Fiamma Nirenstein Blog

La guerra antisemita contro l'Occidente

7 ottobre 2023 Israele brucia

Jewish Lives Matter

Informazione Corretta, il nuovo video di Fiamma Nirenstein

Museo del popolo ebraico

Per sopravvivere Amman cambia rotta e avverte Israele

domenica 23 novembre 2008 Il Giornale 1 commento
l Giornale, 23 novembre 2008

Nella notte di martedì scorso, nelle tenebre mediorientali, Ehud Olmert e il ministro israeliano della Difesa Ehud Barak sono andati in visita al palazzo di re Abdullah ad Amman, invitati d’urgenza. Il giovane sovrano ha poi convocato nel palazzo di Aqaba giovedì il presidente dell’Autorità palestinese Abu Mazen. Cose importanti? Per carità. Il primo ministro israeliano ha persino negato che l’incontro abbia mai avuto luogo, ma l’implacabile stampa israeliana ha scoperto tutto: Abdullah ha chiesto drammaticamente a Olmert di trattenersi dall’entrare a Gaza con l’esercito nonostante la pioggia di Kassam lanciati da Hamas che di nuovo perseguita le città di Sderot, Ashkelon e i kibbutz (ieri ci sono stati altri lanci): sappiamo che ponderate l’invasione di Gaza anche per aiutare Abu Mazen, ha detto il re, ma non fatelo, questo metterebbe la Giordania in grave pericolo, forse darebbe fuoco a tutte le polveri del Medioriente. I palestinesi, ha detto, che rappresentano il 75% della popolazione, si rivolterebbero contro la nostra pace con voi; la Fratellanza islamica egiziana, gli Hezbollah, la Siria e l’Iran, tutte le forze estremiste affiancherebbero Hamas. Olmert ha risposto che a Israele la sorte del regno hashemita sta molto a cuore, e che la valutazione dell’intervento eventuale terrà ben presente i desideri dell’unico Paese che ha firmato una pace con Israele, oltre all’Egitto. [...]

Necessario un ripensamento della missione Unifil

venerdì 21 novembre 2008 Attivita parlamentari 1 commento
Intervento in Aula in fase di dichiarazioni di voto sulla discussione in merito al rifinanziamento delle missioni italiane all'estero e all'invio di osservatori in Georgia, nell'ambito della missione congiunta dell'Unione Europea

19 novembre 2006

Signor Presidente, onorevoli colleghi, mi associo alle considerazioni generali svolte dall'onorevole Pianetta e non ritorno, quindi, sullaquestione. Però, è per me un obbligo morale svolgere due osservazionigenerali e una specifica.
Prima di tutto, ritengo sia giusto che le nostre missioni siano tali inquanto rivolte alla ricerca della pace e della stabilità mondiale.Tuttavia, voglio riaffermare qui che è anche in corso, in parecchi deiteatri di guerra in cui ci troviamo ad agire, un'autentica guerracontro la Jihad islamica. Si tratta di un fatto che non dobbiamodimenticare, perché altrimenti, se le nostre intenzioni non vedonochiaro, al di là di questa volontà complessiva - che approvo -dell'intera comunità europea, rischiamo di non avere chiaro l'obiettivodelle nostre missioni.
In secondo luogo, sempre come considerazione di carattere generale, èmolto importante per tutti noi evitare il sacrificio dei civili; anchequesto è un compito morale di prima grandezza. Bisogna, però, ricordareche il sacrificio dei civili deriva, per la gran parte, dal fatto checi troviamo in teatri in cui la guerra asimmetrica è di uso generale.Da parte di elementi della guerriglia e del terrorismo, l'uso deicivili come scudo umano (che è un crimine di guerra di prima grandezza,attribuito, secondo le Convenzioni di Ginevra, unicamente a chi lomette in atto) è la pratica comune. Dobbiamo studiare questo argomentoanche a partire da questa considerazione, altrimenti non possiamovenirne a capo. [...]

