Fiamma Nirenstein Blog

La guerra antisemita contro l'Occidente

7 ottobre 2023 Israele brucia

Jewish Lives Matter

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Museo del popolo ebraico

La mossa di Bibi e il silenzio di Khamenei. Ma guai a sottovalutare l'odio anti-Israele

domenica 27 ottobre 2024 Il Giornale 0 commenti

Il Giornale, 27 ottobre 2024

Chissà se l’attacco israeliano in Iran sulle sue strutture militari suonerà finalmente come una squillo liberatorio, segnalando che il regime di Teheran non è intoccabile, che la sua terribile continua violazione dei diritti umani e la sua aggressione in combutta con la Russia al mondo democratico può essere affrontata, fermata, che non è eterna. Oppure se la paura obnubilerà il significato dell’attacco di ieri notte alle 2 circa, e di nuovo spingerà alla caccia del solito “cessate il fuoco”. Per ora Biden e anche i tedeschi e gli inglesi hanno detto con inusitato coraggio: “Israele ha ragione, guai all’Iran se osa rispondere”. Gli Stati Uniti hanno anche aggiunto che se Teheran oserà farsi avanti, dietro a Israele ci sono gli USA con le armi. Intanto hanno portato il terzo Thaad, un fantastico sistema di difesa antimissili balistici. Dall’Iran i segnali sono svariati: da una parte si minimizza il danno, si nega persino l’ingresso degli F15, si dice che sono sciocchezze; dall’altra si minaccia, come al solito, “l’entità sionista” di immediate risposte definitive.

Al momento non si sentono le voci determinanti, Khamenei e i grandi generali non si sentono, mentre è uscito un editto di polizia per cui chi diffonde immagini legate all’attacco sarà condannato da uno a dieci anni e le Guardie della Rivoluzione sorvegliano le strade. Intanto si vocifera che gli americani abbiano ricevuto un messaggio in parsi: per ora non si intende reagire.  Ma guai a sottovalutare la furia, la vergogna, l’esaltazione religiosa carica d’odio. Israele non ha cambiato gli ordini del fronte interno, aspetta tranquilla: l’attacco all’Iran era una risposta indispensabile dopo i 200 missili del 23 aprile e gli altri 200 del primo di ottobre, ma soprattutto dopo il sostegno sfacciato al bestiale attacco di Hamas del 7 di ottobre, la poderosa costruzione di hezbollah in funzione dello strangolamento dello Stato ebraico e degli altri proxy tutti devoti a questo scopo.

Israele ha colpito 20 siti su un’area molto larga, penetrando l’Iran per 700 chilometri. Ha distrutto gli S300 russi accecando i radar come quelli “Shanachir” e altre strutture di controllo dello spazio aereo, ha colpito basi missilistiche come Kermanshah creando buone condizioni di volo anche per un eventuale futuro prossimo, ha distrutto le fabbriche e i depositi di quei droni che danno tanta noia anche agli americani (certo c’è stato un accordo su questo) perché li usa la Russia contro l’Ucraina... E di più capiremo nei prossimi giorni. Per ora è un bel risultato aver portato su Teheran 100 aerei di combattimento di cui quattro, segnando un nuovo record, condotti da donne. L’azione intrapresa è un forte deterrente: al nord in Gaza e nel sud del Libano è in atto la stessa tecnica di distruzione delle strutture belliche, e Hamas e Hezbollah ne prendono nota. I due migliori sostegni del regime ne risultano ancora più indeboliti, e questo, spera Gerusalemme, potrebbe aiutare la trattativa sui rapiti che si riapre a Doha. Ma rispetto al disegno dell’Iran che tortura Israele da 45 anni con la strategia incentrata sulla costruzione dell’atomica e sulla catena di attacco ai confini, in Israele parte dell’opinione pubblica considera debole la risposta, troppo condizionata dalla vigilia delle elezioni americane.

