"Il mondo deve capire che Israele è un Paese come gli altri"
L'Occidentale, 19 luglio 2010
Intervista a Fiamma Nirenstein di Alma Pantaleo
Fin dalla sua nascita, Israele è stata sotto tiro, nel mirino dei suoi nemici e sotto la lente d'ingrandimento della comunità internazionale. La “Friends of Israel Initiative” si pone invece come obiettivo di mostrare che lo Stato ebraico è un Paese normale, una democrazia occidentale. Ne parliamo con Fiamma Nirenstein, vice-presidente della Commissione Affari Esteri della Camera, e fra i promotori della iniziativa.
Onorevole, cos'è l’iniziativa “Friends of Israel”?
L'iniziativa nasce per merito di Aznar che ha riunito un piccolo gruppo di amici che pensano tutti quanti una cosa molto precisa: è l’ora di finirla con le bugie su Israele e sulla sua delegittimazione ed è il caso che il mondo intero si renda conto che Israele è un Paese come gli altri.
Avete già fatto qualche passo insieme?
L’editoriale uscito qualche giorno fa sul Wall Street Journal è stato il nostro primo gesto comune e spiega che Israele è un Paese democratico, occidentale, che ha tutto il dovuto rispetto per le minoranze, per la legge, per il libero mercato e soprattutto che viene fuori da una cultura che ha consentito lo sviluppo della democrazia. Una democrazia con un retroterra ricco di valori che appartengono alla tradizione giudaico-cristiana. E' giunto il momento di smetterla con la sua criminalizzazione e la sua delegittimazione. [...]
Mediorientale
RIASCOLTA LA CONVERSAZIONE SETTIMANALE CON IL DIRETTORE DI RADIO RADICALE MASSIMO BORDIN:
Sintesi degli argomenti di questa settimana:
La ricomparsa improvvisa dello scienziato iraniano Shahram Amiri: spia iraniana o collaboratore con gli Usa? Più probabile la prima versione, ovvero un doppio gioco a favore dell'Iran.
Sempre sul fronte iraniano: nuove sanzioni bilaterali da parte degli Usa, in aggiunta a quelle decise con il Consiglio di Sicurezza del giugno scorso.
La nuova posizione russa con le dichiarazioni di Medvedev circa l'avvicinarsi dell'Iran al potenziale per la realizzazione della bomba atomica.
Sul fronte turco: risentimento della Turchia verso gli Usa, in particolare dopo la vicenda della Mavi Marmara.
Il ruolo dell'organizzazione turca IHH nella fase aggressiva avvenuta sulla nave.
Il coinvolgimento della IHH in varie azioni terroristiche internazionali e i rapporti tra l'organizzazione e il partito di Erdogan.
La richiesta di 87 senatori americani, bipartisan, a Obama di indagare su IHH e valutare la possibilità di inserirla nella black list delle organizzazioni terroristiche.
La messa al bando in Germania della filiale dell'IHH con sede a Francoforte, per via del sostegno diretto a Hamas.
La nuova flottiglia prevista per settembre, con una ventina di navi e circa 5000 partecipanti.
L'esito positivo della nave libica diretta a Gaza, organizzata dal figlio di Gheddafi, grazie a un intervento diplomatico multilaterale.
Le commissioni di inchiesta in Israele sulla vicenda della flottiglia del 31 maggio: si cominciano ad avere i risultati di una delle due commissioni, quella interna militare, condotta dal generale Ghiora Eiland. Il rapporto appena consegnato è piuttosto severo. Evidenziati "errori operativi", contrapposti a "fallimenti operativi". E' mancato un "piano B", nonché una buona conoscenza di cosa ci fosse sulla nave. Nel momento in cui i soldati si sono avvicinati e hanno visto la presenza di violenti, era necessario mettere in atto un piano B, allontanarsi, evitando il corpo a corpo sanguinoso. Ma era possibile fermare la nave senza abbordarla? La risposta di Eiland è no, era comunque necessario abbordarla, ma non in quella maniera.
