Dibattito: "Egitto: da che parte stare?"
Dialoghi DiVini 2011
Giovedì 10 febbraio, ore 18.30, fondazione Magna Carta - Roma, Via dei Lucchesi 26
Dibattito
"Egitto: da che parte stare?"
Ne discutono:
Carlo Panella, giornalista e scrittore
Fiamma Nirenstein, giornalista e scrittrice, vicepresidente della Commissione Esteri della Camera
Modera:
Giancarlo Loquenzi, direttore de "L'Occidentale"
Sembra esserci una sola certezza nella crisi che ha sconvolto l'Egitto e gli altri paesi del nordafrica: il mondo arabo versa in una grave incertezza, che si riflette nei commenti di chi prova a raccontare ciò che sta accadendo. Siamo davanti a una sollevazione popolare che aspettavamo da anni e di cui ancora non conosciamo l'esito e le conseguenze. Per avere delle risposte la fondazione Magna Carta ha scelto di inaugurare l'edizione 2011 dei suoi "Dialoghi DiVini" con due esperti di questioni mediorientali: Carlo Panella e Fiamma Nirenstein.
A seguire: degustazione di vini
Per maggiori informazioni e per partecipare all'evento contatta la segreteria di Magna Carta: 06-4880102, 06-42014442, eventi@magna-carta.it
Obama elefante nella cristalleria mediorientale
Il Giornale, 1 febbraio 2011
Il presidente americano Obama dovrebbe smetterla di pasticciare col Medio Oriente, di cambiare posizione due volte in due giorni sulla più grave delle situazioni sul tappeto della pace mondiale, il futuro dell’Egitto. Dovrebbe smetterla di mettersi in relazione con il bene assoluto invece che con quello della sua nazione e di tutto il mondo che, dietro agli Usa, crede nella libertà, nel libero mercato, nella monogamia, nei diritti delle donne. Che frivolezza è mai questa? Che razza di informazioni ha la signora Clinton quando ci dice che «Non importa chi detiene il potere (comunque, non si sa mai, magari Mubarak la sfanga, sembra sottintendere questa frase ndr), il punto è come risponderemo ai legittimi bisogni e alle lagnanze del popolo egiziano». Ottimo, ma Obama, che ha dato questa linea mollando il suo alleato di sempre, il suo punto di riferimento nel mondo arabo dopo parecchie ore di incertezza, lo sa che fra le “lagnanze” le più dure (ormai comuni in piazza) oltre che contro Mubarak, inveiscono contro gli Usa e Israele, e contro il mondo occidentale in generale? Lo sa che questa grande rivoluzione di piazza, che nella nostra visione ha soprattutto connotati sociali, deve invece essere misurata su connotati culturali islamici completamente diversi? O dobbiamo seguitare a fingere che si parli solo di pane e di lavoro, elementi senz’altro rilevanti? [...]
Obama: bull in the Mideast china shop
Il Giornale, 1 February 2011
US president Obama should stop making a mess in the Middle East and changing his position twice in two days around the most serious situation facing world peace—the future of Egypt. He should stop using Absolute Good as his point of reference, instead of the good of his country and of the rest of the world which, behind the US, believes in freedom, free market, monogamy and rights of women. What does he think he’s playing with? What kind of information has Mrs. Clinton when she tells us, “It doesn’t matter who's in power [however, who knows, maybe Mubarak will pull through, she seems to be hinting—ed.], the point is how we respond to the legitimate needs and complaints of the Egyptian people". Fine, but does Obama—who in offering this line after a number of hours of uncertainty, dumped his long-time ally, his point-of-reference in the Arab world —know that among the “complaints”, the toughest ones (commonly seen in the streets) are not only against Mubarak, but against the US and Israel, and the Western world in general? Does he know that this great revolution in the streets, that according to our cultural parameters has something to do above all with social issues, must instead be evaluated in terms of a completely different Islamic and Arab culture? Or must we continue to pretend that the crowd in the squares is only talking about bread and job? [...]
Mubarak, vattene in Israele
L’intifada di Baradei? Nemica dell’Occidente
Il Giornale, 30 gennaio 2011
Vedremo Muhammed Al Baradei o il movimento Kyfaia o i Fratelli Mussulmani al potere in un Egitto nato dalla piazza? E porteranno la democrazia? Per ora, l’insediamento al potere di Omar Suleiman, ministro e principe dei servizi segreti, nel ruolo di vice presidente non è altro che la conferma del fatto che Mubarak non ha nessuna intenzione di lasciare il potere. L’esercito non l’ha abbandonato e Suleiman è al suo fianco da tempo immemorabile.
