Barack e quei timori a Gerusalemme
È la vulnerabilità della politica della speranza, il tradimento dei pensieri carichi di buone intenzioni, il colpo della strega che proviene dall’alzarsi dalle belle poltrone dei colloqui di Camp David per trovarsi d’un tratto nell’Intifada del terrore che fa esplodere bar, ristoranti, autobus, supermarket, ciò che oggi crea ansia in Israele sulla futura politica di Obama. Obama piace istintivamente allo spirito ebraico liberal, alleato dei neri nella lotta contro il razzismo e per i diritti umani: il 74% degli ebrei americani l’ha votato, ma in Israele il futuro è più importante delle appartenenze e delle civetterie.
Obama potrebbe non tenere conto della storia della speranza in Medio Oriente, storia tragica, con tante occasioni volutamente perdute da un mondo arabo che sogna la distruzione di Israele mentre dice "land for peace". Obama, si vede nei suoi discorsi, non ritiene primario l’integralismo religioso, il problema del terrorismo, e desidera distanziarsi da Bush prima possibile. Israele l’ha sperimentato soprattutto con Arafat, designato illusoriamente come partner di pace prima del premio Nobel fra i peggio assegnati della storia. Israele, e lo dicono decine di dichiarazioni e commenti, inclusa la telefonata di Olmert a Obama e persino un messaggio molto affettuoso di Netanyahu, non pensa che il presidente eletto sia ingenuo, che possa avventurarsi in passi fatali. Ma l’Iran incombe. Non si scherza con il pericolo iraniano: meglio di tutti lo ha scritto lo storico Benny Morris che ha dipinto Israele devastata dall’atomica, la sua arida terra restituita ai frutti e ai fiori, di nuovo una terra desolata; le case, le scuole, i ristoranti, gli ospedali tombe invece che segnali di civiltà e di vita. [...]
Alla prova del Medioriente
Non c’è zona del mondo più immediatamente investita del Medio Oriente dalla svolta fatale che Obama potrebbe portare: qui, un cambiamento della politica degli Stati Uniti potrebbe implicare, in primis, la revisione del mitico, intimo rapporto fra i popoli e i governi di Israele e degli USA. Il mondo arabo spera che venga a cadere il sentimento di un’indispensabile Israele, unico Paese democratico, Paese modello nell’area, promosso a bandiera e baluardo degli USA nella sua larga, criticatissima guerra contro il terrorismo e per la democrazia. Bush ha promosso l’affermazione americana del diritto alla difesa di Israele al tempo dell’Intifada del terrorismo suicida. Gli USA hanno anche rovesciato l’idea che il teorema “land for peace” significhi rinuncia territoriale con conseguente, e magari eventuale, impegno palestinese; visti i risultati dello sgombero di Gaza, ha statuito che ritirarsi per Israele non significa pace e sicurezza, ma che per arrivarci occorra una “road map”come quella di Annapolis. Obama potrebbe tornare a Annapolis, e si sa che Condi Rice ha già cercato di convincerlo, ma Obama ha una linea di politica internazionale che innanzitutto vorrà porsi in antagonismo con quella di Bush, svoltare rispetto alle caratteristiche del suo predecessore, fare qualcosa di spettacolare che potrebbe essere, dato che l’Afghanistan e l’Iraq non sono terreni in cui si possano fare passi avventati, l’apertura di un tavolo di discussione con un Iran solo avido di guadagnare tempo per le sue strutture atomiche in costruzione. [...]
A noi mancano gli eroi positivi
Il Giornale, 3 novembre 2008
Amare Obama da destra non è un fenomeno strano, ma ha un contenuto profondo, e un po’ preoccupante. Non è infatti semplicemente il desiderio di fare un surf, all’occasione, sulla grande onda del corrente modello della bontà mondiale, così larga, così iconograficamente giovane e attraente; è semmai la pulsione, sempre forte in Italia, di fare qualcosa di sinistra.
La mancanza di uno sfondo teorico e estetico sufficiente per la cultura conservatrice, la incapacità a divenire padroni del discorso pubblico, legittimato dagli intellettuali e dagli artisti, è una malattia italiana. Non è così nella storia degli Stati Uniti: lo spirito conservatore conta eroi positivi alla John Wayne fra gli scrittori, i teorici, gli economisti... La sua storia è profonda, si fonda sulla lotta per la sopravvivenza, la cultura della frontiera, il capitalismo individualistico, la mancanza di vincoli con qualsiasi ancien régime, la mistura fra guerra e Costituzione (Washington era un generale); l’Inghilterra ha prodotto parecchi Churchill; la Francia vanta un De Gaulle, in Israele un Begin o uno Sharon, gente di guerra che la guerra e il valore personale non hanno mai ripudiati teoricamente, ma che sa sgomberare l’Algeria, il Sinai e Gaza.
