Fiamma Nirenstein Blog

La guerra antisemita contro l'Occidente

7 ottobre 2023 Israele brucia

Jewish Lives Matter

Informazione Corretta, il nuovo video di Fiamma Nirenstein

Museo del popolo ebraico

Un discorso pieno d’affetto, ma il Papa non ha mai citato Israele

lunedì 18 gennaio 2010 Il Giornale 12 commenti

Il Giornale, 18 gennaio 2010

Ine ma tov u ma naim shevet ahim beyahad. Com’è bello e com’è dolce sedersi insieme da fratelli. Il salmo lo dice, e ieri non è stata retorica: quando lo hanno ripetuto sia Rav Di Segni che Benedetto XVI alla sinagoga di Roma, l’ha cantato il coro, si è avuto il senso di come sia possibile cambiare, svoltare, forgiare la storia con la volontà. Quante ferite nel rapporto fra cristiani e ebrei, e quale ammirevole gesto di amicizia. Il pubblico fitto degli ebrei romani ieri ha riempito la sinagoga, ha coperto di affetto e di rispetto Papa Ratzinger, e Papa Ratzinger ha a sua volta dardeggiato simpatia, per quello che si può capire dal sorriso timido e tutto preso nel suo ragionamento, con molteplici sguardi e segni personali affettuosi agli ex deportati e a Rita Levi Montalcini, oltre che alla sinagoga calda, cerimoniale, ecumenica con gli alti cappelli, gli abiti, i tallit roteanti, i canti tenorili e ben intonati, che solo a Roma sono così italiani.
L’antisemitismo e la Shoah sono stati protagonisti del discorso del Papa, il puntiglio della memoria che ha ripercorso la tragedia ebraica risponde chiaramente alle polemiche sui vescovi lefebvriani (come dire «non ho un briciolo di simpatia per le loro tesi»), la lode per chi cercò di salvare gli ebrei ha messo un punto personale sulla polemica su Pio XII: take the best, forget the rest, prendiamo ciò che c’è stato di buono e dimentichiamo le mancanze, dedichiamoci insieme alla memoria dei giusti. [...]

"Il Rapporto Goldstone: un pericoloso fraintendimento"

domenica 17 gennaio 2010 Il Giornale 4 commenti
CONVEGNO

A un anno dalla guerra tra Israele e Hamas

"Il Rapporto Goldstone: un pericoloso fraintendimento"

Modera: Pierluigi Battista, Corriere della Sera

Intervengono:

Amb. Laura Mirachian – Rappresentante Permanente d’Italia presso l’ONU e le altre Organizzazioni Internazionali a Ginevra

Prof. Dore Gold – Presidente del Jerusalem Center for Public Affairs, Gerusalemme, ex Ambasciatore d’Israele presso le Nazioni Unite di New York

Gen. Giovanni Marizza, ex Vice comandante del corpo d’armata multinazionale in Iraq

Commenti:

On. Fiamma Nirenstein, Vicepresidente della Commissione Esteri, Camera dei Deputati

On. Enrico Pianetta, Presidente dell’Associazione Parlamentare di Amicizia Italia-Israele

On. Gianni Vernetti, ex Sottosegretario agli Esteri

Giovedì  21 gennaio 2010, ore 18:00

Camera dei Deputati, Sala del Refettorio, Palazzo San Macuto, Via del Seminario 76, Roma  

E' necessario accreditarsi con una mail a nirenstein_f@camera.it, telefonando al 06-67606805 o al 393-8058906
(Per gli uomini è necessario indossare la giacca)



Il 16 ottobre 2009, il Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite, così  come successivamente l'Assemblea Generale, ha approvato un rapporto stilato dal Giudice sudafricano Richard Goldstone, sul conflitto tra Israele e Hamas del gennaio scorso.

Per otto anni, le cittadine israeliane intorno alla Striscia di Gaza sono state prese di mira da oltre 9000 razzi da parte di Hamas, l'organizzazione terroristica che oggi governa la Striscia. La guerra di Gaza, scoppiata il 27 dicembre 2008, fu una conseguenza di questo continuo attacco alla popolazione civile israeliana, che ha continuato a perpetrarsi anche dopo il disimpegno dalla Striscia da parte israeliana nell'agosto 2005. [...]

