Fiamma Nirenstein Blog

Difficili sfide per Abu Mazen

giovedì 29 gennaio 2009 Panorama 0 commenti

Panorama, 29 gennaio 2009

Dopo la guerra delle ultime settimane i capi militari e politici di Hamas, al contrario di quelli di Hezbollah nella guerra del 2006, sono usciti dai lori rifugi e hanno dovuto fronteggiare un problema insuperabile: riprendere il controllo di Gaza dopo la sconfitta. In mezzo alle rovine e ai morti, di fronte a una popolazione disfatta, i leader hanno subito cominciato a propagandare una «vittoria divina» e hanno indetto una grande celebrazione di piazza.

Dove hanno dichiarato, dicono fonti locali, che il loro esercito aveva perso solo 48 uomini, di fronte a più di 1.000 civili. Ma altre fonti, sempre palestinesi, parlano di 400 militanti morti, del veloce abbandono delle divise per ordine dei vertici, del fatto che Ismail Haniyeh mente quando racconta di aver ucciso 80 soldati di Tsahal, e della mancanza di qualsiasi episodio di valore dei loro armati. Ismail Haniyeh e Khaled Meshaal, qualcuno osa sussurrare dentro Gaza, sono rimasti sempre al riparo nei sotterranei degli ospedali, a Damasco.

Si sa che Hamas ha perso almeno metà delle armi, che molte gallerie sono state distrutte e che i miliziani non hanno ricevuto ordini adeguati alla situazione. È stato annientato uno dei gruppi più addestrati, chiamato «la colonna iraniana» perché tutti i suoi militanti erano stati preparati da ufficiali iraniani, in loco o in Iran con i guardiani della rivoluzione.

Non solo. Said Siam, l’unico alto dirigente di Hamas ucciso nel corso di questa guerra con un’azione di eliminazione mirata, era non solo ministro dell’Interno a Gaza, era anche il vero ufficiale di collegamento tra il fronte interno della Striscia e il presidente iraniano Mahmud Ahmadinejad in persona: esistono riprese televisive dei due insieme, mentre si scambiano informazioni e affettuosità. Al summit di Doha, due settimane fa, Ahmadinejad sosteneva che Israele è alla vigilia del suo annientamento e il presidente siriano Bashar al-Assad aggiungeva che Israele non merita trattative di pace. Ma tre giorni dopo, durante il summit in Kuwait, dove i paesi sunniti moderati avevano la prevalenza, il presidente egiziano Hosni Mubarak è tornato a essere la testa pensante della tregua e ha sostenuto senza peli sulla lingua che ci sono stati islamici che danzano sul sangue dei palestinesi. Intanto prometteva un aiuto, finanziato da egiziani e sauditi, di 2 miliardi di dollari per la ricostruzione di Gaza e si qualificava, con gli europei, come l’unica garanzia contro il passaggio di armi dentro Gaza.

L’Egitto, insieme all’Europa, ha incessantemente chiamato in causa il suo amico Abu Mazen, presidente dell’Autorità nazionale palestinese, interlocutore privilegiato per la riapertura di un processo di pace. Abu Mazen desidera riprendere Gaza, almeno in parte, e riaprire il dialogo. Ma deve fare i conti con l’opinione pubblica della Cisgiordania: mentre il quadro medio di Al Fatah vede Hamas come «criminale responsabile della morte di centinaia di palestinesi», la gente invece ammira Hamas e il suo «eroismo» nel contrastare Israele.

Nella Striscia di Gaza Abu Mazen è stato trattato da collaborazionista e svillaneggiato in molte manifestazioni. Dunque, contro i sensi di colpa, la gente della Cisgiordania vorrebbe che la sua dirigenza dimostrasse lealtà alla causa palestinese con un’altra rivoluzione violenta. Abu Mazen ha di fronte molte difficili sfide.

 

 Lascia il tuo commento

Per offrirti un servizio migliore fiammanirenstein.com utilizza cookies. Continuando la navigazione nel sito autorizzi l'uso dei cookies.