Dopo l'intesa su "Mr. Europa" e "Madame Pesc"
"Il governo ha sostenuto con grande determinazione la nomina di D'Alema"
Intervista a Fiamma Nirenstein di Fabrizia B. Maggi
L'Occidentale, 20 novembre 2009
Sono tante le polemiche nate all’indomani della scelta delle persone che guideranno l’Europa nei prossimi mesi. Dopo la riunione di ieri tra i leader dei Ventisette per decidere il nome del presidente stabile dell’Ue e quello dell’Alto Rappresentante della Politica Estera, una cosa è certa: il nuovo primo ministro degli Affari Esteri europeo non sarà Massimo D’Alema. Nel pomeriggio, è arrivato infatti il colpo di scena. Nonostante tutti i bookmakers europei dessero quasi per sicura la nomina dell’ex premier italiano a “Mr. Pesc”, il gruppo dei socialisti europei ha deciso all’ultimo momento di ritirare la sua candidatura per dare preferenza alla baronessa britannica Catherine Ashton. Così, Londra ha finalmente dato il via libera alla nomina di Herman Van Rompuy come nuovo presidente europeo.
Se per alcuni la decisione è stata “una beffa” e “un affondo” da parte dei compagni europei di D’Alema, altri invece puntano il dito contro “lo scarso attivismo” del governo italiano e lo “scarso appoggio” del premier Silvio Berlusconi. La stessa persona che era scesa in campo (persino fino a poche ore prima della decisione finale) per appoggiare personalmente la candidatura di D’Alema, nonostante le ovvie divergenze politiche. Per capirne di più abbiamo parlato con Fiamma Nirenstein, Vicepresidente della Commissione Esteri della Camera dei Deputati.
Onorevole Nirenstein, Martin Schultz (capogruppo dei socialisti a Strasburgo) ha dichiarato che a far saltare la candidatura di Massimo D’Alema a responsabile della PESC sia stato lo scarso appoggio ricevuto dal governo Berlusconi. Sono andate davvero così le cose?
Come vicepresidente della Commissione degli Affari Esteri al Parlamento, sono stata presente ad un paio di riunioni e ho sentito il ministro Frattini parlare della candidatura di D’Alema con grande determinazione. E poi, mi è sembrato capire che a ritirare la sua candidatura non sia stato il governo ma bensì il Partito socialista europeo, cioè i colleghi del suo stesso gruppo politico in Europa. [...]
Intervento nel corso del quinto Congresso Mondiale Parlamentare sul Tibet
Sala della Lupa, Montecitorio
Mediorientale
Sintesi degli argomenti di questa settimana:
Due soldati israeliani processati e condannati per aver rifiutato di sgomberare delle case di settlers.
L'aumento di soldati religiosi che si arruolano: il fenomeno del nazionalismo religioso e la crescente contestazione di destra all'interno dell'esercito.
La richiesta del "congelamento" degli insediamenti.
Le differenze tra Arafat e Abu Mazen che sono emerse anche durante il ricordo di Abu Mazen alle celebrazioni per l'anniversario dalla morte di Arafat alla Muqata nei giorni scorsi.
Abu Mazen è andato a sondare il terreno per verificare se andare avanti o meno sulla decisione di non ricandidarsi alle prossime lezioni presidenziali, indette da lui stesso per gennaio. In generale si pensa all'opportunità o meno di queste elezioni, dal momento che sembra quasi sicuro che Fatah le perderebbe.
Saeb Erekat, storico negoziatore palestinese, ha sollevato l'idea di dichiarare unilateralmente la nascita di uno stato palestinese. Come? Facendo rilasciare alle Nazioni Unite una risoluzione ad hoc. Anche se dovesse avere valore solo simbolico, non è detto che questa iniziativa all'ONU non passerebbe, soprattutto sulla scia della vicenda del Rapporto Goldstone.
Frattanto, Netanyahu ha ribadito la richiesta di sedersi al tavolo delle trattative senza precondizioni (come quella del "congelamento"), riaffermando la disponibilità a grandi concessioni. Plausibile, ricordandoci degli accordi di Wye Plantation, fatti proprio da Bibi nel 1998 e in generale dei grandi gesti di uomini di destra per cercare di raggiungere la pace.
Yaakov Katz, membro del governo Netanyahu, ha contestato la possibilità di dichiarazione unilaterale di uno Stato palestinese, facendo riferimento alla possibilità che allora anche Israele annetta unilateralmente zone della West Bank e richiamando piuttosto alla Risoluzione 242 che invita a sedersi al tavolo dei negoziati.