Il vecchio faraone forse potrà, nella più antica tradizione imperiale, come Ramses quando aveva più di 80 anni, celebrare la festa del suo ringiovanimento senza lifting, grazie a Omar. Ramses ogni anno, fino a oltre 90 anni (lo impariamo da Fuad Adjami grande storico arabo) innalzava un obelisco per ringraziare gli dei. Il popolo egiziano, salvo che per il traumatico assassinio di Sadat, non ha mai ucciso i suoi faraoni. Anche quando nel 1952 distrusse il potere di Muhammad Alì, la sua dinastia era al potere di 50 anni. Ma quando si sentono colpiti nell’onore i fellahim, contadini affamati ma di nobili antichissimi costumi, e la sua colta e pigra borghesia, come è successo quando i tunisini sopravanzarono il popolo egiziano, allora accade l’inenarrabile. Così fu dal 2350 al 2150 avanti Cristo, quando gli uomini che conosciamo raffigurati dai cocci egizi, si rivoltarono fino a liberarsi dal regno di chi li affamava. Così può accadere con Mubarak. [...]
"Mai più? Chi progetta lo sterminio degli ebrei oggi". Convegno alla Camera dei Deputati
GUARDA IL VIDEO DEL CONVEGNO:
http://www.radioradicale.it/scheda/320066
INTERVENGONO:
Saluto dell'Ambasciatore d'Israele in Italia, Gideon MEIR
Dan DIKER, Segretario Generale del World Jewish Congress
Emanuele FIANO, Deputato, responsabile sicurezza del PD
Giorgio ISRAEL, Professore di Storia della matematica, Università di Roma “La Sapienza”, scrittore
Fiamma NIRENSTEIN, Vicepresidente della Commissione Esteri, Presidente del Comitato di Indagine Conoscitiva sull’Antisemitismo
Piero OSTELLINO, Saggista, editorialista del Corriere della Sera
Riccardo PACIFICI, Presidente della Comunità Ebraica di Roma
Rocco Buttiglione, Vicepresidente della Camera
Enrico PIANETTA, Deputato Pdl, Presidente Associazione parlamentare di Amicizia Italia-Israele
Olga D'ANTONA, Deputato PD
Gli ebrei rischiano ancora il genocidio
Il Giornale, 27 gennaio 2011
Non basta ricordare la barbarie nazista: anche oggi c’è chi minaccia Israele di distruzione di massa Se si vuole che il massacro del Ghetto di Varsavia non ritorni mai più, bisogna agire di conseguenza
Non possiamo più celebrare il Giorno della Memoria semplicemente ricordando, sia pure con tutto il cuore e la migliore buona volontà. Questo è un Giorno della Memoria di battaglia. L’illusione che la storia del mondo marci progredendo, ci ha illuso che “mai più” non fosse un auspicio, ma una constatazione. Invece, è una battaglia durissima. L’Onu, nato sulle ceneri della Shoah, è stato innanzitutto costruito per garantire che la politica o l’incitamento per il genocidio siano proibiti secondo la legge internazionale. Le convenzioni dell’Onu contro il genocidio lo prevedono. Ma nella realtà, abbiamo visto cos’è accaduto in Cambogia, in Darfur, in Rwanda, abbiamo visto i tentativi di genocidio in Tibet e in Bosnia... Quanto all’incitamento, ormai è cibo quotidiano, e basterebbe un tribunale internazionale per giudicarlo come di dovere, ma nessuno lo fa. [...]
The Jews run the risk of another genocide
Il Giornale, 27 January 2011
We can no longer celebrate Holocaust Remembrance Day simply by remembering, albeit from the depths of our hearts and with the greatest of goodwill. This Holocaust Remembrance Day must be lived in a fighting spirit. The illusion that the history of the world is marching in progress deluded us into believing that “never again” is not just a hope but a statement of fact. But it is indeed a very tough battle. The UN, born from the ashes of the Shoah, was, first and foremost, set up to guarantee that genocide policies or instigation to genocide would have been prohibited by international law. This is provided for in the UN conventions against genocide. But as a matter of fact, we have seen what has happened in Cambodia, in Darfur, in Rwanda... We have witnessed genocide attempts in Tibet and in Bosnia... As far as instigation is concerned, it has become par for the course, and all that is actually needed would be an international court prepared to pass fair sentences. But nobody lifts a finger. [...]