Una vittoria della Harris potrebbe garantire a Israele aiuto solo se starà ai suoi patti pacifisti. Per ora le richieste di Biden sono state rispettate: strutture militari e stop. Ma le riserve energetiche, ricchezza del regime, e quelle atomiche, a un centimetro dal completamento della costruzione della bomba sono le vere minacce a Israele e al mondo. Il seguito alla prossima puntata. 

 

Gli intellettuali di sinistra e le tesi su Israele distrutto

sabato 26 ottobre 2024 Il Giornale 6 commenti
Il Giornale, 26 ottobre 2024
 
Molti intellettuali di sinistra stanno in questi giorni cercando di fondare una teoria della futura distruzione dello Stato d’Israele, ma hanno due problemi: passeranno alla storia per la loro viltà e per il loro errore. Israele ha ragione perché è dalla parte della democrazia e della libertà contro la dittatura e il terrorismo islamico, e vincerà, perché non può fare altrimenti, e questo la difende e la sorregge moralmente, come sempre nella storia e come solo il popolo ebraico sa.  Gli intellettuali che profetizzano la morte d’Israele non ricordano cos’è successo il 7 di ottobre né le promesse di genocidio che l’hanno accompagnato; e immaginano che la guerra di Israele sia di “vendetta”. Ma non è vero: Israele odia la guerra, ed è costretta per sé stesso e per tutto il mondo libero ad una guerra di sopravvivenza, contro un grande schieramento totalitario guidato dall’Iran in Medioriente, e nel mondo dalla Russia di Putin. Sia Hamas che Hezbollah, anche per conto dell’Iran, avevano preparato una guerra di aggressione definitiva da ripetere, che doveva realizzare l’espulsione di Israele dall’area. Da questo deriva la lunga difficile guerra in corso, larga, variegata, su sette fronti, e questo non piace a nessuno naturalmente. Alla democrazia non piace la guerra: ma quando decide di combatterla, come dice Alexis De Tocqueville, lo sa fare. Ma gli intellettuali si spaventano: è una parola vietata, speriamo dunque in un cessate il fuoco! Così dice Luco Caracciolo nell’ultima frase di risposta a una entusiasta intervista dell’Unità che condanna a morte Israele e con un mantra molto consueto mette tutta le colpe su Israele, e tutte le colpe di Israele su Netanyahu. È lui che vuole la guerra, lui che crea un caos, non chi da anni colpisce coi suoi missili quasi tutto il territorio dello Stato Ebraico (250mila ne ha Hezbollah, e quasi tutti iraniani! E le armi di Hamas! Iraniane e russe) spedendo milioni di persone nei rifugi e armando i terroristi a migliaia.
 
