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Il sindaco Lepore smetta di giocare con le bandiere

domenica 19 gennaio 2025 Il Giornale 0 commenti

Il Giornale, 19 gennaio 2024

Vorrei che il sindaco di Bologna Matteo Lepore smettesse di giocare con le bandiere, quel gioco non gli riesce. Ha fatto sventolare da Palazzo Accursio la bandiera palestinese mentre una massa di antisemiti attaccava la sinagoga. Ora l’ha piazzata insieme a quella Israeliana con quella della pace. Ma la bandiera palestinese non è come quella di Israele, un Paese che dal 1948 è l’orgoglio del mondo letterario, scientifico, agricolo, che ha combattuto senza sosta contro aggressioni e rifiuti continui pronunciati proprio in nome di quella bandiera.  È offensivo che adesso quel sindaco, che non ha saputo condannare l’antisemitismo, le metta una accanto all’altra come a pareggiare il ruolo di Israele e dei Palestinesi in una prospettiva di pace. Solo Israele vuole la pace e per questo combatterà fino in fondo il terrorismo. La bandiera palestinese è ancora, oggi, ieri, domani, quella del terrorista che ancora ieri pomeriggio ha attaccato i cittadini di Tel Aviv mentre si prepara il ritorno dei rapiti, mentre si è siglata la tregua che comincia domani. Una delle tante provocazioni che avranno luogo in nome di quella bandiera.

Questo sindaco, mettendo sullo stesso piano le due bandiere, si dimostra contrario alla pace. La bandiera bianca e azzurra con la stella di David rappresenta specie in queste ore, niente di meno della democrazia, della storia unica e gloriosa del popolo ebraico, della lotta contro gli inesprimibili crimini che hanno ucciso 1200 persone e hanno trascinato nelle gallerie di Gaza 252 creature solo perché ebrei. Dall’altra parte, con la stessa bandiera, vediamo sia Hamas che l’Autorità nazionale palestinese, che non ha mai condannato il 7 ottobre, loro sono i 737 che verranno ora liberati in cambio dei rapiti. Contro ragazze, famiglie, vecchi, bambini, ragazzi, vedremo uscire dal carcere  terroristi terribili che di nuovo cominceranno a preparare i loro attentati e i loro progetti di morte, come Zakaria Zubeidi, capo delle brigate di Al Aqsa(Fatah) a Jenin, alla testa di numerosi attacchi omicidi plurimi, come quello che uccise 6 persone a Beth Shean; come Mahmud Varda, 48 sentenze a vita, fra i suoi attentati 45 persone uccise su un autobus; Ahmed Dahiri, assassino di una donna palestinese accusata di aver cooperato gli israeliani... e tanti altri assassini, che hanno fatto saltare per aria i caffè, le pizzerie, gli autobus.

Ora si si reincisteranno a Hevron come a Gerusalemme con la stessa bandiera e seguiranno l’indicazione di Jibril Rajub, grande capo della Lega calcio palestinese, uomo politico di primo piano, che dice che ora Fatah e Hamas si devono coordinare per organizzare insieme la “resistenza”. Israele si prepara a contenere con coraggio questo esercito di assassini che marcerà con la bandiera che piace al sindaco di Bologna: ma loro bandiera è quella della morte, mentre quella di Israele è quella della libertà, della scelta di andare fino in fondo per salvare vite umane. Per favore, qui si tratta di necessità, non di similitudine o di simpatia. Quindi smettiamola con le lodi melense della pace. Gli unici che hanno diritto d parlarne, con scetticismo e con vera nostalgia, sono quelli che hanno combattuto e combatteranno l’antisemitismo e l’odio che promana da quella bandiera.  

 

Il coraggio delle famiglie e la forza di Bibi. È il tempo delle sfide per l'anima di Israele

sabato 18 gennaio 2025 Il Giornale 3 commenti
Il coraggio delle famiglie e la forza di Bibi. È il tempo delle sfide per l'anima di Israele

Il Giornale, 18 gennaio 2025

Sarà una sfida. Sarà di nuovo una sfida senza pari per il popolo ebraico, e la affronterà dopo aver compiuto una battaglia eroica a seguito della peggior aggressione che la storia ricordi dopo la Shoah. Tornano uno a uno i rapiti: l’accordo è stato raggiunto solo perché Hamas ha dovuto accettare dopo aver subito una sconfitta incontrovertibile dai soldati di Israele e perché un alleato sincero si è finalmente affacciato all’orizzonte, il nuovo presidente americano Donald Trump. Ma adesso, sarà una sfida, piena di amore e di accoglienza, affrontare uno a uno, giorno dopo giorno, per mesi, la sofferenza inaudita nelle mani delle belve, vedere nei loro occhi il buio delle gallerie, lo stupro, le botte, la fame, le malattie, il lutto di tutti.

