Guerra in Libia: è nostro dovere, ma anche necessità politica
Il Giornale, 29 aprile 2011
Dunque, ieri i primi F16 hanno preso il volo verso obiettivi mirati. Ma la guerra che abbiamo dovuto intraprendere in Libia e che non poteva certo essere abbandonata o gestita a piacimento in qualsivoglia istante (magari qualsiasi guerra lo potesse), ha avuto sempre le caratteristiche della necessità. Non ha a che fare con la “stoltezza”, come dice l’ottimo “Foglio”, ma piuttosto con la pietas che dal secondo dopoguerra è stata imposta, nel suo inizio, alla struttura dell’ONU nei suoi pilastri ideologici, anche se essi nel tempo si sono corrotti. Questo ci fa avvertire una vergogna particolare nei confronti della decisione presa mercoledì di non bollare con una risoluzione del Consiglio di Sicurezza il comportamento di Bashar Assad, che non solo, come Gheddafi, uccide a centinaia i suoi cittadini in rivolta, ma ne assedia coi carri armati le città prima ancora che essi si muovano in armi contro di lui. Insomma, gli fa guerra.
L’Italia aveva il dovere di affrontare la strage che Gheddafi ha subito intrapreso dall’inizio della rivolta. E ne aveva anche la necessità politica. Un dovere su cui si è tormentata parecchio, mentre comunque la strada veniva segnata. Perché comunque anche questa Europa zoppa in un modo o nell’altro sentiva che, per essere noi stessi, per incarnare la nostra civiltà (e purtroppo solo ora capiamo quanto fingerci cechi alla fine ci si ritorca contro), non possiamo lasciare morire le folle nelle mani di un dittatore. La necessità politica si è disegnata giorno dopo giorno, perché, né allora né oggi, una guerra finalmente decisa da Washington, da Londra e da una Parigi in sferzante concorrenza; e poi scelta dall’ONU; e poi coordinata, secondo la nostra originale richiesta seguita da Obama, dalla Nato può lasciarci fuori, estranei. La pena è il ghetto, e stavolta sì, il continuamente minacciato disdoro della nostra politica internazionale.
L’Italia ha approcciato la guerra a modo suo, tentando di mediare un’uscita di Gheddafi (perché no?) finché è stato possibile, finché i ribelli non hanno denunciato attacchi sempre più sanguinosi, finché anche l’Unione Africana non ha fatto sapere che Gheddafi era pazzo più che mai, aveva perso ogni possibilità di rapporto col mondo. Ha tessuto contatti con i ribelli e, non bisogna dimenticarlo perché forse è la più importante delle imprese italiane, ha mandato per prima una missione di soccorso a Bengasi, e non era facile. L’Italia ha cercato di mettere a frutto la sua esperienza della Libia, la più tormentata ma anche la più approfondita, per tessere un rapporto con i ribelli e per avvertire i suoi partner che cacciare Gheddafi sarebbe stato difficile. La rete di informazioni italiane sulla Libia è stata fondamentale e più di tutti l’ha riconosciuto Obama che insiste sul rovesciamento del rais e per una operazione “eufor”, ovvero in una forza di interposizione europea.
Di certo i ribelli libici non costituisco una forza omogenea né politicamente affidabile; la componente estremista religiosa è in agguato. Ma oltre al fatto che rinunciare oggi non è possibile, pena orribili massacri, buona ragione della presenza italiana in Libia è la lunghissima tradizione del nostro interesse economico (la presenza dell’ENI data dal 1950 ed è sopravvissuta alla presa del potere da parte di Gheddafi) e anche il problema dell’immigrazione, che non comincia e non finisce con la guerra: l’Italia sa bene che potrà dire una parola sull’argomento se si sarà guadagnata i gradi sul campo. Un ultimo punto: che la Lega abbia sempre innanzitutto problemi di pratica vivibilità è ormai un fatto compreso e accettato. Li spieghi di nuovo adesso riguardo alla guerra, è suo diritto. Ma che non si adorni con un abbigliamento pacifista, è meglio per l’etica e per l’estetica.
Vedi, Fiamma, l'esperienza (portroppo), insegna che una guerra non si vince con la sola superiorità aerea, bensì con la "regina delle battaglie", la fanteria. Ora, l'esercito raccogliticcio dei ribelli non è formato da unità di fanteria militare, bensì da un'accozzaglia di civili armati, senza addestramento e senza comando centralizzato, che, tutto può essere definita tranne che "regina delle battaglie":benché numerosi, determinati e non privi di armamenti da prima linea, vengono tenuti in scacco dalle meno numerose ma più militarizzate truppe mercenarie governative, anche senza l'impiego della forza corazzata, annientata dai cacciabombardieri NATO non appena sporge il naso. Corollario? Gran Bretagna e Francia dovranno inviare truppe di terra! Possibili sviluppi? Anatema da parte di tutto l'Islam contro gli europei che invadono il sacro suolo di una repubblica islamica (le prime defezioni le abbiamo già viste).Solo una "Blitz krieg" avrebbe avuto il potere di risolvere in modo efficace la questione libica - anche perchè penso che a un bullo determinato come Gheddafi scarificare la propria gente non interessi un fico - ma, così non è stato e ormai il rischio che il conflitto si incancrenisca è altissimo. Passa altresì il messaggio inequivocabile dell'incapacità della superpotenza NATO ad aver ragione di un piccolo esercito come quello di Gheddafi, incoraggiando così altre dittature laiche e non, a massacrare il popolo chi inneggia a libertà e democrazia. Temo che alla fine ci ritroveremo a chiederci: ne valeva la pena, o era meglio che lasciassimo la Libia, come del resto tutte le altre nazioni del mondo, determinare il proprio destino? (Vietnam docet). Forse il buon vecchio Bossi in fondo aveva ragione.