Caracciolo è lo storico che il 10 febbraio 2022, sostenne che “Putin non invaderà l’Ucraina perché sa che sarebbe una rovina per la Russia”, due settimane prima dell’invasione. Il suo lavoro di destrutturazione del diritto del Popolo Ebraico non solo alla sua terra ancestrale secondo il diritto a tutti riconosciuto all’autodeterminazione, ma alla sua stessa esistenza in quanto popolo ebraico (ci ha dedicato un altro volume del suo Limes) si arrampica sugli specchi di una delle mille tesi woke per disegnare un fallimento  definitivo di Israele sostenuto finalmente da folle che urlano “from the river to the sea”; piacevole sillabare di nuovo e di nuovo, in interviste sull’Unità e interventi su Repubblica, la condanna di Israele. È l’Iran aggredito, non Israele. Come con la guerra del ‘48, e poi di tutte le altre, per il mondo sovietico, per i “Paesi non allineati”, per l’ONU che ne era preda col voto automatico, e poi per il movimento woke, Israele è un Paese bianco colonialista, imperialista, capitalista… E per Caracciolo, un Paese spaccato. Non democraticamente sempre in discussione, ma a pezzi. Sembra difficile e forse  non lo si deve pretendere da chi non si accorge che nella sua difesa dei diritti umani in realtà difende chi impicca gli omosessuali e condanna a morte donne e dissidenti, capire che abbiamo qui un Paese che non tocca i dieci milioni di abitanti che combatte contro la barbarie, ed che è proprio l’unità dei ragazzi, uno accanto all’altro, dei veri eroi, che difende tutto il mondo da una vera grande guerra di conquista da parte di un potentissimo arco di forze malefiche. Ed è quasi patetico negare proprio ora la sua straordinaria esistenza come popolo, tanti colori, tante idee e sempre un tutt’uno, chi è per Netanyahu e chi contro, chi religioso e chi laico, famiglie di ogni colore, di ogni origine, con gli ebrei drusi, circassi, e arabi cristiani e musulmani, perdono i migliori dei propri figli in una guerra di sopravvivenza per difendere la casa e la famiglia e per ritrovare i rapiti. E di questo, qui nessuno si lamenta anche se hanno costruito una democrazia così combattiva che alle volte sembra esplodere di dissenso e poi invece si confronta vota, e rispetta il voto. Chi cerca una scusa per essere contro Israele e contro gli ebrei facendo finta di niente la trova sempre in Netanyahu, e poi persino in Ben Gvir, che, orrore, è religioso! un ministro di cui Netanyahu non ha mai avuto cura, che non partecipa neanche alle riunioni di gabinetto in cui si decide della guerra. 
 
La teoria per cui gli ebrei sarebbero alla fine odiosi suprematisti religiosi, che era poi la teoria stalinista e prima ancora quella nazista, e che Netanyahu manda i ragazzi a morire per tenersi il governo, sono talmente ridicoli che ci può credere soltanto uno storico come Pappe, uno squalificato odiatore ebreo di ebrei. Ce ne sono. Altri poi non sopportano il successo ebraico o confondono il terrorismo con i movimenti di liberazione, reinventando la storia: quanti libriccini sono usciti in questo periodo, di Enzo Traverso, di Roberta Monticelli, di Anna Foa (“Il suicidio di Israele”, ma non si vergogna?), la storia di Pappe stampata da Fazi, “Hamas” di Paola Caridi per Feltrinelli, Raja Shehadeh per Einaudi, sostiene che è stata sempre Israele a respingere la proposta di pace dei palestinesi. Non l’ho letto, non leggerò nemmeno quello di Gad Lerner, ma mi azzardo ad aggiungerlo a una lista che ignora che Israele quando per esempio avanza in Libano sta distruggendo le strutture che dovevano servire a un’invasione come quella del 7 ottobre, e non ce l’ha con i libanesi, e tantomeno con l’UNIFIL, ma deve porre fine ai bombardamenti.  Una lista che usa il mantra “Netanyahu” come se dicesse “abracadabra” per cancellare tutte le riunioni fra Putin, Khamenei, Hamas, Nasrallah, gli Houty, gli sciiti dell’Iraq, prima e dopo il 7 di ottobre. Così si tenta di distruggere Israele che si sta difendendo con successo; e chi non lo capisce, fiancheggia i suoi nemici, volente o nolente.
 

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lunedì 21 ottobre 2024 Generico 1 commento

 

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Un attacco diretto a Bibi (con la firma dell’Iran). Impossibile la tregua ora

