"Israel is us" launching in Jerusalem
Amb. Dore Gold
President,
Natan Sharansky
Chairman, Adelson Institute for Strategic Studies
Ruthie Bloom
Features Editor & Columnist,
on Sunday, February 8, at
at the
"My premise is very simple: Israel, contrary to commonly accepted propaganda, is a positive model, a case study for anyone who finds himself living in a democratic society that must eventually confront a defensive war—one that encompasses the entire universe of Western democracy today."
Fiamma Nirenstein, after many years of journalism, television and essays, was elected in 2008 to the Italian Parliament, where she serves as Vice-president of the Committee on Foreign Affairs. She has written for Commentary, Moment, and the New York Sun. She continues to write books and contributes columns to Il Giornale daily, Panorama weekly and Shalom magazine. She gives an annual course in the Middle East at
The book could be purchased through the Jerusalem Center for Public Affairs (jcpa@netvision.net.il, +972-(0)2-5619281), or on Amazon.
Netanyahu a lezione da Obama
Panorama, 12 febbraio 2009
Le elezioni in Israele, mentre la guerra di Gaza balugina ancora all’orizzonte, non sono tranquille. Gilad Shalit da quasi tre anni langue a Gaza, rapito da Hamas; i missili Grad cadono su Ashkelon mentre i bambini vanno a scuola; al Cairo si tratta una tregua in cui, fra l’altro, si deve decidere se consegnare centinaia di terroristi in cambio del soldato; a Teheran Khaled Meshaal e i grandi ayatollah, che lo incitano a proseguire nella guerra dei missili, gridano «morte a Israele» di fronte alle telecamere; nelle stesse ore si sperimenta un missile iraniano adatto a portare una testata nucleare.
L’Egitto cerca di mediare una tregua e tuttavia proibisce che una qualche forza neutrale possa controllare le vie d’ingresso legali e clandestine alle armi e alle forze che già riarmano Hamas. L’amministrazione Obama spingerà certo alla cessione di territori in cambio di pace, mentre quelli ceduti ai palestinesi nel 2006, ovvero Gaza intera, sono stati utilizzati come una base missilistica.
Israele deve preparare una risposta. L’economia langue, si prevedono 50 mila disoccupati in più. Ma Israele è un paese democratico e colto, vuole teatro, università, concerti, il cappuccino italiano, la scienza ai massimi livelli, i bambini impegnati in corsi di lingua e tuffi. E ha un esercito di popolo, dove militano figli nella leva e padri nella riserva. Insomma, il prossimo primo ministro deve salvare Israele dalla distruzione: è solo davanti all’atomica iraniana e al terrorismo di Hamas, Hezbollah, Siria, davanti alla pressione internazionale e all’antisemitismo. Nello stesso tempo deve garantire una vibrante democrazia e la sicurezza anche negli internet caffè, che solo quattro anni fa saltavano tutti per aria durante la seconda intifada. [...]
Nel futuro una instabile coalizione
Israele seguita a sognare la pace, ma con cautela, e teme alquanto i passi falsi. È questa la prima conclusione che possiamo trarre dalle proiezioni che danno la vittoria a Kadima, ma in un testa a testa tale con Netanyahu, che si potrebbe dire che ambedue hanno vinto le elezioni. Adesso Peres non ha davvero un compito facile nel conferire l’incarico di governo, che in Israele si dà a chi ha più possibilità di formare una coalizione. E una coalizione di destra oggi conterebbe 63 seggi contro 57.
Con un graffio finale da grande tigre, porta a porta, telefonata dopo telefonata, macinando chilometri e sforzandosi di spremere la sua scarsa giovialità, Tzipi Livni ha strappato per due punti la vittoria a Bibi Netanyahu. E Bibi, investito dalla sfortuna di trovarsi appiccicata addosso la destra fondamentalista di Feiglin e poi di vedersi contendere i voti da Lieberman, adesso deve inghiottire una sconfitta inaspettata, se si pensa che solo un mese fa aveva almeno cinque punti in più. Lieberman, il concorrente novità, considerato di estrema destra, prende 14 seggi, un numero che ne fa l’ago della bilancia, ma con minore forza del previsto. Barak con 13 seggi registra un insuccesso, ma riporta l’altalena in equilibrio, e così accade con Shas a destra, 9 seggi, e con i 5 del Meretz, di estrema sinistra. [...]
