Dollari e polizia spengono la collera in Arabia Saudita
Il Giornale, 12 marzo 2011
E’ la nostra fantasia a suggerirlo, ma ci sembra di vedere re Abdullah ieri, alla fine di una giornata difficile, che trasporta il suo corpo ottuagenario (ha 87 anni) e i suoi bianchi veli svolazzanti fino all’ospedale saudita dove è ricoverato, suo ospite, l’ex rais di Tunisia Zine el Abidine Ben Alì e gli dice: “Vedi, dovevi fare come me: grandi donazioni alla popolazione, la polizia che fa sul serio, e torna la calma”. Infatti, può darsi che non sia detta l’ultima parola, ma certo la monarchia saudita deve aver tirato un respiro di sollievo dopo il fallimento, ieri, del “Giorno della Collera”. Indetto dai social network e ricco di 30mila adesioni su Facebook, dopo tanta preparazione ha visto soltanto duecento coraggiosi nella città di Hofuf, nella regione orientale dell’Arabia Saudita dove era stato arrestato un riverito imam sciita, Tawfik al Amer. [...]
Se la Nato chiama non possiamo tirarci indietro
Il Giornale, 9 marzo 2011
Attenzione che la paura di apparire come Bush non ci faccia diventare dei Chamberlain. Per ora, questo è il grande rischio di Obama che, a forza di cercare chiarezza e legittimità, ci fa sprofondare nella confusione. L’Europa, dato che la Francia e l’Inghilterra vorrebbero una nuova risoluzione dell’Onu per autorizzare le operazioni, non aiuta a fare chiarezza. Ma c’è un punto solo che si distingue anche da lontano nella grande confusione concettuale e politica che circonda ormai la questione libica, ed è rosso sangue. I ribelli libici non stanno vincendo, si può dire eufemisticamente: nelle battaglie di ieri Ben Jawad è stata presa, Misurata è circondata di carri armati di Gheddafi, Zawiyah sembra sia stata bombardata dall’aria, e il pozzo petrolifero di Ras Lanuf è stato a sua volta preso di mira dai Mig del rais. Di Tripoli, casamatta del capo, non si parla nemmeno, se non per dire che la polizia di Gheddafi mantiene un rigido e minaccioso controllo della città. [...]
Quel veleno antisemita che soffoca la voglia di libertà
Il Giornale, 6 marzo 2011
Anche quando il mondo arabo si batte per un futuro diverso il problema sembra sia far fuori Israele
C'è qualcosa che ci impedirà, consegnandoci ciecamente all'ignoto, di capire dove conducono le onde della più grande rivoluzione dopo quella anticomunista cui abbia assistito il nostro mondo. É un dannato stupido pregiudizio che ha colori diversi, toni sgangherati e toni paludati, che si nutre di menzogne naziste o di raffinate ideologie pacifiste o di luoghi comuni, ma che ha un focus strategico unico: dare addosso a Israele e immaginare che il conflitto con i palestinesi sia il vero problema del Medio Oriente. Non la libertà dei popoli, o il loro benessere, o il loro progresso verso la modernità. No. Israele, che deve essere spazzata via dalla mappa. Questa invenzione è stata sempre l'arma migliore per i vari rais, da Saddam a Gheddafi ad Assad e in Iran per Ahmadinejad. E adesso, ci siamo di nuovo. L'alibi Israele è di nuovo l'arma di consenso che può stravolgere ogni processo di modernizzazione. I Fratelli Musulmani di fatto hanno riproposto la loro candidatura ufficiale in Egitto quando lo sceicco Yusuf Qaradawi ha proposto a un milione di persone sulla piazza Tahrir la presa di Gerusalemme. Urla di gioia, e nessuno che in Occidente abbia sollevato un sopracciglio. [...]
