Le mogli dei dittatori ci fanno lezione
Il Giornale, 17 novembre 2009
L’Unità esalta la conferenza contro la fame delle first lady del Terzo mondo. Dove a spiegare come sconfiggere il sottosviluppo erano la signora Ahmadinejad e la rappresentante del governo cubano.
È davvero corruttiva rispetto al ruolo della donna nella società, alla sua dignità, all’uso del corpo la prima pagina dell’Unità di ieri: una schiera colorata di foto di donne avrebbe dovuto testimoniare l’eccellenza della femminilità nel combattere la battaglia contro la fame nel mondo in occasione di un vertice di first ladies nell’ambito della Conferenza della Fao. Ma queste donne, che hanno come caratteristica predominante quella di essere mogli, se poi si va a guardare mogli di chi, si vede che il giornale fondato da Antonio Gramsci cade in una deprimente trappola propagandista. La patente di combattenti contro l’ingiustizia sociale che viene loro attribuita da un titolo «Donne contro la fame» infatti, certo non è quello più meritato da chi condivide e sostiene le politiche di paesi totalitari, discriminatori verso le donne, che perseguitano ogni opinione diversa e che sono poveri non per destino divino, ma perché la dittatura impoverisce la gente. [...]
Consigli di lettura: "Non smetteremo di danzare", di Giulio Meotti

ho qui vicino a me il libro di Giulio Meotti e sento il bisogno di comunicarvi la mia ammirazione per il suo lavoro.
Parlo e scrivo spesso dell’eccezionalità di Israele, del coraggio edella coesione della sua società, della determinazione dei giovani agodersi la vita nonostante tutto, dell’eroismo nel viverecontemporaneamente una vita di incredibili sacrifici e di gioiosavitalità moderna e democratica. Una volta la mia amica Ruthie Bloom -una famosa giornalista con cui ho condiviso tutti i giornidell’Intifada a Gerusalemme, quando tutto esplodeva e noiostinatamente, come tutti i gerosolimitani, andavamo a sederci, achiaccherare, a ridere nel prossimo caffè che sarebbe stato oggettodell’attenzione dei terroristi - presentando un mio libro ha detto chequello che manca agli israeliani per spiegarsi al mondo è sapersivedere come io li racconto. Bene, vorrei dire la stessa cosa del librodi Giulio Meotti “Non smetteremo di danzare - le storie mai raccontate dei martiri di Israele", edito da Lindau.
Un libro che già per come si presenta è compatto e ponderoso, un lavoro che fin dalla copertina in cui compare una famigliola di mitnahalim, i famigerati “coloni” come la stampa italiana chiama gli abitanti degli insediamenti, sfida il cuore e la mente del lettore a entrare in un mondo nuovo, a indossare occhiali completamente diversi per capire la storia di Israele. Meotti osa avventurarsi dove nessun giornalista, nessun critico, nessun osservatore politically correct guarda mai per paura di bruciarsi, ovvero nel martirio infinito tramite un continuo stillicidio omicida del popolo ebraico, anche oggi che è giunto nella sua terra, nello Stato ebraico. [...]
Prospettive europee dopo l'ok dei 27 al Trattato di Lisbona: discussione in Commissione
Cari amici,
vi segnalo questa interessante discussione "Comunicazioni del Governo sugli esiti del Consiglio europeo del 29-30 ottobre 2009", nella quale è intervenuto il Ministro degli Esteri Frattini davanti alle Commissioni Esteri e Unione Europea di Camera e Senato in seduta congiunta.
La discussione è molto interessante perché verte su tematiche cruciali per il futuro dell'Unione Europea: il 3 novembre scorso, con la ratifica da parte della Repubblica ceca del Trattato di Lisbona, si è chiuso un lungo processo di riforma delle istituzioni europee.
Trovate tutto il testo a questo link:
http://www.senato.it/documenti/repository/commissioni/stenografici/16/congiunte/3-14-III-XIV-20091111-AU%200583%20(BOZZA).pdf
Segue il mio intervento, durante il quale ho colto l'occasione per esporre la mia opinione sulla candidatura di D'Alema alla carica di Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza comune dell'Unione Europea.
NIRENSTEIN (PdL): Presidente, ringraziare il Ministro in questo caso non è solo una consuetudine, ma è veramente sentito, perché ha cercato di dare una cornice di razionalizzazione ottimista a problemi epocali e giganteschi che questa specie di zattera della Medusa che è l'Europa si trova ad affrontare nel mezzo di problemi mondiali spaventevoli, dopo che il Trattato di Lisbona è passato sul filo del rasoio, come ha detto qualcuno, riproponendo il tema degli egoismi delle Nazioni. Soprattutto, a me sembra che l'Europa abbia problemi fondamentali dal punto di vista della sua definizione identitaria, morale, etica, tant'è vero che ci troviamo tra il problema di un indispensabile rispetto della libertà religiosa e delle minoranze da una parte e quello della conservazione e del rispetto della nostra identità giudaico-cristiana dall'altra. Non è questione da poco e pone tutta una serie di problemi teorici e sociali di grandissimo livello. [...]
