Il nuovo antisemitismo, tutto incentrato sullo Stato degli ebrei, la sovrapposizione di vecchi pregiudizi e nuovo odio, che innesta il jihadismo islamista sull’antisemitismo europeo, ha mobilitato nel definire, spiegare, combattere, molte belle energie.
Ma spiegare che l’Olocausto è esistito davvero, che gli ebrei non si sono trasformati in nazisti persecutori dei palestinesi, che Israele non è uno stato d’apartheid, che non cospira per conquistare il mondo, che ha sempre cercato uno soluzione pacifica alla questione palestinese, ovvero, cercare di abolire gli stereotipi antisemiti stabilendo la verità, non è servito a niente. Anche quando gli argomenti sembrano piani e pacifici, l’antisemita, come nel passato, risponde con l’irrazionalità che è la madre dell’antisemitismo. L’antisemita non vuole ascoltare, è sigillato sul suo odio, lo è sempre stato: mai nessun nazifascista, mai nessun comunista al tempo dello stalinismo ha potuto essere convinto razionalmente, anche quando la discussione era chiara, della inattendibilità delle tesi antiebraiche.
E così è anche oggi. Mai si potrà convincere il mondo, condizionato dai 57 paesi del blocco islamico per mezzo dell’immigrazione verso l'Occidente e del petrolio, che Sionismo non è eguale a razzismo, e di ciò che ne deriva. Il motivo è semplice: questa tesi dimostra che gli ebrei sono indegni di vivere, che il loro stato non può essere parte delle nazioni degne di questo nome, che gli ebrei devono sparire. Fino a qualche anno fa non si osava dirlo pubblicamente, l’antisemitismo veniva negato dietro la legittima critica dello Stato d’Israele. Ora, durante le manifestazioni in Germania contro Israele, tre settimane fa, un cartello diceva “Sono antisemita e questo è buono”. Così, del resto, dice ormai una gran parte del mondo guidata dall’Iran, mentre la debole Europa si piega.
Torno adesso dalla Conferenza Interparlamentare di Londra sull’antisemitismo, che ha messo insieme 120 paerlamentari provenienti da 40 Paesi. E’ stato molto importante riunirsi. Io faccio parte del comitato organizzativo dell’evento. La cornice imponente, i lavori svoltisi al Parlamento e a Lancaster House, l’invito a Downing Street 10, ci hanno fatto sentire quanto ormai sia evidente l’urgenza di una grande azione istituzionale. John Mann, il parlamentare che ha promosso e presieduto tutto l’evento, lo ha fatto con dedizione, intelligenza, precisione britannica. La maggioranza dei parlamentari arrivati a Londra per la nostra tre giorni di lavori non sono ebrei: la loro passione è passione morale e civile ed anche orrore di fronte all’insorgenza di antisemitismo che durante la crisi di Gaza ha prodotto un aumento di attacchi antisemiti a uomini e proprietà, e soprattutto al buon senso e alla verità, del 300 per cento. Non starò qui a riportarvi episodi né ad esaminare un fenomeno che trovate raccontato da anni in lungo e in largo nei miei libri e nei miei articoli: quanto il radicalismo di sinistra e l’odio islamista abbiano forgiato il nuovo fenomeno, l’abbiamo esaminato insieme in ogni piega. Oggi voglio dire qui che, nonostante il fenomeno dell’antisemitismo antisraelismo non mi giunga nuovo, sono molto impressionata, e che dobbiamo lavorare. Abraham Foxman, il duro presidente dell’Anti Difamation League, invece di snocciolare i spaventosi dati emersi dalla più recente ricerca della sua organizzazione, si è messo a piangere in plenaria, e ha detto: “Sono un sopravvissuto della Shoah, e da allora mai si è prodotta una situazione così terribile come quella che stiamo vivendo. Delegati, sia chiaro, questo incontro è diverso da tutti gli altri”. [...]
