Quei folli sogni di conquista e dominio del mondo
lunedì 1 giugno 2009 Diario di Shalom 0 commenti
Shalom, giugno 2009Pur profondamente diverse, l’Iran e la Corea del Nord hanno una strategia in comune: sfidare l’Occidente creando insicurezza.
L’episodio più impressionante è la costruzione della centrale nucleare siriana di Kimbar, dove si sono trovate tracce di tecnologia e uomini di ambedue i Paesi dopo che grazie al cielo Israele l’ha distrutta
La storia di questi giorni ha una doppia lettura, e ognuno è libero di credere a quella che gli piace di più, salvo poi prendersi la responsabilità della propria inter- pretazione.
Da una parte assistiamo a una delle situazioni più conflittuali mai rappresentate sulla scena mondiale. Dall’altra alla messa in scena di una encomiabile speranza di pace che fa acqua. Lasciamo da parte l’area Pakistana e Afghana di cui si è parlato tante volte. Basterà ricordare che la crescente aggressività talebana e di Al Qaeda non trova nessun contenimento adeguato, e che le “bombe islamiche” pakistane, nel numero di almeno 90 secondo gli esperti, sono custodite in una situazione mancante di qualsiasi garanzia di sicurezza politica o militare.
Ma se guardiamo agli avvenimenti più recenti, per capire che il livello dell’antagonismo antioccidentale è molto alto, basta pensare alla bomba atomica nord coreana, un evento per niente sorprendente per chi non si è abituato a farsi illusioni inutili; l’esperimento ha sviluppato un’esplosione di potenza terrificante, assai più significativa del precedente esperimento del 2006, pari come potenza a una magnitudine fra 4,5 e 5,3 pari all’esplosione che distrusse Nagasaki.
Mentre la bomba scoppiava sulla faccia dei vari tentativi americani di rabbonire il tiranno Kim Jong il con inutili trattati e aiuti umanitari a una popolazione totalmente deprivata, affamata, soggiogata, non è peregrino notare che in Iran, a pochi giorni dalle elezioni del 12 di giugno, l’imam Khamenei invitava la popolazione a votare per il candidato più antioccidentale: ciò che significa che anche dovesse perdere Ahmadinejad chiunque gli succeda dovrà tenete conto dell’egida sotto la quale milita, perché il vero potere è quello degli Ajatollah. Ahmadinejad peraltro oltre a scegliere come insegna della sua campagna il lancio di un missile in grado di tagliare l’atmosfera per 2.000 chilometri, e quindi di colpire Israele, ha rifiutato ancora una volta di accettare la proposta dell’Occidente di congelare la preparazione del nucleare mentre gli USA, la Russia, la Cina, la Francia, la Germania e l’Inghilterra inviteranno l’Iran a un incontro in cui si illudono di trovare una soluzione.
“Parleremo solo di questioni globali ha detto Ahmadinejad, la questione nucleare è conclusa per noi”. Ahmadinejad ha condito con una guasconata del suo genere il rifiuto alla proposta più volenterosa che l’Iran abbia mai ricevuto, invitando Obama a un dibattito faccia a faccia alle Nazioni Unite.
A Teheran adesso stanno certamente guardando con molta attenzione quello che accade all’ONU, in USA, in Europa, con Pyong Yang; gli ayatollah misurano le reazioni, la reazione internazionale, la capacità dell’occidente di difendersi comminando sanzioni, l’atteggiamento delle grandi potenze, della Russia, della Cina, la volontà di Obama di tenere conto della realtà. Teheran certo si specchia in Pyong Yang in queste settimane, e non solo. Prima di tutto, i due Paesi hanno una regola chiara e dimostrata negli anni: sfidare l’Occidente con periodica e regolare aggressività, così da non lasciare che esso dia mai niente per scontato.
Contare su amici forti e interessati, talora la Russia, altre volte la Cina, alcuni paesi dell’America Latina e altri, tutti opposti agli USA: così facendo possono rinegoziare il già negoziato e guadagnare, minacciare senza remore e rischiare, mostrando che “la morte non ci fa paura”, possono ottenere il consenso interno con teorie di accerchiamento e politiche d’odio internazionale contro “l’imperialismo”, infischiarsene di depauperare la propria economia e la propria gente per comprare armi e allenare eserciti, e nel caso dell’Iran terroristi di mezzo mondo, e proseguire senza perdere tempo nell’acquisto di centrifughe, materiale fissile, know how, arrivando allo scopo prefissato: l’atomica.
Pyong Yang ce l’ha già, per l’Iran quasi ci siamo. Sia l’Iran che la Corea del Nord per decenni hanno speso il più e il meglio in forze militari, hanno coltivato a suon di milioni e di ideologia estremista relazioni con Paesi che hanno fornito la loro complicità per l’esportazione e l’acquisto illegale di tecnologie e materiali. Il Nord Corea dopo aver comprato le tecnologie pakistane dell’esperto criminale pakistano ora di nuovo in libertà A. Q. Khan, le ha poi riciclate e rivendute complete di esperti, opera e scienziati in trasferta. L’episodio più impressionante in cui sia l’Iran che la Corea sono implicati è la costruzione della centrale nucleare siriana di Kimbar, dove si sono trovate tracce di tecnologia e uomini di ambedue i Paesi dopo che grazie al cielo Israele l’ha distrutta.
Può darsi che mentre Obama prepara il terreno per i prossimi colloqui che ha dichiarato urbi et orbi di desiderare, davanti ai suoi occhi si dispiegheranno ulteriori prove della scarsissima disponibilità iraniana a trattare: per esempio, dopo le elezioni libanesi in cui gli Hezbollah sono destinati a un successo che può consegnare il governo nelle loro mani, vedranno certamente l’innalzarsi della retorica e del terrore iraniano sul confine nord d’Israele. I Paesi arabi moderati, per primi Egitto, Arabia Saudita, Giordania, saranno oltraggiati e anche molto preoccupati nel vedere la crescita del potere iraniano tramite la Siria, il Libano, Hamas e anche il Qatar, in tanta parte del mondo arabo senza che l’America muova un dito. L’Iran è una minaccia attiva e ben presente per tutti, e guarda adesso con occhio sardonico che cosa farà il mondo contro il ben più debole Kim Jong il per vedere fin dove arriva la sua arrendevolezza.
C’è chi sussurra che Mubarak non sia andato in visita da Obama nei giorni scorsi non solo perché ha avuto un grave lutto in famiglia, ma per dargli un segnale della grande angoscia del mondo arabo di fronte alla volontà di parlare con il Paese che non è affatto il garante e il rappresentante dell’Islam, ma al contrario ne minaccia gran parte. Obama ha importanti scelte davanti, e nonostante l’enfasi data dai giornali alla discussione apertasi fra lui e Netanyahu sugli insediamenti, cui Bibi sta rispondendo con una chiara predisposizione a salvaguardare l’amicizia con gli USA in un momento di estrema emergenza, l’accento torna ancora e ancora sull’Iran: là è il nodo su cui si scioglie o si incatena il futuro del mondo attuale.