Da noi, nonostante l’innegabile sforzo di tanti conservatori, il peso delegittimante dell’identificazione della Chiesa (che ha conteso allo Stato la cosa pubblica, non l’ha nutrito) e del fascismo con la destra, impedisce alla cultura conservatrice di decollare. Con Obama per un attimo puoi illuderti di vivere nel consenso, puoi mescolarti con una folla che chiede il Nuovo, grande categoria, per un attimo ti puoi dire Yes! you can nel momento in cui invece la delegittimazione sale fino al naso, la piazza ti urla contro, e il tuo modo d’essere, anche quando Berlusconiha il 70% dei consensi, in società risulta sempre delegittimato [...]
Il meticciato non c’entra
L'entusiasmo che ha accompagnato anche da noi la campagna elettorale di Barack Obama è quasi commovente, perché è l'unica "cosa di sinistra" su cui l'opinione pubblica appunto di sinistra abbia avuto ultimamente l'occasione di esercitare la sua fiducia nel futuro. E a ragione: Obama è di sinistra sui temi economici e sociali e in politica estera, dall'aumentare le tasse e ridistribuire, fino al giudizio sull'Irak e sul parlare con l'Iran e senza precondizioni. Barack Obama è comunitario e messianico nei toni e nella sua storia personale, sua moglie ha dichiarato che è la prima volta, da quando il marito è candidato, che ha fiducia negli States, le foto della sua cena con Edward Said, molto cordiale, potrebbero figurare in qualsiasi album di ricordi di un rappresentante della sinistra intellettuale americana, così come il suo gesto di togliersi la spilletta con la bandiera a stelle e strisce per protestare contro la guerra in Irak. E' legittimo e logico che la sinistra e l'Europa che crede nell'appeasement e che ha odiato Gorge Bush sbagliando in toto, secondo noi, il giudizio che ne darà la storia, ne faccia il suo campione: quello che non si può invece accettare è che si attribuisca alla figura di Obama un ruolo palingenetico, salvifico, legato soprattutto al colore della sua pelle, alla sua storia personale di "meticcio", una specie di messia che porta un soffio di cultura nuova al mondo. Così lo qualifica Gad Lerner nell'articolo che ieri appariva in prima pagina di Repubblica. Per due ragioni: Obama non è il primo afroamericano sulla strada del grande potere, né, per altro, è un meticcio culturale. Fra l'altro era questo il meticciato pericoloso cui si riferiva il senatore Marcello Pera, quello delle usanze e delle convinzioni politiche inaccettabili dalla nostra civiltà (condizione della donna, mutilazioni, poligamia, jihad islamica), non certo quello delle origini o del colore della pelle. [...]
Il diktat di Bush alla Siria: basta ospitare terroristi
Sono naturalmente di rabbia e di vendetta le dichiarazioni siriane che denunciano come un «crimine oltraggioso» gli otto morti per mano americana a Sukkariya, otto chilometri dal confine iracheno. La Siria ha anche minacciato una reazione militare contro gli Stati Uniti e si sono cominciate a diffondere voci che gli elicotteri avessero scelto la strada dello spazio aereo israeliano (anche se la cosa appare geograficamente irrealistica), e sembra che anche Hezbollah sia nel più alto stato di allarme, ritenendo che forse Israele potrebbe considerare la strada aperta da Washington come un’indicazione a intraprendere un’azione contro il suo totale riarmo. La televisione del presidente siriano Bashar el Assad ha mostrato tutto il giorno immagini amatoriali degli elicotteri americani provenienti dall’Irak, oggetti insanguinati, interviste a testimoni che ripetono che le vittime erano civili innocenti. Secondo fonti americane, il target era un importante leader di Al Qaida.
Ci sono tre domande che aspettano una risposta: qual è il significato di ciò che è accaduto, qual era l’obiettivo, che cosa succederà adesso. Possiamo fare soltanto ipotesi. Ma una verità sembra palmare: gli Stati Uniti hanno individuato a Sukkariya un obiettivo urgente, tale da costringere a un’operazione immediata nell’ambito della guerra al terrorismo. Ovvero, ritiene i terroristi provenienti dalla Siria e che ci rientrano, o che vi si rifugiano, molto importanti. Questo tipo di operazione (sempre che non siano stati commessi errori, il che è possibile) richiede un crudele tempismo e spesso risulta tanto più difficile da decifrare quanto più il raid è importante. [...]
Consigli di lettura

1973: guerra del Kippur. A Haifa lontana dal fronte, prigioniera del coprifuoco, non è solo la paura che dilaga alle notizie trasmesse dalle radio sempre accese. Per coloro che, arabi ed ebrei, lottano da sempre per i diritti dell'altro con fede incrollabile nel marxismo, a deflagrare sono anche le contraddizioni.
Sami Michael, senza censure o partigianeria, ne focalizza i punti nevralgici. Attraverso i vari personaggi, israeliani e palestinesi, e le loro storie intime, offre al lettore la chiave per comprendere la realtà complessa di un mondo che i mass media troppo spesso semplificano in una visione piatta e manichea. Un romanzo intenso in cui emergono le molteplici sfaccettature delle ragioni dell'una e dell'altra parte senza che gli antagonismi oscurino l'umanità di chi vive accanto a noi. [...]