Alla Chiesa i suoi Santi, agli ebrei il diritto di criticarli

sabato 16 gennaio 2010 Il Giornale 12 commenti
Il Giornale, 16 gennaio 2010

Tutta la polemica sulla visita del Papa in Sinagoga attiene al tema del dolore, della tragedia, della rabbia, della delusione e della sete di giustizia, ed è per questo una polemica ragguardevole. Ma non ha niente a che fare con la questione dei rapporti fra ebrei e cristiani: essi abitano altrove. È evidente che la visita di Benedetto XVI non può che essere utile a un’amicizia che ha molte ragioni per reggere, e molte ragioni, invece, per dubitare, dopo tante ferite, di farcela. La questione centrale del sospetto che Rav Laras, persona savia, integra ed ebraica come piace a me, esprime sulla bontà della visita è certamente quella della beatificazione, o santificazione, di Pio XII propugnata dal Papa. Un Papa che esalta le attitudini “eroiche” in Pio XII alla sua beatificazione rivendicherà l’imprimatur della visita in Sinagoga.
Ma gli ebrei non possono, non devono, non vogliono legittimare o delegittimare nessun santo. Noi non abbiamo santi, non nel senso cattolico; non crediamo ai santi, non fanno parte del nostro universo religioso. La Chiesa ha ogni e qualsiasi diritto sulla scelta dei suoi santi; però, noi abbiamo diritto al giudizio storico, discutibile come tutti i giudizi, su qualsiasi personaggio, anche se beato o santo. Nessuno si offenda, qui non ci sono vignettisti blasfemi, solo una civile discussione, dunque. [...]

Israele e Turchia, gli ex amici rischiano la rottura

giovedì 14 gennaio 2010 Il Giornale 5 commenti

Il Giornale, 14 gennaio 2010

Era logico che prima o poi Israele si risentisse, come una fidanzata tradita, dell’atteggiamento ostile della Turchia di Recep Tayyip Erdogan. Ma l’ha fatto senza calcolare bene le sue reazioni: sempre per restare al paragone con l’umana fragilità, il tradimento dopo tanti anni di fragile e preziosa vicinanza con un Paese musulmano in mezzo all’ostilità dei vicini islamici, ha causato a Israele una crisi di nervi che accelera per i due Paesi mediorientali una pericolosa rottura già nell’aria. Il presidente Gül, a sentire la televisione turca, ha minacciato di rompere le relazioni se le scuse formali non fossero pervenute entro la serata di ieri. La storia di questi giorni parla di oggetti e simboli, poltrone e bandiere, microfoni e strette di mano: il vice primo ministro degli Esteri Danny Ayalon, dato che la Tv turca ha messo in onda un serial in cui i soldati israeliani ammazzano per divertimento sadico qualche bambino, ha invitato lunedì alla Knesset l’ambasciatore Oguz Celikkol per protestare, ma si è mosso all’orientale. [...]

La nuova strategia: ora l’obiettivo è colpire le élite. Funzionerà?

mercoledì 13 gennaio 2010 Il Giornale 1 commento

Il Giornale, 13 gennaio 2010

Il polverone sollevato in queste ore in Iran sull’assassinio dello scienziato nucleare Massoud Ali Mohammadi è fatto di informazioni e disinformazioni che si elidono: era un grande sostenitore del regime; no, era un fiero alleato di Mir Hossein Moussavi, anzi aveva firmato una lettera in suo sostegno; era stato visto per strada inseguire gli studenti che partecipavano alle manifestazioni; no, era un tipo completamente apolitico. È stato il Mossad, sono stati gli americani; no, è un assassinio interno al regime... E così via.
Tutte queste diverse informazioni diffuse da agenzie di stampa, da vecchi amici dell’ucciso, dal rettore dell’università, dal governo iraniano stesso, hanno tutte quante la stessa origine, e tutte tendono verso un solo punto: il caos. Perché, comunque sia andata la vicenda, resta chiara una cosa sola: Mohammadi non insegnava storia dell’arte, insegnava fisica nucleare. Non sappiamo se questo gli assegnasse un ruolo nei lavori in corso per costruire la potenza nucleare iraniana, ma possiamo pensare che un avvertimento ai dissidenti da parte del governo avrebbe potuto essere dato semmai colpendo qualche personaggio in vista nella rivoluzione in atto contro il regime di Ahmadinejad e degli Ayatollah. [...]

La Chiesa si ribelli contro il cieco odio islamista

sabato 9 gennaio 2010 Il Giornale 9 commenti

Il Giornale, 9 gennaio 2010

Da troppi anni si aspetta invano che «preoccupazione, tristezza, angoscia» espresse ieri dal Papa dopo la strage di copti a Nagaa Hammadi, in Egitto, si trasformino in una decisa levata di scudi, in una posizione politica definitiva e scandalizzata in difesa dei cristiani nel mondo musulmano, anche a costo di qualche rottura. Eppure, è senz’altro chiaro a un teologo dell’importanza di Benedetto XVI, che l’islam non porrà fine al disastro in omaggio ai sentimenti, persino se espressi in così alta sede.
L’odio islamista contro i cristiani è un odio teologico e oggi di profondo significato strategico, un odio che ambisce alla sostituzione, che ha lontane origini: basta pensare a come nel 1009 il sesto califfo fatimide Al Hakim Bi Amr Allah ordinò la completa distruzione del Santo Sepolcro, poi ricostruito nel 1048, o come, a Gerusalemme cent’anni, dopo la conquista crociata i musulmani, tornati all’attacco, rimossero i siti cristiani dal Monte del Tempio, proprio come i crociati avevano rimosso i loro. [...]

