Fiamma Nirenstein Blog

Una Biennale del dissenso islamico

sabato 9 agosto 2008 Generico 0 commenti
Il precedente del ' 77, quando la manifestazione venne dedicata al comunismo dell' Est tra le polemiche.
Ripa di Meana lancia l'idea. Sì da Foa, Nirenstein e Ranieri, riserve di Debenedetti.


Il modello è la Biennale del dissenso tenuta nel 1977. All' epoca Carlo Ripa di Meana aprì la tradizionale rassegna delle arti di Venezia alla cultura oppressa dai regimi comunisti, ospitando voci prestigiose come il polacco Gustaw Herling, il cubano Carlos Franqui, il futuro premio Nobel russo Iosif Brodskij. Per condurre in porto l' impresa, osteggiata violentemente da Mosca, fu necessario superare, con l' appoggio di Bettino Craxi, le resistenze degli intellettuali legati al Pci, che avanzarono numerose obiezioni. Dietro l' ostruzionismo, afferma Ripa di Meana in un' intervista apparsa ieri sul Foglio, c' era la mano di Aldo Tortorella, alto dirigente di Botteghe Oscure, «che guidò questa vicenda nel vasto mondo della cultura comunista del tempo». Adesso, continua, il filo andrebbe ripreso, promuovendo un' iniziativa analoga con i dissidenti del mondo islamico, a partire dal lavoro svolto da Magdi Allam: «Ma in materia i politici italiani sono capaci solo di cose rapsodiche e scadenti», aggiunge Ripa di Meana, riferendosi esplicitamente alla famosa maglietta del ministro Roberto Calderoli. Sull' importanza del tema non ci sono dubbi, però l' accusa può apparire eccessiva. Ad esempio Fiamma Nirenstein, oggi deputata del Pdl, ricorda la conferenza sulla lotta per la democrazia nel mondo islamico organizzata a Roma, nel dicembre scorso, da tre fondazioni vicine al centrodestra: Magna Carta, Farefuturo e Craxi. «Vennero intellettuali iraniani, siriani, egiziani, libanesi, sudanesi - dichiara la parlamentare al Corriere - esponendosi a seri rischi. E parteciparono politici importanti come Gianfranco Fini e Fabrizio Cicchitto. Il vero problema è che rispetto alla violenza della repressione nel mondo islamico sono le organizzazioni internazionali per i diritti umani, influenzate da stereotipi terzomondisti, ad essere timide e incerte. E mi sembra che anche una vasta parte della sinistra italiana, condizionata dall' eredità dell' epoca in cui gli Stati arabi erano alleati dell' Urss, sottovaluti il problema». Certo a quella parte della sinistra sono estranei Umberto Ranieri e Giuseppe Caldarola. «La Biennale del 1977 - afferma quest' ultimo, ex direttore dell' Unità - fu la più grande occasione perduta dai riformisti del Pci, che non capirono la necessità di appoggiare i dissidenti dell' Est. E ora nei confronti del mondo islamico vedo a sinistra troppa accondiscendenza. Sarebbe opportuno fare da sponda ai tentativi degli intellettuali musulmani per affrancarsi dal fondamentalismo. E temo che la sinistra non abbia voglia di farlo: il pregiudizio filoarabo è forse più pervasivo di quanto non fosse quello filosovietico». Anche Ranieri, ex presidente della Commissione Esteri della Camera, condivide l' idea di Ripa di Meana: «Nel mondo islamico tutto è più difficile rispetto al blocco sovietico: lo stesso tema dello sviluppo della democrazia si pone in termini diversi. Credo però che si debba partire anche qui dal richiamo al rispetto dei diritti umani. Il patto di Helsinki del 1975, che affermava quel principio in tutta Europa, aprì una breccia nella cortina di ferro e credo che si debba pensare a qualcosa di simile per l' area mediterranea». Qualche dubbio sull' analogia con il comunismo viene da un' altra voce critica della sinistra, Franco Debenedetti: «Se Ripa di Meana ha ragione, quando evidenzia una minore sensibilità verso le violazioni delle libertà nel mondo islamico, bisogna chiedersi perché ciò avvenga. Io non credo che sia per ignavia o per via del filoarabismo, che pure rimane una costante della politica italiana, difficile da sradicare. Il punto è che all' epoca del conflitto Est-Ovest era chiaro chi stava dalla parte della libertà e chi la negava. Oggi invece, nel mondo globalizzato e con l' intreccio tra motivi politici e religiosi che caratterizza l' Islam, tutto diventa più complicato. Ci sono regimi moderati, come in Egitto e in Arabia Saudita, che non sono affatto liberali. E popoli in lotta per l' indipendenza, come i ceceni, che si richiamano al fondamentalismo». Diversa l' impostazione di Renzo Foa, direttore del quotidiano liberal: «Bisogna ritrovare il senso di una distinzione netta tra il bene e il male, tra la libertà e la tirannia. Invece noi europei siamo spesso disposti a chiudere un occhio (il caso più clamoroso è l' Iran) in cambio di gas e petrolio. Ben venga allora una biennale sul dissenso nell' Islam. Anzi bisogna aiutare anche gli oppositori di altri regimi dispotici, come quello cinese. Non vale a mio avviso la scusa di voler garantire la stabilità: meglio il disordine, se l' alternativa sono le dittature» Insiste invece sulla complessità dei problemi Antonio Polito, direttore del Riformista: «Una biennale islamica si scontrerebbe con i divieti posti dal Corano alle arti figurative, il che basta a misurare la distanza che ci separa da quel mondo, mentre lo scontro tra Occidente e Urss avveniva pur sempre nell' ambito della stessa civiltà. Non a caso l' esportazione della democrazia tentata dagli Stati Uniti ha dato scarsi risultati. Più fruttuosa mi sembra la via tentata da Emma Bonino per l' affermazione dei diritti umani. Ma va aggiunto che gli intellettuali occidentali esitano a impegnarsi contro il fondamentalismo islamico soprattutto per paura. Il fanatismo dei terroristi suicidi, che proclamano di amare la morte, incute un gran timore, come si è visto nel caso delle vignette danesi».

Antonio Carioti

Pagina 51
(8 agosto 2008) - Corriere della Sera

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