Il doppio gioco siriano allontana la pace
La Siria tesse in questi giorni una funambolica ragnatela e lo fa veloce. È tutto un roteare di luci e di colori. Chiediamoci quindi cosa stia facendo veramente. Per il presidente siriano Bashar Assad, con l’attuale dialogo di pace con Israele mediato dalla Turchia si è aperta una finestra di opportunità che somiglia a un arco di trionfo. Il suo audace tentativo sembra quello di guadagnare, venendo così estratto dall’Asse del male, senza spendere del suo.
Lunedì, Assad, in versione pacifista, sarà la star, l’attrazione che il leader francese Nicolas Sarkozy esibirà a Parigi alla presenza di 40 Paesi convenuti per fondare l’Unione Mediterranea voluta da Parigi. I colloqui siriani e israeliani, hanno detto ieri i diplomatici turchi, sembrano mostrare buone premesse e gli interlocutori potrebbero fare presto a meno di mediatori. Parallelamente, si specula che a Parigi il primo ministro israeliano Ehud Olmert siederà al capo di una tavolata organizzata per ordine alfabetico e all’altro capo, lontano ma forse sorridente e comunque speculare, ci sarà Assad. Questo significa che la pace è vicina? Per ora quello che si sa è soltanto che i siriani hanno chiesto la restituzione delle alture del Golan e che non si sbilanceranno di più finché George W. Bush sarà presidente degli Stati Uniti. Che tipo di pace siano disposti a dare in cambio, se vogliano accettare Israele nel consesso mediorentale, di questo non si ha nessun segno. Semmai si sa che per quanto riguarda la linea di pace cui dicono di aver diritto preferiscono quella del 4 giugno del 1967: perché catturarono territorio dal 1949 al 1967, anche se tale demarcazione va oltre il confine internazionale fra la Siria e la Palestina Mandataria. È anche la linea che permette l’accesso al lago Tiberiade, il maggiore bacino acquifero d’Israele. [...]
Buone notizie dall’Iraq
C’è un rito antiamericano particolarmente apprezzato per la sua apparente oggettività: la ricerca annuale della Pew sull’atteggiamento globale verso gli Stati Uniti, da cui quest’anno si scopre che solo il 12 per cento dei turchi, il 22 per cento degli egiziani, il 19 per cento dei pachistani, e così via, amano l’America. Insomma, l’antiamericanismo è forte.
Dice il grande mediorientalista Fouad Adjami che la lettura del rapporto Pew corrisponde per i liberal americani ai dieci giorni di autoflagellazione degli sciiti, al suo piacere-dolore. È inutile dire che niente di male è stato fatto dagli Usa alla Turchia, considerata un alleato prezioso, e che l’Egitto riceve dagli Stati Uniti solo ingenti aiuti.
Ma la benzina più efficace dell’antiamericanismo da molti anni è la guerra in Iraq. Il punto è, come afferma il senatore Joe Lieberman, che la guerra in Iraq è ormai una storia di disastri e spargimenti di sangue, errori e prepotenze dell’amministrazione Bush, della sua ambizione smodata di promuovere la democrazia come antidoto al terrore. [...]
Ingrid Betancourt è libera!
E' con immensa gioia ed emozione che apprendiamo, come dichiarato in conferenza stampa dal Ministro della Difesa colombiano, Juan Manuel Santos, che Ingrid Betancourt, la politica franco-colombiana nelle mani delle FARC dal 23 febbraio 2002, è stata liberata poche ore fa insieme ad altri 14 ostaggi, grazie a un blitz dell'esercito colombiano. Ieri e oggi, abbiamo discusso e votato in Aula due mozioni presentate una dall'On. Michaela Biancofiore (Pdl) e l'altra dall'On. Fabio Evangelisti (Idv), che hanno raccolto un ampio consenso trasversale e che sostenevano, tra l'altro, la proposta di assegnazione del Premio Nobel a questa donna coraggiosa.