domenica 20 ottobre 2024 Il Giornale 0 commenti

Il Giornale, 20 ottobre 2024

Il linguaggio della guerra è molto più esplicito di quello della politica: ieri ha parlato in arabo e in farsi senza rischio di fraintendimenti, in coro. E impone di cambiare strada. La casa del primo ministro di Israele è stata presa di mira, anzi, bombardata dagli Hezbollah con un drone fornito dall’Iran, il loro sponsor. Durante le prime ore del giorno tutta la popolazione del nord di Israele, specie lungo la costa e in Galilea, da Rosh ha Nicrà a Haifa, era stata ancora una volta, senza un attimo di sosta fra un bum e l’altro, costretto a rifugiarsi nei bunker per ore e ore sotto missili e razzi. Un guidatore è stato ucciso, due i feriti. Con questo gli Hezbollah hanno voluto segnalare una ripresa dopo l’eliminazione di Nasrallah, e, anzi, di voler alzare il livello di scontro. Ma come il 7 di ottobre il fittissimo bombardamento di Hamas aveva voluto coprire il vero evento, quello dell’ingresso dei macellai terroristi in Israele, stavolta i botti sono stati la musica di accompagnamento di quel ronzio con cui un drone teleguidato era stato spedito contro la casa di vacanza di Netanyahu a Cesarea, che ha colpito. Il Primo Ministro solo per caso non vi si trovava, spesso ama passare lo shabbat con la famiglia nella casa al mare.  Il drone è iraniano, uno Shahed come quelli che Putin usa contro gli Ucraini. La Russia ne ha già comprate, tanto sono buoni, migliaia presso i suoi amici ayatollah. Adesso insieme producono missili. Gli americani hanno studiato un sistema di difesa da questi piccoli pericolosissimi velivoli suicidi, carichi di esplosivo, che possono volare migliaia di chilometri anche senza essere intercettati tanto volano basso: i soldati americani in Medio Oriente hanno subito 165 attacchi di droni di questo tipo, con tre morti e 80 feriti. I droni sono teleguidati, non volano a caso: gli inserisci l’indirizzo di arrivo, e per alcuni è possibile teleguidare lungo la strada.

Dunque: non solo Hezbollah ha voluto riprendere la guerra oltre i quasi 5000 missili dal 7 di ottobre a fianco di Hamas, ma ha voluto rilanciare. Quasi con certezza si può pensare che un attacco che chiede una risposta decisa e dura come il tentativo di uccidere Netanyahu, non sia stato deciso senza l’ordine dell’Iran, lo sponsor, l’architetto del progetto di distruggere Israele, il padrone delle chiavi di tutti i suoi proxy. È simbolico che sia avvenuto proprio il giorno dopo l’eliminazione di Sinwar e dopo qualche settimana dall’uccisione di Nasrallah per indicare una perversa simmetria fra la propria potenza, Netanyahu e gli USA. È tipicamente mediorientale cercare di intimidire con una mossa terrificante, suggerire al nemico che verrà eliminato se non si arrende. Qui, poiché l’Iran sa che Israele prepara una risposata ai suoi 200 missili, c’è anche una provocazione sprezzante. Khamenei, mentre certo si ripara in un bunker, sa bene che Netanyahu sarà difficilmente convinto a tirarsi indietro, e che anzi sta adesso decidendo quale sarà la risposta, con determinazione e anche con maggiore legittimazione. L’Iran, gli Hezbollah, i mozziconi di Hamas dopo Sinwar, contano sulla folle acquiescenza americana e europea che chiede a Israele di riporre le armi adesso! mentre può e deve necessariamente reagire per concludere l’aggressione dell’asse del male sempre più imbizzarrito e anche impaurito. Contano sulla minaccia di un embargo americano e europeo alle armi di cui i libri di storia parleranno, se ci sarà, come della mossa di un nuovo Neville Chamberlain.  