Siria funambolica
La Siria è capace di praticare la politica più funambolica del mondo nel tenere un piede in due staffe, ovvero nel compiere operazioni che sono l’esatto contrario l’una dell’altra. La Francia e l’Europa vogliono redimerla, la Russia armarla, gli USA smascherarla, Israele pensa che sia pronta alla pace... E così, ognuno dei furbi giocatori internazionali pensa che la sua linea sia quella che vince, mentre è solo quella di Bashar Assad, per ora indissolubilmente connessa a quella iraniana, che ammicca da dietro ogni mossa. La Siria dai giorni scorsi è protagonista di due eventi diametralmente opposti. Il primo, le relazioni diplomatiche stabilite con il Libano il 14 ottobre, dopo quasi 70 anni di rifiuto, da quando ambedue gli stati nel 1940 hanno ricevuto l’indipendenza dalla Francia, e la Siria si è rifiutata di considerare il Libano come un Paese indipendente. Il secondo evento, però, è l’ammasso dal 14 settembre di sei-ottomila soldati sul confine nord del Libano appartenenti alla Quarta Divisione meccanizzata (con carri armati e artiglieria) più (il 7 ottobre, sembra) altri soldati appartenenti alla Dodicesima di fronte alla vallate della Beqaa: metà del Libano così è assediata dalla minaccia di un’invasione militare siriana. L’assedio viene motivato da Assad col rischio di infiltrazioni sunnite e terroriste del “Cartello 14 marzo”. Ma Condi Rice ha lanciato un brusco altolà a Damasco questa stessa settimana dicendo che “gli USA non permetteranno attacchi militari al Libano”. L’atteggiamento della Rice è molto serio ed è stato reiterato dal suo segretario Eric Edelman in visita a Beirut. [...]
"La schiavitù del XXI secolo: tratta degli esseri umani e lavoro forzato"
Intervento di Fiamma Nirenstein al simposio su "La schiavitù del XXI secolo: tratta degli esseri umani e lavoro forzato", organizzato dall'Unione forense per la tutela dei diritti dell'uomo, in occasione della consegna del premio Ludovic Trarieux all'Avvocato U Aye Myint, perseguitato in Birmania per la sua attività contro il lavoro forzato.
Sono intervenuti tra gli altri: Mara Carfagna, Savino Pezzotta, Alfredo Mantovano, Emma Bonino, Francesco Rutelli
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Iran esclusa dal Consiglio di Sicurezza. Bene, ma bisogna continuare a fronteggiare la minaccia
Con il voto di quest’oggi si è scongiurato il rischio che l’Iran siedanel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite come membro nonpermanente. Sono stati esauditi gli auspici che il Parlamento italianoaveva espresso nella risoluzione approvata all’unanimità dallaCommissione esteri della Camera dei Deputati, che impegnava il Governoitaliano a ricercare in sede europea una effettiva unità di intenti edi azione per preservare il ruolo e la credibilità del Consiglio diSicurezza dell'Onu in modo che non includa Paesi sottoposti a sanzioni.
Gli Stati che si sono opposti a questa candidatura hanno quindidimostrato di non tollerare il livello di inciviltà continuamentepropugnato dal Presidente iraniano Ahmadinejad, non da ultimo nel suodiscorso antisemita e antioccidentale alla sessione di aperturadell'Assemblea Generale dell'Onu, lo scorso 24 settembre. Questaconsapevolezza di buona parte del consesso internazionale apparefondamentale per riaffermare la credibilità di un'istituzione quale ilConsiglio di Sicurezza nel suo ruolo di garante della legalitàinternazionale.
Tuttavia, il fatto che la provocazione iraniana non abbia trovatoriscontro tra la maggior parte degli Stati che siedono all’Onu, nonrende meno rischiosa la strategia che l’Iran sta perseguendo attraversola costruzione di centrali atomiche – nonostante i tre round disanzioni Onu -, l'acquisizione di missili a lungo raggio e ilsovvenzionamento al terrorismo, tutti fattori che minano fortemente lastabilità internazionale.
Mamma mia!, il riscatto delle splendide sessantenni
Questo articolo è dedicato agli uomini e alle donne che hanno 50 o anche 60 anni e che si sentono assediati o imbarazzati dal corrente atteggiamento verso la donna sopra i cinquanta. La quale peraltro in genere è oggi piena di vita, attraente, sexy come mai nella storia; a scrivere mi spinge il film con Meryl Streep "Mamma mia", di cui certo non mi saprei occupare professionalmente.
Mamma mia è suggestivo e influente come i grandi musical, come Hair, Cats, Jesus Christ Superstar, Cabaret; vederlo al cinema è un incanto per la bravura degli attori nella recitazione e nell’imperfezione della performance nelle supercanzoni degli Abba. Il film è un’americanata, troppo lieve, colorato e allegro per essere significativo? Ma per favore: l’America dello spettacolo leggero, con la musica e le trame apparentemente semplici, è madre di una complessità iconografica e psicologica (basta pensare ai volumi scritti su Via col vento) che l’Europa ha molta difficoltà, saccente com’è, a riconoscere. [...]