Iraq, Nirenstein: denunciare repressione in atto a Camp Ashraf
Dichiarazione dell’On. Fiamma Nirenstein, Vicepresidente della Commissione Esteri della Camera
“Nel campo di Ashraf dagli anni ’80 vive una comunità di iraniani in esilio, fino a poco tempo sotto la protezione dell’esercito americano, che ne garantiva l'incolumità. L’8 aprile si è verificato un attacco sanguinoso sferrato dall'esercito iracheno, con un probabile coinvolgimento di emissari del regime integralista iraniano. Una strage che ha fatto 34 vittime e decine di feriti. Mentre condanniamo con forza l’atto di ferocia e l’abbandono di questa comunità di circa 3,500 persone, chiediamo alla comunità internazionale di intervenire con decisione per evitare un ulteriore danno umanitario, altri morti e altri feriti. Proteggiamo la comunità degli iraniani a Camp Ashraf”.
Roma, 20 aprile 2011
Intervento in Aula sulla morte di un ragazzo israeliano e di Vittorio Arrigoni
potete rivedere qui il video e di seguito la trascrizione dell'intevento di martedì 19 aprile:
http://webtv.camera.it/portal/portal/default/Assemblea?NumeroLegislatura=16&NumeroSeduta=466&IdIntervento=242685
FIAMMA NIRENSTEIN. Signor Presidente, prendo la parola perché la vicenda cui mi riferisco acquista particolare rilievo in queste ore e anche, in particolare, dopo un intervento che si è svolto tra queste mura un paio di ore fa.
Purtroppo, alcuni giorni or sono, Daniel Wiplich, un ragazzo di 16 anni che si trovava su uno scuolabus nel sud di Israele, è stato colpito insieme agli altri ragazzi sempre della scuola mentre viaggiavano su questa medesima vettura. È stato colpito da un missile di Hamas, è rimasto ferito molto gravemente, ha lottato per la sua vita in ospedale, rimanendo fra la vita e la morte con i genitori accanto per una settimana, finché purtroppo ha dovuto cedere.
Perché sollevo questa questione adesso nel Parlamento? Prima di tutto perché si tratta di una vittima del terrorismo, un ragazzo di 16 anni, e quindi sempre degno di essere ricordato. In secondo luogo, perché quei missili teleguidati e quindi con la sicurezza di andare a colpire un autobus scolastico (si trattava di un missile Kornet sovietico, anzi russo, di provenienza russa, l'ho chiamato sovietico con un lapsus non casuale) erano nelle mani di Hamas che li ha lanciati contro uno scuolabus.
Poiché in queste ore si parla di Hamas come di un'organizzazione quasi pacifista, a confronto di quella che ha ucciso Arrigoni, voglio ricordare che volontariamente seguita ad uccidere, lanciando missili teleguidati e anche missili casuali (missili qassam) sulla popolazione inerme israeliana, mai sparando sui militari e sempre prendendo di mira civili, vecchi, bambini e ragazzi che viaggiano sugli autobus scolastici.
Con questo voglio sottolineare che la questione di Hamas resta, perché in queste ore è stata molto mistificata a seguito dell'uccisione di amici e sodali di Hamas, di Vittorio Arrigoni che, poveretto, aveva confuso i suoi ideali umanitari con quelli di un'organizzazione invece terrorista, che è compresa nella lista delle organizzazioni terroristiche europee. Con essi viveva e aveva fatto suoi i loro slogan, anche i peggiori. Voglio ricordare che questa organizzazione terroristica uccide.
Uccidere è la sua metodologia, uccidere è la sua scelta, ha ucciso un ragazzo di sedici anni che andava a scuola e poi i suoi amici e sodali di gruppi e gruppetti svariati - ma Hamas controlla tutta la striscia di Gaza - hanno ucciso anche un italiano: Vittorio Arrigoni.
Altro che pacifista, odiava Israele
Il Giornale, 16 aprile 2011
Ci sono tre o quattro cose chiare e tuttavia difficili da digerire nell'orribile omicidio di Vittorio Arrigoni. La prima naturalmente è la crudeltà della pubblica esecuzione di un giovane uomo che aveva famiglia e amici. E ciò è chiaro. Ma non lo è la patente realtà che gli assassini siano jihadisti islamici di Gaza. Avrebbero potuto essere afghani, o iracheni. Nel 2002 Daniel Pearl fu ucciso a Karachi con metodi analoghi perché era ebreo; nel 2004 l'americano Nick Berg in Iraq fu decapitato in video per, dissero gli jihadisti, «dare un chiaro messaggio all'Occidente »; Fabrizio Quattrocchi perché «nemico di Dio, nemico di Allah» e Arrigoni, come dicono i suoi carnefici nel video con la scritta che scorre, perché «diffondeva a Gaza il malcostume occidentale» e «l'Italia combatte i Paesi musulmani». Si ripete molto che Hamas, di cui Arrigoni era amico, ha condannato il delitto. Ma in realtà non importa se gli assassini sono iscritti a Hamas oppure no. Lo sono stati, lo saranno, lo sono... Anche Al Qaida, che a Gaza c'è, è meglio o peggio accolta a seconda dei momenti. Ma Hamas è sempre padrona di Gaza. [...]