 

 

Israele non si fermerà

sabato 19 ottobre 2024 Il Giornale 1 commento

Il Giornale, 19 ottobre 2024

“A good day”, ha detto Biden parlando dell’eliminazione di Sinwar. E ha spiegato l’ovvio: l’eliminazione di questo terrorista belluino, che ha sterminato anche famiglie americane insieme a quelle israeliane il 7 di ottobre, è una fortuna per il mondo. Gli stessi sentimenti sono stati espressi per l’eliminazione prodigiosa del leader degli Hezbollah, Nasrallah. Di fatto, oltre a rendere questo mondo un luogo un po' migliore, la scomparsa di questi due arci assassini e di altri loro pari, è simbolicamente una promessa di pace vera. E non di quella auspicata, con molte imposizioni per fortuna non riuscite, da pii cessate il fuoco di cui sarebbero restati accesi i più pericolosi tizzoni. Si sa bene, nel consesso internazionale, che si può combattere il male, anzi, che si deve farlo, ma non se ne vogliono pagare i prezzi. Ma attraverso quanti inceppi, quante proibizioni, quanti pregiudizi, quante ipocrisie pacifiste Israele può farsi largo? Sinwar è stato finalmente eliminato a Rafah mentre stava probabilmente per scappare oltre il confine egiziano di Tzir Filadelfi, traforato di gallerie: come, non vi ricordate questi due nomi? Sono i due luoghi su cui pendeva un furioso divieto di ingresso reiterato sia da Biden che dall’Unione Europee: a Rafah, sullo Tzir Filadelfi? Mai! L’esercito faccia un passo indietro. Menomale che per arrivare al “good day” dell’eliminazione di Sinwar e dell’indebolimento ormai irreversibile di Hamas e quindi persino forse di una più facile trattativa sui poveri 101 rapiti nelle mani dei residui sbrecciati di Hamas, Netanyahu ha tenuto duro.

Adesso, ha a che fare con l’insistenza sulla responsabilità della malnutrizione di Gaza, mentre introduce 350 camion di aiuti al giorno, sperando che le bande di delinquenti di Hamas non se ne impossessino e ne facciano i loro commerci. Ma nessuno guarda in quella direzione, non Biden né l’UE. Si aggredisce sempre Israele, e lo si minaccia di tagliargli le armi. Cosa c’entra? Mah, va insieme all’affermazione italiana che il 7 di ottobre le armi italiane sono state negate a Israele: un bel vanto davvero, con quello che gli israeliani avevano passato in quel giorno, proprio quello. E adesso Nasrallah: Israele ha uno scopo unico nell’attaccare gli Hezbollah, sconfiggere chi ha sparato più di quattromila missili dal 7 ottobre, e riportare a casa 70mila sfollati. Deve per forza farlo, distruggere quindi le gallerie e i depositi di armi costruiti all’ombra delle basi dell’Unifil, cui Israele ha chiesto di spostarsi temporaneamente per questo scopo, prima di passare ai fatti: le azioni intraprese con dispiacere, non sono contro i Caschi Blu, ma contro gli Hezbollah che li usano come scudi umani. L’Unifil doveva intraprendere, secondo il suo statuto, “tutte le azioni necessarie” per impedire che dal Litani al confine si compissero azioni belliche delle due parti.

Ma di parti ce n’è stata una sola, gli Hezbollah, e da parte dell’Unifil niente è stato fatto fuorché coprirli. Adesso Israele deve smontare tutte quelle strutture di guerra che l’Unifil ha lasciato costruire, lanciamissili e decine di gallerie ben attrezzate con ciò che serve a un’armata pronta all’invasione uguale a quella di Hamas, ma stavolta dal Libano in Galilea. La bellicosa insistenza con cui Francia, Italia, Spagna usano parole pesanti su Israele sottintendendo una inesistente aggressività nei loro confronti, confina di nuovo con le stravaganti richieste di cessate il fuoco. Certo gli abitanti del Libano vogliono veder sparire il tallone degli Hezbollah sulla loro vita, e Israele combatte per sopravvivere. Quale cessate il fuoco? Per combattere il male, bisogna semplicemente sgominare il nemico. Semplice, e così difficile da accettare. Quando, a breve si dice, Israele si muoverà per rispondere al grande attacco missilistico iraniano, la promessa che questo conterrà è la stessa della lotta contro Hamas e gli Hezbollah: un mondo migliore, di vera pace. Israele lo farà per tutti, come sempre, e si vedrà chi saprà capire la promessa.