Giorno dopo giorno, sarà una sfida pari solo a quella dei giorni subito dopo il sette ottobre, quando Israele ha dovuto affrontare la strage delle famiglie abbracciate, bruciate, decapitate. Sarà una sfida per la società intera abbracciare di nuovo la disperazione senza remissione, quando alcune famiglie riceveranno solo delle spoglie torturate; una sfida, non trovare ieri i nomi dei propri cari nella lista, essere inchiodati alla seconda e alla terza fase. Sarà una sfida vedere alla tv le piazze palestinesi festanti che ricevono i terroristi liberati nello scambio, e distribuiscono dolci promettendo nuovi sette di ottobre. Lo sarà resistere al desiderio della risposta, della vendetta, della giustizia. Netanyahu dovrà affrontare molti momenti in cui Israele verrà provocato, durante il cessate il fuoco, dentro e fuori di Gaza. E questa sarà un’ulteriore sfida per il leader che a ha resistito a cento pressioni e divieti: entrare a Gaza, a Rafah, sullo Tzir Filadelfi, e poi a quella di attaccare Hezbollah, e poi entrare in Siria, e poi di rispondere ai missili iraniani… tutto gli era stato proibito, e tutto ha fatto lo stesso scegliendo la sfida. E adesso inizia un nuovo periodo di resistenza su una nuova via strategica: è lo spostamento di obiettivo da Gaza a tutto il Medio Oriente con l’alleanza con gli USA di Trump, del progetto comune di battere il terrorismo in Medio Oriente, innanzitutto eliminando il pericolo nucleare iraniano.

Netanyahu dovrà di nuovo stringere i denti di fronte agli attacchi nel suo Paese e fuori, di Ben Gvir e della sinistra, dovrà spiegare a chi lo accusa di aver alzato le mani che è Hamas invece ad aver perso le armi, la leadership, le gallerie, le case e tutte le strutture usate come basi armate, ormai residui smozzicati. Sarà accusato di sottoporre Israele al rischio che proviene dai terroristi liberati, ed è una preoccupazione reale, anch’essa una grande sfida. Ma questo è il Medio Oriente oggi. Lo sguardo va spostato da Gaza, non è sul suo stretto sentiero che si può fornire alla gente quel senso di sicurezza che dal 7 di ottobre è un orizzonte penosamente difficile da recuperare. La guerra contro il terrorismo suscitata dall’Iran deve essere riconosciuta come tale. Israele dovrà essere adesso nell’accogliere i suoi cari coraggiosa, compatta, solidale quanto i suoi soldati, che hanno rischiato e anche perduto la vita a Gaza spesso avendo in mente il sogno, come mi ha detto uno di loro “di trovarsi di fronte combattendo, a un gruppo di rapiti, e di riportarli a casa”. È grazie a loro se oggi il mondo occidentale può ottenere il cessate il fuoco sognato, può godere della scelta di Israele.  Hamas è e sarà sempre jihadista, così come la maggioranza delle tribù mediorientali: ma con la svolta odierna si cerca di inaugurare una nuova, larga strategia che dà valore alla fiducia che l’alleato americano ha in Israele, e affronta il campo largo. No, l’Europa da tutto questo è assente. Non ha mai detto “se i rapiti non tornano, Hamas vedrà l’inferno”. Adesso, quanto coraggio ci voglia, lo sanno solo le famiglie che aspettano i loro cari, e tutta Israele intorno.

 

La gioia e il sollievo ma anche le critiche sul "rischio" di Bibi

giovedì 16 gennaio 2025 Il Giornale 1 commento
La gioia e il sollievo ma anche le critiche sul

Il Giornale, 16 gennaio 2025

Ci saranno da oggi finalmente momenti di grande gioia. Israele è una comunità molto compatta: il premier ha rispettato il principio per cui Israele non lascia indietro nessuno. Siano soldati, feriti, malati o rapiti. Gioiranno le famiglie dei rapiti, gioirà la grande massa che ha manifestato a ogni fine settimana di fronte alla casa di Netanyahu, gioiranno i giornalisti che a frotte hanno seguito la storia colpevolizzando Netanyahu molto più di Hamas; respirerà chi ha visto la pazzesca sofferenza dei rapiti nei racconti di chi è tornato e si sentirà vittorioso chi ha predicato il cessate il fuoco. Oggi Israele sarà un Paese con il volto proteso verso Gaza, aspetterà i primi tre liberati, le ambulanze che poco a poco porteranno i 33 rapiti «umanitari»; la gente piangerà sui corpi di chi verrà riportato senza vita, un’altra vittima della furia di chi si trova sotto i riflettori di tutto il mondo come se non fosse un assassino ma un grande della storia.

I 42 giorni per la prima fase saranno ancora una fiera di opinioni contrapposte, il ministro Ben Gvir seguiterà a battersi con Smotrich per bloccare ragionevolmente che Hamas sia lasciato solo nella Striscia, libero di riorganizzarsi. Nei 42 giorni le famiglie degli ostaggi parleranno di nuovo della selezione arbitraria dei restituiti, se la prenderanno con Netanyahu perché non è riuscito a ottenere tutto e subito; i pullman di terroristi liberati verranno osservati e temuti giustamente da un pubblico ammaestrato al pericolo più di prima, vittime che ricordano quanto dolore hanno portato i 1.007 (fra cui Sinwar) liberati per Gilad Shalit. Netanyahu si avventura in un ruolo inusitato, quello in cui si adatta a una situazione di necessità ed elabora una strategia internazionale in cui conta sull’appoggio di Trump sia per eventualmente riprendere le armi se sarà violato il contratto, sia per affrontare la vera grande guerra, quella contro l’Iran. Le promesse tra i leader sono segrete e finché non affioreranno si vede solo la fatica di Netanyahu e si dimenticano la sua astuzia e il suo valore in guerra.