Ma Barack fa il duro soltanto a parole

mercoledì 6 gennaio 2010 Il Giornale 5 commenti

Il Giornale, 6 gennaio 2010

Forse Obama comincia a realizzare che la sua speranza di ingraziarsi l’islam con un atteggiamento rispettoso fino alla sottomissione, che la sua rivoluzione culturale circa il ruolo degli Usa nel mondo, non placano il terrorismo islamico e non mitigano la sua ambizione di dominare il mondo.

Quand’è che sapremo dalle labbra del presidente degli Stati Uniti che il nemico che è deciso a combattere è la jihad, la guerra santa che in maniera multiforme, sottile ma organizzata e massiccia, schiera i suoi uomini sulla linea del fuoco degli attentati di New York, di Londra, di Madrid, di Bali, di Buenos Aires, di Mombasa, di Gerusalemme... lungo la frontiera più vasta e pervasiva della storia di ogni altra guerra? Non è un problema linguistico, ma di grande sostanza: senza identificare il nemico, non lo si può battere.
Il presidente Obama dopo l’attacco fallito al volo 253 di Natale, sembra scosso; ha risposto duramente alla sua ministra degli interni Janet Napolitano che non è vero affatto che «il sistema ha funzionato». Poi, ha ordinato di riorganizzare il sistema di sicurezza degli aeroporti; tanto si è reso conto di quanto fosse importante, unito ad altri, il segnale proveniente dal giovane terrorista nigeriano addestrato in Yemen, da chiudervi l’ambasciata. [...]

Mediorientale

mercoledì 6 gennaio 2010 Generico 1 commento




Sintesi degli argomenti della puntata di questa settimana:

Il video clip rap ("Never too late") del Principe saudita Faisal Bin Mansour bin Thunayan Al Saud, che ha suscitato grande scandalo in Arabia Saudita.
Il precedente: una principessa saudita che, a seguito dello scandalo causato da sue fotografie senza velo (non senza veli...), si era suiscidata.

La censura in Iran: il regime ha diffuso una lista infinita di fondazioni, organizzazioni, mezzi di comunicazione con i quali la cooperazione per i cittadini iraniani è proibita, costituendo reato.

Sul fronte egiziano: Omar Suleiman, il capo dell'intelligence egiziano, nonché il mediatore principale tra ANP e Israele, riferirà a breve agli Stati Uniti circa due colloqui separati avvenuti al Cairo, il primo con Netanyahu e il secondo con Abu Mazen. Al termine del suo colloquio, Abu Mazen, si è dichiarato non contrario in liena di principio alla riapertura di un dialogo con Israele, ribadendo le sue due condizioni: 1) l'acquisizione immediata da parte di Israele dell'idea di lasciare fino ai confini del '67; 2) il congelamento completo degli insediamenti.

La rezione di Israele è cauta: non vuole partire dal dato territoriale (confini), ma dalla questione dei profughi e dal nodo di Gerusalemme.

La famosa compagnia di armi Lockheed Martin sta per vendere all'Egitto 24 Jet F16, nel corso di un affare del valore complessivo di 3 miliardi e 200 milioni di dollari. Israele si preoccupa. Per capirne il perché a guardato il panorama generale.
Il Congresso USA ha approvato nelle ultime settimane un costosissimo provvedimento sugli aiuti a vari paesi, tra cui Israelea cui vengono garantiti 2 miliardi e 200 milioni di dollari. Ma circa il 75% di questi aiuti viene speso negli Stati Uniti stessi, in armi. Idem per l'Arabia Saudita, la Giordania, l'Egitto. Il Cairo ha richiesto 145 milioni di dollari in missili anti nave; 1 miliardo e 290 milioni di dollari per 4 missili ad alta velocità per la marina e 450 missili aria-terra "Hellfire". Insomma, acquisti ingenti per un paese che non subisce nessuna minaccia diretta ed esplicita. Interesse anche con la Russia per l'acquisto di missili S-400. Considerato che dal 1975 l'America ha investito quasi 15 miliardi di dollari in una serie di progetti volti a migliorare le condizioni del popolo egiziano (83 milioni di persone, di cui praticamente la metà al di sotto dei 25 anni e moltissimi sopravvivono con 2 dollari al giorno), c'è da chiedersi come mai tutti questi investimenti in armamenti, cosa di buono potranno portare alla popolazione egiziana?

