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Netanyahu a lezione da Obama

giovedì 12 febbraio 2009 Panorama 0 commenti

Panorama, 12 febbraio 2009

Le elezioni in Israele, mentre la guerra di Gaza balugina ancora all’orizzonte, non sono tranquille. Gilad Shalit da quasi tre anni langue a Gaza, rapito da Hamas; i missili Grad cadono su Ashkelon mentre i bambini vanno a scuola; al Cairo si tratta una tregua in cui, fra l’altro, si deve decidere se consegnare centinaia di terroristi in cambio del soldato; a Teheran Khaled Meshaal e i grandi ayatollah, che lo incitano a proseguire nella guerra dei missili, gridano «morte a Israele» di fronte alle telecamere; nelle stesse ore si sperimenta un missile iraniano adatto a portare una testata nucleare.

L’Egitto cerca di mediare una tregua e tuttavia proibisce che una qualche forza neutrale possa controllare le vie d’ingresso legali e clandestine alle armi e alle forze che già riarmano Hamas. L’amministrazione Obama spingerà certo alla cessione di territori in cambio di pace, mentre quelli ceduti ai palestinesi nel 2006, ovvero Gaza intera, sono stati utilizzati come una base missilistica.

Israele deve preparare una risposta. L’economia langue, si prevedono 50 mila disoccupati in più. Ma Israele è un paese democratico e colto, vuole teatro, università, concerti, il cappuccino italiano, la scienza ai massimi livelli, i bambini impegnati in corsi di lingua e tuffi. E ha un esercito di popolo, dove militano figli nella leva e padri nella riserva. Insomma, il prossimo primo ministro deve salvare Israele dalla distruzione: è solo davanti all’atomica iraniana e al terrorismo di Hamas, Hezbollah, Siria, davanti alla pressione internazionale e all’antisemitismo. Nello stesso tempo deve garantire una vibrante democrazia e la sicurezza anche negli internet caffè, che solo quattro anni fa saltavano tutti per aria durante la seconda intifada.

Il candidato principe è Benjamin Netanyahu, capo del Likud, che sembra essere passato da 12 seggi a circa 28. Perché? Basta ricordare che «Bibi» ha previsto che sgomberare Gaza significava di fatto consegnarla a Hamas, come è accaduto. Che è stato il primo a denunciare il pericolo iraniano ai confini. Chi teme il suo atteggiamento di destra deve ricordare che, quando nel 1996 fu primo ministro, strinse la mano a Yasser Arafat a Wye Plantation e lasciò Hebron.

Il partito Kadima perderà le elezioni non perché Tzipi Livni è donna, né perché ripete di voler parlare con Abu Mazen, presidente dell’Autorità palestinese. Le sue carte di pace sono fragili in questo momento, Abu Mazen non emerge dalla crisi con Hamas. Livni ha gestito il suo ruolo di ministro degli Esteri dignitosamente, ma Kadima è stato il partito di due fallimenti, la guerra del Libano del 2006 e la consegna di Gaza a Hamas.

Il terzo concorrente è Ehud Barak, il soldato più decorato d’Israele, il primo ministro che sgomberò il sud del Libano nel 2000 offrendo ad Arafat tutta la Cisgiordania, compresa Gerusalemme, scatenando la seconda intifada (iniziata dopo la passeggiata di Ariel Sharon sulla spianata delle moschee). Ma in guerra è bravo, si è visto anche stavolta, e il suo desiderio di pace è sincero. Netanyahu sembra tendergli una mano come prossimo ministro della Difesa. Sarebbe un duo eccezionale, lo stesso che appare, in una foto del 1972, sull’ala dell’aereo Sabena dirottato, quando la loro unità speciale salvò i passeggeri rapiti.

Si è aggiunto negli ultimi giorni un quarto incomodo, Avigdor «Yvette» Lieberman, l’uomo che vuole che gli arabi israeliani promettano di essere cittadini fedeli a Israele, dopo che hanno ripetuto di ritenersi palestinesi a tutti gli effetti. Considerato un iperdestro, potrebbe disturbare l’idillio Bibi-Ehud.

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