La tregua rotta a Gaza, la strategia segreta di Hamas

lunedì 17 novembre 2008 Il Giornale 6 commenti
Il Giornale, 17 novembre 2008 

Dal 19 giugno scorso l’infernale vita dei cittadini di Sderot, su cui surrealmente giorno dopo giorno dallo sgombero da Gaza nell’agosto 2005, si sono abbattute migliaia di missili kassam, era gradualmente migliorata. La Tahadiya, una tregua di sei mesi e che quindi avrebbe dovuto concludersi il prossimo 19 gennaio, si era stabilizzata in circa un mese: il tempo per Hamas, che governa Gaza, di imporre uno stop anche alle altre organizzazioni terroriste nella sua giurisdizione per impedire che uomini dal volto mascherato andassero con i lanciamissili in spalla fino presso il confine a sparare, per poi sgombrare il campo e sfuggire alla risposta israeliana. Adesso, la tregua sembra alla sua conclusione: in pochi giorni Sderot, le cittadine e i kibbutz del sud vicino al confine, di nuovo tremano per i bambini, mancano i rifugi, quando suona la sirena nessuno sa dove mettersi al riparo mentre arriva il missile. Israele tutta si domanda se alla fine sia stata una buona idea consentire che Hamas utilizzasse questi mesi per scavare tunnel dall’Egitto, autentiche autostrade oltre che di generi di consumo di ogni tipo, soprattutto di armi avanzate e abbondanti per milizie sempre meglio addestrate. Il premier Ehud Olmert ha detto ieri che non ci sono equivoci: Hamas è responsabile della rottura della tregua, le azioni di Israele sono solo risposte che diventeranno sempre più serie e puntuali ad ogni attacco. Anche Ashkelon venerdì è stata preso di mira da missili Grad, di migliore stabilità e più lunga gittata dei Kassam. [...]

Barack e quei timori a Gerusalemme

domenica 9 novembre 2008 Il Giornale 6 commenti
Il Giornale, 8 novembre 2008

È la vulnerabilità della politica della speranza, il tradimento dei pensieri carichi di buone intenzioni, il colpo della strega che proviene dall’alzarsi dalle belle poltrone dei colloqui di Camp David per trovarsi d’un tratto nell’Intifada del terrore che fa esplodere bar, ristoranti, autobus, supermarket, ciò che oggi crea ansia in Israele sulla futura politica di Obama. Obama piace istintivamente allo spirito ebraico liberal, alleato dei neri nella lotta contro il razzismo e per i diritti umani: il 74% degli ebrei americani l’ha votato, ma in Israele il futuro è più importante delle appartenenze e delle civetterie.
Obama potrebbe non tenere conto della storia della speranza in Medio Oriente, storia tragica, con tante occasioni volutamente perdute da un mondo arabo che sogna la distruzione di Israele mentre dice "land for peace". Obama, si vede nei suoi discorsi, non ritiene primario l’integralismo religioso, il problema del terrorismo, e desidera distanziarsi da Bush prima possibile. Israele l’ha sperimentato soprattutto con Arafat, designato illusoriamente come partner di pace prima del premio Nobel fra i peggio assegnati della storia. Israele, e lo dicono decine di dichiarazioni e commenti, inclusa la telefonata di Olmert a Obama e persino un messaggio molto affettuoso di Netanyahu, non pensa che il presidente eletto sia ingenuo, che possa avventurarsi in passi fatali. Ma l’Iran incombe. Non si scherza con il pericolo iraniano: meglio di tutti lo ha scritto lo storico Benny Morris che ha dipinto Israele devastata dall’atomica, la sua arida terra restituita ai frutti e ai fiori, di nuovo una terra desolata; le case, le scuole, i ristoranti, gli ospedali tombe invece che segnali di civiltà e di vita. [...]

Alla prova del Medioriente

giovedì 6 novembre 2008 Panorama 1 commento
Panorama, 6 novembre 2008, p. 52

Non c’è zona del mondo più immediatamente investita del Medio Oriente dalla svolta fatale che Obama potrebbe portare: qui, un cambiamento della politica degli Stati Uniti potrebbe implicare, in primis, la revisione del mitico, intimo rapporto fra i popoli e i governi di Israele e degli USA. Il mondo arabo spera che venga a cadere il sentimento di un’indispensabile Israele, unico Paese democratico, Paese modello nell’area, promosso a bandiera e baluardo degli USA nella sua larga, criticatissima guerra contro il terrorismo e per la democrazia. Bush ha promosso l’affermazione americana del diritto alla difesa di Israele al tempo dell’Intifada del terrorismo suicida. Gli USA hanno anche rovesciato l’idea che il teorema “land for peace” significhi rinuncia territoriale con conseguente, e magari eventuale, impegno palestinese; visti i risultati dello sgombero di Gaza, ha statuito che ritirarsi per Israele non significa pace e sicurezza, ma che per arrivarci occorra una “road map”come quella di Annapolis. Obama potrebbe tornare a Annapolis, e si sa che Condi Rice ha già cercato di convincerlo, ma Obama ha una linea di politica internazionale che innanzitutto vorrà porsi in antagonismo con quella di Bush, svoltare rispetto alle caratteristiche del suo predecessore, fare qualcosa di spettacolare che potrebbe essere, dato che l’Afghanistan e l’Iraq non sono terreni in cui si possano fare passi avventati, l’apertura di un tavolo di discussione con un Iran solo  avido di guadagnare tempo per le sue strutture atomiche in costruzione. [...]