The anti-Semitic poison that suppresses the wish for freedom
Il Giornale, March 6, 2011
There is something that will prevent us, consigning us blindly to the unknown, to understand where the waves of the greatest revolutions since the anti-communist ones that our world has seen will lead. It is a damn stupid bias that has different colors, incoherent and bombastic tones, which feeds on Nazi lies, refined pacifist ideologies or simply cliches, but that has a sole strategic focus: to bash Israel and to imagine that the conflict with the Palestinians is the real problem in the Middle East. Not the freedom of peoples, or their well-being, or their progress toward modernity. No. Israel, which must be wiped off the map. This invention has always been the best weapon for various dictators, from Saddam to Qaddafi and from Assad to Ahmadinejad in Iran. And now, here we go again. Using Israel as an excuse is again the weapon of consensus that can disrupt any process of modernization. The Muslim Brotherhood, in fact, have presented again their official candidacy in Egypt when Sheikh Yusuf Qaradawi suggested to a million people in Tahrir Square the conquest of Jerusalem. Shouts of joy, and no one in the West raised an eyebrow. [...]
ONU, Nirenstein: Iran difende i diritti delle donne? Ennesimo paradosso onusiano
Dichiarazione dell’On. Fiamma Nirenstein, Vicepresidente della Commissione Esteri della Camera
“Assistiamo oggi all’ennesima dimostrazione dell’incoerenza e della totale inefficienza dell’ONU come garante della difesa dei diritti umani nel mondo: oggi infatti viene ufficializzato l’ingresso dell’Iran nella Commissione per la Condizione femminile (Commission on Status of Women, Csw), il principale organismo ONU dedicato ai diritti delle donne.
La presenza dell’Iran nel Csw è frutto di un vergognoso baratto avvenuto nell’aprile scorso, quando il paese degli ayatollah era candidato al Consiglio per i Diritti Umani e solo una dura e onorevole battaglia dei paesi democratici, tra cui il nostro, impedì all’ultimo minuto che questo accadesse. Quello che per tutti questi mesi si è ignorato è che la rinuncia dell’Iran a quel seggio fu ricompensata con un mandato di 4 anni nel Csw, un’istituzione dedicata alla “parità di genere e all’avanzamento della condizione delle donne nel mondo”, come recita il suo statuto.
Così, mentre l’ordinamento giuridico iraniano, fedele alla Sharia e quindi poligamico, prevede la lapidazione per le adultere, punisce, in quanto atto contro la morale pubblica, le donne che non indossano il velo, e non sanziona il delitto d’onore, all’Onu sarà proprio questo paese a monitorare il rispetto dei diritti femminili nel mondo, come hanno fatto nello scorso mandato altri autorevoli membri quali la Cina, che pratica l’aborto selettivo, o il Pakistan, dove l’acidificazione delle donne è pratica comune.
Quando arriverà il momento in cui ci decideremo a fare i conti con il continuo paradosso delle dinamiche onusiane, che proteggono i violatori dei diritti umani con la nostra connivenza ad assurde maggioranze automatiche?”.
Roma, 4 marzo 2011
I dubbi dei progressisti Usa: bombardare o no Gheddafi
Il Giornale, 2 marzo 2011
«When you have to shoot, shoot, don’t talk» dice Eli Wallach in "Il buono, il brutto e il cattivo", mentre fa fuori l’assassino che era venuto per accopparlo e invece si è perso in inutili minacce. La parabola non ha niente di feroce, è solo realistica: noi parliamo e parliamo e intanto i destini si compiono. Anche i destini di giovani, donne, bambini innocenti, se non viene fermato il tiranno determinato a sedersi sul cumulo delle loro vite. Anche adesso che, dopo un biennio di tentennamenti obamiani, gli Usa cercano di mostrarsi decisi di fronte alla rivolta del mondo arabo, Hillary Clinton ha cercato tuttavia di esorcizzare la memoria recente di un’America troppo interventista dicendo e negando, volendo e rifiutando. Intervenire sì, ma con juicio, fermare Gheddafi, ma senza armi. La Clinton sa bene che uno dei motivi principali dell’elezione stessa di Obama è sempre stata la sua violenta contrapposizione alla figura di George W. Bush e al rifiuto del tema dell’esportazione della democrazia sulla punta della lancia. [...]