Bibi si prende il rischio che i soldati si sentano messi da parte dopo 800 perdite sul terreno ora abbandonato, che le famiglie dei soldati uccisi lo guardino con stupore e non lo riconoscano. Prende di nuovo un rischio, così fanno i leader. Rinuncia all’ammirazione di gran parte del pubblico che vuole la vittoria completa, sgominare subito con Hamas ed Hezbollah l’Iran che li nutre. Dopo il 7 ottobre, Bibi ha sfidato divieti e disapprovazione: alla richiesta internazionali di cessate il fuoco ha risposto combattendo a Gaza e in Libano, all’imposizione di Biden di non entrare a Rafah e di lasciare lo Tzir Filadelfi ha risposto dando la caccia a Sinwar là fino a eliminarlo e ha ucciso in Libano Nasrallah. Dopo l’accordo per i rapiti col nemico più sanguinoso, che adesso verrà rimpinguato di terroristi freschi, le critiche saranno pesanti. I rabbini più severi, come rav Dov Fisher, dicono che anche la legge santa, l’alachà, proibisce di mettere in pericolo preziose vite anche nel santo compito di salvare i prigionieri. Dall’altra parte, la sinistra chiederà a Netanyahu altri pegni, lo accuserà di non aver piegato Hamas e anche di non essersi piegato alle sue richieste: avrebbe dovuto ottenere tutti i rapiti e guai a impugnare l’accordo. Anche se Hamas lo violerà penserà di poter contare sul dolore delle famiglie. Dunque Bibi si è messo in trappola? Difficile crederlo: l’odierna rinuncia promette una vittoria maggiore, con l’aiuto di Trump. Huckabee, Hegseth, Rubio: impossibile dimenticare che il loro sostegno per Israele è molto diverso dall’atteggiamento di Biden e di Blinken. Hamas ha accettato, perché è debole più di sempre: Netanyahu e Trump sono un nemico troppo forte. E così resteranno. E tuttavia il suo popolo, quello di cui si dice «due ebrei tre opinioni», resta lo stesso: due delle tre saranno critiche, qualsiasi cosa faccia il Primo Ministro.

 

 

Netanyahu accetta ma i dubbi restano. Nel mirino c’è l’Iran

mercoledì 15 gennaio 2025 Il Giornale 0 commenti
Netanyahu accetta ma i dubbi restano. Nel mirino c’è l’Iran

Il Giornale, 15 gennaio 2025

Non si parla più, le carte sono tutte in bella vista, Netanyahu ha parlato ieri sera in video coi suoi rappresentanti a Doha, ha incontrato i ministri che minacciano l’abbandono del governo Betzalel Smotrich e Itamar Ben Gvir, ha visto fino a tardi famiglie a favore dello schema noto, e contro, ha parlato al telefono con gli americani di Biden e di Trump. Per lui il dado è tratto, ed è forse la decisione più difficile che abbia preso, più di attaccare Gaza, più di distruggere gli Hezbollah, o di entrare in Siria. Non è da lui, per cui la vittoria del popolo ebraico, specie dopo il 7 di ottobre, è parte del DNA. Netanyahu adesso ha deciso che la strada della vittoria può entrare in pausa, o almeno compie difficili convoluzioni. Il mondo pesa sulle sue spalle mentre ormai si discute nel mondo, sul fatto che la sua scelta, la scelta di Israele è quella di andare a un accordo duro, scivoloso, imperfetto, pericoloso, di cui per altro fino all’ultimo minuto rimane padrone Hamas, il cui assenso tutti aspettano ancora, sperando che arrivi nella notte da quelle case sbrecciate e piene di armi e di odio oltre che del cibo degli aiuti umanitario rubato alla propria gente.

Il sospetto logico è che si trattò di un’altra trappola che voglia imporre un cessate il fuoco immediato e un ritiro totale e subitaneo, senza stadi. Questo Bibi non lo accetterà: anche adesso i termini sono insoddisfacenti, la guerra non è finita, si seppelliscono soldati diciannovenni, 15 in una settimana, a Beit Hanun e Jabalia. Blinken accompagna il suo saluto dal ruolo che ricopre informando che Hamas ha ormai lo stesso numero di terroristi di cui disponeva prima della guerra. Netanyahu ha risposto alle accuse delle famiglie che dicono che deve accettare tutto subito e a quelle che invece lo spingono a combattere per piegare Hamas. Nessuna parte, di sinistra e di destra vuole gli stadi, sui 42 giorni della prima fase in cui si vede se funziona e si verifica che Hamas non consegni solo una fila di corpi senza vita, Netanyahu ha risposto che cerca un accordo onnicomprensivo. Ma si sa che Hamas è morto se consegna tutti, e semmai quindi saranno 33, contro migliaia di assassini liberi e liberati fin dentro Gerusalemme, e insieme la promessa di passare da 42 giorni in cui si comincia consentire il passaggio dal sud al nord fino allo smantellamento dell’esercito che oggi protegge Israele da Hamas che appena potesse, compirebbe un’altra strage come quella della Nukba. Ma proprio qui è il punto: Hamas chiede di lasciarlo solo dentro Gaza a riorganizzare i suoi orrori. Trump, ripetute le minacce di “un inferno” se non si restituiscono i rapiti, ha detto, ed era un messaggio a Bibi cui aveva mandato il suo inviato Steve Witkoff, che l’accordo è fatto. Sembra prevalere un imperioso desiderio di imporre a Israele di sgombrare il tavolo prima del so ingresso alla Casa Bianca. Ma Netanyahu ha promesso di concludere con una completa vittoria, che comprende la fine di Hamas. Sia Trump che Netanyahu sono sinceri: Bibi ha la distruzione dei nemici nel suo programma più irrinunciabile, e pensa che senza distruggere l’Iran questo non potrà accadere.

