La comunità internazionale garantisca la sicurezza in Darfur
Quest'azione si pone totalmente in linea con il corso delle indagini seguito dal Procuratore generale della CPI ed era stata anticipata già l'anno scorso, nell'aprile 2007, dal conseguimento da parte di Moreno-Ocampo di due mandati d'arresto per gli stessi reati nei confronti dell'ex ministro dell'Interno Ahmed Harun, oggi ministro degli Affari umanitari, e del leaderdei janjaweed Ali Kosheib, entrambi ancora in libertà a causa del rifiuto del governo sudanese di consegnarli alle autorità competenti.
Quella di oggi è una richiesta storica, in quanto sarebbe la prima volta che un capo di Stato in carica viene rinviato a giudizio per crimini di guerra presso una corte internazionale.
Tuttavia, nel mostrare l'approvazione per questo passo, dobbiamo anche preoccuparci in sede internazionale di affrontare le conseguenze che questa scelta, già descritta come eversiva dai vertici dell'Unione Africana e chiaramente dalle autorità governative sudanesi, potrebbe comportare: ovvero causare ulteriori sommosse all'interno del Paese e inasprire i contrasti traesercito e milizie filo-governative da un lato e gruppi ribelli del Darfur dall'altro.
Per questo auspico che l'Italia, sia in sede europea sia in veste di membro non permanente del Consiglio di Sicurezza dell'Onu, si adoperi per porre fine all'isolamento della regione occidentale del Sudan e a un conflitto che, stando alle stime dell'Onu, dal febbraio 2003 ha provocato più di 250,000 vittime e oltre 2 milioni di sfollati.
Spero quindi che, parallelamente alle iniziative giudiziarie, l'Onu si impegni a fare fede ai propri impegni, come quello assunto con la Risoluzione 1769 (luglio 2007) del Consiglio di Sicurezza, che fissava il termine massimo di dispiegamento della forza ibrida di peacekeeping Onu-Unione Africana (UNAMID) entro dicembre 2007 e le cui truppe, invece, debbono ancora essere schierate per la quasi totalità.
Da Assad mi aspetto passi concreti
di Gianna Fregonara, Corriere della Sera, p. 2, 14 luglio 2008
Considerazioni sull'Iraq e il governo Al-Maliki
Nel mio ultimo intervento per la rubrica settimanale "Mediorientale" su Radio Radicale, abbiamo parlato anche di Iraq, in merito alla battaglia di Pannella per scongiurare l’eventuale esecuzione di Tareq Aziz, ma soprattutto ai nessi logici che sottostanno a questa campagna.
Vi invito ad ascoltare la trasmissione (cliccando sull'icona qui sotto) ma vi segnalo anche il passaggio rilevante, in seguito al quale Giorgio Ragazzini (Firenze) mi ha inviato un suo intervento su"Notizie Radicali" che allego più sotto.
“[…] In merito al governo Al-Maliki, benché il personaggio sia di
marca shiita, e anzi, all'inizio del suo mandato abbia dato segno di
tenerci parecchio, le cose sono molto cambiate nel tempo, tant’è vero
che ora i sunniti studiano una soluzione di governo comune, lavorano ad
una costituzione in comune e, come si può leggere in parecchie
relazioni, sono i sunniti stessi ad aver decretato quella che è la più
eclatante sconfitta di Al-Qaeda - che peraltro si svolge in parecchie
parti del mondo, ma in Iraq particolarmente - perché si sono resi conto
di avere un sostengo, come popolazione sunnita, contro Al-Qaeda, la
quale in maniera aggressiva e forsennata perseguitava parimenti sia gli
uni, i sciiti, che gli altri, i sunniti. I sunniti si sono di fatto
resi conto che il loro amico era il governo. Quelli che erano scappati
sono ritornati, il clima non è affatto di persecuzione nei confronti
dei sunniti da parte del governo. In più c'è un altro elemento
importante: nella legittima campagna contro la pena di morte a Tareq
Aziz, non si deve attribuire il processo di Tareq Aziz ad una
persecuzione sciita nei confronti dei sunniti, perché questo non è
veramente realistico. Nemmeno un mese fa, Al-Maliki si è recato in
visita aTeheran, dove tenne incontri tutt'altro che amichevoli, in cui
disse che bisognava smetterla di mandare questi guerriglieri iraniani
ad aiutare il terrorismo all'intero dell'Iraq, che il popolo iracheno,
anche nella sua componente sciita, non era assolutamente disposto ad
accettare quest’azione. Il discorso fu molto articolato e suscitò
qualcosa di più di un semplice stupore, tant'è vero che l'ambasciatore
iracheno in Iran ricevette poco dopo un bel pacchetto con una bomba.