Perché la destra di Netanyahu non deve far paura
Israele al voto, martedì si sceglie: destra favorita nel clima di tensione
Il Giornale, 8 febbraio 2009
Gerusalemme - Ore di silenzio e di attesa: martedì Israele vota; il caldo, la siccità che succhia via il lago Kinneret e chiude i rubinetti, l’eco della guerra di Gaza, le notizie dal Cairo sulla possibile tregua e da Damasco su Gilad Shalit ricordano a ogni istante che in Medio Oriente un voto non è un voto, un Primo ministro non è un Primo ministro. Possono essere la chiave di volta della vita o della morte, la lampada di Aladino che funziona o si inceppa di fronte al pericolo genocida iraniano, al terrorismo di Hamas e degli hezbollah, alla disapprovazione del mondo quando Israele si difende. Per questo c’è tanta incertezza e trepidazione e tutto può accadere: affidare la propria vita è una scelta incerta soprattutto quando i programmi dei partiti, sovrastati dalla realtà circostante, promettono tutti un atteggiamento deciso, un piano per uscire dalla trappola dell’odio jihadista e della guerra. Il Likud di Bibi Netanyahu è dato fra i 26 e i 28 seggi; a ruota segue Kadima di Tzipi Livni, fra i 23 e i 26. Poi fra la sorpresa generale, invece del Partito laburista di Ehud Barak, che al quarto posto conta fino a 16 seggi, troviamo Avigdor Lieberman, detto Yvette, con il suo Israel Beitenu, fra i 17 e i 19. Poi vengono il partito religioso Shas con 10 seggi e la sinistra radicale del Meretz, con 10. Poi i pensionati, i partiti religiosi nazionalisti, i partiti arabi. Una coalizione di destra potrebbe arrivare a 65 seggi, e una di sinistra a 55, anche se Netanyahu ripete di volere un governo di unità nazionale. [...]
"Israele siamo noi" - ora anche in inglese

Cari amici,
ho il piacere di annunciarvi che il mio ultimo libro, "Israele siamo noi", è stato tradotto e pubblicato in inglese e verrà presentato questa domenica a Gerusalemme al Jerusalem Center for Public Affairs, con Dore Gold, Natan Sharansky eRuthie Bloom.Ecco l'invito.P.s.: non ci spero molto, ma per chi di voi dovesse trovarsi da quelle parti, sarò contenta diavervicon me!Perpartecipare è necessario prenotarsi al link: http://events.jcpa.org/viewevent.aspx?id=
Dear friends,
my last book was just translated into italian and published by JCPA. I'm glad to invite you to the presentation, which will be held in Jerusalem this Sunday, February 8,at JCPA, with Dore Gold, Natan Sharansky and Ruthie Bloom. Here is the invitation.
La svolta di Ankara e le sirene dell’Islam
Il Giornale, 1 febbraio 2009
La Turchia è ancora un mediatore attendibile fra Israele e mondo islamico? L’unico Paese in grado di coniugare la sua storia di laicità con l’Islam, ciò che ne ha fatto addirittura un candidato all’Unione Europea? Nei giorni scorsi, Tayyp Erdogan si è lanciato contro Shimon Peres a compimento di alcune settimane in cui aveva detto che Israele deve essere cacciato dall’Onu; dopo aver presenziato al summit di Doha con Ahmadinejad e Assad accusando Israele di crimini di guerra; dopo aver affermato che «Allah punirà Israele per Gaza» e che «le azioni di Gerusalemme la porteranno alla distruzione». Il ministro degli esteri Ahmet Davutoglu ha offerto a nome del suo Paese una mediazione fra Hamas e Fatah, mentre nei giorni della guerra emissari turchi hanno viaggiato per tutte le capitali arabe, snobbando Gerusalemme. La Turchia si gioca così il ruolo di mediatore fra Israele e la Siria, 3,5 miliardi di dollari di volume d’affari con Israele, una amicizia strategica di grande rilievo che coinvolge anche gli Stati Uniti.
I motivi della scelta di Erdogan sono basilarmente tre: elezioni, religione, affari. Un insieme che conduce a un cambio di alleanze strategico, e che in generale ci mostra quanto sia importante e pericolosa oggi nel mondo la sirena islamista. Le elezioni si svolgeranno in marzo, e l’elettorato dell’Akp, il partito neo-islamista, è entusiasta della svolta filo Hamas; inoltre Erdogan è sempre impegnato in una battaglia molto dura contro le istituzioni eredi della secolarizzazione di Kemal Ataturk, l’esercito e la giustizia. [...]
Difficili sfide per Abu Mazen
Panorama, 29 gennaio 2009
Dopo la guerra delle ultime settimane i capi militari e politici di Hamas, al contrario di quelli di Hezbollah nella guerra del 2006, sono usciti dai lori rifugi e hanno dovuto fronteggiare un problema insuperabile: riprendere il controllo di Gaza dopo la sconfitta. In mezzo alle rovine e ai morti, di fronte a una popolazione disfatta, i leader hanno subito cominciato a propagandare una «vittoria divina» e hanno indetto una grande celebrazione di piazza.
Dove hanno dichiarato, dicono fonti locali, che il loro esercito aveva perso solo 48 uomini, di fronte a più di 1.000 civili. Ma altre fonti, sempre palestinesi, parlano di 400 militanti morti, del veloce abbandono delle divise per ordine dei vertici, del fatto che Ismail Haniyeh mente quando racconta di aver ucciso 80 soldati di Tsahal, e della mancanza di qualsiasi episodio di valore dei loro armati. Ismail Haniyeh e Khaled Meshaal, qualcuno osa sussurrare dentro Gaza, sono rimasti sempre al riparo nei sotterranei degli ospedali, a Damasco.