Dunque vuole che piuttosto che contro Hamas semidistrutto, Trump sia con Israele nella guerra vera, dichiarata dall’Iran contro il mondo occidentale. Trump, nelle intenzioni e nei suoi uomini difficilmente troverà spunti per abbandonare Israele, non lo contraddirà come Biden su Rafah, lo Tzir Philadelpi, le armi, gli aiuti. Blinken intanto si fa vivo, rivendica il suo ruolo, annuncia che è pronto un suo piano per il domani di Gaza. Gli ostacoli aumentano: l’accordo incontra il divieto dei suoi alleati di governo, Smotrich e Ben Gvir, che gli ricordano che lo scambio per Gilad Shalit con 1027 terroristi liberò anche Sinwar. Forse Netanyahu ai suoi ministri per convincerli chiede a quattr’occhi se conoscono qualcuno deciso come lui a battere Hamas e l’Iran. Nessuno ha fatto tanto e con tanto successo. È un buon argomento.     

 

Israele contro gli Houty insieme a USA e Regno Unito, il Medio Oriente aspetta Trump

sabato 11 gennaio 2025 Il Giornale 0 commenti
Israele contro gli Houty insieme a USA e Regno Unito, il Medio Oriente aspetta Trump

Il Giornale, 11 gennaio 2025

Dopo 40 surreali missili terra-terra e 320 droni provenienti da 2000 chilometri di distanza che l’anno passato hanno spedito tutta Israele, dal deserto al mare, da Gerusalemme a Tel Aviv, a rifugiarsi nottetempo, adesso dopo l’attacco di ieri coordinato da Israele con gli Stati Uniti e l’Inghilterra… può darsi si calmi l’armata degli Houty, superattiva, superjihadista, decisa a colpire l’odiata Israele, per ordine dell’Iran, dal lontanissimo Yemen. In Israele nessuno, nemmeno il Mossad, riusciva a capire il dialetto yemenita degli Houty e a decifrare i loro messaggi: così sono stati arruolati i vecchietti yemeniti che decine di anni fa giunsero, poverissimi e pieni di speranza, in Israele e portarono la loro immensa cultura biblica, i lunghi riccioli laterali e l’ottimo jachnun.

Probabilmente hanno aiutato con soddisfazione il grande attacco di 20 aerei da guerra che ha preso di mira le centrali elettriche, Heryaz, e i due porti Hoeidah e Ras Issa sulla costa occidentale. L’Iran ha armato, allenato, usato cinicamente in quel Paese misero gli Houty da decenni, e ora con loro seguitava a dare segnali di vita. Anche Hamas ha sparato 25 missili in una settimana, e Hezbollah vuole riorganizzarsi.  Ma è crollato il sistema di strangolamento di Israele e la strategia antioccidentale Occidente. Ieri, in Yemen, le riserve di petrolio e i moli sono stati colpiti, ma, hanno detto le forze britanniche, nessuna nave civile è stata danneggiata. Israele ha colpito le strutture economiche, gli alleati quelle militari. Questa divisione dei compiti stabilita dal Centcom ha distrutto anche gallerie sotterranee, depositi d’armi e strutture militari. Gli Iraniani possono riflettere sullo scenario in cui si può porre la questione del loro apparato nucleare e dei loro missili. L’avvertimento, è per loro. Netanyahu ha detto che gli “Houty hanno pagato e seguiteranno a pagare un pesante prezzo per la loro aggressione” e che così sarà “per chiunque attacchi i nostri cittadini e il nostro Paese”.

Israele, che ha ridotto a più miti consigli le tre H, Hamas, Hezbollah e Houty, ha ancora quei fronti semiaperti e l’avvicinarsi dell’ingresso di Trump alla Casa Bianca stringe il tempo delle decisioni. Dopo il ritrovamento del corpo del rapito Yossef Ziyadne e di suo figlio e nel contempo, la morte di tre soldati a Gaza che porta a 831 il numero degli uccisi in battaglia, l’uccisione da parte di terroristi armati di tre civili e il ferimento di 7, il ministro Katz ha chiesto un piano all’esercito per prepararsi all’avvento di Trump. La sua promessa di scatenare l’inferno fra le file di Hamas se i rapiti non verranno restituiti motiva dunque l’IDF a definire un piano per la sconfitta di Hamas a Gaza in tempi brevi, per evitare che rapiti “languano durante una guerra di attrizione”.

Questo dovrebbe portare alla fine del potere di Hamas e aprire le porte al futuro; così, la nuova situazione Libanese promette, almeno in teoria, l’espulsione degli Hezbollah dal potere. Israele vuole chiudere il cerchio: il Libano ha ormai un presidente, il generale Aoun, che dovrebbe riuscire finalmente a avviare il disarmo degli Hezbollah, dopo la sorpresa dei beeper e la morte di Nasrallah. Per ora, verso la conclusione dei 60 giorni di tregua, Israele mantiene le truppe dove ancora la pulizia non ritiene sia stata fatta. In Siria, anche se il crollo di Assad ha siglato la nuova debolezza dell’Iran e della Russia, Israele non si fida e controlla, permanendo all’interno, il terreno confinante, dove scopre di continuo nuove armi che non vuole finiscano nelle mani di al-Julani.  Il bombardamento dei Houty di nuovo segna la direzione della crisi iraniana: palestinesi, islamici sciiti e sunniti, persino Erdogan, se ne rendono conto. I Sauditi sono all’orizzonte con Trump. Lui, certo vede oggi questo panorama, in cui balena una “demise” del regime degli ayatollah. Se dovesse cedere, darebbe agli USA lo spazio per nuovo Medio Oriente post Gaza, con un nuovo patto di Abramo.  

