Mediorientale
Qual è lo stato dell’arte dei colloqui israelo-palestinesi? Quali novità sono emerse? Intanto, cosa succede in Egitto e nel Sinai? Quale posizione prenderà Israele nei confronti del generale El Sisi? E quale ruolo ha la Turchia e le altre nazioni implicate nella crisi egiziana? Si analizzano queste notizie nella puntata di questa settimana della rubrica Il Medioriente visto da Gerusalemme per concludere con il commento su alcune notizie arrivate dalla Siria per poi tornare in Egitto.
Retromarcia in Egitto, torna il Faraone
Il Medio Oriente può inventarsene di tutte, ma questa è fra le più stravaganti: Hosni Mubarak, l’ex dittatore egiziano, deposto da un’immensa rivolta popolare dopo trent’anni al potere nel febbraio del 2011, potrebbe essere messo in libertà durante la settimana. A comunicarlo sono stati i suoi avvocati che hanno presentato una petizione per il suo rilascio immediato dopo l’assoluzione dai crimini di corruzione per cui era sotto processo. E’ vero che Mubarak era già stato condannato a 25 anni per non aver fermato la strage compiuta dalla polizia e dall’esercito durante la rivoluzione che lo cacciò, ma è in attesa del secondo appello e pare che siano scaduti i termini della detenzione. Molti dicono che alla fine il governo provvisorio sostenuto dall’esercito non avrà il coraggio di lasciare libero il vecchio rais, causa e origine prima dell’attuale situazione di caos. Addirittura, si può ipotizzare che le forze rivoluzionarie della Fratellanza Musulmana e quelle anti Mubarak potrebbero unire la loro ira per questo immenso sberleffo della storia.[...]
Uccisi figli e fratelli dei capi. Benzina sul fuoco della rivolta
Il generale Sisi sta sbagliando strategia, e gli errori che sta compiendo lo condurranno a una guerra insopportabile in un Paese povero, disordinato, disapprovato da tre quarti del mondo. Innanzitutto, la Fratellanza Musulmana non è certo un nemico da poco, e gli onnipotenti militari l'hanno sottovaluta imprigionando, all'inizio, solo la leadership ufficiale e non il quadro intermedio organizzatore che seguita a gestire la piazza. La presenza della Fratellanza in tutti i paesi musulmani, il radicamento nella società egiziano dove è riuscita a diventare maggioranza benché perseguitato da decenni, la sua alleanza con i movimenti jihadisti più duri, dove ognuno è pronto a morire, ne fanno un nemico che non sarà mai disposto a mollare lo spazio conquistato da poco. In secondo luogo, il generale Sisi si è avventurato in quella spirale sanguinosa per cui fra i morti, i feriti, gli arrestati ci sono le proprie stesse viscere, e il perdono non esiste.[...]
Quei negoziati di pace in cui nessuno crede più
Il tempo del giubilo è lontano. Le trattative sono vecchie di vent’anni e, in parallelo, lo è stata la guerra. Peccato, qui sono andate sempre a braccetto, e ormai nessuno è più in grado di dimenticarlo, tantomeno oggi, all’apertura dei colloqui che gli americani coccolano come un neonato. Nemmeno si sa dove si svolgono, tanto poca è la sicurezza dell’evento. Nessuno può obliterare il ricordo di tante occasioni pleonastiche. Come a Madrid (1991) dove la squadra palestinese ogni notte prendeva l’aereo per Tunisi per rendere omaggio al suo insonne capo, Arafat, che gli insegnava a dire no. Poi Oslo (1993), poi Wye Plantation (1998) Camp David (2000)… Questi colloqui sono soprattutto americani e chissà se almeno Kerry ci crede. Abu Mazen ne ha bisogno come scudo contro Hamas e gli altri estremisti infuocati dell’Area, Israele perché pensa all’Iran e alle promesse di Obama. Ma ci sono stati tempi diversi. Ai tempi di Rabin, improvvisamente i supermarket si riempirono di merci, i vestiti, il cibo, le canzoni, tutti cambiò, Mc Donald aprì il suo primo branch dove si affollavano i giovani affamati di normalità; con Barak, ormai troppi attentati avevano bruciato la freschezza della speranza, ma quando sulla porta del cottage di Camp David Bill Clinton, Arafat e Barak davanti a una porta stretta cedevano ridendo il passo l’uno all’altro, ancora si sperava che dietro quella porta si compisse il miracolo.[...]
Timori e speranze
L’unica cosa vera del processo di pace fra Israele e i Palestinesi che con fragore di trombe e tamburi John Kerry ha inaugurato a Washington il 29 di luglio, è il rilascio di 104 prigionieri che Israele prepara. Un primo gruppo, proprio in questi giorni, è già pronto al rilascio e alla trionfale accoglienza del mondo palestinese. Le bandiere, le strette di mano, le telecamere assiepate sui sorrisi di John Kerry, Tzipi Livni e Sa’eb Erakat accompagnano per ora solo parole di speranza, senza nessun impegno, e soddisfano l’ipocrisia diplomatica degli USA e dei due interlocutori che fanno la ruota davanti all’opinione pubblica mondiale.[...]