Il Times di Londra rivela oggi (17.11.09) che Muhammad El Baradei, il direttore dell'AIEA, avrebbe stilato da settembre un documento segreto, presentato dal Times come un documento di resa, che darebbe all'Iran la possibilità di arricchire il suo uranio, concedendo in cambio all'Agenzia per l'Energia Atomica di effettuare alcune ispezioni cicliche.
Mentre Obama dichiara "è il momento che l'Iran si comporti in maniera pacifica e trasparente", l'AIEA ha rilasciato due rapporti, questi pubblici: uno sulla visita al sito segreto di Qom, scoperto il mese scorso e un altro sulla Siria.
Nel primo rapporto si parla dell'eventualità che, essendo la centrale di Qom stata mantenuta in segreto molto bene per lungo tempo, esistano altre centrali non dichiarate.
Il secondo rapporto fa riferimento a 3 luoghi nelle vicinanze del sito bombardato in Siria nel settembre 2007 dove, con i resti del reattore nucleare bombardato allora, sembra si stia continuando un'attività di arricchimento di uranio e plutonio.
I sospetti sul rapimento da parte di forze che collaboravano con il Mossad di Ali Reza Askari, un ufficiale della difesa iraniano scomparso all'inizio del 2007 mentre si trovava in Turchia, forse ora detenuto in un carcere israeliano. Fonte: la radio militare israeliana (Galei Tzahal). Si suppone che sia Askari dietro al passaggio di informazioni sul reattore siriano succitato, bombardato nel settembre 2007 e sulla sorte di Ron Arad, il pilota israeliano scomparso dal 1986.
Fronte delle trattative israelo-siriane: il consiglio di Sarkozy a Netanyahu di concentrarsi su quel fronte dato lo stallo su quello palestinese. Il viaggio di questi giorni di Kouchner in Israele e Siria segue la visita della settimana scorsa di Bashar Assad a Parigi.
Nuovi revisionismi: un professore dell'Università di Gaza in un'intervista alla televisione Al Aqsa ha sostenuto che le lamentele degli ebrei che costruirono le Piramidi, per cui furono maltrattati e sfruttati, sono una mera bugia. I ritrovamenti archeologici hanno dimostrato che gli schiavi ebrei erano trattati benissimo.
Le mogli dei dittatori ci fanno lezione
Il Giornale, 17 novembre 2009
L’Unità esalta la conferenza contro la fame delle first lady del Terzo mondo. Dove a spiegare come sconfiggere il sottosviluppo erano la signora Ahmadinejad e la rappresentante del governo cubano.
È davvero corruttiva rispetto al ruolo della donna nella società, alla sua dignità, all’uso del corpo la prima pagina dell’Unità di ieri: una schiera colorata di foto di donne avrebbe dovuto testimoniare l’eccellenza della femminilità nel combattere la battaglia contro la fame nel mondo in occasione di un vertice di first ladies nell’ambito della Conferenza della Fao. Ma queste donne, che hanno come caratteristica predominante quella di essere mogli, se poi si va a guardare mogli di chi, si vede che il giornale fondato da Antonio Gramsci cade in una deprimente trappola propagandista. La patente di combattenti contro l’ingiustizia sociale che viene loro attribuita da un titolo «Donne contro la fame» infatti, certo non è quello più meritato da chi condivide e sostiene le politiche di paesi totalitari, discriminatori verso le donne, che perseguitano ogni opinione diversa e che sono poveri non per destino divino, ma perché la dittatura impoverisce la gente. [...]
Consigli di lettura: "Non smetteremo di danzare", di Giulio Meotti

ho qui vicino a me il libro di Giulio Meotti e sento il bisogno di comunicarvi la mia ammirazione per il suo lavoro.
Parlo e scrivo spesso dell’eccezionalità di Israele, del coraggio edella coesione della sua società, della determinazione dei giovani agodersi la vita nonostante tutto, dell’eroismo nel viverecontemporaneamente una vita di incredibili sacrifici e di gioiosavitalità moderna e democratica. Una volta la mia amica Ruthie Bloom -una famosa giornalista con cui ho condiviso tutti i giornidell’Intifada a Gerusalemme, quando tutto esplodeva e noiostinatamente, come tutti i gerosolimitani, andavamo a sederci, achiaccherare, a ridere nel prossimo caffè che sarebbe stato oggettodell’attenzione dei terroristi - presentando un mio libro ha detto chequello che manca agli israeliani per spiegarsi al mondo è sapersivedere come io li racconto. Bene, vorrei dire la stessa cosa del librodi Giulio Meotti “Non smetteremo di danzare - le storie mai raccontate dei martiri di Israele", edito da Lindau.