 

I diritti umani a senso unico. Rapiti, ultimatum degli Usa ad Hamas

mercoledì 8 gennaio 2025 Il Giornale 1 commento
 I diritti umani a senso unico. Rapiti, ultimatum degli Usa ad Hamas

Il Giornale, 08 gennaio 2024

L’espressione «diritti umani» dovrebbe caratterizzare i nostri tempi, riflettere la ricostruzione faticosa della democrazia successiva alla seconda guerra mondiale: ma frana sul rovesciamento della loro percezione e del loro uso. La cultura woke che fa del mondo uno scontro fra oppressi e oppressori, mettendo in quest’ultima categoria la storia democratica occidentale, ha prodotto folle di attivisti di regimi e organizzazioni che praticano il terrorismo e discriminano fino alla morte donne e gay. Invadono, come è accaduto ieri, un ospedale di New York, chiedendo l’espulsione dei malati ebrei «sionisti». Un Paese, l’Iran, che esegue in un anno 900 condanne a morte fra cui donne per la loro libertà, giovani perché gay, dissidenti, doveva essere considerato terrorista, come l’organizzazione, Hamas, che ha decapitato la metà dei 1.200 trucidati. Adesso il mondo è rovesciato. L’Iran è accolto in Vaticano e condanna Netanyahu, insieme al Papa. Hamas ha annunciato di voler denunciare Blinken, il segretario di Stato americano, per crimini di guerra. La minaccia sembra inconsulta, la sua procedura non sembra aver futuro, ma il precedente sono i tribunali internazionali che hanno reso l’accusa, unita all’altra ancora più paradossale di genocidio, la peggiore persecuzione verso Israele: dopo aver portato alla minaccia di arresto al primo ministro e dell’ex ministro della Difesa Gallant.

I crimini di guerra, il genocidio, sono col termine «occupazione» l’altro polo dell’odio antiebraico: i media ne sono pieni, persino il Vaticano ne fa uso. I giovani israeliani, costretti a servire tre anni perché il loro Paese è sempre sotto attacco, hanno sempre guardato al momento in cui un viaggio liberatorio nel mondo li rimette nel ciclo della vita. È un inno nazionale alla libertà. Ma ora, poiché hanno partecipato alla guerra di sopravvivenza a Gaza, in cui anche in questi ultimi giorni tre ragazzi (398 in totale) hanno perso la vita Sri Lanka, Thailandia, Francia, Belgio, Olanda, Serbia, Irlanda, Cipro e Sudafrica sono alla ricerca di elementi che consentano di bloccare un israeliano in vacanza. Ebreo, discolpati, come sempre nella storia. Chi cerca le prove sui siti e nelle biografie è Diab Abu Jahjia, libanese, la sua Hind Rajab Foundation lavora a mettere in piedi azioni legali. Sua è la Arab European League, fondata nel 2003; affiliato a Hezbollah, la sua è una «fondazione araba nazionalista che vive l’Islam come fonte di ispirazione». Fra le sue esternazioni «il pensiero della morte di un soldato americano, inglese, olandese, è come una vittoria»; l’11 settembre è stato «una dolce vendetta». Il suo socio Hassoun ha scritto su Facebook che Hamas avrebbe dovuto prendere più ostaggi e che Hamas non ha invaso Israele il 7 ottobre, era solo tornato a casa reclamando le sue proprietà. Questi i difensori dei diritti umani.

Quanto a Blinken, in realtà da una sua recente intervista sul New York Times si capisce che i diritti violati sono quelli di Israele a un rapporto chiaro almeno con gli alleati americani; invece testimonia Blinken, proprio nel momento più difficile, quando si stava per concludere un patto per recuperare i rapiti, gli Usa sollevavano di nuovo la loro critica contro Netanyahu, soprattutto sulla questione degli aiuti litigando con Netanyahu su Rafah, e Hamas bloccava ogni restituzione fiduciosa nell’indebolimento israeliano causato dagli Usa. Blinken si stupisce che il mondo non abbia mai esclamato con decisione che Hamas doveva arrendersi, restituire i rapiti, come fa ora il neopresidente Trump: «Rapiti a casa entro il 20 o Gaza sarà un inferno». Ha preferito dare la colpa a Netanyahu della mancata restituzione degli ostaggi. Solo oggi Blinken dice di chi è la responsabilità. Mentre si cercano altre responsabilità da gettare addosso a Israele e Hamas seguita a sparare.