Mediorientale
Chi sono i 26 prigionieri, alcuni membri di Hamas, che Israele ha deciso di rilasciare per cercare di favorire un clima di fiducia nei negoziati di pace appena ripresi sotto l'egida della mediazione Usa? Di quali crimini si sono macchiati? Rispondendo a queste domande Nirenstein ci offre un quadro più ampio dell’attuale situazione tra Israele e Palestina in vista dei prossimi colloqui per poi passare a parlare di Egitto, dove le piazze sono infuocate e una possibile reazione dell’esercito potrebbe provocare un bagno di sangue se i manifestanti pro-Morsi non faranno un passo indietro. Restando in Egitto, si è parlato anche del Sinai dove diversi militanti islamici impegnati in azioni terroristiche, anche contro il sud israeliano, sono stati uccisi nel corso di raid aerei. In conclusione di puntata, invece, si è parlato delle prossime elezioni municipali in Giordania e soprattutto della forte influenza nello scacchiere mediorientale della Russia di Putin e della presenza vincolante dell’Arabia Saudita. A scapito degli Usa di Obama.
Il «Times» rivela un accordo per la fornitura di uranio dello Zimbabwe
Gerusalemme. È difficile districare i molti incubi che il Medio Oriente fornisce di questi tempi. Siria, Egitto, Tunisia, l'espansione militare di Al Qaeda. Ma su tutto si innalza pericolo iraniano che torna sul proscenio proprio mentre Hassan Rouhani, il nuovo presidente specializzato in sorrisi benevoli, fa la sua comparsa sulla scena internazionale. Al di là della «mano tesa» (come si è scritto) del discorso di inaugurazione e di condanna a morte di Israele nella medesima circostanza, le centrifughe hanno preso una furiosa aire. Sono diventati compagni di strada Rouhani e il presidente dello Zimbabwe Robert Mugabe, 88enne dittatore sanguinario da 33 anni, se è vera la notizia fornita al Times dal viceministro africano alle miniere Gift Chimanikire per cui il suo Paese ha firmato un accordo per la fornitura di uranio agli Ayatollah. A Mugabe il piano atomico iraniano è sempre piaciuto, nel 2009 lo lodò apertamente, dal 2005 i due Paesi hanno accordi di cooperazione multipla, sostenuti da generosi contributi umanitari dell'Iran e ribaditi negli incontri strategico-militari fra Mugabe e Ahmadinejad.[...]
Ma il Grande Fratello Usa ferma Al Qaeda
Intercettata una «conference call» tra terroristi, sventato attacco agli oleodotti in Yemen
Se c'è una cosa che ha funzionato in tutta la vicenda del complotto di Al Qaida che ha fatto chiudere 22 ambasciate americane, è proprio il tanto vituperato sistema di intercettazioni che Edward Snowden si è pregiato di portarsi via (circa 20mila documenti!) accusando gli USA di voler controllare la vita dei suoi cittadini, e che potrebbe adesso cadere nelle mani di Putin, diventato il miglior amico di Snowden. Per il resto la sensazione è quella della debacle, e la debacle americana è sempre anche la nostra quando si parla di guerra la terrorismo. Al Qaida si è permessa persino una «conference call», appunto quella intercettata dalla CIA, di ben 20 leader sparsi per il mondo. Lo scenario non è quello di una qualunque macchina esplosiva.[...]
Se gli avamposti dell'Occidente si arrendono al terrorismo
Il Giornale, 04 agosto 2013
Dopo la chiusura di 21 ambasciate Usa, blindate anche quelle inglesi, francesi e tedesche nello Yemen. È un'intollerabile sconfitta della civiltà
Sarà un giorno indimenticabile per Al Qaeda e per tutto l'esercito jihadista del mondo, un vero esempio per far vedere all'Occidente chi è il padrone. Perchè un'ambasciata è territorio nazionale di chi vi è rappresentato, è sacro suolo patrio, gli ambasciatori rappresentano per intero gli interessi e i valori del loro mondo, e così i loro collaboratori. Dunque, i terroristi possono fare festa: gli Usa chiudono oggi, per una giornata o più, le loro ambasciate in 21 Paesi dislocati su una così grande porzione della carta geografica nel Medio Oriente, nell'Asia del Sud e nel Nord Africa, seguite in Yemen dalla Germania, dall'Inghilterra e dalla Francia. I viaggiatori americani devono restarsene chiusi in albergo (e anche là non si sta tanto sicuri, la storia dimostra).[...]
La follia di un Paese che regala bebè ai vincitori del quiz
Boom di ascolti e di critiche per lo show che mette in palio bebè abbandonati. L'accusa: "Non sono trofei". La replica: "Meglio così che a fare i kamikaze"
Avviene in Pakistan, Paese avvezzo a terrorismo e a violenza, ma questa storia è ancora peggiore dei soliti morti, perché ci racconta come il genere umano, nella fame e nell'ignoranza, possa toccare il fondo considerando carne da teleschermo le sue stesse creature, e prima ancora di questo, come possa letteralmente buttarle nella spazzatura. È la storia di una risposta idiota e disgustosa a una condizione disperata. In Pakistan un famoso anchorman di nome Aamir Liaquat Hussain, buon musulmano religioso e anche sex symbol, gestisce uno show tipo OK il prezzo è giusto. In questi giorni di Ramadan va in onda sette ore al giorno, e il premio messo in palio è un neonato.[...]