A Londra prima conferenza interparlamentare contro l'antisemitismo
Da ieri, 15 febbraio, a martedì l'On. Fiamma Nirenstein, Vicepresidente della Commissione Affari Esteri della Camera, parteciperà a Londra, insieme all'On. Margherita Boniver, Presidente del Comitato Schengen, alla Conferenza inaugurale della Coalizione Interparlamentare per Combattere l'Antisemitismo. La Conferenza, organizzata sotto gli auspici del Primo Ministro britannico Gordon Brown e del Ministro degli Esteri Miliband, vedrà la partecipazione di oltre 90 parlamentari in rappresentanza di 30 assemblee legislative da tutto il mondo. Ospite d'onore nella giornata di lunedì sarà il Ministro degli Esteri Franco Frattini.
"L'obiettivo della conferenza è di formulare nuove strategie per confrontare l'antisemitismo a livello globale, una lotta nella quale i parlamenti possono avere un grande ruolo perché sono l'anima della democrazia", spiega Nirenstein, membro del Comitato promotore della Conferenza di Londra.
"Oggi più che mai, anche a seguito dei ripetuti episodi antisemiti avvenuti in Europa nel corso dell'ultima guerra fra Israele e Hamas e sui quali ho presentato un'interrogazione parlamentare", continua Nirenstein "è necessario unire le forze delle istituzioni che vogliono combattere l’antisemitismo, interrogandosi su come affrontare questo fenomeno. Il tradizionale antisemitismo che ha devastato l'Europa nel corso dei secoli, è oggi in preoccupante ascesa anche perché subisce l'innesto dell'antisemitismo di matrice islamico fondamentalista. Basti pensare agli agghiaccianti slogan che sono risuonati in recenti cortei in Olanda, in cui marciava la sinistra estremista insieme alle comunità arabe e mussulmane, urlando "Hamas, Hamas, ebrei al gas!", o alla continua diffusione del falso storico dei Protocolli dei Savi di Sion in Asia e Nord Africa per rendersi conto che i lavori della Conferenza di Londra sono più che mai necessari". [...]
Intervista "Medioriente e informazione" per l'Osservatorio, Radio Svizzera
a cura di Giovanna Riva
L’OSSERVATORIO
Domenica 08 febbraio 2009 – ore 11.35
Entra per ascoltare l'intervista
È caso mediatico di pochi giorni fa: Lucia Annunziata, ex presidente della Rai, lascia polemicamente la trasmissione “Anno Zero” di Michele Santoro, dedicata al dramma di Gaza. Sotto accusa la conduzione del dibattito, giudicato da Annunziata “a senso unico”, “schierato al 99,9 per cento dalla parte dei palestinesi”.
Perché sulla questione israelo-palestinese non riusciamo a condurre analisi e discussioni pacate e ragionate? Come si comporta il mondo dei media in un dramma che da 60 anni smuove visceralmente anche le nostre coscienze occidentali? Quanto si prestano i mezzi di informazione alla strumentalizzazione ideologica?
Ospiti di Giovanna Riva, in questa puntata dell’Osservatorio, Lucio Caracciolo, esperto di questioni mediorientali e direttore di “Limes”, la più importante rivista italiana di geopolitica, che dedica ai recenti sviluppi della situazione israelo-palestinese il suo ultimo numero, in edicola in questi giorni con il titolo “Il buio oltre Gaza”; e Fiamma Nirenstein, editorialista ed inviata dal Medio Oriente per “Il Giornale” e ora Vicepresidente della Commissione Affari Esteri della Camera dei Deputati italiana: fra i suoi libri ricordiamo “Israele siamo noi” uscito nel 2007 per Rizzoli. [...]
Netanyahu a lezione da Obama
Panorama, 12 febbraio 2009
Le elezioni in Israele, mentre la guerra di Gaza balugina ancora all’orizzonte, non sono tranquille. Gilad Shalit da quasi tre anni langue a Gaza, rapito da Hamas; i missili Grad cadono su Ashkelon mentre i bambini vanno a scuola; al Cairo si tratta una tregua in cui, fra l’altro, si deve decidere se consegnare centinaia di terroristi in cambio del soldato; a Teheran Khaled Meshaal e i grandi ayatollah, che lo incitano a proseguire nella guerra dei missili, gridano «morte a Israele» di fronte alle telecamere; nelle stesse ore si sperimenta un missile iraniano adatto a portare una testata nucleare.