The dangerous doubts of the U.S. administration
Il Giornale, March 2, 2011
“When you have to shoot, shoot, don't talk,” said Eli Wallach in "The Good, the Bad and the Ugly", as he guns down the murder who had come to bump him off and who instead, lost himself in unnecessary threats. The parable is not fierce, it's just realistic: we talk and talk and meanwhile, destinies are fulfilled. And also those of young people, women and innocent children, if the tyrant who is determined to sacrifice their lives is not stopped. Even now that, after two years of Obamian hesitations, the U.S. has been trying to appear determined in the face of the revolts in the Arab world, still Secretary of State Hillary Clinton has sought meanwhile to exorcise the recent memory of a too interventionist America, by saying one thing and denying another, wanting one outcome and rejecting the other: to intervene yes, but with good judgment, to stop Qaddafi, but without weapons. Clinton knows well that one of the principle reasons of Obama's election was his violent opposition of George W. Bush's figure and the refusal of the idea of the exporting democracy on the tip of the spear. [...]
Che beffa vedere la Cina fare la morale a Gheddafi
Il Giornale, 28 febbraio 2011
Mentre metà del mondo grida «libertà!», chi poi decide fino in fondo, in base ai criteri della governance mondiale che ci siamo costruiti, sono sempre coloro che la libertà non sanno nemmeno dove stia di casa, ma conoscono benissimo invece l’indirizzo dell’Onu, dove agiscono da padroni ormai da decenni. In questo caso parliamo della Cina che, insieme alla Russia, altro Paese che campione di libertà non risulta davvero, è riuscita a influenzare le sanzioni che il Consiglio di sicurezza ha votato per cercare di bloccare la mattanza di Gheddafi. Mentre la vendita di armi è bloccata, bloccati i beni degli otto figli del raìs e bloccati i movimenti di alcuni personaggi vicini a Gheddafi e ritenuti quindi pericolosi, solo dopo molti sforzi sulla Cina si è potuto ottenere che la risoluzione riferirà, come richiesto dai Paesi occidentali, al Procuratore della Corte Penale Internazionale; e a causa della Russia, il testo richiamerà l’articolo 41 che mette fuori gioco ogni misura che richieda l’uso di forze armate o di interposizione. [...]
La rivolta egiziana non deve essere un nuovo palazzo dei sogni
di Fiamma Nirenstein
Tratto da Il Foglio, 24 febbraio 2011: "Sotto la piazza l'abisso? Sguardi preoccupati di esperti davanti al vuoto lasciato dal rais"
Se le rivoluzioni, gigantesche e sconosciute, che fanno dei Paesi islamici una promessa e una minaccia, falliranno sarà perché i giovani oggi in piazza (chiunque essi siano e comunque la pensino, muoiono per la libertà) avranno dovuto pagare un triste tributo a quelli stessi dittatori che hanno cacciato via. L’insistente domanda che poniamo a noi stessi, e che molti smussano invocando i nuovi idoli dei social network, è quanto la destituzione dei tiranni arabi possa condurre a una società moderna, democratica, insomma a noi non aliena e nemica.
Le società mussulmane possono farlo: i giovani ottomani negli anni fra il 1830 e il 1850, all’inizio con riluttanza, poi con slancio, impararono almeno una lingua europea, viaggiarono, divennero i portabandiera del desiderio di dare al loro Paese, da patrioti liberali, un governo istituzionale e parlamentare nel quale vedevano il talismano del successo europeo. [...]
