Intervista sull'uccisione di Osama bin Laden e sulla situazione in Medio Oriente
Riascolta l'intervista su Radio Radicale
Sintesi degli argomenti:
Osama bin Laden è stato ucciso da una squadra dei Navy Seal americani in Pakistan due giorni fa. Il terrorista d'origine saudita non nascondeva i suoi obiettivi quando era in vita: 'riconquistare' l'Iraq e uccidere il maggior numero di ebrei e cristiani nel mondo per imporre un califfato ovunque possibile. Ora è morto e il mondo è un posto più sicuro.
Quali però le conseguenze della morte del terrorista sui rapporti tra Washington e Gerusalemme? Con la morte di bin Laden, la presidenza di Obama risulta rafforzata benché la Casa Bianca avesse fallito sinora nell'esprimere una coerente politica pro-democratica durante le rivolte arabe. La prossima settimana il premier israeliano, Benjamin Netanyahu, volerà negli USA per discutere proprio con il presidente statunitense del tentativo palestinese - dopo la 'rinnovata' e molto declamata unità tra Fatah e Hamas della scorsa settimana - di dichiarare unilateralmente la nascita dello Stato Palestinese in sede Onu il prossimo autunno.
Il tentativo di Fatah è chiaro: andare al Palazzo di vetro potendo affermare di rappresentare tutto il popolo palestinese. In questa luce va letto l'ultimo accordo del Cairo tra Fatah e Hamas. Gli USA finiranno per accettare una soluzione negoziale, che tenga conto delle legittime richieste di Israele. Mentre l'Europa, invece, potrebbe accettare l'unilaterale dichiarazione palestinese, aprendo a un infausto scenario.
Presentata interrogazione sulla repressione in Siria
“Ho presentato un'interrogazione al Ministero degli Esteri per approfondire il senso politico della condanna già espressa dal governo italiano nei confronti della spietata repressione del regime siriano contro la propria popolazione.
Nell'interrogazione richiedo anche una valutazione in merito al mancato raggiungimento - diversamente da quanto accaduto per la Libia - del consenso per una risoluzione di condanna contro il regime siriano in sede di Consiglio di Sicurezza ONU nei giorni scorsi.
La repressione del regime di Bashar Assad ha ormai fatto oltre 500 morti. Credo che alla luce della gravità della situazione, sia urgente fare di tutto affinché il regime siriano sia costretto dalla comunità internazionale - le Nazioni Unite, Unione Europea - a metter fine alla repressione contro la sua gente, rea soltanto di chiedere maggiore libertà a un regime autoritario, sponsor del terrorismo internazionale.
Credo fortemente che la tutela dei diritti umani della popolazione siriana e la condanna del regime di Assad debba trovare nell'Onu e nell'Unione Europea degli attori decisi, oppure saremo nuovamente testimoni dell'incapacità di questi organismi di definire una posizione moralmente chiara in favore della democrazia".
Roma, 2 maggio 2011
Guerra in Libia: è nostro dovere, ma anche necessità politica
Il Giornale, 29 aprile 2011
Dunque, ieri i primi F16 hanno preso il volo verso obiettivi mirati. Ma la guerra che abbiamo dovuto intraprendere in Libia e che non poteva certo essere abbandonata o gestita a piacimento in qualsivoglia istante (magari qualsiasi guerra lo potesse) ha avuto sempre le caratteristiche della necessità. Non ha a che fare con la “stoltezza”, come dice l’ottimo “Foglio”, ma piuttosto con la pietas che dal secondo dopoguerra è stata imposta, nel suo inizio, alla struttura dell’ONU nei suoi pilastri ideologici, anche se essi nel tempo si sono corrotti. Questo ci fa avvertire una vergogna particolare nei confronti della decisione presa mercoledì di non bollare con una risoluzione del Consiglio di Sicurezza il comportamento di Bashar Assad, che non solo, come Gheddafi, uccide a centinaia i suoi cittadini in rivolta, ma ne assedia coi carri armati le città prima ancora che essi si muovano in armi contro di lui. Insomma, gli fa guerra. [...]