L'esame balistico delle pallottole ritrovate nel corpo di alcuni soldati, fa riferimento ad altre armi, non quelle in dotazione dei soldati stessi.
Sul fronte libanese: il governo libanese ha mandato nel sud del Libano un contingente dell'esercito, per cercare di evitare nuovi attacchi di Hezbollah verso le forze Unifil. Ciò significa che la minaccia di una nuova guerra è presa molto sul serio anche dalle autorità libanesi.
L'esercito israeliano ha rivelato nei giorni scorsi delle informazioni classificate sull'armamento di Hezbollah nel sud del Libano in particolare all'interno di 160 villaggi sotto al Litani. I villaggi, infatti, a differenza delle riserve naturali, non possono essere ispezionati dalle forze Unifil secono il mandato della forza Onu.
In Libano si prepara la guerra: la farà Hezbollah in nome dell'Iran
Il Giornale, 15 luglio 2010
Al nord: appena accadde, quattro anni fa, noi giornalisti partimmo uno a uno verso il confine settentrionale. Viaggiavamo lenti oltre la valle del Giordano lungo una strada su cui già rollavano in file insuperabili i carri armati e mezzi corazzati di vario genere. Oltre Kiriat Shmone. Nella cittadina di Metulla, dove i carri armati occupavano la parte suburbana che bordeggiava con il Libano, verdeggiante, morbido, ma irto di postazioni di Hezbollah, chi fece in tempo prenotò una stanza nell’albergo locale. Io trovai posto poco lontano in un bed and breakfast senza rifugio, ma con una buona colazione. Era iniziata una guerra che non è mai finita se non nel suo aspetto più evidente, quello dei razzi che piovevano su Israele e che ci scoppiavano fra i piedi, facendo crateri nelle strade di comunicazione, distruggendo case e scuole fino ad Acco e a Haifa, incendiando i boschi di conifere orgoglio di Israele. Un ranger che mi guidò in jeep fra gli alberi in fiamme, bloccò l’auto mentre piovevano i missili per tirare fuori dalla cenere un piccolo camaleonte. A un paio di centinaia di metri da noi, una schiera di soldati delle riserve fu annientata da un solo razzo. [...]
L’Iran è pronto per l’atomica. Ora lo dice anche la Russia
Il Giornale, 13 luglio 2010
Medvedev scarica l’ex alleato, reo di aver protestato per il sostegno di Mosca alle sanzioni decise dall’Onu
Adesso, secondo il perverso principio che se lo dice chi fino ad ora aveva mentito o si sbagliava, allora è vero, non ci sarà più nessuno che potrà tirarsi indietro di fronte alla luce rossa sfolgorante che lampeggia dall’Iran. Perché adesso l’ha detto anche Medvedev, il presidente russo, e certo non senza il permesso di Putin: l’Iran sta per arrivare alla conclusione della sua corsa verso la bomba atomica. È, dice, «vicino al possesso del potenziale che in linea di principio potrebbe essere usato per la creazione dell’arma atomica». Linguaggio un po’ più diplomatico, ma chiarissimo. E la Russia, insieme alla Cina, prima che i pasdaran turco e brasiliano si ergessero al Consiglio di sicurezza contro le sanzioni, era stata sempre il principale nemico delle sanzioni stesse e il migliore amico dell’Iran, quello che metteva il bastone fra le ruote degli Usa per non arrivare mai a una chiara definizione del problema. [...]
Iran is ready for nuclear power: now even Russia says so.