Si sa che Hamas ha perso almeno metà delle armi, che molte gallerie sono state distrutte e che i miliziani non hanno ricevuto ordini adeguati alla situazione. È stato annientato uno dei gruppi più addestrati, chiamato «la colonna iraniana» perché tutti i suoi militanti erano stati preparati da ufficiali iraniani, in loco o in Iran con i guardiani della rivoluzione. [...]
INTERVENTO NELLA SESSIONE SU GAZA DELL’ASSEMBLEA DEL CONSIGLIO D’EUROPA

ON. Fiamma Nirenstein,
componente della Delegazione Italiana presso il Consiglio d'Europa (Strasburgo)
La commozione, la pietas che naturalmente suscitano morti e feriti, nonpossono e non devono essere usati come una cortina dietro cui sinasconde la ragione e si oblitera la coscienza. Così, invece, salvorari casi, e, avvenuto nel nostro dibattito.
Data la necessità di essere brevi mi esprimerò per punti, affermandoprioritariamente che gli aiuti umanitari devono essere potenziati eveicolati nelle mani giuste, come del resto sta cercando di fare ilgoverno italiano.
1. Chiunque sottovaluti la disumana condizione in cui hanno vissutocentinaia di migliaia di abitanti della zona israeliana circumvicina aGaza per otto anni, non consoce la situazione, purtroppo spessoignorata dai media. Solo la solidarietà e la forza d’animo ha permessoa quegli uomini, donne, bambini, anziani di seguitare a vivere sottobombardamenti continui. Morti e feriti il cui numero è stato limitatosolo dalla estrema vigilanza verso la popolazione civili, case e benidistrutti, scuole e strutture pubbliche chiuse, continue sirene... Noi,come Consiglio d’Europa, e quindi guardiani dei diritti umani, avremmodovuto essere là da anni a difendere la violazione di tutti i basilaridiritti degli israeliani a causa dei bombardamenti, come avremmo dovutoessere là nella stessa funzione quando gli attentati dei terroristisuicidi, nella maggior parte di Hamas, hanno fatto più di mille morti,sugli bus, nei supermarket, nei caffè. [Continua...]
Frattini ha ragione su "Annozero"
Roma, 27 GEN (Velino) - Prima il botta e risposta con Lucia Annunziata ("Michele non si conduce cosi', l'impostazione del programma e' sbagliata"); poi la bacchettata del cda Rai, ("Ha peccato di intolleranza e faziosita'"); ora, nella Giornata della Memoria, la reprimenda di Franco Frattini ("La trasmissione di Santoro e' un esempio di quello che nessuna televisione democratica dovrebbe mai fare"). La scia polemica della puntata di "Annozero" del 15 gennaio scorso non accenna dunque a spegnersi. E anzi le parole del ministro degli Esteri hanno ottenuto il risultato di rinfocolare gli animi. La replica di Santoro a Frattini non si e' fatta attendere: "Accusare ingiustamente un giornalista e il suo gruppo di lavoro di
antisemitismo rappresenta, di conseguenza, una insopportabile offesa per la dignita' personale e per quella professionale. Lei - scrive l'anchorman Rai - ha agito al riparo del suo ruolo pubblico, piegandolo a interessi censori di parte e ha utilizzato un'occasione ufficiale e solenne, oseremmo dire
sacra, come il giorno della Memoria, per insultare chi non poteva difendersià Ci auguriamo che lei si limiti semplicemente a chiederci scusa, senza rinunciare a pronunciare nei nostri confronti le critiche piu' severe. Altrimenti saremo costretti a chiedere - conclude Santoro - di essere processati". Scuse che Frattini non ha presentato, confermando invece il suo giudizio politico in una missiva recapitata a Santoro.
"Con le mie dichiarazioni non ho certo voluto offendere Lei, ne' la Sua redazione. Al contrario - premette il ministro - ho espresso, come credo sia mio dovere, oltre che mio diritto, un giudizio politico tutt'altro che censorio sulla ben nota puntata di 'Annozero' da Lei condotta. È stato
il contesto generale nel quale la puntata si e' svolta - con particolare riferimento alla scelta di immagini e interviste dei servizi che hanno peraltro provocato l'abbandono della trasmissione da parte di una Sua illustre collega - ad evocare, anche al di la' della Sua volonta', sentimenti ostili agli ebrei. La critica unilaterale delle azioni israeliane - aggiunge Frattini - ha contribuito non solo a creare un clima di riprovazione politica nei confronti di
Israele, ma anche e soprattutto ad alimentare rinnovate pulsioni antiebraiche. Come Lei ben sa, e' molto tenue e delicato il confine che separa la critica politica allo Stato di Israele con il rischio troppe volte fondato di cadere nell'antisemitismo. E questo confine, la Sua trasmissione -
conclude - ha contribuito ad oltrepassare". [...]