 

 

Ma il Vaticano non si renda complice della pioggia mondiale di bugie antisemite

domenica 5 gennaio 2025 Il Giornale 7 commenti
Ma il Vaticano non si renda complice della pioggia mondiale di bugie antisemite

Il Giornale, 05 gennaio 2025

Mentre le tv israeliane diffondono l’immagine straziata di Liri, la ragazzina rapita che ieri Hamas ha scagliato sulla faccia degli israeliani, affacciarsi dal mondo mediorientale su quello italiano, è come atterrare, trascinati da un vento che sradica le case, nel mondo del mago di Oz, dove la realtà ha tutta un solo colore: verde menzogna. Qui, ci siamo appena alzati (letteralmente, anche a casa mia) da un bombardamento degli Houty, paradossali missili balistici, quintali di esplosivo che un gruppo disgraziato che riduce alla miseria anche il proprio Paese, lo Yemen, lancia, per ubbidire all’Iran, a duemila chilometri di distanza su di noi che potremmo solo fargli del bene (che so, acqua, tecnica, sanità… Israele è sempre stato generoso di aiuti al terzo mondo). Israele cerca naturalmente di fermare i lanciamissili. Ma i media italiani parlano di uno “scontro” che astutamente prepara un’aggressione all’Iran.  Hamas intanto da una settimana lancia di nuovo missili, di nuovo, ogni giorno sugli stessi kibbutz e cittadini in cui è stato compiuto il peggiore massacro della storia recente, sempre nella strategia iraniana. E i media denunciano Israele per aver causato la chiusura di un ospedale di Gaza; non dicono che è stato scoperto che serviva da caserma a centinaia di armati di Hamas, ora finiti in prigione fra cui il loro capo, il direttore dell’ospedale. Poverino, anche il direttore è stato arrestato il direttore, si lamentano nei media. Crudeltà di Israele.

E ieri, mentre in Italia infuria l’episodio di Cecilia Sala, episodio tragico (perché questa giovane donna nelle prigioni iraniane è in mano a un regime che valuta le donne esseri da comandare e da offendere se solo osano vivere la loro personalità e il loro aspetto, un regime che impicca omosessuali e dissidenti e viola tutti i diritti umani) si resta lontani, in politica, da un’analisi completa della natura dell’Iran, del suo ruolo terrorista odierno, delle responsabilità nell’ aggressione a Israele e quindi nella morte insieme a Hamas e agli Hezbollah di tutti gli innocenti uccisi. E qui, il Papa Francesco incontra un certo Abolhassan Navab, rettore dell’Università delle religioni il cui scopo evidente nella visita, non si sa se condiviso dal Vaticano, era un terribile comunicato in cui loda “la posizione coraggiosa del Papa nella difesa del popolo palestinese”, cioè, si deve intendere dato chi lo dice, del loro proxy, l’organizzazione terrorista Hamas, responsabile del 7 ottobre; e continua sostenendo che dicendo “noi non abbiamo problemi con gli ebrei”, il successore di Giovanni XXIII, Giovanni Paolo II e Benedetto XIV, che tanto pensiero e azione hanno dedicato alla ricostruzione di un rapporto distrutto tante volte nel fuoco delle persecuzioni antisemite, avrebbe detto “anche noi non abbiamo problemi con gli ebrei; l’unico problema è con Netanyahu che ignorando le leggi internazionali e i diritti umani ha creato crisi nella regione e nel mondo”. Ah. Anche noi? Come l’Iran? E Netanyahu è il responsabile del 7 ottobre? Non può averlo detto. Non ci crediamo. Ma in Italia il contorno culturale è come una marmellata di more, nero e appiccicoso.

Risposte scandalose, offese, ha ricevuto il pezzo sul Corriere della Sera di Ernesto Galli della Loggia, che per aver spiegato che la guerra divenuta il tabu principale della cultura postbellica può avere motivazioni giustamente legate a necessità di sopravvivenza e di giustizia e che il popolo ebraico, particolarmente legato alla sua identità, ha potuto combattere proprio per questo, a fronte dell’odio e delle condanne in cui si è imbattuto. Una considerazione profonda, sensata. A volte, anche se a malincuore, combattere significa vivere invece che morire. Anche per i cristiani: lo dimostra, mentre il capo di Hayat Tahrir al-Sham al-Julani dichiara la sua simpatia per il Papa, il terrore che invece ormai attanaglia i poveri cristiani della Siria, avvezzi a persecuzioni, le sue suore e i suoi sacerdoti di varie confessioni già derisi, uccisi, perseguitati, asserragliati in casa nella Siria in cui già è stata dichiarata la Sharia islamica che li discrimina. La Chiesa ha una responsabilità venerata e immensa. Un nuovissimo documento dell’ “Associazione 7 ottobre” con dovizia di dati dimostra che l’antisemitismo in Italia è ormai vergognoso senso comune, e che il 94 per cento degli ebrei ha subito atti d’odio.  L’odio contro Israele, o anche contro Netanyahu, va bene per gli Houty, risuona in questo scenario e non deve implicare il Vaticano.        

 

Medio Oriente, l'anno dell'incredibile cambiamento

martedì 31 dicembre 2024 Il Giornale 2 commenti
Medio Oriente, l'anno dell'incredibile cambiamento