Barack liquida la guerra globale al terrorismo
Il Giornale, 15 novembre 2009
SVOLTA Da Guantanamo all’Iran un filo conduttore nelle sue scelte: la fine del compito morale degli Usa
Più di tutte le critiche di carattere giuridico alla decisione di processare a New York i terroristi islamici responsabili dell’attacco alle Twin Towers, un’autentica sirena d’allarme suona, per chi ricorda le immagini dell’eroismo coperto di cenere e sangue dei vigili del fuoco che persero 343 uomini, nella presa di posizione di Steve Cassidy, presidente dell’associazione dei pompieri di New York: «È un terribile errore», dice e spiega che New York è sempre stata il numero uno degli obiettivi dei terroristi, e adesso sarà segnata da un ulteriore marchio. Cassidy dice che la discussione sarà infinita, con corsi, ricorsi, deduzioni e controdeduzioni, che per anni risulterà in misure di sicurezza insopportabili per i newyorkesi, e che susciterà altri terribili attacchi dopo quello che fece 2973 morti.
Di fatto la decisione garantista e all’apparenza legislativamente neutrale sostituirà il leit motiv newyorkese del pianto delle famiglie delle vittime con la discussione sulla legalità dei trattamenti a Guantanamo. E contiene un messaggio tipico dell’amministrazione Obama. È la desublimazione dell’eccellenza americana, il declino di un compito morale, per altro messo in discussione da Obama stesso ormai almeno una decina di volte quando ha accusato gli Usa di aver usurpato beni altrui e maltrattato popolazioni di culture diverse, di essere stati arroganti con l’Islam: l’idea di un processo civile contro gli autori di una strage di civili (che però in una guerra asimmetrica è a tutti gli effetti militare anche secondo gli assassini) è formalmente corretto, ma è una rinuncia a una delle più importanti primogeniture americane, quello della guerra mondiale al terrorismo. La scelta di rinunciare a un ruolo speciale degli Usa trasformando la guerra al terrorismo in un processo civile come succederà a New York, o politico come succede con l’Iran, ma anche con gli Hezbollah, o Hamas, o la Siria è un errore continuo della presidenza Obama. [...]
Iran: Nirenstein, le donne iraniane sono con Neda
Siamo al fianco dei dissidenti iraniani e di tutti quelli che manifestano contro la presenza a Roma e il discorso di Azam al Sadat Farahi, moglie del presidente iraniano Ahmadinejad. Per noi, come per tutti i democratici del mondo, il simbolo delle donne iraniane è Neda Agha Soltan, uccisa a 27 anni a sangue freddo dalle forze del regime iraniano solo per aver portato in piazza il suo desiderio di libertà, la sua bellezza, la sua vitalità. Neda era contro il regime che la signora Azam al Sadat Farahi e' venuta qui a rappresentare e a pubblicizzare. Sono certa che le donne iraniane sono ben più fiere di Neda che della signora Ahmadinejad. Personalmente non possiamo giudicarla, ma di lei il presidente iraniano dice che sia stata una delle sue grandi maestre. Ad oggi, risulta perfettamente congeniale al sistema ultrarepressivo di un Paese che penalizza in particolare la donne.
Su D'Alema Mr Pesc non siamo tutti d'accordo
Cari amici,
alcuni di voi hanno espresso il proprio disappunto per una frase dell'articolo di Maurizio Caprara sul Corriere di ieri, che ho fatto circolare per sollecitare un dibattito sulla candidatura di Massimo D'Alema ad Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza comune dell'Unione Europea: ovvero, nell'articolo vengo qualificata come "deputata del «Popolo della libertà» di religione ebraica".
Ora, io sono ebrea. Trovo che il menzionarlo sia non solo una descrizione della realtà, ma anche un motivo di orgoglio.
Certo, dipende da chi scrive, non siamo ingenui. Ma nelle parole di Maurizio Caprara, che è un amico, non c'è nessun elemento discriminatorio.
Penso semmai che ci si debba concentrare di più sul contenuto dell'articolo di Caprara. Stanno giungendo parecchi commenti, seguitate a dirmi cosa ne pensate.
Segnalo l'articolo uscito sul Foglio di oggi.
Massimo impegno
La lobby dalemiana in Europa alle prese con la contro spinta
Il Foglio, 13 novembre, p. 1
Roma. I giochi sono sempre meno fatti, a Bruxelles, nel grande gioco che porterà al nome del ministro degli Esteri europeo (“più nomi che posti”, dice il presidente svedese dell’Ue Fredrick Reinfeldt). I giochi non sono fatti per il candidato Massimo D’Alema – che pochi giorni fa appariva favorito anche per l’Economist, specie dopo l’ufficializzazione dell’endorsement berlusconiano. Certo D’Alema può ancora contare sul sostegno europeo ufficiale di Martin Schulz e di Paul Nyrup Rasmussen (con cui l’ex premier ha contatti diretti), sull’opera di indefessa sponsorship di Piero Fassino e sul sostegno ufficioso di chi, negli ambienti politico-economici internazionali, perora la sua causa tra Roma e l’Europa (un nome per tutti: Andrea Peruzy, segretario generale della dalemiana Fondazione Italianieuropei e membro del cda Acea). [...]