Nell'attesa di maggiori notizie sulla liberazione, vi invito a leggere i testi delle mozioni sul sito della Camera: Mozione Evangelisti e Mozione Biancofiore
Interrogazione a risposta immediata su Zimbabwe
PRESENTATA IN SEDE DI COMMISSIONE AFFARI ESTERI E COMUNITARI
dagli Onorevoli Fiamma Nirenstein e Roberto Antonione
Al Ministro degli affari esteri,
premesso che
in occasione delle elezioni presidenziali inZimbabwe si sonoverificati episodi di indubbia gravità quali omicidi, arresti,danneggiamenti e ripetuti atti di intimidazione ai danni di esponentidel partito di opposizione del Movement forDemocratic Action (MDC),guidato da Morgan Tsvangirai, candidato antagonista dell’attualepresidente Robert Mugabe, al suo sesto mandato alla guida del Paese;
l’assassinio, avvenuto in circostanze ancora da chiarire, diattivisti dell’MDC, i ripetuti arresti e le irruzioni da parte dellapolizia nella sede dell’MDC avevano indotto il leader Tsvangirai adannunciare il proprio ritiro dal ballottaggio, tenutosi il 27 giugnoscorso, e a cercare rifugio presso l’ambasciata olandese in previsionedi un possibile ulteriore attentato alla propria vita a seguito dellecontinue minacce;
il clima di violenza e le gravi violazioni delle più fondamentalilibertà hanno determinato la veemente reazione della comunitàinternazionale che, per voce del Segretario Generale delle NazioniUnite, Ban Ki-Moon, aveva chiesto il rinvio del ballottaggio e, suiniziativa degli Stati Uniti, aveva anche deciso di portare laquestione davanti al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, che hadichiarato “illegittimo” il risultato delle elezioni, in quanto nonriflette la volontà del popolo;
a livello europeo il Commissario Luis Michel ha espresso sostegnonei confronti del leader di opposizione Tsvangirai e ha auspicato unanetta presa di posizione di condanna nei confronti di Mugabe da partedei leader africani, che da questa mattina e fino a martedì 1 luglio,sono riuniti al summit dell’Unione Africana a Sharm el-Sheikh;
per sapere [...]
Appello per la liberazione di Ghilad Shalit a due anni dal suo rapimento

Il 25 giugno del 2006 il soldato oggi ventiduenne di Tzahal, GhiladShalit, veniva rapito in territorio sovrano israeliano, al confine con laStriscia di Gaza, da terroristi di Hamas. Sono due anni che questo ragazzo èstato privato della sua libertà mentre compiva il suo dovere di servire loStato. Da allora non sono pervenute notizie accreditate circa il suo stato disalute e nemmeno la Croce Rossa Internazionale è mai stata autorizzata a visitarlo,così come nel caso di Eldad Reghev e Ehud Goldwasser, i due soldati rapiti sulfronte settentrionale da Hezbollah, 17 giorni dopo Ghilad Shalit.
In questi giorni, il governo israeliano e quello egiziano – che funge da mediatorenelle trattative con Hamas – stanno intensificando i contatti per includere laliberazione di Shalit negli accordi di tregua. Tregua che è stata oggi violatacon il lancio di 4 razzi Qassam sulle città israeliane del Neghev occidentale.Tra le richieste di Hamas, quella di rilasciare 450 detenuti palestinesi, moltidei quali con sangue sulle mani, oltre a rappresentare una contropartitasproporzionata per garantire la libertà di un soldato e cittadino israeliano, èun prezzo estremamente alto per la sicurezza stessa dello Stato d’Israele. […]
Gerusalemme rende omaggio alla voce della nuova europa
Per Gerusalemme i fronti restano quattro
Guai a non intendersi fra culture: Israele, che è una scheggia di
Occidente in mezzo a un oceano di cultura islamica, dà prova su ben
quattro fronti di muoversi secondo i propri criteri, quelli della
logica e della reciproca fiducia, e non quelli che la sua posizione
geopolitica le propone nella realtà.
Il fronte della pace con Abu Mazen: nonostante l’occupazione
violenta di Gaza nel giugno del 2007 da parte di Hamas, nonostante la
disastrosa ripercussione sulla vita di un milione e mezzo di
palestinesi, tuttavia i palestinesi seguitano a preferire Hamas a
Fatah. Piace loro l’onestà dei jihadisti sempre in armi, l’adamantino
rifiuto di Israele, il fatto che Gaza almeno è pulita. Gli uomini di
Fatah nel West Bank sono conquistati da quello stesso Hamas che con la
sua lotta per il potere ha causato con la guerra fratricida l’uccisione
di 450 uomini e il ferimento di 1800, oltre alla chiusura di 3900
fabbriche, e in definitiva il fatto che dei cittadini di Gaza l’85%
vive della carità di varie istituzioni. Il risultato politico di questa
situazione, assicura l’analista Khaled Abu Toameh, è che i palestinesi,
stufi della corruzione di Fatah e dei suoi leader e soprattutto
insospettiti dal sostegno occidentale, americano ed europeo ad Abu
Mazen, se dovessero votare domani porterebbero Hamas di nuovo alla
vittoria a Gaza e gli consegnerebbe anche l’Autonomia. Dunque Israele
tratta con Abu Mazen che non sarebbe mai in grado di garantire la pace
che tutto il mondo auspica, perché un moderato in quel mondo può
passare per un vile. [...]