Now, according to the perverse principle that says that if one who until now has lied or was mistaken, then it is true, nobody will pull out in front of the blazing red light that flashes from Iran. Because now Medvedev, the Russian president, has also said it, and certainly not without Putin's permission: Iran is arriving at the conclusion of its race towards the atomic bomb. It is, he says, “moving closer to possessing the capability that could in principle be used to build nuclear weapons”. This rhetoric is a bit more diplomatic, but clear. And Russia, together with China, who - before the Turkish and Brazilian Pasdaran rose against the sanctions at the Security Council - had always been the main enemy of those sanctions and Iran's best friend, as well as the one who put the spoke in the wheel of the United States in order to never arrive at a clear definition of the problem. [...]
Spero che la voce rauca di Bordin continui a farmi compagnia a colazione...
Sono addolorata dalla scelta di Massimo Bordin di lasciare il ruolo di Direttore di Radio Radicale. Un ruolo che ha sempre svolto con grande equilibrio, estrema professionalità, garantendo un'informazione di totale apertura verso ogni posizione, rispettando appieno lo stile e la storia di Radio Radicale e il motto einaudiano della radio "conoscere per deliberare". Durante la nostra conversazione settimanale sulle vicende mediorientali abbiamo più volte discusso, ma il dibattito che ne nasceva, è da considerarsi di certo un arricchimento per gli ascoltatori. Così come è stato durante le mitiche conversazioni domenicali con Pannella.
Spero di cuore che la collaborazione di Bordin con la Radio possa trovare un compromesso e di continuare ad avere il piacere di fare colazione con la sua lettura dei giornali.
Israele: un paese normale
Cari amici,
quello che segue è un articolo pubblicato ieri sul Wall Street Journal, che presenta la dichiarazione di intenti di un gruppo da poco costituitosi, "The Friends of Israel Initiative", nato su iniziativa dell'ex premier spagnolo Josè Maria Aznar e di cui sono tra i fondatori, insieme a David Trimble, John Bolton, Alejandro Toledo, Marcello Pera, Andrew Roberts, George Weigel, Robert F. Agostinelli e Carlos Bustelo.
La dichiarazione è molto bella, semplice ed efficace. La potete leggere per intero e sottoscriverla a questo link: http://www.friendsofisraelinitiative.org/
Attendo i vostri commenti.
Fiamma
Israele: un paese normale
The Wall Street Journal, 8 luglio 2010
Traduzione di Alma Pantaleo per L'Occidentale
Israele è una democrazia occidentale e un Paese normale. Ciononostante, sin dalla sua nascita Israele ha fronteggiato condizioni anormali. Infatti è l’unica democrazia occidentale la cui esistenza sia stata messa in discussione con la forza, e la cui legittimità venga tutt’ora messa in dubbio indipendentemente dalle sue azioni. La recente crisi legata alla questione della “Flottilla” nel Mediterraneo ha fornito ancora un’altra occasione per i detrattori di Israele di rinnovare la loro frenetica campagna. La situazione era la stessa anche prima che venissero alla luce i fatti del tragico incidente. Si è stati ciechi di fronte alle ragioni per le quali Israele ha dovuto rispondere alla chiara provocazione della Flottilla di Gaza.
Obama non può perdere il poker con Israele
Il Giornale, 5 luglio 2010
Stavolta non mancherà la torta. Stavolta il presidente Obama, mentre Bibi Netanyahu vola verso Washington per incontrarlo, prepara la cena, probabilmente per domani; invece, quando a marzo il primo ministro israeliano visitò il presidente USA, questi si alzò dalla loro gelida riunione alla Casa Bianca un minuto prima dell’ora del pasto, mettendo alla porta il collega mediorientale. E non aveva nessun altro a tavola ad aspettarlo se non la famigliola, come precisò allo stupito ospite. Fu uno scandalo, e soprattutto la prova di quanto gli Usa di Obama stessero prendendo le distanze da Israele. Adesso, alla vigilia del nuovo incontro, ci sono buone ragioni per immaginare che le cose andranno meglio, ma l’intrigo si è fatto molto più fitto e danza sempre sull’orlo del baratro.