Il terrorista assetato di sangue era "l'architetto" del 7 ottobre. Morto nella fuga da vigliacco

venerdì 18 ottobre 2024 Il Giornale 1 commento

Il Giornale, 18 ottobre 2024

 

Il soldato che scavava fra le pietre dell’edificio di Rafah (dove per lunghi mesi all’Idf era stato proibito di entrare) dopo che a sua Brigata l’aveva distrutta con successo scoprendovi all’interno terroristi e armi, ha detto proprio così: «Wow! Questo somiglia a Sinwar». E lo era. Che sorpresa, che orgoglio per i soldati. Il macellaio del 7 ottobre, il sanguinario fanatico capo di Hamas che ha scavalcato i limiti del male conosciuto nel nostro secolo coi suoi piani e i suoi ordini disegnando l’attacco, ha fatto anche lui il suo errore, come Nasrallah. La sua ora è venuta non in una delle gallerie, scoperto dai servizi segreti circondato dai poveri rapiti un anno fa, ma beccato per caso carico di soldi e passaporti falsi probabilmente mentre voleva scappare dallo Tzir Filadelfi come un vigliacco. Nella foto un gruppetto di soldati guarda stupefatto il corpo seminascosto di Sinwar, chissà con quale orgoglio riescono a pensare a come proprio loro, in questa pagina di storia, hanno messo fine alla vita del topo di gallerie, responsabile dei bimbi decapitati, delle famiglie bruciate, delle ragazze violentate e uccise, dei sei ragazzini fucilati poche settimane fa all’imbocco della galleria.

Quei ragazzi hanno verificato con sollievo senza fine che neppure uno dei rapiti era là a coprire Sinwar. È morto tenendoli nascosti senza scambiarli, spavaldo e sicuro di se stesso, bruciante d’odio per gli ebrei fino al punto di uscire all’aria aperta sicuro di vincere, dopo aver portato l’inferno su Israele e anche sul suo popolo, usato come scudo umano della sua folle ideologia e dei suoi assassini, ben riparati nelle gallerie costruite coi miliardi ricevuti dall’Iran e dal Qatar e dall’aiuto umanitario di tutto il mondo. Sinwar aveva promesso di liberare tutti i prigionieri palestinesi quando nel 2011, condannato a quattro ergastoli, era uscito nello scambio Shalit: non gli è riuscito. Tornato a casa guarito da un cancro al cervello curato da Israele, con la conoscenza profonda della società israeliana così da sfruttarne rotture e debolezze, e con la decisione a usare qualsiasi mezzo per uccidere gli ebrei e distruggere loro Paese.

Prima di tutto, sotto di lui si stringe il rapporto con l’Iran. Uccide con le sue mani, letteralmente, quelli che accusa di essere agenti di Israele. Crea la strategia miliardaria delle gallerie, oltre a essere l’architetto degli orrori del 7 ottobre. Lo disegna con una precisione che arriva persino alle mappe e agli ordini nelle tasche degli assassini con la fascia verde in capo e le motociclette o i pick-up che, sempre secondo i suoi ordini, tornano dalla strage carichi di rapiti e corpi su cui Sinwar ha giocato il suo sporco gioco di ricatti, propaganda, violenze sessuali, sangue, ulteriori uccisioni. Senza avere mai l’intenzione di condurre una vera trattativa per conservare la leva più potente nelle proprie mani. Nel frattempo, teneva sotto il tallone una popolazione nazificata e insieme affamata e violentata da Hamas stesso. Nella testa della cronista torna l’immagine che tutti hanno visto di Sinwar coi suoi bambini che tengono già un mitra in mano mentre lui li vezzeggia, poi l’uomo che cammina nel buio della galleria e davanti i suoi tre bambini che lo precedono nello spostamento. Povere creature, quando si pensa alla reazione del suo collega adesso anche lui all’Inferno, Ismail Haniyeh, quando raggiunto dalla notizia della morte dei suoi figli non ha alzato un sopracciglio. «Amiamo la morte più della vita» ripetevano ambedue, ed eccoli accontentati.