L’Occidente non si lasci beffare dalla Siria
Il Giornale, 28 aprile 2011
Mai come guardando oggi la Siria siamo stati chiamati a contemplare la nostra debolezza di fronte ai dittatori, a misurare la menzogna della Realpolitik. È il caso di citare, ebbene sì, George Bush, quando l'orrore della dittatura esclama che alla fine con i prepotenti non c'è dialogo possibile. Bush nel 2005, dopo l'assassinio di Rafiq Hariri in Libano, ruppe tutte le relazioni con la Siria; intanto il Dipartimento di Stato intraprese il finanziamento dei dissidenti laici e dei loro progetti, inclusa una tv satellitare anti Assad. Ma poi è arrivata la grande presa in giro: perché Assad, come dice Fuad Ajami, ha giocato contemporaneamente al piromane e al pompiere. Ma a noi occidentali, agli USA che gli ha rispedito l'ambasciatore, all'UE che lo ha chiamato alla pace con Israele, all'ONU che lo vuol mettere nel Consiglio dei Diritti Umani, è sempre piaciuto guardare soltanto il pompiere. Solo in queste ore l'America comincia a parlare di sanzioni ad personam (poca roba), e Susan Rice fornisce uno spunto di grande momento: gli Stati Uniti sono sicuri che fra gli uomini della sicurezza che uccidono i civili siriani ci sono anche forze iraniane. [...]
Mediorientale
RIASCOLTA LA CONVERSAZIONE CON MASSIMO BORDIN SULL'ATTUALITA' DAL MEDIORIENTE:
Sintesi degli argomenti:
La situazione in Siria sta diventando sempre più preoccupante. Il significato delle rivolte siriane è diverso da tutte le altre sinora avvenute nella regione mediorientale: sulla scacchiera assume un'importanza maggiore che si muove su linee che vanno dagli Stati Uniti e arrivano fino all'Iran.
Washington ha tentato negli ultimi anni un riavvicinamento con Damasco, dopo il picco di tensione raggiunto con l'assassinio di Rafiq Hariri, l'ex-premier libanese colto in un attentato mortale archittettato presuntamente da elementi dell'intelligence siriana.
Anche per l'Iran, la Siria ricopre un'importanza nevralgica: i legami militari, politici ed economici tra i due paesi sono fortissimi. Basti pensare al fatto che Damasco offre ospitalità politica e logistica a Khaled Meshal, il leader di Hamas, il movimento islamista palestinese coccolato dagli Ayatollah. E ancora: le due navi che hanno passato lo stretto di Suez per la prima volta nell'Egitto post-Mubarak, hanno trovato rifiugio proprio in un porto siriano.
Non ultimo i legami tra Damasco e Teheran passano anche per il lontano legame religioso esistente tra il regime sciita iraniano e l'elite alauita che governa la Siria. Gli alauiti d'altronde sono pur sempre degli sciiti. La Siria insomma è da sempre l'avamposto dell'Iran.
Le proteste siriane e il fatto che il presidente siriano Assad abbia mandato l'esercito e stia facendo uccidere centinaia di cittadini cambia però lo scenario. Tale la crudeltà in atto che stanno emergendo delle domande sul perché non avvenga per la Siria di Assad quello che sta avvenendo per la Libia di Gheddafi. [Continua...]
Tra Egitto e Iran relazioni pericolose (soprattutto per noi)
Verrebbe un po’ da ridere di questo continuo «si stava meglio quando si stava peggio» che accompagna gli sviluppi della primavera islamica se non si trattasse di eventi pericolosi per il nostro stesso futuro. Siamo di fronte a una svolta che promette solo vento e tempesta: l’Iran e l’Egitto si apprestano, dopo trent’anni di ostilità, a scambiarsi ambasciatori. Quando due navi iraniane sono entrate nel Mediterraneo tramite il Canale di Suez, ne abbiamo avuto l’arrogante segnale. Sull’apertura delle rispettive ambasciate a Teheran e al Cairo hanno negoziato il ministro degli esteri iraniano Ali Akhbar Salehi e la sua controparte egiziana Nabil el Arabi, che appena nominato disse che intendeva ripristinare le relazioni con Teheran. In seguito El Arabi ha incontrato il rappresentante iraniano Mugtabi Amani nella prima visita ufficiale da quando Mubarak è stato defenestrato. Pare che l’ambasciatore iraniano sarà un diplomatico di carriera, Ali Ahbar Sbuyeh. L’egiziano è ignoto, anzi, l’Egitto fa sapere che l’annuncio è prematuro. [...]