Cosa c’è in gioco? Naturalmente il processo di pace con i palestinesi, cui Obama tiene assai per portarne a casa almeno una nella sua tormentata politica estera. Come primo punto all’ordine del giorno per Israele, per fare la pace le due parti perlomeno si devono sedere l’una di fronte all’altra e parlarsi direttamente, uscendo dall’impasse dovuta alla scelta dei palestinesi di comunicare attraverso l’inviato americano George Mitchell. È ridicolo, dice Israele, che questi compia una insensata spola fra Gerusalemme e Ramallah, attaccate l’una all’altra come sono e dopo che Bibi ha aperto i varchi di Gaza, ha sbloccato una quantità di check point, ha fatto il famoso «freezing» degli insediamenti dieci mesi fa. E l’ha anche detto: vogliamo due Stati per due popoli, ma parliamoci una buona volta. [...]
Luci spente al Colosseo per Gilad Shalit
Cari amici,
trovandomi in Israele in visita ufficiale, purtroppo non potrò partecipare a questo evento che vi segnalo e al quale vi invito a partecipare.
Oggi alla Knesset ho aperto il mio intervento in occasione della prima riunione del Gruppo di Collaborazione Italia-Israele, ricordando Gilad Shalit: quattro anni di reclusione totale sono un tempo mostruoso per un ragazzo la cui unica colpa è stata quella di trovarsi a difendere il confine di un Paese in costante pericolo e quindi, in definitiva, a difendere il suo diritto ad esistere.
Quattro anni di solitudine, di lontananza dalla famiglia, sono un tempo indicibile per una madre, un padre e dei fratelli che non hanno avuto la possibilità neppure di avere notizie sulla salute del proprio ragazzo, in contravvenzione di ogni norma di diritto internazionale. Gilad deve tornare a vivere. Il mondo deve sapere che egli è, per milioni di persone, uno dei primi pensieri del mattino, nonché la denuncia vivente dell'orrore del terrorismo e dell'estremismo islamico.
Gilad è cittadino di Roma, quindi cittadino italiano, ma soprattutto è cittadino del cuore di qualsiasi persona che si ribella a questa ripugnante ingiustizia.
Promettiamo che saremo al suo fianco e al fianco della sua famiglia fino alla sua liberazione e anche qui oggi, alla Knesset, l'abbiamo promesso a nome del Parlamento italiano.
Benè Berith Giovani, Unione Giovani Ebrei d'Italia e Comune di Roma
Vi invitano a
Manifestazione per la liberazione del soldato israeliano GILAD SHALIT
Il 24 Giugno 2010 alle 21.30
Di fronte al
COLOSSEO
Il 24 Giugno a mezzanotte, saranno passati 4 anni dal rapimento del soldato israeliano, nonché cittadino onorario di Roma, Gilad Shalit.
Purtroppo sulla vicenda è calato un assoluto silenzio, nessun media ne parla più, ma la vita del ragazzo (Shalit ha soli 24 anni) è ancora salvabile!
Per questo è di primaria importanza che ognuno di noi sia presente il 24 Giugno; per far sentire la nostra voce, per far sì che se ne parli, per riaccendere una speranza.
Non mancare!!
Prima riunione del Gruppo di Collaborazione tra la Camera dei Deputati e la Knesset
Cari amici,
mi trovo in Israele a seguito della delegazione del Presidente Fini per la prima riunione del Gruppo di Collaborazione tra la Camera dei Deputati e la Knesset, ufficialmente istituito a Roma il 6 ottobre scorso con la firma di un Protocollo da parte dei Presidenti Fini e Rivlin. La riunione che abbiamo tenuto oggi alla Knesset è stata estremamente produttiva. Il dibattito tra la nostra delegazione, che comprende parlamentari di tutti i gruppi politici (presenti in Israele sono: Luca Barbareschi (Pdl), Massimo Polledri (Lega), Emanuele Fiano (Pd) e Augusto Di Stanislao (Idv)), e i colleghi israeliani, anche loro in rappresentanza dei vari partiti, si è concentrato su tre tematiche principali: 1) Scenari strategici e prospettive di cooperazione bilaterale e multilaterale; 2) Cooperazione culturale, scientifica e tecnologica, con particolare riferimento alla spinosa questione dei boicottaggi accademici e commerciali di istituzioni israeliane; 3) Ruolo dei parlamenti nella promozione dei diritti umani e nei processi di integrazione.