A pacifist? He hated Israel
Il Giornale, April 16, 2011
The cruelty of the public execution of a young man who had family and friends, as it was the case with Vittorio Arrigoni's killing, is always awful. And this is clear. What isn’t clear to the European public is that it is patently evident that the killers are his old Islamic Jihadists friends from Gaza. But they could have been Afghanis, or Iraqis. In 2002, Daniel Pearl was killed in Karachi with similar methods because he was a Jew; in 2004 the decapitation of the American Nick Berg in Iraq was filmed, the Jihadists said, «to give a clear message to the West»; the Italian Fabrizio Quattrocchi was executed because he was «an enemy of God, an enemy of Allah» and Vittorio Arrigoni, as his butchers say it in the video, in the words that scroll across the screen, because «he was spreading western immorality in Gaza» and because «Italy fights against Islamic countries». It has been repeated again and again that Hamas, with whom Arrigoni was on friendly terms, has condemned the crime. But in actual fact it doesn’t matter if the assassins are members of Hamas or not. They have been, they will be, they are all controlled by Hamas. Even Al Qaida, which has a presence in Gaza, is seen by Hamas in a better or worse light, depending on the moment. But Hamas is always top dog in Gaza. [...]
La rivoluzione in Medioriente? E' tutto come prima. Anzi peggio.
Il Giornale, 14 aprile 2011
Tutte le grandi rivoluzioni, quella francese, quella americana, quella russa, quelle nazionali, oltre che sul sangue degli eroi nascono su pile di libri, sulle parole dei filosofi e dei grandi leader. Le esclamazioni non sono sufficienti, neppure quelle dei bloggers. Naturalmente a noi occidentali le rivoluzioni piacciono molto, sono i motori, le levatrici della nostra storia. E forse questo ci porta a fare pesanti errori nella valutazione dell'immenso spettacolo cui assistiamo oggi, della piazza araba in fiamme, dello spettacolo estetico e morale dei moti mediorentali e nordafricani, dei giovani che si battono e muoiono contro orridi regimi i cui crimini, tuttavia, abbiamo sempre cercato di portare all’attenzione senza suscitare grandi passioni. [...]
Ma ora Goldstone scriva un altro rapporto. Vero
Il Giornale 6 aprile, 2011
Caro giudice Goldstone, perdoni se ci ritorno sopra, a me non è bastato, anche se l’ho apprezzato, il suo articolo sul Washington Post in cui annuncia che, se ne avesse saputo quante ne sa oggi, non avrebbe dichiarato Israele criminale di guerra con le 575 pagine del rapporto costruito per il Consiglio per i diritti umani dell’Onu. Qualcuno aveva già capito da tempo che lei sbagliava: l’Italia votò contro il suo rapporto e nel nostro Parlamento abbiamo tenuto anche un convegno contro le sue assurde conclusioni. Insomma, lei ci ha messo un po’ troppo, e intanto il danno è stato gigantesco. Certo, il suo è un gesto clamoroso che testimonia di una personalità tormentata che, dopo molto, troppo pensare, ha deciso di ascoltare la voce della coscienza.
Una scelta quasi obbligata dopo che le folle ispirate da lei hanno percorso le piazze europee gridando «Hamas Hamas gli ebrei al gas»; dopo che il capo dell’opposizione della Knesset, Tzipi Livni, ha dovuto rinunciare a un viaggio a Londra sotto la minaccia di arresto estesa anche ad altri leader del suo Paese; dopo che da quelle accuse è nata su Gaza la narrativa pazzesca che ha ispirato le varie flottiglie e ha incitato il governo Turco, quella di una prigione a cielo aperto dove Israele pratica la caccia al civile e ai bambini, si muore di fame e i persecutori ebrei circostanti bloccano con la loro ferocia una vita normale e civilizzata. [...]