Quindi, l'ipotesi della persecuzione politica è sbagliata. Io penso che
si può sempre e comunque combattere contro la pena di morte, ma
diffondere l'idea che lì tutto quanto è il risultato di una guerra
sbagliata che tende a sostituire un potere con un altro, non
corrisponde alla realtà dei fatti. L'elemento che riguarda
l'atteggiamento americano, la ripetizione delle eventuali menzogne sono
fatti di cui si è ampiamente discusso: proprio l’altro giorno l’Herald
Tribune pubblicava un articolo che descriveva come fossero state
ritrovate centinaia di tonnellate di uranio arricchito, Yellocake,
smantellato dal programma nucleare di Saddam Hussein. Poi anche la
teoria di camion che passarono il confine siriano è plausibile. In
conclusione, lo sciismo iraniano è molto particolare, ma quello
iracheno è molto diverso ed è sempre stato così. Io mi guarderei
dall'attribuire i problemi relativi al processo di Tareq Aziz, che sono
di ordine morale, che attengono al tema della pena di morte, a una
malcondotta del governo iracheno riferita a delle sue spurie alleanze
con l'Iran, che io nego". [continua...]
Il doppio gioco siriano allontana la pace
La Siria tesse in questi giorni una funambolica ragnatela e lo fa veloce. È tutto un roteare di luci e di colori. Chiediamoci quindi cosa stia facendo veramente. Per il presidente siriano Bashar Assad, con l’attuale dialogo di pace con Israele mediato dalla Turchia si è aperta una finestra di opportunità che somiglia a un arco di trionfo. Il suo audace tentativo sembra quello di guadagnare, venendo così estratto dall’Asse del male, senza spendere del suo.
Lunedì, Assad, in versione pacifista, sarà la star, l’attrazione che il leader francese Nicolas Sarkozy esibirà a Parigi alla presenza di 40 Paesi convenuti per fondare l’Unione Mediterranea voluta da Parigi. I colloqui siriani e israeliani, hanno detto ieri i diplomatici turchi, sembrano mostrare buone premesse e gli interlocutori potrebbero fare presto a meno di mediatori. Parallelamente, si specula che a Parigi il primo ministro israeliano Ehud Olmert siederà al capo di una tavolata organizzata per ordine alfabetico e all’altro capo, lontano ma forse sorridente e comunque speculare, ci sarà Assad. Questo significa che la pace è vicina? Per ora quello che si sa è soltanto che i siriani hanno chiesto la restituzione delle alture del Golan e che non si sbilanceranno di più finché George W. Bush sarà presidente degli Stati Uniti. Che tipo di pace siano disposti a dare in cambio, se vogliano accettare Israele nel consesso mediorentale, di questo non si ha nessun segno. Semmai si sa che per quanto riguarda la linea di pace cui dicono di aver diritto preferiscono quella del 4 giugno del 1967: perché catturarono territorio dal 1949 al 1967, anche se tale demarcazione va oltre il confine internazionale fra la Siria e la Palestina Mandataria. È anche la linea che permette l’accesso al lago Tiberiade, il maggiore bacino acquifero d’Israele. [...]
Buone notizie dall’Iraq
C’è un rito antiamericano particolarmente apprezzato per la sua apparente oggettività: la ricerca annuale della Pew sull’atteggiamento globale verso gli Stati Uniti, da cui quest’anno si scopre che solo il 12 per cento dei turchi, il 22 per cento degli egiziani, il 19 per cento dei pachistani, e così via, amano l’America. Insomma, l’antiamericanismo è forte.
Dice il grande mediorientalista Fouad Adjami che la lettura del rapporto Pew corrisponde per i liberal americani ai dieci giorni di autoflagellazione degli sciiti, al suo piacere-dolore. È inutile dire che niente di male è stato fatto dagli Usa alla Turchia, considerata un alleato prezioso, e che l’Egitto riceve dagli Stati Uniti solo ingenti aiuti.
Ma la benzina più efficace dell’antiamericanismo da molti anni è la guerra in Iraq. Il punto è, come afferma il senatore Joe Lieberman, che la guerra in Iraq è ormai una storia di disastri e spargimenti di sangue, errori e prepotenze dell’amministrazione Bush, della sua ambizione smodata di promuovere la democrazia come antidoto al terrore. [...]
Ingrid Betancourt è libera!

Ieri e oggi, abbiamo discusso e votato in Aula due mozioni presentate una dall'On. Michaela Biancofiore (Pdl) e l'altra dall'On. Fabio Evangelisti (Idv), che hanno raccolto un ampio consenso trasversale e che sostenevano, tra l'altro, la proposta di assegnazione del Premio Nobel a questa donna coraggiosa.