Adesso, cambia lo spettacolo, difficile per Hamas in stato comatoso trovare un successore, si aprono le strade per Gaza, oltre alla crisi militare evidente di Hamas c’è anche una crisi politica che deve suggerire la capacità di Israele di gestire la sua guerra di sopravvivenza, come ha saputo farlo con Nasrallah. Certamente l’Iran guarda, speriamo che sappia dare buoni consigli a chi ha in mano i rapiti. E che in generale si renda conto che Israele ha tutte le intenzioni di vincere la guerra. L’idea di una guerra totale, ora che Hamas e Hezbollah sono senza testa, è molto meno robusta.

 

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lunedì 14 ottobre 2024 Generico 0 commenti

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La "resistenza" di chi sceglie la via del terrore

domenica 6 ottobre 2024 Il Giornale 3 commenti

Il Giornale, 06 ottobre 2024

Non voglio raccontarti, giovane ignorante che vai in piazza con la bandiera palestinese o quella del Libano e piangi Nasrallah, come i peggiori nemici dei palestinesi e dei libanesi, di cui del resto non ti importa proprio niente, siano proprio Hamas e gli Hezbollah sul cui modello terrorista tu disegni adesso la tua rivoluzione generale contro il mondo capitalista, imperialista, fascista, colonialista… Contro il babbo, la mamma, il datore di lavoro, la noia quotidiana, la tua incapacità. Cerchi una casa alla tua pigrizia morale, all’ignoranza in cui la tua generazione è cresciuta, al tuo vittimismo. E anche al tuo desiderio di violenza, di cui hai reso oggetto gli ebrei. Che c’è di nuovo? So che non hai voglia di sapere niente della verità. La colpa agli ebrei, è un classico di tutti i tempi, è una psicosi consistente e radicata, ricca, che ti garantisce molti argomenti, che conta su una paranoica antica fissazione di massa capace di portare a grandi risultati, persino alla guerra mondiale cui ha già condotto Hitler.

Ci vorrebbe almeno un breve corso per spiegarti la storia che non sai. Ma qui ed ora, se tu volessi fare una dimostrazione di “resistenza” contro un eventuale potere di Hamas o degli Hezbollah saresti morto in un momento, linciato, picchiato, sparato, sbattuto in un carcere, torturato. Se tu fossi una donna subiresti la peggiore fra tutte le oppressioni, quella medievale della poligamia, dell’abbigliamento, del comportamento, del matrimonio, la tua bambina potrebbe essere sposata a 12 anni con un jihadista di cinquant’anni, e convertita; se tu fossi gay, ti impiccherebbero a una gru o ti ucciderebbero per strada. Questo di fronte alla “resistenza”, parola ormai corrotta e pervertita, contro il nemico sionista e gli americani pare di poca importanza. La manifestazione si fa a ridosso del 7 di ottobre: “resisti” di fronte a bambini che hanno visto uccidere i loro genitori e poi hanno subito la stessa sorte mentre gli urlavano yehud, ebreo, di fronte alla memoria di Kfir e del suo fratellino di cui non si sa nulla, di fronte a donne ebree stuprate e uccise, ai rapiti, ai bruciati. Resisti di fronte a chi si è difeso dall’aggressione da Gaza, e poi dal Libano, dove se ne preparava una uguale, e difende anche te dall’ideologia assassina e fascista dei tuoi amici jihadisti.