Un libro che già per come si presenta è compatto e ponderoso, un lavoro che fin dalla copertina in cui compare una famigliola di mitnahalim, i famigerati “coloni” come la stampa italiana chiama gli abitanti degli insediamenti, sfida il cuore e la mente del lettore a entrare in un mondo nuovo, a indossare occhiali completamente diversi per capire la storia di Israele. Meotti osa avventurarsi dove nessun giornalista, nessun critico, nessun osservatore politically correct guarda mai per paura di bruciarsi, ovvero nel martirio infinito tramite un continuo stillicidio omicida del popolo ebraico, anche oggi che è giunto nella sua terra, nello Stato ebraico. [...]
Prospettive europee dopo l'ok dei 27 al Trattato di Lisbona: discussione in Commissione
Cari amici,
vi segnalo questa interessante discussione "Comunicazioni del Governo sugli esiti del Consiglio europeo del 29-30 ottobre 2009", nella quale è intervenuto il Ministro degli Esteri Frattini davanti alle Commissioni Esteri e Unione Europea di Camera e Senato in seduta congiunta.
La discussione è molto interessante perché verte su tematiche cruciali per il futuro dell'Unione Europea: il 3 novembre scorso, con la ratifica da parte della Repubblica ceca del Trattato di Lisbona, si è chiuso un lungo processo di riforma delle istituzioni europee.
Trovate tutto il testo a questo link:
http://www.senato.it/documenti/repository/commissioni/stenografici/16/congiunte/3-14-III-XIV-20091111-AU%200583%20(BOZZA).pdf
Segue il mio intervento, durante il quale ho colto l'occasione per esporre la mia opinione sulla candidatura di D'Alema alla carica di Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza comune dell'Unione Europea.
NIRENSTEIN (PdL): Presidente, ringraziare il Ministro in questo caso non è solo una consuetudine, ma è veramente sentito, perché ha cercato di dare una cornice di razionalizzazione ottimista a problemi epocali e giganteschi che questa specie di zattera della Medusa che è l'Europa si trova ad affrontare nel mezzo di problemi mondiali spaventevoli, dopo che il Trattato di Lisbona è passato sul filo del rasoio, come ha detto qualcuno, riproponendo il tema degli egoismi delle Nazioni. Soprattutto, a me sembra che l'Europa abbia problemi fondamentali dal punto di vista della sua definizione identitaria, morale, etica, tant'è vero che ci troviamo tra il problema di un indispensabile rispetto della libertà religiosa e delle minoranze da una parte e quello della conservazione e del rispetto della nostra identità giudaico-cristiana dall'altra. Non è questione da poco e pone tutta una serie di problemi teorici e sociali di grandissimo livello. [...]
Barack liquida la guerra globale al terrorismo
Il Giornale, 15 novembre 2009
SVOLTA Da Guantanamo all’Iran un filo conduttore nelle sue scelte: la fine del compito morale degli Usa
Più di tutte le critiche di carattere giuridico alla decisione di processare a New York i terroristi islamici responsabili dell’attacco alle Twin Towers, un’autentica sirena d’allarme suona, per chi ricorda le immagini dell’eroismo coperto di cenere e sangue dei vigili del fuoco che persero 343 uomini, nella presa di posizione di Steve Cassidy, presidente dell’associazione dei pompieri di New York: «È un terribile errore», dice e spiega che New York è sempre stata il numero uno degli obiettivi dei terroristi, e adesso sarà segnata da un ulteriore marchio. Cassidy dice che la discussione sarà infinita, con corsi, ricorsi, deduzioni e controdeduzioni, che per anni risulterà in misure di sicurezza insopportabili per i newyorkesi, e che susciterà altri terribili attacchi dopo quello che fece 2973 morti.
Di fatto la decisione garantista e all’apparenza legislativamente neutrale sostituirà il leit motiv newyorkese del pianto delle famiglie delle vittime con la discussione sulla legalità dei trattamenti a Guantanamo. E contiene un messaggio tipico dell’amministrazione Obama. È la desublimazione dell’eccellenza americana, il declino di un compito morale, per altro messo in discussione da Obama stesso ormai almeno una decina di volte quando ha accusato gli Usa di aver usurpato beni altrui e maltrattato popolazioni di culture diverse, di essere stati arroganti con l’Islam: l’idea di un processo civile contro gli autori di una strage di civili (che però in una guerra asimmetrica è a tutti gli effetti militare anche secondo gli assassini) è formalmente corretto, ma è una rinuncia a una delle più importanti primogeniture americane, quello della guerra mondiale al terrorismo. La scelta di rinunciare a un ruolo speciale degli Usa trasformando la guerra al terrorismo in un processo civile come succederà a New York, o politico come succede con l’Iran, ma anche con gli Hezbollah, o Hamas, o la Siria è un errore continuo della presidenza Obama. [...]