Nell'attesa di maggiori notizie sulla liberazione, vi invito a leggere i testi delle mozioni sul sito della Camera: Mozione Evangelisti e Mozione Biancofiore
Interrogazione a risposta immediata su Zimbabwe
PRESENTATA IN SEDE DI COMMISSIONE AFFARI ESTERI E COMUNITARI
dagli Onorevoli Fiamma Nirenstein e Roberto Antonione
Al Ministro degli affari esteri,
premesso che
in occasione delle elezioni presidenziali inZimbabwe si sonoverificati episodi di indubbia gravità quali omicidi, arresti,danneggiamenti e ripetuti atti di intimidazione ai danni di esponentidel partito di opposizione del Movement forDemocratic Action (MDC),guidato da Morgan Tsvangirai, candidato antagonista dell’attualepresidente Robert Mugabe, al suo sesto mandato alla guida del Paese;
l’assassinio, avvenuto in circostanze ancora da chiarire, diattivisti dell’MDC, i ripetuti arresti e le irruzioni da parte dellapolizia nella sede dell’MDC avevano indotto il leader Tsvangirai adannunciare il proprio ritiro dal ballottaggio, tenutosi il 27 giugnoscorso, e a cercare rifugio presso l’ambasciata olandese in previsionedi un possibile ulteriore attentato alla propria vita a seguito dellecontinue minacce;
il clima di violenza e le gravi violazioni delle più fondamentalilibertà hanno determinato la veemente reazione della comunitàinternazionale che, per voce del Segretario Generale delle NazioniUnite, Ban Ki-Moon, aveva chiesto il rinvio del ballottaggio e, suiniziativa degli Stati Uniti, aveva anche deciso di portare laquestione davanti al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, che hadichiarato “illegittimo” il risultato delle elezioni, in quanto nonriflette la volontà del popolo;
a livello europeo il Commissario Luis Michel ha espresso sostegnonei confronti del leader di opposizione Tsvangirai e ha auspicato unanetta presa di posizione di condanna nei confronti di Mugabe da partedei leader africani, che da questa mattina e fino a martedì 1 luglio,sono riuniti al summit dell’Unione Africana a Sharm el-Sheikh;
per sapere [...]
Appello per la liberazione di Ghilad Shalit a due anni dal suo rapimento

Il 25 giugno del 2006 il soldato oggi ventiduenne di Tzahal, GhiladShalit, veniva rapito in territorio sovrano israeliano, al confine con laStriscia di Gaza, da terroristi di Hamas. Sono due anni che questo ragazzo èstato privato della sua libertà mentre compiva il suo dovere di servire loStato. Da allora non sono pervenute notizie accreditate circa il suo stato disalute e nemmeno la Croce Rossa Internazionale è mai stata autorizzata a visitarlo,così come nel caso di Eldad Reghev e Ehud Goldwasser, i due soldati rapiti sulfronte settentrionale da Hezbollah, 17 giorni dopo Ghilad Shalit.
In questi giorni, il governo israeliano e quello egiziano – che funge da mediatorenelle trattative con Hamas – stanno intensificando i contatti per includere laliberazione di Shalit negli accordi di tregua. Tregua che è stata oggi violatacon il lancio di 4 razzi Qassam sulle città israeliane del Neghev occidentale.Tra le richieste di Hamas, quella di rilasciare 450 detenuti palestinesi, moltidei quali con sangue sulle mani, oltre a rappresentare una contropartitasproporzionata per garantire la libertà di un soldato e cittadino israeliano, èun prezzo estremamente alto per la sicurezza stessa dello Stato d’Israele. […]
Gerusalemme rende omaggio alla voce della nuova europa
Per Gerusalemme i fronti restano quattro
Guai a non intendersi fra culture: Israele, che è una scheggia di
Occidente in mezzo a un oceano di cultura islamica, dà prova su ben
quattro fronti di muoversi secondo i propri criteri, quelli della
logica e della reciproca fiducia, e non quelli che la sua posizione
geopolitica le propone nella realtà.
Il fronte della pace con Abu Mazen: nonostante l’occupazione
violenta di Gaza nel giugno del 2007 da parte di Hamas, nonostante la
disastrosa ripercussione sulla vita di un milione e mezzo di
palestinesi, tuttavia i palestinesi seguitano a preferire Hamas a
Fatah. Piace loro l’onestà dei jihadisti sempre in armi, l’adamantino
rifiuto di Israele, il fatto che Gaza almeno è pulita. Gli uomini di
Fatah nel West Bank sono conquistati da quello stesso Hamas che con la
sua lotta per il potere ha causato con la guerra fratricida l’uccisione
di 450 uomini e il ferimento di 1800, oltre alla chiusura di 3900
fabbriche, e in definitiva il fatto che dei cittadini di Gaza l’85%
vive della carità di varie istituzioni. Il risultato politico di questa
situazione, assicura l’analista Khaled Abu Toameh, è che i palestinesi,
stufi della corruzione di Fatah e dei suoi leader e soprattutto
insospettiti dal sostegno occidentale, americano ed europeo ad Abu
Mazen, se dovessero votare domani porterebbero Hamas di nuovo alla
vittoria a Gaza e gli consegnerebbe anche l’Autonomia. Dunque Israele
tratta con Abu Mazen che non sarebbe mai in grado di garantire la pace
che tutto il mondo auspica, perché un moderato in quel mondo può
passare per un vile. [...]