Nirenstein risponde a Facci sul Riformista
Il Riformista, 6 giugno 2008
Nirenstein replica a Facci. «Io, a dire il vero, come vicepresidente della commissione Esteri della Camera, mi starei occupando di Balcani»: ci ride su Fiamma Nirenstein, eletta tra le fila del Pdl. Certo, non le ha fatto piacere essere definita da Filippo Facci sul Riformista di ieri «la rappresentante di un paese che non è quello che l'ha eletta», a causa delle sue posizioni filoisraeliane, di cui peraltro è molto orgogliosa: «Io sono italiana, fiorentina, e credo di essere stata eletta proprio da chi condivide le idee che ho espresso nei miei libri e nei miei articoli». Una cosa, però, la impensierisce davvero: «Gli argomenti del collega sono quelli che usavano i fascisti. Erano proprio i testi del Ventennio che descrivevano gli ebrei come infiltrati, emissari di una potenza straniera. Purtroppo è proprio a causa di argomenti così, usati con troppa leggerezza, che mi ritrovo a vivere sotto scorta». Come pure la deputata di centrodestra è preoccupata non poco dalla facilità con cui parte dell'intellighenzia italiana liquida le minacce cheAhmadinejad rivolge da anni a Israele, intessendo una rete attorno allo stato ebraico che, di certo, amichevole non è: «Sono davvero stupita da certa mancanza di informazione che banalizza le affermazioni del presidente iraniano. A me pare che le sue minacce siano molto concrete e che lui si stia attrezzando per realizzarle. Ed è sorprendente che proprio la nostra cultura che tanto ha lavorato per i diritti umani, poi li liquidi così». Meglio dunque la politica del governo italiano che «è stato deciso a non accettare il linguaggio d'odio di cui è portatore Ahmadinejad, a ribadire il riconoscimento d'Israele come esempio di democrazia nella regione mediorientale, a sostenere l'opzione di due popoli e due stati». Una politica che, piaccia o meno, ha sicuramente il merito di essere chiara e senza ombre.
"Opinione personale su Israele e dintorni"
Filippo Facci [...]
Il presidente iraniano merita il Tribunale internazionale

Forse molti di noi, andando stasera alla manifestazione di protesta contro Ahmadinejad dell’Iran ospite della FAO a Roma, si chiederanno che cosa si potrebbe fare di più diretto e effettivo per delegittimare il discorso fanatico e carico di violenza del presidente, cui comunque è stato negato qualsiasi incontro con il Governo e col Papa. E tuttavia se non con la guerra, come si potrebbe fermare la sua bomba atomica quasi pronta, la sua politica di violazione dei diritti umani, l’aggressività religiosa che arma Hezbollah, Hamas e minaccia morte a Israele e all’occidente tutto? La risposta c’è anche se parziale, ed è pratica e non violenta. Ma prima di suggerla, leggiamo le ultime uscite del presidente Iraniano prima di imbarcarsi verso Roma. Lunedì in un discorso a ospiti stranieri ha detto: “Il regime sionista criminale e terrorista è alla conclusione della sua opera e presto sparirà dalla carta geografica...”. [...]
IRANIAN PRESIDENT DESERVES INTERNATIONAL COURT
Perhaps many people among us, while making their way this evening to the demonstration against Ahmadinejad, guest of the FAO in Rome, will be asking themselves which more direct and effective actions should be undertaken in order to delegitimize the fanatic and violent discourse of the Iranian President, who was denied every meeting with the Government or the Pope. Still, if not with a war, how could be stopped his almost ready atomic bomb, his policy of human right’s violation, the religious aggression that arms Hezbollah and Hamas and threaten to death Israel and the whole West? The answer exists, even if partial, and it is practical and nonviolent. But, before advancing it, let’s have a look at the Iranian President’s last declarations. [...]
Ora tocca a noi smascherare Ahmadinejad
Il governo non incontrerà Ahmadinejad e questo rafforzerà l’atteggiamento più duro di tutto il consesso internazionale: è un dato fortemente positivo. Ma ora sta alla società civile, agli intellettuali, ai politici uno a uno, dare un segnale deciso di consapevolezza. Bene ha fatto il Riformista a lanciare un appello che sfocerà in un sit in.
Ahmadinejad è un dittatore spietato, il suo Paese condanna a morte 210 persone l’anno, 100 giovani sono nel braccio della morte per crimini di varia natura, dall’omosessualità al dissenso mascherato. La costruzione di strutture atomiche va di pari passo con l’ossessiva promessa di distruggere Israele, e col disprezzo per tutto l’Occidente accompagnato dalla minaccia ripetuta nel 2006 che l’Islam è pronto a dominare il mondo, anche con il perfezionamento di missili Shahab che possono già raggiungere le capitali europee. La sua pericolosità non è legata però soltanto al progetto atomico ormai in dirittura di arrivo, ma a un bisogno egemonico che usa e fomenta per fini imperialisti le organizzazioni terroriste in ogni situazione agibile, come per esempio quella irachena. [...]