A noi mancano gli eroi positivi

lunedì 3 novembre 2008 Il Giornale 8 commenti

Il Giornale, 3 novembre 2008

Amare Obama da destra non è un fenomeno strano, ma ha un contenuto profondo, e un po’ preoccupante. Non è infatti semplicemente il desiderio di fare un surf, all’occasione, sulla grande onda del corrente modello della bontà mondiale, così larga, così iconograficamente giovane e attraente; è semmai la pulsione, sempre forte in Italia, di fare qualcosa di sinistra.
La mancanza di uno sfondo teorico e estetico sufficiente per la cultura conservatrice, la incapacità a divenire padroni del discorso pubblico, legittimato dagli intellettuali e dagli artisti, è una malattia italiana. Non è così nella storia degli Stati Uniti: lo spirito conservatore conta eroi positivi alla John Wayne fra gli scrittori, i teorici, gli economisti... La sua storia è profonda, si fonda sulla lotta per la sopravvivenza, la cultura della frontiera, il capitalismo individualistico, la mancanza di vincoli con qualsiasi ancien régime, la mistura fra guerra e Costituzione (Washington era un generale); l’Inghilterra ha prodotto parecchi Churchill; la Francia vanta un De Gaulle, in Israele un Begin o uno Sharon, gente di guerra che la guerra e il valore personale non hanno mai ripudiati teoricamente, ma che sa sgomberare l’Algeria, il Sinai e Gaza.
Da noi, nonostante l’innegabile sforzo di tanti conservatori, il peso delegittimante dell’identificazione della Chiesa (che ha conteso allo Stato la cosa pubblica, non l’ha nutrito) e del fascismo con la destra, impedisce alla cultura conservatrice di decollare. Con Obama per un attimo puoi illuderti di vivere nel consenso, puoi mescolarti con una folla che chiede il Nuovo, grande categoria, per un attimo ti puoi dire Yes! you can nel momento in cui invece la delegittimazione sale fino al naso, la piazza ti urla contro, e il tuo modo d’essere, anche quando Berlusconiha il 70% dei consensi, in società risulta sempre delegittimato [...]

Il meticciato non c’entra

venerdì 31 ottobre 2008 Il Giornale 8 commenti
Il Giornale, 31 ottobre 2008

L'entusiasmo che ha accompagnato anche da noi la campagna elettorale di Barack Obama è quasi commovente, perché è l'unica "cosa di sinistra" su cui l'opinione pubblica appunto di sinistra abbia avuto ultimamente l'occasione di esercitare la sua fiducia nel futuro. E a ragione: Obama è di sinistra sui temi economici e sociali e in politica estera, dall'aumentare le tasse e ridistribuire, fino al giudizio sull'Irak e sul parlare con l'Iran e senza precondizioni. Barack Obama è comunitario e messianico nei toni e nella sua storia personale, sua moglie ha dichiarato che è la prima volta, da quando il marito è candidato, che ha fiducia negli States, le foto della sua cena con Edward Said, molto cordiale, potrebbero figurare in qualsiasi album di ricordi di un rappresentante della sinistra intellettuale americana, così come il suo gesto di togliersi la spilletta con la bandiera a stelle e strisce per protestare contro la guerra in Irak. E' legittimo e logico che la sinistra e l'Europa che crede nell'appeasement e che ha odiato Gorge Bush sbagliando in toto, secondo noi, il giudizio che ne darà la storia, ne faccia il suo campione: quello che non si può invece accettare è che si attribuisca alla figura di Obama un ruolo palingenetico, salvifico, legato soprattutto al colore della sua pelle, alla sua storia personale di "meticcio", una specie di messia che porta un soffio di cultura nuova al mondo. Così lo qualifica Gad Lerner nell'articolo che ieri appariva in prima pagina di Repubblica. Per due ragioni: Obama non è il primo afroamericano sulla strada del grande potere, né, per altro, è un meticcio culturale. Fra l'altro era questo il meticciato pericoloso cui si riferiva il senatore Marcello Pera, quello delle usanze e delle convinzioni politiche inaccettabili dalla nostra civiltà (condizione della donna, mutilazioni, poligamia, jihad islamica), non certo quello delle origini o del colore della pelle. [...]