Il coraggio di dire che l’antisionismo è antisemitismo

Il Giornale, 24 gennaio 2011
È un evento straordinario il nuovo libro di Pierluigi Battista "Lettera a un amico antisionista" (Rizzoli, pagg. 120, euro 17,50). Le élite europee e americane si sono contagiate le une con le altre in un demente biasimo per Israele, in cui non esiste né logica né storia, ma da cui, paludata di studi, numeri, belle parole e mezze parole, esce l’idea che Israele sia un Paese che sarebbe meglio non esistesse. Anzi, che forse domani non esisterà. Anzi, che verrà distrutto. Battista distrugge invece la perversione intellettual-politica di massa dell’odio antisionista in cinque brucianti capitoli e la rivela per quello che è: antisemitismo. Ed ecco l’eccezionalità del lavoro di Battista: si contano sulle dita di una mano gli intellettuali non ebrei che abbiano sistematizzato lo scandalo dell’odio per Israele che appesta il mondo, l’Onu, l’Unione Europea, e li riduce a un circo di bugie; che salvaguarda i violatori dei diritti umani; che non si occupa del colpo alla nuca in Cina o dello sterminio in Sudan, e condanna, chiamandoli con compiaciuta pornografia «nazisti», i check point israeliani che evitano gli attacchi terroristici. [...]
The courage to admit that anti-Zionism is anti-Semitism
Il Giornale, 24 January 2011
In his latest essay, Pierluigi Battista, Italian chief columnist for "Corriere della Sera", meets all the prejudices against the Jewish people and the Jewish State head on. Those who lash out against Israel then have nothing to say about what’s going on in China and in the Darfur.
The new book of Pierluigi Battista "Lettera a un amico antisionista" (Letter to an anti-Zionist friend) (Rizzoli, 120 pages, € 17.50) is an extraordinary event. The European and American élites are competing with each other in a crazy, unprecedented and illogical spiral of criticism against Israel. This is aimed at giving the idea, embellished by studies and numbers and clothed in fine words and nebulous statements, that Israel is a country which has no right to exist. And actually tomorrow it might not exist, as so many want to destroy it Battista, in contrast, destroys this intellectual/political mass perversion of anti-Zionist hate in five burning chapters, revealing it for what it is: anti-Semitism. [...]
Obama è distratto sui diritti umani. E il mondo è meno libero.
Il Giornale, 21 gennaio 2011
Nel vertice con Hu Jintao il presidente adotta toni moderati sui diritti umani. Un rapporto svela che il tema non è in cina all'agenda del leader progressista.
Ci fa piacere, e ha fatto piacere a tutto il mondo, che Obama si sia ricordato durante il cerimonioso e anche economicamente promettente incontro con Hu Jintao che un presidente americano che non si ricordi dei diritti umani non è degno di chiamarsi tale. Il Difensore della democrazia che dimentichi il Dalai Lama non risulta credibile per nessuno, e tantomeno, poi, se è stato insignito di un Premio Nobel per la Pace sia pure ante litteram.
Condanne a morte seriali dopo processi inesistenti, aborto forzato, torture indicibili come quelle subite dal dissidente avvocato Gao Zhinsheng, per non parlare di quel che passa, lui e la sua famiglia, il Premio Nobel Xiaobo. Ma Obama, che al contrario di Bush che sui diritti umani non la mandava a dire a nessuno e che al Dalai Lama rese gli onori di un Capo di Stato, ha sempre avuto, nessuno glielo nega, una forte sensibilità sociale e politica, ovvero un ascolto per il Terzo Mondo e l’Islam, tipico della sinistra mondiale: meno gli importa, apparentemente, della sofferenza causata dalla mancanza di libertà, specie quando occuparsene troppo mette in forse rapporti che Obama vede come essenziali della sua nuova politica estera, conciliatoria, a volte buonista. [...]
Avvoltoi, squali, topi e altri animali. Le teorie della cospirazione impazzano
Il Giornale, 19 gennaio 2011
L’ultimo arruolato è un avvoltoio, e ce lo garantisce la stampa Saudita. Il Mossad lo ha spedito nei cieli del regno per fare la spia, prova ne è (quale controspionaggio fantastico hanno da quelle parti) che il volatile porta un braccialetto con scritto “Tel Aviv University”.
Di recente il Mossad ha arruolato parecchi animali: c’è lo squalo che davanti alla costa del Sinai azzanna solo i turisti non israeliani. Mica è scemo a mordere i suoi. Serve a rovinare il turismo e quindi l’economia egiziana. Ci sono i topi che invado a Gerusalemme est le case degli arabi e solo quelle: le abitazioni degli ebrei godono di derattizzazione preventiva.