Il Giornale, 31 dicembre 2024

Che anno è stato quello che si chiude, e che anno sarà quello nuovo. Nei giorni di Hanuccah, quando sul candelabro a 8 braccia si accende una candelina al giorno, ricordo del miracolo che consenti a Giuda Maccabeo di vincere la guerra, si può credere nell’impossibile. Poco più di un anno fa, il 7 ottobre 2023, Israele sembrava perduto. L’anno che si chiude è stato l’anno della rinascita costruita su sette fronti di guerra dopo quella mattina in cui le belve di Hamas si erano avventate su 1200 cittadini grandi e piccoli nei kibbutz vicino a Gaza; il 2024 ha cercato con le unghie e coi denti la risposta, il rimedio, e riuscendoci oltre ogni previsione, ha cambiato la carta geografica, la struttura del potere, il futuro di una parte essenziale del mondo, il Medio Oriente, la cui influenza ideologica e strategica si allarga al resto dell’orbe terracquea. È stata voltata una lunga pagina di storia, quella dell’assedio dell’estremismo islamico sciita guidato dall’Iran con tutte le sue diramazioni: al centro, era stata per anni disegnata la distruzione di Israele come bersaglio guida della conquista dell’Occidente. Ci siamo andati vicini, e verrà il giorno in cui il mondo finalmente riconoscerà il valore degli eroi che hanno combattuto e sono morti per fermare la piaga del terrorismo religioso di massa a Gaza e in Libano, e nei cieli con gli aerei che hanno volato a migliaia di chilometri di distanza a nord e a sud fra missili e nuvole nemiche segnando di fatto il confine della civiltà di fronte alla barbarie.

Il 2024 è stato l’anno in cui Israele ha messo nel rifugio di casa (cui correva ad ogni bombardamento disconosciuto da tutta l’informazione, come fosse la cosa più normale essere bombardati quotidianamente) acqua e biscotti per prepararsi alla grandine di missili iraniani; e invece li ha fatti a pezzi sulla strada verso Gerusalemme.  L’anno, in cui se Israele non avesse avuto la grinta di tenere duro a Gaza sull’ingresso a Rafah e sullo Tzir Filadelfi e lungo la strada di Netzarim, oggi il fratello di Sinwar starebbe preparando il secondo Sette Ottobre. L’anno in cui mentre tutti i servizi di sicurezza imploravano di non attaccare Hezbollah perché troppi erano i missili di cui disponeva (250mila), stupefatto il mondo ha visto l’operazione dei beeper e l’uccisione di Nasrallah, oltre alla scoperta sui confini del Libano con Israele di tunnel come quelli di Hamas, pieni di armi e attrezzature per invadere Israele. E anche Putin, minacciosamente affacciato dalle alture del Golan proteggendo Assad, uno dei peggiori assassini del nostro secolo, dopo avere ospitato Hamas a casa sua e essere diventato il migliore socio dell’Iran con l’acquisto dei droni omicidi per Kiev, ha dovuto sloggiare; l’Iran ha visto il suo Assad fuggire, e Putin accogliere lo sconfitto a Mosca mentre Israele entrava in Siria a sorvegliare che le milizie islamiste non si appropriassero delle armi. L’assedio era finito.

Il 2025 non ha la stessa carta geografica per Israele: ha riconquistato i suoi confini; ha dentro Gaza, in Libano, in Siria una barriera di sicurezza militare; l’Iran indebolito minaccia ancora la costruzione della bomba atomica, ma gli ayatollah sanno che Israele, che ha giurato di impedirlo, avrà dalla sua parte il nuovo presidente americano Trump e che il loro regime trema. Non accadrà che a Israele venga minacciata come nel marzo del 2024 da un embargo di armi come quello usato da Biden. Sotto traccia non vi è oggi uno Stato Palestinese come quello di Hamas, che comunque controllerebbe Abu Mazen: nel futuro un’alleanza coi Paesi Sunniti disponibili a un nuovo Patto di Abramo. Se i Palestinesi intendono partecipare, dovranno provarlo. Nessuno si aspetta che l’anno prossimo sia una passeggiata, 100 rapiti sono ancora nelle mani del gruppo più crudele del mondo, Israele li tiene al centro del suo futuro. Uno a uno si piangono 823 soldati che in quel Paese piccolo restano il miglior allievo di fisica, il miglior musicista, la migliore maestra, il miglior falegname, il più dolce dei figli e dei mariti. E Israele fronteggia adesso anche la sfida della calunnia paranoica, il blood libel antisemita violento e demenziale che è linguaggio comune dei media, della sinistra, del mondo islamista.

È stato l’anno in cui abbiamo scoperto quanta rabbia susciti in una massa che si illude di parteggiare per i diritti umani il concetto stesso che un ebreo si difenda per sopravvivere. Quanta fatica faccia cercare numeri veri, informazioni attendibili. Quanti giornalisti sparino false notizie non verificate. Quanto l’inimicizia dell’ONU diventi persecuzione tramite i tribunali internazionali. Ma forse la novità del 2025, in cui Israele vive e ha ripetuto la sorpresa del 1948 e del 1967, convincerà i suoi nemici a una pace diversa, quella di una realtà smascherata e superata. 

 

I successi di Netanyahu nella guerra di rinascita per Israele

sabato 28 dicembre 2024 Il Giornale 5 commenti
I successi di Netanyahu nella guerra di rinascita per Israele

Il Giornale, 28 dicembre 2024

Nella resistenza millenaria alle persecuzioni che ha consentito la sopravvivenza del popolo ebraico, rifulgono i leader: sono tanti fin dalla Bibbia. Mosé, eroe della libertà dalla schiavitù egizia, padre della legge che ha fondato il mondo moderno, e poi Judah Maccabi, Tuvia Bielsky, Mordecai Anielewicz, Hanna Senesh, gli eroi del sionismo. Oggi alla loro lista si aggiunge il nome di Benjamin Netanyahu, con la sua sfida al mondo che ha restituito a Israele il ruolo di responsabilità e di eccezionalità che il 7 ottobre gli aveva strappato. Guerra di rinascita. La sua determinazione a stroncare il mondo islamista dell’odio, a fronteggiare le imposizioni americane e la diffamazione antisemita dell’Occidente in questi 15 mesi di guerra, a rifiutare il cessate il fuoco lasciando in vita Hamas ed Hezbollah, ha restituito la vita a Israele e ha distrutto il piano di dominio dell’Iran che era una minaccia per il mondo intero. Ha anche emarginato il dominio russo dalla Siria, ha creato le premesse per una vera pace coi Paesi moderati.