Il diktat di Bush alla Siria: basta ospitare terroristi

martedì 28 ottobre 2008 Il Giornale 8 commenti
Il Giornale, 28 ottobre 2008

Sono naturalmente di rabbia e di vendetta le dichiarazioni siriane che denunciano come un «crimine oltraggioso» gli otto morti per mano americana a Sukkariya, otto chilometri dal confine iracheno. La Siria ha anche minacciato una reazione militare contro gli Stati Uniti e si sono cominciate a diffondere voci che gli elicotteri avessero scelto la strada dello spazio aereo israeliano (anche se la cosa appare geograficamente irrealistica), e sembra che anche Hezbollah sia nel più alto stato di allarme, ritenendo che forse Israele potrebbe considerare la strada aperta da Washington come un’indicazione a intraprendere un’azione contro il suo totale riarmo. La televisione del presidente siriano Bashar el Assad ha mostrato tutto il giorno immagini amatoriali degli elicotteri americani provenienti dall’Irak, oggetti insanguinati, interviste a testimoni che ripetono che le vittime erano civili innocenti. Secondo fonti americane, il target era un importante leader di Al Qaida.
Ci sono tre domande che aspettano una risposta: qual è il significato di ciò che è accaduto, qual era l’obiettivo, che cosa succederà adesso. Possiamo fare soltanto ipotesi. Ma una verità sembra palmare: gli Stati Uniti hanno individuato a Sukkariya un obiettivo urgente, tale da costringere a un’operazione immediata nell’ambito della guerra al terrorismo. Ovvero, ritiene i terroristi provenienti dalla Siria e che ci rientrano, o che vi si rifugiano, molto importanti. Questo tipo di operazione (sempre che non siano stati commessi errori, il che è possibile) richiede un crudele tempismo e spesso risulta tanto più difficile da decifrare quanto più il raid è importante. [...]

Consigli di lettura

lunedì 27 ottobre 2008 Generico 4 commenti
Consigli di letturaVi segnalo un bel libro di Sami Michael, scrittore nato a Baghdad ed emigrato in Israele nel 1949 - RIFUGIO (Giuntina, pag. 341, euro 17, traduzione di Dalia Padoa). E’ forse l’unico libro scritto in ebraico che spieghi in modo esauriente (e avvincente) i sentimenti e le contraddizioni che si vivono nel mondo arabo-palestinese, delineando molto bene i rapporti tra arabi israeliani, palestinesi profughi e palestinesi non profughi. Un mondo poco conosciuto, non parco di sorprese...

1973: guerra del Kippur. A Haifa lontana dal fronte, prigioniera del coprifuoco, non è solo la paura che dilaga alle notizie trasmesse dalle radio sempre accese. Per coloro che, arabi ed ebrei, lottano da sempre per i diritti dell'altro con fede incrollabile nel marxismo, a deflagrare sono anche le contraddizioni.
Sami Michael, senza censure o partigianeria, ne focalizza i punti nevralgici. Attraverso i vari personaggi, israeliani e palestinesi, e le loro storie intime, offre al lettore la chiave per comprendere la realtà complessa di un mondo che i mass media troppo spesso semplificano in una visione piatta e manichea. Un romanzo intenso in cui emergono le molteplici sfaccettature delle ragioni dell'una e dell'altra parte senza che gli antagonismi oscurino l'umanità di chi vive accanto a noi. [...]

Siria funambolica

venerdì 24 ottobre 2008 Panorama 0 commenti
Panorama, 24 ottobre 2008

La Siria è capace di praticare la politica più funambolica del mondo nel tenere un piede in due staffe, ovvero nel compiere operazioni che sono l’esatto contrario l’una dell’altra. La Francia e l’Europa vogliono redimerla, la Russia armarla, gli USA smascherarla, Israele pensa che sia pronta alla pace... E così, ognuno dei furbi giocatori internazionali pensa che la sua linea sia quella che vince, mentre è solo quella di Bashar Assad, per ora indissolubilmente connessa a quella iraniana, che ammicca da dietro ogni mossa. La Siria dai giorni scorsi è protagonista di due eventi diametralmente opposti. Il primo, le relazioni diplomatiche stabilite con il Libano il 14 ottobre, dopo quasi 70 anni di rifiuto, da quando ambedue gli stati nel 1940 hanno ricevuto l’indipendenza dalla Francia, e la Siria si è rifiutata di considerare il Libano come un Paese indipendente. Il secondo evento, però, è l’ammasso dal 14 settembre di sei-ottomila soldati sul confine nord del Libano appartenenti alla Quarta Divisione meccanizzata (con carri armati e artiglieria) più (il 7 ottobre, sembra) altri soldati appartenenti alla Dodicesima di fronte alla vallate della Beqaa: metà del Libano così è assediata dalla minaccia di un’invasione militare siriana. L’assedio viene motivato da Assad col rischio di infiltrazioni sunnite e terroriste del “Cartello 14 marzo”. Ma Condi Rice ha lanciato un brusco altolà a Damasco questa stessa settimana dicendo che “gli USA non permetteranno attacchi militari al Libano”. L’atteggiamento della Rice è molto serio ed è stato reiterato dal suo segretario Eric Edelman in visita a Beirut. [...]
Per offrirti un servizio migliore fiammanirenstein.com utilizza cookies. Continuando la navigazione nel sito autorizzi l'uso dei cookies.