C’è poco da ridere: le teorie della cospirazione sono puro incitamento all’omicidio e devastano la mente araba riempiendola di cretinate, lo spiega anche Fouad Adjami, eminente studioso libanese. Diffuse senza sosta da tv e giornali, sostenute da imam e politici, ecco le ultime imprese del Mossad: la strage dei Copti ad Alessandria e quelle in Iraq per sollevare i cristiani contro il mondo islamico; il lavoro della Corte Internazionale che individua negli Hezbollah i colpevoli dell’assassinio del presidente Rafik Hariri nel 2005, per sovvertire il Libano; la divisione del Sudan, per togliere al mondo islamico il predominio dell’Africa; gli scontri in Yemen; le persecuzioni dei palestinesi in Iraq; un progetto di Israele di distruggere la Moschea di al-Aqsa e costruire un Terzo Tempio sulle sue rovine. Questa la riporta il quotidiano ufficiale dell’Autorità Palestinese definendo il piano “un complotto satanico”. Quello solito, come quando gli ebrei hanno distrutto le Twin Towers, o, questa è la più trendy, hanno creato Al Qaeda. Ma, scusate, e un bravo psicanalista?
Una lista contro noi ebrei non riuscirà mai a zittirci
Il Giornale, 13 gennaio 2011
Un sito antisemita legato al Ku Klux Klan pubblica l’elenco degli italiani filosionisti. Ed è la prova che neanche la Shoah cancella il razzismo.
Quando Ilan Halimi scomparve il 21 gennaio 2006 dal negozio dove lavorava, si indagò per ogni dove: una pista di donne, una di droga, una di sporchi commerci. Nessuno cercò quel ragazzo ebreo di 24 anni dove avrebbe dovuto cercarlo: in una banlieue dove per 24 giorni un gruppo di estremisti islamici antisemiti lo torturò fino a ucciderlo. Stavano uccidendo il loro ebreo, lo credevano ricco quel commesso di un negozio di forniture elettroniche, chiedevano un riscatto impossibile per una mamma che ho abbracciato quando mi ha detto: «Nessuno mi ha creduto quando spiegavo che dovevano seguire la pista antisemita». Eppure già si assalivano nelle strade di Europa le ragazze con la stella di David al collo e gli uomini con la kippà, già si gridava «Hamas hamas gli ebrei al gas» nelle strade di Londra e di Berlino, le edizioni del Mein Kampf e dei Protocolli dei Savi di Sion vomitate sui mercati europei da importatori mediorientali diventavano popolari come le serie televisive in cui un ebreo faceva togliere gli occhi a una bambina musulmana per trapiantarli su un ragazzino ebreo. Già si sapeva che gli incidenti antisemiti insieme, e mai disgiunti per il modo e per il contenuto, da quelli antisionisti, crescevano fino a superare quelli precedenti al 1939, e che da noi il 54% degli italiani pensa qualcosa di poco piacevole degli ebrei. [...]
Too bad for the Anti-Semites. Being Jewish is great!
Published on Il Giornale daily, January 13, 2011by Fiamma Nirenstein
When Ilan Halimi disappeared on 21 January 2006 from the shop where he worked, countless lines of investigation were followed: women, drugs, shady business deals. But no-one searched for that 24-year-old youth where they should have done: in a suburb, tortured for 24 days, and ultimately killed, by a group of Islamic anti-Semitic extremists. They were killing their Jew. They thought that this sales assistant in an electronics supply shop was rich. They were asking an impossible ransom for his mother, a woman that I embraced when she said me here in Rome : “No-one believed me when I told them that they should have been following the anti-Semitic lead”. And yet girls with the star of David around their necks and men wearing the kippah were already being attacked in the streets of Europe . Shouts of “Hamas, Hamas, Jews to the gas” were already being heard in the streets of London and Berlin and the editions of Mein Kampf and the Protocols of the Elders of Zion, vomited onto European markets by Middle-Eastern importers, were already gaining as much popularity as the TV series in which a Jew removed a little Muslim girl’s eyes in order to transplant them in a little Jewish boy’s. It was already common knowledge that anti-Semitic incidents together with anti-Zionist ones – similar both in terms of method and content – were growing to the point of exceeding those prior to 1939 and that here in Italy 54 percent of the population have not pleasant views on the Jews. [...]