Ora l’Occidente mostri se ha coraggio
lunedì 29 giugno 2009 Generico 4 commenti
Il Giornale, 29 giugno 2009Fra poco, se da Teheran promanerà solo il silenzio e i ragazzi spariranno dai tetti e dalle piazze, sarà colpa nostra. Perché avremo fatto mancare loro la bandiera con la nostra mancanza di coraggio. Il leader di quei giovani non è Moussavi, né chiunque altro dal 12 giugno si sia atteggiato a difensore della loro libertà. Il loro leader, ovvero l’icona libertaria in cui essi si rispecchiano, su cui proiettano i loro desideri, la parte da cui deve venire lo squillo di tromba, siamo noi. È il nostro modo di vivere arioso che li guida, i luoghi di lavoro misti, energici e frenetici, le serate dell’estate cittadina al concerto, i ragazzi e le ragazze che camminano allacciati, le palestre, le donne con le maniche corte e la gonna al ginocchio, l’aperitivo, le letture, i film, la musica. La libertà di andare per la strada preferita, di «leggere Lolita a Teheran». Siamo anche, ai loro occhi carichi di utopia, quelli che sanno far funzionare l’economia, redistribuire la ricchezza, buttar giù inflazione che là è al 30 per cento e la disoccupazione, a più del 20 per cento.
Moussavi non è mai stato per la rivolta democratica e liberale. La sua storia di clerico promotore del programma atomico è nota. Semmai Zahra, sua moglie, una voce femminile nel buio di una società in cui la donna non ha volto, ha fatto la differenza. Ma se noi occidentali siamo l’idealtipo della rivoluzione iraniana, siamo anche responsabili del suo andamento: e in queste ore di ripiegamento i ragazzi di Teheran devono essere molto tristi, anzi, disperati e anche stupiti perché siamo un leader in stato di choc, arreso, impaurito. Sanno che Ahmadinejad e Khatami ci vedono già piegati, e sentono piegarsi anch’essi le ginocchia. Li abbatte, quanto la repressione fisica, il G8 della prudenza, perché l’Europa condanna a mezza bocca ma non sanziona, Miliband tuona per i suoi otto impiegati imprigionati ma non richiama l’ambasciatore, Solana ripete di non volere interferire negli affari interni dell’Iran anche se non gli piace la repressione e promette di riprendere i colloqui sul nucleare, mentre Obama alza appena il tono dopo giorni fatali di silenzio; ed è logico dunque che Ahmadinejad stringa gli occhi infuriati e minacci di nuovo gli Usa e l’Europa accusandoli di intromissione mentre Ahmed Khatami dice, galvanizzante suggerimento concettuale, che allo slogan «abbasso l’America» bisogna aggiungere «abbasso l’Inghilterra». Nelle stesse ore, non a caso, Moussavi disdice le manifestazioni, dagli ospedali le Guardie della Rivoluzione trascinano via i feriti verso il carcere e la tortura.
Abbiamo saputo fino dalle prime ore di questa rivoluzione quanto era importante l’Occidente per la gente in piazza: non per dare un aiuto materiale consistente, che per decenni i dissidenti hanno aspettato invano. È lo spirito che è mancato fin dai primi momenti, quelli in cui ancora Obama credeva - e si vede che non ha gli esperti giusti - che lo scontro mettesse in piazza la gioventù dorata di Teheran e si trattasse, quanto ai leader, di un breve contrasto interno.