Dangerous liaisons (particularly for us) between Egypt and Iran
Il Giornale, April 23, 2011
Every day the Islamic Spring presages stormy times. Now, after thirty hostile years, the Islamic Republic of Iran and Egypt are preparing to exchange ambassadors. The passage of two Iranian ships into the Mediterranean via the Suez Canal some weeks ago foreshadowed this new reality.
Nabil el Arabi, just appointed Egypt’s Foreign Minister by the new post-revolutionary government, immediately stated he intended to restore relations with Teheran. Then he met with an Iranian official, Mugtabi Amani, in the first institutional visit since Mubarak was deposed. El Arabi then negotiated the opening of the respective embassies in Teheran and Cairo with Iranian Foreign Minister Ali Akhbar Salehi. It seems that Ali Ahbar Sbuyeh, an Iranian career diplomat, will serve as Iranian ambassador to Egypt. Egypt has said that it is too early to announce his Egyptian counterpart. The delay in selecting the new Egyptian ambassador to Iran is probably the result of Egyptian Prime Minister Essam Sharaf’s very recent meeting with the Saudi King, who has made clear his dislike of this new reality. [...]
Omofobia, Nirenstein: solidarietà a Concia. Odio per il diverso vivo e aggressivo
Dichiarazione dell’On. Fiamma Nirenstein (Pdl), Vicepresidente della Commissione Esteri della Camera
“Condanno la vile aggressione omofobica e antidemocratica alla mia cara collega Paola Concia, una valorosa combattente dei diritti umani, e alla sua compagna Ricarda. L’orribile riferimento ai forni crematori negli insulti dell’aggressore ci fa capire come ancora nella nostra società sia vivo l’odio per il diverso e quanto sforzo vada ancora fatto perché venga debellato”.
Roma, 21 aprile 2011
Intervento in Aula sulla morte di un ragazzo israeliano e di Vittorio Arrigoni
potete rivedere qui il video e di seguito la trascrizione dell'intevento di martedì 19 aprile:
http://webtv.camera.it/portal/portal/default/Assemblea?NumeroLegislatura=16&NumeroSeduta=466&IdIntervento=242685
FIAMMA NIRENSTEIN. Signor Presidente, prendo la parola perché la vicenda cui mi riferisco acquista particolare rilievo in queste ore e anche, in particolare, dopo un intervento che si è svolto tra queste mura un paio di ore fa.
Purtroppo, alcuni giorni or sono, Daniel Wiplich, un ragazzo di 16 anni che si trovava su uno scuolabus nel sud di Israele, è stato colpito insieme agli altri ragazzi sempre della scuola mentre viaggiavano su questa medesima vettura. È stato colpito da un missile di Hamas, è rimasto ferito molto gravemente, ha lottato per la sua vita in ospedale, rimanendo fra la vita e la morte con i genitori accanto per una settimana, finché purtroppo ha dovuto cedere.
Perché sollevo questa questione adesso nel Parlamento? Prima di tutto perché si tratta di una vittima del terrorismo, un ragazzo di 16 anni, e quindi sempre degno di essere ricordato. In secondo luogo, perché quei missili teleguidati e quindi con la sicurezza di andare a colpire un autobus scolastico (si trattava di un missile Kornet sovietico, anzi russo, di provenienza russa, l'ho chiamato sovietico con un lapsus non casuale) erano nelle mani di Hamas che li ha lanciati contro uno scuolabus.
Poiché in queste ore si parla di Hamas come di un'organizzazione quasi pacifista, a confronto di quella che ha ucciso Arrigoni, voglio ricordare che volontariamente seguita ad uccidere, lanciando missili teleguidati e anche missili casuali (missili qassam) sulla popolazione inerme israeliana, mai sparando sui militari e sempre prendendo di mira civili, vecchi, bambini e ragazzi che viaggiano sugli autobus scolastici.