Iran: Nirenstein, le donne iraniane sono con Neda
Siamo al fianco dei dissidenti iraniani e di tutti quelli che manifestano contro la presenza a Roma e il discorso di Azam al Sadat Farahi, moglie del presidente iraniano Ahmadinejad. Per noi, come per tutti i democratici del mondo, il simbolo delle donne iraniane è Neda Agha Soltan, uccisa a 27 anni a sangue freddo dalle forze del regime iraniano solo per aver portato in piazza il suo desiderio di libertà, la sua bellezza, la sua vitalità. Neda era contro il regime che la signora Azam al Sadat Farahi e' venuta qui a rappresentare e a pubblicizzare. Sono certa che le donne iraniane sono ben più fiere di Neda che della signora Ahmadinejad. Personalmente non possiamo giudicarla, ma di lei il presidente iraniano dice che sia stata una delle sue grandi maestre. Ad oggi, risulta perfettamente congeniale al sistema ultrarepressivo di un Paese che penalizza in particolare la donne.
Su D'Alema Mr Pesc non siamo tutti d'accordo
Cari amici,
alcuni di voi hanno espresso il proprio disappunto per una frase dell'articolo di Maurizio Caprara sul Corriere di ieri, che ho fatto circolare per sollecitare un dibattito sulla candidatura di Massimo D'Alema ad Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza comune dell'Unione Europea: ovvero, nell'articolo vengo qualificata come "deputata del «Popolo della libertà» di religione ebraica".
Ora, io sono ebrea. Trovo che il menzionarlo sia non solo una descrizione della realtà, ma anche un motivo di orgoglio.
Certo, dipende da chi scrive, non siamo ingenui. Ma nelle parole di Maurizio Caprara, che è un amico, non c'è nessun elemento discriminatorio.
Penso semmai che ci si debba concentrare di più sul contenuto dell'articolo di Caprara. Stanno giungendo parecchi commenti, seguitate a dirmi cosa ne pensate.
Segnalo l'articolo uscito sul Foglio di oggi.
Massimo impegno
La lobby dalemiana in Europa alle prese con la contro spinta
Il Foglio, 13 novembre, p. 1
Roma. I giochi sono sempre meno fatti, a Bruxelles, nel grande gioco che porterà al nome del ministro degli Esteri europeo (“più nomi che posti”, dice il presidente svedese dell’Ue Fredrick Reinfeldt). I giochi non sono fatti per il candidato Massimo D’Alema – che pochi giorni fa appariva favorito anche per l’Economist, specie dopo l’ufficializzazione dell’endorsement berlusconiano. Certo D’Alema può ancora contare sul sostegno europeo ufficiale di Martin Schulz e di Paul Nyrup Rasmussen (con cui l’ex premier ha contatti diretti), sull’opera di indefessa sponsorship di Piero Fassino e sul sostegno ufficioso di chi, negli ambienti politico-economici internazionali, perora la sua causa tra Roma e l’Europa (un nome per tutti: Andrea Peruzy, segretario generale della dalemiana Fondazione Italianieuropei e membro del cda Acea). [...]
Berlino 20 dopo - Al KeDeWe, amai la caduta del muro

Quando “Epoca” diretto da Roberto Briglia mi spedì a coprire la caduta del muro di Berlino non bastò subito il passaggio delle Trabant, piccoli dinosauri a due pistoni ansimanti verso la libertà, per creare in me una sensazione di tenerezza, di giubilo politico e umano. Erano tedeschi. Cadeva il comunismo, e io avevo nei geni la passione per la libertà, quindi ero felice fino negli imi precordi; nel corso degli anni avevo incontrato tanti refusenik, ero stata una fan attiva di Natan Sharansky, avevo fatto un film su Ida Nudel nei ghiacci del Gulag insieme a Giovanni Minoli; ma avevo coltivato verso l’est della Germania una antipatia personale: da ragazza comunista avevo fatto un viaggio in delegazione nella Germania comunista e avevo capito, avevo respirato l’orrido clima di repressione e di ovattato spionaggio che faceva suonare il telefono in camera per assicurarsi che tu non fossi andata a fare una passeggiata da sola, che non parlassi con qualcuno che non era stato programmato, che ti accontentassi delle balle sulla felicità del cittadino comunista universale e dei regalini che si trovavano sul comodino. Mi accorsi, facendo qualche domanda, che la Shoah per loro non era mai esistita, era rimossa, cancellata, era tutta colpa della Germania Ovest, capitalista, imperialista, insomma nazista. [...]