A Fiamma Nirenstein l'"Emet Award" con Aznar e Bolton. E le congratulazioni dell'Aula di Montecitorio
(ANSA) - ROMA, 5 APR - «Un riconoscimento non solo a me ma anche alla politica delle istituzioni italiane». Cosi il deputato del Pdl Fiamma Nirenstein definisce il premio 'Amici di Israele' che le sarà assegnato a New York il prossimo 10 aprile. Unica italiana finora ad essere stata insignita dell'onorificenza, Nirenstein ha vinto l'edizione 2011 insieme all'ex premier spagnolo José Maria Aznar e all'ex ambasciatore Usa all'Onu John Bolton.
L'associazione internazionale 'Amici di Israele' è stata fondata nel 2010 con l'obiettivo di «contrastare gli sforzi di delegittimare lo stato di Israele e di minare il suo diritto di vivere in pace e in sicurezza e all'interno di confini difendibili».
«Ognuno di noi tre nel proprio campo - ha detto ancora Nirenstein - ha operato per ripristinare la verità su Israele che è un paese come tutti gli altri e che invece, a differenza degli altri, è attaccato ingiustamente. La prova più evidente di questi giorni è la ritrattazione da parte del giudice Onu Richard Goldstone del suo rapporto su 'Piombo Fuso' e le presunte responsabilità israeliane durante l'operazione». «Vorrei ricordare - ha continuato Nirenstein - che l'Italia votò contro, in sede Onu, le conclusioni di quel rapporto e questo dimostra la serietà della politica estera italiana. Io, come Aznar e Bolton, ho lottato a lungo contro i pregiudizi che hanno impedito una giusta idea di Israele. Sono molto fiera del premio e vorrei che venisse vissuto non solo come un riconoscimento alla mia persona ma appunto anche alla politica complessiva dell'Italia».
Dell'associazione 'Amici di Israele' fanno parte, tra gli altri, anche il premio Nobel David Trimble, gli ex presidenti del Perù Alejandro Toledo e della repubblica Ceca Vaclav Havel e l'italiano Marcello Pera. (ANSA).
Roma, 07 APR (Il Velino) - A Fiamma Nirenstein sono andate le congratulazioni dell'Aula di Montecitorio per il premio 'Emet Award', che ricevera' il 10 aprile a New York insieme a Jose' Maria Aznar e John Bolton. La deputata Pdl e' "l'unica italiana nella storia ad ottenere questo premio", ha sottolineato Luca Volonte', intervenendo in aula. "Un premio importante e fondamentale - ha detto il deputato Udc - , che da' prestigio e onora tutta la Camera dei deputati oltre che onorare l'impegno che Fiamma ha dimostrato e continua a dimostrare nei consessi nazionali e
internazionali. Per questo, voglio ringraziarla, non solo della sua amicizia, ma dell'onore che ci fa, con le sue battaglie, non solo in Italia ma anche nel contesto mondiale". All'omaggio si sono uniti con un applauso tutti i gruppi parlamentari. Il presidente di turno Rocco Buttiglione ha espresso le congratulazioni alla Nirenstein: "Sono sicuro di esprimere i sentimenti di tutta l'Aula - ha detto il presidente dell'Udc -, rinnovando le congratulazioni all'onorevole Fiamma Nirenstein, e mi permetto, da amico di Fiamma, di aggiungere le mie congratulazioni personali, brava". L'associazione internazionale 'Amici di Israele' e' stata fondata nel 2010. Ne fanno parte, tra gli altri, anche il premio Nobel David Trimble, gli ex presidenti del Peru' Alejandro Toledo e della repubblica Ceca, Vaclav Havel, e l'italiano Marcello Pera.