Sul fronte iraniano: non è solo Israele l'obiettivo dell'Iran.
A seguito della rivoluzione in Iran, dal giugno scorso, Israele ha via via ammorbidito la sua posizione sull'Iran, rendendosi più disponibile alla via delle sanzioni, non alludendo più a un attacco militare, anche attraverso esercitazioni militari particolari. C'è una attesa e una volontà di verificare se sanzioni dure, insieme alla rivolta intersa, potranno portare al collasso del regime.

Sul fronte interno palestinese: Hamas ha più volte denunciato le torture subite dai suoi oltre 4000 militanti arrestati da Fatah. Queste notizie hanno piuttosto irritato Obama, che si è rivolto al premier palestinese Salam Fayyad richiedendo di porre fine a questi abusi nei confronti dei prigionieri. Ma Hamas ha smentito le dichiarazioni di Fayyad. La stessa sorte subiscono palestinesi sospettati di essere simpatizzanti di Hamas.

L'attentato in Afghanistan in cui sono morti 7 uomini della CIA e il coinvolgimento di un paese moderato come la Giordania, divisa tra i suoi simpatizzanti jihadisti (uno degli attentatori) e la volontà di combattere l'estremismo islamico.

Ecco come si vive con la paura dei kamikaze

giovedì 31 dicembre 2009 Il Giornale 4 commenti

Il Giornale, 31 dicembre 2009

In un altro mondo, quello in cui il terrorismo è vita quotidiana, come accade in Israele, l’eventuale bomba si chiama semplicemente «hefez hashud», oggetto sospetto. Quando lo si scopre sotto l’apparenza di un pacco, di una valigia, di qualsiasi cosa, si avverte la polizia che viene con un piccolo robot a farla saltare. È un’unità molto occupata. Un «hefez hashud» non fa urlare di paura, non induce a fughe inconsulte, non spinge a investigare con occhi ansiosi dove sia il rifugio più vicino, mentre ti chiedi semmai come passare sopra la testa dell’anziana signora in piedi dietro di te. Dove il terrorismo delle bombe è uno slalom quotidiano, capita di fare tardi a un appuntamento. Sì, mi scusi tanto, c’era un «hefez hashud» sull’autostrada Tel Aviv-Gerusalemme. Sei fermo da un’oretta di fronte all’entrata di un ufficio, o di una scuola, di un grande magazzino dove hai lasciato un pacco e non puoi entrare finché non arriva il robot e danno il via libera? Pazienza, a volte capita, in una giornata puoi incontrarlo anche due volte. La radio annuncia con voce piatta durante le notizie sul traffico: «Rallentamenti sulla strada numero 6 per la presenza di un hefez hashud vicino a Bacha el Garbiya». Non lo dice mai durante le notizie. Ok, si sa, speriamo non ci siano altri contrattempi, altrimenti faccio tardi.

Cara Italia, dall'America ti dico: la vera follia è minimizzare

martedì 29 dicembre 2009 Il Giornale 7 commenti

Il Giornale, 29 dicembre 2009

Non è come da noi, dove un paio di turisti sbattuti in ginocchio davanti all’integralismo islamico e alla minaccia sanguinaria di Al Qaida sono per l’opinione pubblica italiana un fatto collaterale al panettone; dove ci si seguita a interrogare da un paio di mesi se Mohammed Game, l’attentatore della caserma Perrucchetti armato di esplosivo e dell’ideologia islamista corroborata in Viale Jenner vada preso alla fine sul serio oppure no. Qui è diverso. Senza il bagno di sangue dell’11 settembre 2001 tutta quanta la mente americana sarebbe diversa.
Dopo il tentativo di tirare giù dal cielo di Natale sopra Detroit il 353 della Northwest è meglio non farsi ingannare dal candore della neve, nel freddo punteggiato di festoni colorati, di canti natalizi, di sorrisi generosamente distribuiti col Merry Christmas e il Happy New Year, di colorati, pervasivi regali. Obama è alle Hawaii, ma i segnali che non pensi ad altro che a Umar Farouk Abdulmutallab sono abbondanti: Obama tenne gran parte della sua campagna sulla promessa di restaurare il rispetto per i diritti individuali lasciandosi dietro le spalle l’era che Bush stesso aveva chiamato della «guerra contro il terrorismo»; insistette parecchio sulla scelta di conciliare sicurezza e libertà. Ben tre dei suoi discorsi hanno avuto per tema la sicurezza nazionale. [...]

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