L’Egitto cerca di mediare una tregua e tuttavia proibisce che una qualche forza neutrale possa controllare le vie d’ingresso legali e clandestine alle armi e alle forze che già riarmano Hamas. L’amministrazione Obama spingerà certo alla cessione di territori in cambio di pace, mentre quelli ceduti ai palestinesi nel 2006, ovvero Gaza intera, sono stati utilizzati come una base missilistica.
Israele deve preparare una risposta. L’economia langue, si prevedono 50 mila disoccupati in più. Ma Israele è un paese democratico e colto, vuole teatro, università, concerti, il cappuccino italiano, la scienza ai massimi livelli, i bambini impegnati in corsi di lingua e tuffi. E ha un esercito di popolo, dove militano figli nella leva e padri nella riserva. Insomma, il prossimo primo ministro deve salvare Israele dalla distruzione: è solo davanti all’atomica iraniana e al terrorismo di Hamas, Hezbollah, Siria, davanti alla pressione internazionale e all’antisemitismo. Nello stesso tempo deve garantire una vibrante democrazia e la sicurezza anche negli internet caffè, che solo quattro anni fa saltavano tutti per aria durante la seconda intifada. [...]
"Israel is us" launching in Jerusalem
Amb. Dore Gold
President,
Natan Sharansky
Chairman, Adelson Institute for Strategic Studies
Ruthie Bloom
Features Editor & Columnist,
on Sunday, February 8, at
at the
"My premise is very simple: Israel, contrary to commonly accepted propaganda, is a positive model, a case study for anyone who finds himself living in a democratic society that must eventually confront a defensive war—one that encompasses the entire universe of Western democracy today."
Fiamma Nirenstein, after many years of journalism, television and essays, was elected in 2008 to the Italian Parliament, where she serves as Vice-president of the Committee on Foreign Affairs. She has written for Commentary, Moment, and the New York Sun. She continues to write books and contributes columns to Il Giornale daily, Panorama weekly and Shalom magazine. She gives an annual course in the Middle East at
The book could be purchased through the Jerusalem Center for Public Affairs (jcpa@netvision.net.il, +972-(0)2-5619281), or on Amazon.
Nel futuro una instabile coalizione
Israele seguita a sognare la pace, ma con cautela, e teme alquanto i passi falsi. È questa la prima conclusione che possiamo trarre dalle proiezioni che danno la vittoria a Kadima, ma in un testa a testa tale con Netanyahu, che si potrebbe dire che ambedue hanno vinto le elezioni. Adesso Peres non ha davvero un compito facile nel conferire l’incarico di governo, che in Israele si dà a chi ha più possibilità di formare una coalizione. E una coalizione di destra oggi conterebbe 63 seggi contro 57.
Con un graffio finale da grande tigre, porta a porta, telefonata dopo telefonata, macinando chilometri e sforzandosi di spremere la sua scarsa giovialità, Tzipi Livni ha strappato per due punti la vittoria a Bibi Netanyahu. E Bibi, investito dalla sfortuna di trovarsi appiccicata addosso la destra fondamentalista di Feiglin e poi di vedersi contendere i voti da Lieberman, adesso deve inghiottire una sconfitta inaspettata, se si pensa che solo un mese fa aveva almeno cinque punti in più. Lieberman, il concorrente novità, considerato di estrema destra, prende 14 seggi, un numero che ne fa l’ago della bilancia, ma con minore forza del previsto. Barak con 13 seggi registra un insuccesso, ma riporta l’altalena in equilibrio, e così accade con Shas a destra, 9 seggi, e con i 5 del Meretz, di estrema sinistra. [...]