Con questo voglio sottolineare che la questione di Hamas resta, perché in queste ore è stata molto mistificata a seguito dell'uccisione di amici e sodali di Hamas, di Vittorio Arrigoni che, poveretto, aveva confuso i suoi ideali umanitari con quelli di un'organizzazione invece terrorista, che è compresa nella lista delle organizzazioni terroristiche europee. Con essi viveva e aveva fatto suoi i loro slogan, anche i peggiori. Voglio ricordare che questa organizzazione terroristica uccide.
Uccidere è la sua metodologia, uccidere è la sua scelta, ha ucciso un ragazzo di sedici anni che andava a scuola e poi i suoi amici e sodali di gruppi e gruppetti svariati - ma Hamas controlla tutta la striscia di Gaza - hanno ucciso anche un italiano: Vittorio Arrigoni.
Iraq, Nirenstein: denunciare repressione in atto a Camp Ashraf
Dichiarazione dell’On. Fiamma Nirenstein, Vicepresidente della Commissione Esteri della Camera
“Nel campo di Ashraf dagli anni ’80 vive una comunità di iraniani in esilio, fino a poco tempo sotto la protezione dell’esercito americano, che ne garantiva l'incolumità. L’8 aprile si è verificato un attacco sanguinoso sferrato dall'esercito iracheno, con un probabile coinvolgimento di emissari del regime integralista iraniano. Una strage che ha fatto 34 vittime e decine di feriti. Mentre condanniamo con forza l’atto di ferocia e l’abbandono di questa comunità di circa 3,500 persone, chiediamo alla comunità internazionale di intervenire con decisione per evitare un ulteriore danno umanitario, altri morti e altri feriti. Proteggiamo la comunità degli iraniani a Camp Ashraf”.
Roma, 20 aprile 2011
Altro che pacifista, odiava Israele
Il Giornale, 16 aprile 2011
Ci sono tre o quattro cose chiare e tuttavia difficili da digerire nell'orribile omicidio di Vittorio Arrigoni. La prima naturalmente è la crudeltà della pubblica esecuzione di un giovane uomo che aveva famiglia e amici. E ciò è chiaro. Ma non lo è la patente realtà che gli assassini siano jihadisti islamici di Gaza. Avrebbero potuto essere afghani, o iracheni. Nel 2002 Daniel Pearl fu ucciso a Karachi con metodi analoghi perché era ebreo; nel 2004 l'americano Nick Berg in Iraq fu decapitato in video per, dissero gli jihadisti, «dare un chiaro messaggio all'Occidente »; Fabrizio Quattrocchi perché «nemico di Dio, nemico di Allah» e Arrigoni, come dicono i suoi carnefici nel video con la scritta che scorre, perché «diffondeva a Gaza il malcostume occidentale» e «l'Italia combatte i Paesi musulmani». Si ripete molto che Hamas, di cui Arrigoni era amico, ha condannato il delitto. Ma in realtà non importa se gli assassini sono iscritti a Hamas oppure no. Lo sono stati, lo saranno, lo sono... Anche Al Qaida, che a Gaza c'è, è meglio o peggio accolta a seconda dei momenti. Ma Hamas è sempre padrona di Gaza. [...]
A pacifist? He hated Israel
Il Giornale, April 16, 2011
The cruelty of the public execution of a young man who had family and friends, as it was the case with Vittorio Arrigoni's killing, is always awful. And this is clear. What isn’t clear to the European public is that it is patently evident that the killers are his old Islamic Jihadists friends from Gaza. But they could have been Afghanis, or Iraqis. In 2002, Daniel Pearl was killed in Karachi with similar methods because he was a Jew; in 2004 the decapitation of the American Nick Berg in Iraq was filmed, the Jihadists said, «to give a clear message to the West»; the Italian Fabrizio Quattrocchi was executed because he was «an enemy of God, an enemy of Allah» and Vittorio Arrigoni, as his butchers say it in the video, in the words that scroll across the screen, because «he was spreading western immorality in Gaza» and because «Italy fights against Islamic countries». It has been repeated again and again that Hamas, with whom Arrigoni was on friendly terms, has condemned the crime. But in actual fact it doesn’t matter if the assassins are members of Hamas or not. They have been, they will be, they are all controlled by Hamas. Even Al Qaida, which has a presence in Gaza, is seen by Hamas in a better or worse light, depending on the moment. But Hamas is always top dog in Gaza. [...]