Abbiamo anche prodotto una dichiarazione comune di intenti che dovrà indirizzare il futuro dei nostri lavori. La potete leggere qui sotto.
PRIMA RIUNIONE DEL GRUPPO DI COLLABORAZIONE
TRA LA CAMERA DEI DEPUTATI E LA KNESSET
(Gerusalemme,23 giugno 2010)
Il 23 giugno 2010 si è svolta, presso la Knesset, la prima riunione del Gruppo di collaborazione parlamentare tra la Camera dei deputati e la Knesset, la cui programmazione è stata fissata dal Protocollo sottoscritto dai Presidenti delle due Assemblee il 6 ottobre 2009
La Presidenza dei lavori è stata assicurata congiuntamente dall’on. Fiamma Nirenstein e dall’on. Orly Levy.
Al termine, la Commissione ha adottato la seguente:
DICHIARAZIONE FINALE
Il Gruppo di collaborazione
1. Ribadisce il reciproco rispetto e la immarcescibile amicizia fra i due Paesi di provenienza dei rispettivi membri dei Parlamenti e si impegna a portare avanti azioni di comprensione internazionale e di sostegno delle nostre due nazioni nel rispetto dei principi che accomunano le nostre culture di democrazia e di pace, fondati su comuni radici che impongono il rispetto della libertà dell’individuo.
2. Evidenzia la centralità della cooperazione parlamentare per una migliore conoscenza tra i rispettivi popoli ed il rafforzamento dei vincoli di amicizia e di collaborazione che uniscono Italia e Israele, rafforzata dalla presenza in Israele di un’ampia e dinamica collettività di origine italiana, che rappresenta un prezioso patrimonio per entrambi i Paesi. Anche l’Italia peraltro gode di un’antica e preziosa presenza ebraica che sempre ha dimostrato la sua affezione e il suo attaccamento allo stato di Israele, e ne promuove il rispetto religioso e culturale impegnandosi anche a livello parlamentare a combattere ogni forma di antisemitismo. [...]
Riad apre il cielo ai jet di Israele contro l’Iran
Il Giornale, 13 giugno 2010
Fonti americane nel Golfo: l’Arabia Saudita è pronta a garantire un corridoio aereo verso Teheran in caso di attacco alle installazioni nucleari degli ayatollah. Anche Giordania ed Egitto preoccupate dei piani atomici di Ahmadinejad.
Nel compleanno delle sanguinose elezioni iraniane, il Times di Londra ha impacchettato un bel regalo per Mahmoud Ahmadinejad: è la notizia che l’Arabia Saudita avrebbe compiuto test significativi nel campo aeronautico e della difesa missilistica. Avrebbe sperimentato la disattivazione dei sistemi di scrambling, ovvero di messa in avaria di meccanismi utili a chi viola il suo spazio, e quella dei sistemi missilistici destinati a colpire qualsiasi velivolo si azzardi a sorvolare il regno sunnita. Lo scopo è evidente: consentire a Israele di utilizzare lo spazio aereo dell’Arabia Saudita, paese che non riconosce Israele, aprendo una scorciatoia verso il bombardamento delle strutture atomiche iraniane. Sarebbe stato anche previsto il rifornimento in volo dei jet. In caso di attacco israeliano alle installazioni nucleari iraniane, infatti, gli obiettivi distano circa 2.250 chilometri, un’immensità se non si accorcia la strada passando per il Nord dell’Arabia saudita. [...]