Netanyahu la mattina del 7 ottobre fu chiamato alle 6:29, si trovò di fronte 1.200 omicidi, un’antologia di odio genocida; subito dichiarò la guerra che ancora dura mentre già si sollevava l’antico odio antisemita nel mondo: un leader che guida un governo di destra, quindi inviso a Onu, Ue, all’America di Biden, ha mantenuto un Paese unito nella guerra nonostante la persecuzione delle organizzazioni come la Corte internazionale di giustizia e il Tribunale Penale Internazionale che hanno preteso di farne un genocida; ha sopportato un attacco dell’informazione; ha accettato il processo che lo segrega sei ore tre volte a settimana con accuse politiche; ha affrontato il suo proprio dolore per i rapiti, per gli uccisi, per l’antisemitismo e ha pensato, disegnato, si è contrapposto a chi gli chiedeva di non andare a Rafah, e questo è stata una dimostrazione di fede in Israele. Netanyahu è entrato a Gaza che già il mondo gridava «cessate il fuoco» e ha sostenuto la minaccia di Biden di bloccare l’invio delle armi se avesse deciso di entrare a Rafah.

Bibi ha dovuto aprire il fronte degli Hezbollah. L’esercito ha mostrato un incredibile valore, le riserve sono tornate più e più volte al fronte lasciando famiglie e lavoro. Anche qui, Netanyahu ha agito nonostante molti sconsigliassero di battersi: distruggeranno Israele coi loro 250mila missili iraniani, dicevano. La strada però il 24 luglio al congresso Usa si apre quando Bibi sente il caloroso supporto per l’Israele del confine, del sogno di essere un popolo libero nella propria terra. Il 17 settembre, sempre fra mille discussioni interne, esplodono i beeper degli Hezbollah, e si prepara anche l’impossibile eliminazione del diabolico capo della resistenza organizzata dagli iraniani: il 24 Nasrallah muore nel bunker, e a Gaza il 16 ottobre Sinwar viene incenerito. Quando l’Iran ad aprile e a ottobre pensa di terrorizzare e forse distruggere Israele con missili balistici, Israele si leva in volo, coadiuvata da Gb, sauditi, americani. La coalizione del futuro è già là, mentre crolla il domino russo in Siria, Assad fugge sgomberando l’autostrada delle armi iraniane verso il Libano. Bibi è tornato adesso con un elicottero sulle alture siriane dove ha combattuto nell’unità speciale. In alto un cielo da cui adesso, finita l’operazione contro la minaccia Houthi, si può passare liberamente per colpire l’arma atomica iraniana in costruzione, operazione già discussa con Trump.

Essere un popolo libero nella nostra terra, dice «Ha Tikva» «La Speranza», l’inno ebraico. Netanyahu ha viso pallido e occhi stanchi, ormai gli si vedono i 75 anni, e sembra un po’ Churchill. 

 

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giovedì 19 dicembre 2024 Generico 0 commenti

A tutti coloro che mi hanno fatto l’onore di usare il loro tempo per rispondermi, grazie. GRAZIE DELLE LORO PAROLE PIENE DI CORAGGIO E DI SAGGEZZA: NON è FACILE CONTRAPPORSI ALL’ONDATA DI CINISMO E IGNORANZA CHE CI SOMMERGE DAL 7 DI OTTOBRE. Da più di un anno mi impegno a spiegare che cosa sta veramente accadendo in questa guerra di sopravvivenza che il Popolo Ebraico, contro tutte le vergognose calunnie, le stupidaggini, gli errori storici e morali che vengono volutamente o inconsapevolmente diffusi contro gli ebrei e contro questo piccolo Paese, aggredito con lo scopo di distruggerlo. Si chiama antisemitismo, e non è mai sparito nei millenni: oggi ha la veste dell’odio contro Israele. Ma Israele ha dimostrato che si può vincere anche dopo la più terribile aggressione con lo spirito di sacrificio, l’amore per la propria terra, la determinazione morale a sconfiggere il terrorismo e i suoi sostenitori e a difendere non solo la propria vita, ma quella di tutto il mondo libero e democratico.

Israele l’ha fatto combattendo nelle condizioni più difficili, circondato dai nemici armato dall’Iran su sette fronti; li ha affrontati con le unghie e coi denti e ha sconfitto Hamas, gli Hezbollah, ha messo l’Iran in un angolo, ha aperto la porta, inducendo anche la fuga dei Russi dalla Siria, alla cacciata di un dittatore feroce, Bashar Assad. Il futuro è ancora tutto da conquistare, i rapiti devono ancora tornare casa in buona parte, e il mondo deve ancora arrivare a capire l’errore che ha fatto lasciandoci soli. Ma accadrà, e noi saremo insieme grazie al vostro importantissimo sostegno. Col vostro aiuto scrivo e parlo ogni giorno.

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