La verità è che la rivoluzione è basilare, radicale, e non c’entra con i leader in campo. I leader iraniani, come scrive Amir Taheri, sono spaccati a metà ovunque, ma sempre dentro il regime islamista fino al collo. Oggi hai con l’opposizione Montazeri, Moussavi, Youssef Sanei... e con Khamenei invece trovi, guarda un po’, nello scontro di potere insieme a tanti altri, persino Khatami. Nell’esercito il generale Ali Fazli, capo del Corpo Islamico Rivoluzionario militare più duro, è stato destituito per essersi rifiutato di attaccare la folla; il capo stesso del programma nucleare, Gholam Reza Aghazadek, è all’opposizione. Nell’Alto Consiglio della Difesa Nazionale così come nell’Assemblea degli Esperti, quella che ha il potere di destituire Khamenei, la divisione è casuale e durissima. Ma una cosa è chiara: ambo le parti vogliono conservare il regime. La stella polare è fuori, siamo noi, il leader siamo noi. Ma non abbiamo un messaggio, non crediamo in noi stessi, ed è il nostro silenzio che li perderà. Reagan alla Porta di Brandeburgo gridò a Gorbaciov: «Butta giù questo muro». Gorbaciov dovette ascoltarlo.
mercoledì 1 luglio 2009 15:59:11
Da persona "on-off" sono perfettamente d'accordo. Gli Stati invece pare che preferiscano attenersi ai principi della "realpolitik", in questo caso essenzialmente di natura economica. (solamente in Italia le importazioni dall'Iran, per l’80% petrolio, s'aggirano intorno ai 3,9 miliardi, contro esportazioni per 1,8 miliardi, e che ci piazzano al terzo posto tra i Paesi fornitori di Teheran, dopo la Germania e la Francia). E, l'articolo implicitamente suggerisce proprio questo quesito: E' sempre lecito attenersi ai principi della "realpolitik"? Ci sono dei casi in cui "imperativi superiori" devono prevalere? La gente normale, "ordinary people", può fare di più specialmente con i mezzi tecnici di oggi? Questa potrebbe essere una bella discussione.Giancarlo Antonangeli.
Daniele Gi , Genova
mercoledì 1 luglio 2009 15:49:02
Credo fermamente che gli esperti di Obama lascino molto a desiderare. Quello che Obama non riesce a capire è che l'Islam da lui idealizzato è, purtroppo, in contrasto (e aggiungerei, in aperto contrasto) con la civiltà occidentale giudaico cristiana.Srebbe opportuno consigliare ad obama di cambiare i consiglieri (cerchi di assumere meno ideologi e più persone concrete) ed inoltre di leggersi l'ultimo libro di carlo pannella, edito da cantagalli :"Non è lo stesso Dio, non è lo stesso uomo".
Ilaria Arri , Rivoli (To), Italy
mercoledì 1 luglio 2009 07:36:39
cara Fiamma,io vorrei ascoltarti, ma non so cosa fare..Ho come amico su Fb, Silvio B. chiederò a lui di essere un po' più duro nei confronti dell'Iran, e di fare qualcosa perché in Iran non peggiori la situazione.Volevo ringraziarti di esistere, perché sei una persona fantastica..Ciao, Ilaria.
Mara , Bologna
lunedì 29 giugno 2009 17:54:17
"Signor Presidente, butti giù quel muro" disse Reagan a Gorbaciov. Quest'ultimo dovette ascoltarlo perché, pur nato comunista, era, dentro di sé, già passato dalla parte della libertà. Nel caso dell'Iran, non c'è un Sig. Gorbaciov; Mousavi è un logo, come la Coca Cola: a Teheran la piazza sa benissimo come egli la pensa su Israele e la Bomba. Dunque Mousavi non è il leader della rivolta, ma un pretesto. Lui e la terribile moglie, dal piglio lombrosiano.Per questo noi, l'Occidente, dovremo dimostrare coraggio; non solo Israele siamo noi, ma anche i ragazzi di Teheran siamo noi. Ma il regime, oltre le simpatie che ha sempre riscosso in Europa fin dall'inizio, visto che è contro USA e Israele, può contare pure su solide alleanze planetarie, che non sarà facile scalfire.Se, per caso, il regime crollasse, indovinate chi sarebbe il Paese leader del M.O....Mamma mia, che affronto! Il piccolo Paese che doveva esser cancellato dalla carta geografica. Chi tollererebbe una simile onta?