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Mubarak, vattene in Israele

martedì 1 febbraio 2011 Diario di Shalom 0 commenti

Shalom, Febbraio 2011

Questo genere di scritte, apparse nelle strade del Cairo, fa temere una svolta radicale e integralista della rivolta popolare. Esiste il concreto pericolo di una deriva islamista sul modello della rivoluzione iraniana.

Non c’è niente di più romantico, per la mente occidentale, di una rivoluzione di popolo. Da noi ha significato progresso, unità, odio per il tiranno e, in definitiva, la marcia verso un futuro di democrazia. Ma chi ha osservato la vicenda della rivoluzione iraniana del ‘79 ha imparato alcune lezioni: la prima è che una grande folla affamata e arrabbiata con uno Shah (oppure, oggi, con un faraone che sia) non porta necessariamente in sé i germi di una società migliore. L’integralismo può ridurre la sua gente in stato di peggiore schiavitù e da un popolo affamato creare una belva aggressiva.

La seconda lezione, è che questo non si vede subito: talvolta gli estremisti islamici hanno la furbizia di acquattarsi nelle pieghe della violenza popolare per poi uscire fuori con tutto il peso della loro maggiore dottrina, della loro presa religiosa sulla popolazione e anche della loro solida determinazione a vincere a qualsiasi costo, specie, anzi, quello del sangue sempre considerato parte del glorioso destino del martirio. Infatti Khomeini e gli ayatollah vennero allo scoperto dopo alcuni mesi, e così probabilmente accadrà in Egitto dopo la rivolta contro il trentennale potere di Mubarak. Mubarak è stato veramente un tiranno e, negli anni, chi scrive ha promosso una quantità di incontri per la democrazia in quello e in altri Paesi arabi. Uomini come Ayman Nour o Tarek Heggy o Saad Eddin Ibrahim sono veri democratici, perseguitati e coraggiosi, che per anni e anni hanno cercato di preparare quello che è indispensabile per costruire la democrazia: la cultura che la sostiene, le strutture che la difendono e la formano.

Ma ecco che queste persone che parecchie volte hanno conosciuto le carceri egiziane, sono state abbandonate proprio dall’attuale amministrazione americana; è una tragica storia, così sono stati abbandonati anche i dimostranti che dopo le elezioni iraniane hanno cercato di affossare il regime degli ayatollah bagnando del proprio sangue le piazza di Teheran. Adesso invece la piazza egiziana, forse proprio a causa dei sensi di colpa, sembra aver affascinato gli USA: contro ogni aspettativa, il presidente Obama si è spinto fino a chiedere a Mubarak di lasciare il campo libero.

Ma, la mia impressione, poiché non lo ritengo certo uno sprovveduto o un disinformato, è che Obama abbia abbracciato la piazza egiziana non tanto per amore per la libertà, quanto perché quello stesso alleato, che ha sostenuto con enormi somme e con molte armi nel corso dei suoi tre anni da presidente, adesso non gli sembra più abbastanza forte da fornirgli garanzie di stabilità.

Ma che cosa può fornire quelle garanzie agli USA e in generale al mondo Occidentale? Che cosa, chi, può promettere che la pace con Israele, che è l’ago della bilancia del Medio Oriente intero, che è il bastione unico contro lo strapotere dell’Iran e degli Hezbollah ormai padroni del Libano, contro Hamas che distrugge le prospettive di pace fra palestinesi e israeliani, non verrà distrutta dalla piazza oggi in pieno movimento? Chi ci dice che una volta che Mubarak se ne vada, forze molto più aggressive anche verso i loro stessi popoli, come i Fratelli Mussulmani, non prenderanno il bastone del potere? Chi ci dice che immediate elezioni, ad esempio, non avrebbero conseguenze disastrose come quelle che portarono Hamas al potere?

Certo non ce lo garantisce la piazza che già scrive sul più grande ponte del Cairo “Mubarak, vattene in Israele”, che grida che gli USA sono colpevoli dell’oppressione del popolo egiziano, che rappresenta Mubarak con una Stella di David in fronte e urla che “questa è la fine di tutti gli ebrei”. Si tratta di una componente minoritaria di pazzoidi che non ha niente a che fare col desierio di democrazia e di pace della maggioranza? Non sarei così ottimista. Una inchiesta PEW, di quelle che scandagliano a fondo l’opinione pubblica, ci dice che gli egiziani fra modernizzatori e islamisti, preferiscono i primi per il 27 per cento e i secondi per il 59 per cento. Che l’87 per cento ritiene che occorra la lapidazione per l’adultera, il 77 il taglio della mano per i ladri, l’84 è favorevole alla pena di morte per il musulmano che cambia religione. Il 30 per cento dell’opinione pubblica ama gli Hezbollah, il 49 è favorevole a Hamas e il 20 per cento persino ad Al Qaeda. Poi ci sono gli altri, i veri democratici, o coloro che esprimono in piazza una legittima sofferenza, che certamente rispettiamo per il loro coraggio nello sfidare delle forze di sicurezza determinate e crudeli, un leader che non ha mai avuto pietà per le opinioni diverse e che ha lasciato fiorire la peggiore corruzione, depauperando il suo popolo.

Questo popolo ha ragione di essere irato. Ma non avrà ragione se distruggerà l’unico elemento di moderazione che caratterizza oggi un'opinione pubblica araba e islamica agitata, rampante, antisemita, capitanata dall’Iran, che infatti ama presentarsi come lo sponsor della rivoluzione egiziana. Dunque, bisogna tenere d’occhio con severità le manovre della Fratellanza Mussulmana, e anche quelle di Kifaya, l’opposizione che ha già dichiarato che la sua prima mossa sarà cancellare la pace con Israele, e quelle di Muhammed El Baradei, il più che ambiguo segretario dell’AIEA, l’Agenzia dell’ONU per l’Energia Atomica, che ha di fatto sdoganato i piani nucleari dell’Iran nascondendoli al mondo. Israele sarà in serio pericolo se gli estremisti prendono il potere in un modo o nell’altro e il nostro compito oggi è quello di vigilare e di ripetere “mai più un nuovo Iran”. 

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