Berlino 20 dopo - Al KeDeWe, amai la caduta del muro

Quando “Epoca” diretto da Roberto Briglia mi spedì a coprire la caduta del muro di Berlino non bastò subito il passaggio delle Trabant, piccoli dinosauri a due pistoni ansimanti verso la libertà, per creare in me una sensazione di tenerezza, di giubilo politico e umano. Erano tedeschi. Cadeva il comunismo, e io avevo nei geni la passione per la libertà, quindi ero felice fino negli imi precordi; nel corso degli anni avevo incontrato tanti refusenik, ero stata una fan attiva di Natan Sharansky, avevo fatto un film su Ida Nudel nei ghiacci del Gulag insieme a Giovanni Minoli; ma avevo coltivato verso l’est della Germania una antipatia personale: da ragazza comunista avevo fatto un viaggio in delegazione nella Germania comunista e avevo capito, avevo respirato l’orrido clima di repressione e di ovattato spionaggio che faceva suonare il telefono in camera per assicurarsi che tu non fossi andata a fare una passeggiata da sola, che non parlassi con qualcuno che non era stato programmato, che ti accontentassi delle balle sulla felicità del cittadino comunista universale e dei regalini che si trovavano sul comodino. Mi accorsi, facendo qualche domanda, che la Shoah per loro non era mai esistita, era rimossa, cancellata, era tutta colpa della Germania Ovest, capitalista, imperialista, insomma nazista. [...]
La conversione al capitalismo - 1989 L’ultima frontiera del libero mercato
Lezioni di suicidio politico: il caso Abu Mazen
Il presidente dell’Anp, rinunciando a candidarsi alle prossime elezioni, si è messo da solo in una via senza uscita
Fine settimana piuttosto luttuosa per le politiche di conciliazione internazionale, di cui il patrono è Barack Obama. Da una parte, il rifiuto ormai chiaro dell’Iran a seguire il piano occidentale che doveva portare a un rallentamento della costruzione del suo nucleare, con immediata e ossequiosa sostituzione del piano da parte di El Baradei e entrata in scena della Turchia; dall’altra parte lo sconcerto occidentale di fronte al ritiro di Abu Mazen dalla competizione elettorale da lui stesso fissata per il 24 gennaio. Bernard Kouchner, ministro degli Esteri francesi è il più disperato e chiede a Abbas di ripensarci: il suo abbandono è una minaccia non solo per la pace, dice, ma «per tutti noi». Anche Hillary Clinton spera di continuare con Mahmoud Abbas «qualsiasi sarà la sua posizione».
Tutti, anche gli israeliani, fra cui Ehud Barak, sperano di recuperare le vecchie abitudini, e quindi che Abu Mazen scenda dall’albero sui cui si è arrampicato. Ma la verità è che la decisione di Abu Mazen riguarda l’onda nera che si eleva e si arrotola all’orizzonte, e il modo in cui egli stesso e il resto del mondo stanno cercando di affrontarla, ovvero, debolmente, amatorialmente. L’unica maniera che forse avrebbe Abu Mazen di tornare sulla scena sarebbe di rimandare quelle elezioni che ha appena convocato e mettersi a nuotare contro corrente, e non è detto che alla fine non lo faccia. [...]
Bene Italia su rapporto Goldstone all'ONU: così si aiuta la pace
Dichiarazione dell’On. Fiamma Nirenstein, Vicepresidente della Commissione Esteri della Camera
“Purtroppo, come era prevedibile, dopo il Consiglio per i Diritti Umani, ieri anche l’Assemblea Generale dell’ONU ha votato, grazie alla solita maggioranza automatica data dal connubio tra Paesi Islamici e del Movimento dei Non Allineati, una risoluzione di sostegno al rapporto Goldstone sul conflitto del gennaio scorso tra Israele e Hamas.
Tale rapporto, l’abbiamo ribadito più volte, fornisce una visione unilaterale e ingiusta di un conflitto che Israele ha cercato a lungo di evitare e che ha dovuto affrontare infine perché Hamas da Gaza bombardava incessantemente, da quasi dieci anni, i suoi civili, sconvolgendo la vita del sud del paese.
44 paesi si sono astenuti, 18 hanno votato contro e l’Italia è tra questi ultimi. Mi congratulo quindi con la delegazione italiana all’ONU che ha saputo capire come aiutare veramente il processo di pace. Infatti, se si preclude a Israele il diritto all’autodifesa, le si impedisce di affrontare con le dovute garanzie di sicurezza il percorso delle concessioni territoriali che, come nel caso di Gaza nelle mani di Hamas da quando Israele si è ritirata nel 2005 o come il Sud del Libano in ostaggio di Hezbollah, la mettono di fatto in pericolo di vita”.