L'Iran a Suez: ecco il dopo Mubarak
Il Giornale, 23 febbraio 2011
Guardiamole bene quelle due navi iraniane che sono entrate alle quattro del pomeriggio nel nostro Mediterraneo. E’ uno spettacolo del tutto nuovo, ed è tutto dedicato a noi europei, israeliani, americani, è stato messo in scena per farci digrignare i denti: dal 1979 l’Egitto non lasciava passare dal suo prezioso corridoio le navi dell’Iran khomeinista, il Paese della rivoluzione sciita integralista e nemica acerrima del potere sunnita, se non di quello estremista di Hamas, dei Fratelli Musulmani e di Al Qaeda e altri compagni del genere. Adesso, invece, ecco il primo gesto dell’Egitto post-rivoluzionario: visto che l’alleato americano, il più fedele amico, si è scansato appena la folla si è messa in marcia, il nuovo-vecchio potere militare immagina prudentemente nuove alleanze, meglio non litigare con Ahmadinejad che riempie infatti di lodi la rivoluzione egiziana. Anche i Sauditi, anch’essi leader del mondo sunnita anti-sciita, non hanno mai avuto simpatia per l’Iran khomeinista, al contrario. Anzi, ultimamente si sono battuti per difendere Mubarak: il re Abdullah ha fatto una telefonata durissima a Obama per dirgli di non umiliare il suo amico. Ma il presidente americano invece l’ha abbandonato, ed ecco che anche i sauditi tastano nuove possibilità strategiche: le navi iraniane hanno fatto scalo, sembra, dal porto saudita di Jedda. [...]
Navi iraniane dallo stretto di Suez: un autentico rivolgimento geopolitico è in corso in Medioriente
M.O.: NIRENSTEIN (PDL), NAVI IRANIANE GRAVISSIMO PERICOLO = AUTENTICO RIVOLGIMENTO GEOPOLITICO E STRATEGICO, E' EVIDENTE
L'INTENZIONE DI PROVOCARE UNA REAZIONE ISRAELIANA
Roma, 22 feb. (Adnkronos) - La presenza nel Mediterraneo di due navi da guerra iraniane e' "una grave provocazione, un gravissimo pericolo". Cosi' Fiamma Nirenstein (Pdl), vice presidente Commissione Esteri, commenta, all'ADNKRONOS, la notizia del passaggio attraverso il Canale di Suez di due navi da guerra dell'Iran, oggetto di un'interrogazione di Alessandro Ruben (Fli), al ministro degli Esteri sui rischi di destabilizzazione dell'area e per i nostri militari impegnati nella regione in missione di peacekeeping.
"Credo che Ruben abbia ragione, e' una preoccupazione importante, anche per i nostri militari che sono in quell'area -prosegue Nirenstein- un autentico rivolgimento geopolitico e strategico: sarebbe la prima volta che l'Egitto consente a navi iraniaine di arrivare nel mediterraneo. E' evidente l'intenzione di provocare una reazione, almeno psicologica, israeliana. Poi vi e' il rischio di una consegna di armi a Hezbollah".
"Questo Egitto post rivoluzionario fa una politica diversa da quella di Mubarak nei confronti dell'Iran ed altro elemento preoccupante e' che queste navi sembra abbiano fatto scalo a Gedda, in
Arabia Saudita. Siamop di fronte a una nuova espansione del potere iraniano che ha sempre avuto un carattere aggressivo, integralista islamico, che prepara strutture atomiche non pacifiche, minacia la distruzione dello Stato di Israele, manifesta intenzioni aggressive nei confronti di tutta la civilta' giudaica-cristiana che ha la sua culla nel Mediterraneo", conclude Nirenstein.
La sinistra cavalca la piazza pure se è fondamentalista
Il Giornale, 21 febbraio 2011
Se ci affacciamo sull’affresco delle rivoluzioni nel mondo islamico, in mezzo al sangue, ai messaggi su Google, ai cortei e all’orrore dei centinaia di morti in Libia, vediamo un panorama grande dal Marocco, all’Egitto, allo Yemen, al Bahrein e via ancora... e per fortuna risorge ieri l’Iran. Quanto nutrimento indigesto per la mente, quante pulsioni anche antagoniste. E qui fa specie che un osservatore esperto come l’ex primo ministro Massimo d’Alema nella sua intervista al Sole 24 ore ricalchi schemi cancellati dal tempo, in cui elezioni vogliono dire democrazia, democrazia vuole dire folla in marcia, folla in marcia vuol dire magnifico spettacolo. È un vizio tipico di una mentalità del genere «Stati generali» che viene condivisa da parecchia parte della sinistra e che porta a trovarsi spesso in compagnie scomode perché sovente una volta scesi dalle barricate i rivoluzionari si dimostrano pericolosi estremisti e persino terroristi. [...]