QUI POTETE RIVEDERE L'INTERVENTO DELL'ON. VOLONTE' E DEL PRESIDENTE BUTTIGLIONE:
http://webtv.camera.it/portal/portal/default/Assemblea?NumeroLegislatura=16&NumeroSeduta=460&IdIntervento=241212
* Nella foto: insieme agli altri premiati José Maria Aznar e John Bolton
Il giudice Goldstone fa retromarcia sul suo rapporto che accusava Israele di crimini di guerra
M.O., Nirenstein: vittoria della verità con retromarcia Goldstone su rapporto guerra Gaza
Dichiarazione dell'On. Fiamma Nirenstein (Pdl), Vicepresidente della Commissione Esteri della Camera
"E' una vittoria della verità il fatto che il giudice Richard Goldstone abbia ritirato le accuse a Israele di crimini di guerra e contro l'umanità inserite nel rapporto della commissione d'inchiesta ONU che porta il suo nome. L'Operazione Piombo Fuso è stata un'operazione di difesa conseguente al lancio verso il territorio israeliano di oltre 6000 missili solo dal 2005, ovvero dal ritiro israeliano da Gaza, da parte dell'organizzazione terroristica integralista Hamas, che ha giurato la distruzione di Israele, come si può leggere tra l'altro nel suo statuto. Il parlamento italiano bene lo comprese già allora in una manifestazione di fronte a Montecitorio "con Israele, per la libertà, contro il terrorismoio", che si svolse proprio nei giorni della guerra. Sono fiera del fatto che l'Italia sin dall'inizio abbia votato contro l'adozione del Rapporto Goldstone sia da parte del Consiglio per i Diritti Umani, sia dell'Assemblea Generale ONU e anche di aver promosso la coscienza della verità con il convegno "Il rapporto Goldstone: un pericoloso fraintendimento", che abbiamo tenuto alla Camera nel gennaio 2010 e in cui sono intervenuti tra gli altri Laura Mirachian, l'Ambasciatore italiano presso l'ONU a Ginevra, Dore Gold, ex Ambasciatore israeliano presso l'ONU di New York, il Generale Giovanni Marizza, già vice comandante della forza multinazionale in Iraq.
L'incredibile leggerezza di Goldstone dovrebbe oggi essere rimediata con un'opera di verità da parte di tutti quanti ne hanno diffuso le perverse conclusioni smentite oggi da lui stesso".
Roma, 3 aprile 2011
L’errore Usa è far finta che la Siria sia democratica
Il Giornale, 2 aprile 2011
Ci sono un paio di cose, nella grande confusione mediorentale, che appaiono chiare in queste ore: Bashar Assad, rais della Siria, non ha intenzione di aprire alla democratizzazione, e mentre dice di comprendere i dimostranti e che studia se sia il caso di superare lo stato di emergenza che dura da 46 anni, minaccia e reprime: se vogliono guerra l’avranno, ha ribadito. Ma i dissidenti coraggiosamente, non si tirano indietro e sfidano la morte. L’altro fatto chiaro è che Hillary Clinton, ovvero Obama, non ha intenzione di mostrare verso la Siria la stessa severità mostrata nei confronti di Gheddafi. La Segretaria di Stato americana, condannando genericamente la repressione, ha anche detto alla CBS: “Molti membri del Congresso di ambedue i partiti che hanno visitato la Siria negli ultimi mesi hanno detto di credere che egli sia un riformatore”. E’ una bella novità. Niente, in realtà lo suggerisce. [...]
Islam e democrazia: un’equazione possibile?
Le rivoluzioni non sono tutte uguali. Scegliamo con chi stare.
Il Giornale, 29 marzo 2011
Era tutto lontanissimo da noi, i dittatori mediorientali ultranazionalisti e corrotti, lo scontro fra sciiti e sunniti, le alleanze spurie fra questi e quelli, i loro disegni di dominio. Che ce ne importava, dopo tutto? Adesso che il Medio Oriente e l’Africa sono vicinissimi, questo zoom disegna campi, preferenze, aspettative che costringono l’Occidente a un corso accelerato di studi islamici. Dove ci porta tutto questo, che cosa dobbiamo auspicare, da che parte stare? Per ora la risposta è stata solo umanitaria, ma ben presto saremo costretti a chiederci quali dittatori è meglio che cadano e quali meglio che sopravvivano almeno un altro po'. Il fatto che l’esercito egiziano abbia fatto sapere che vuole restare ancora un po' al potere e non lasciare subito il campo libero, adesso che la Fratellanza Mussulmana ha mostrato la sua testa d’Idra ed è pronta a prendersi l’Egitto, può anche farci piacere senza doversi vergognare. [...]
Not all revolutions are the same: we'd better learn it quickly
It was so far away from us; the corrupt, Islamic panarabist Middle Eastern dictators, the clash between Shiites and Sunnis, the spurious alliances between this and that group, their plans for the area egemony… What did we care, after all? But now that the Middle East and Africa are so close to us, we better get a look at the camps, preferences and expectations. The West must take an accelerated course in Islamic studies. Where is all this leading us, what should we hope for, what side should we be on? For the time the answer has only been humanitarian, but soon we will be forced to ask ourselves which dictators we’d rather see toppled, and which we’d rather see survive at least a little longer. We can rightly feel relieved about the fact that the Egyptian army declared it wants to stay in power a bit longer now that the Muslim Brotherhood has revealed its Hydra head and is ready to take Egypt. [...]