Per rassicurarvi delle bontà del vostro evidente psicotico cinismo che proibisce di difendersi dall’odio belluino armato, parlate di genocidio: sì, un tentativo di genocidio c’è stato un anno fa, ed è ancora in corso, e l’ha riaffermato ieri il grande Ayatollah, colui che sta diventando il vostro capo ogni minuto di più, quello che vi suggerisce gli slogan e le piattaforme delle vostre manifestazioni. È il genocidio degli ebrei. E lo ripropone tutto l’asse della “resistenza” iraniano cui ti sei entusiasticamente unito, il suo motto è genocidio. E infatti Israele ha fatto di tutto nonostante le cifre gonfiate (40mila, si seguita ad abbaiare senza sapere che sono almeno 20mila i terroristi compresi nel numero, che gli altri, comprendono anche uomini, e non solo  donne e bambini come si ripete perfidamente, che Hamas ha lasciato con intenzione omicida fuori delle sue rivoltanti gallerie di difesa solo per Sinwar e compagni), stravolte, inventate, prive di qualunque base fattuale come tutte le fonti decenti ammettono, oppure che testimoniano un tasso di uccisione di civili molto più basso di quello di qualsiasi altra guerra, per avvertire, fornire aiuto umanitario, mantenere uno standard mai visto prima da parte di nessun esercito.

Ma che vi importa, cosa c’entra con la vostra “resistenza”, che i palestinesi dalla nascita dello Stato d’Israele abbiano sempre rifiutato l’offerta di pace, di due Stati per due popoli? che si siano enormemente moltiplicati dalla nascita d’Israele? A questo “resistete”? Al colonialismo? Peccato che non ci sia colonialismo nella storia di Israele: gli ebrei sono gli unici veri aborigeni della zona mediorientale, mai vennero con le armi, ma con la zappa tornarono a casa loro, finché non furono, come sempre costretti a difendersi dall’aggressione del 1948, e poi via via lungo tutta la strada. Furono gli arabi che vennero con le orde di Maometto settecento anni dopo Cristo, con stragi spaventose, invadendo anche territorio cristiano. È noto che il maggiore colonialista sia stato il potere islamico turco dell’Impero Ottomano. Per decolonizzare fino al voto dell’ONU del 1947, tutte le organizzazioni internazionali dagli anni Venti hanno votato l’ovvia idea che gli ebrei tornassero a casa loro. Da allora in una storia di sconfitte prima a fianco del regime nazista, poi comunista, coi dittatori panarabisti, i palestinesi invece di accettare di condividere la terra hanno seguitato a crogiolarsi nell’idea religiosa della distruzione del nemico, ebreo e occidentale. Voi in piazza tenete per Teheran, che tiene per la Russia e per la Cina, che si associa agli Houty agli Hezbollah a Hamas… ma certo, per odiare gli ebrei si può pagare qualsiasi prezzo, drogarsi, ubriacarsi di idiozia, e alla fine, perdere.   

 

Israele prova a festeggiare il Capodanno con conflitti aperti in ognuno dei sette fronti

giovedì 3 ottobre 2024 Il Giornale 1 commento

Il Giornale, 03 ottobre 2024

5785, e li dimostra tutti il popolo d’Israele in questa primo giorno del suo anno, 362esimo giorno di guerra. Le famiglie ieri sera si sono riunite intorno al tavolo su cui il miele è stato preparato in una coppa insieme a spicchi di mela per rappresentare la dolcezza anelata. A un anno dal 7 di ottobre, le benedizioni del cibo che invocano un anno migliore sono pronte, oggi al Tempio si udrà lo shofar, il corno che risuona nei millenni della terra d’Israele, a Gerusalemme, nei deserti e nei boschi, per chiamare a raccolta, per incoraggiare, per benedire. Si leggerà insieme l’eterna storia del sacrificio di Isacco, come Abramo potendosi repentinamente allontanare dal sacrificio del figlio che in estremo atto di ubbidienza aveva accettato di compiere, subito sancisce una volta per sempre nella storia del popolo Ebraico il rifiuto a spargere sangue.

Seduti intorni al tavolo su cui il cibo e il vino parlano di auguri, speranza, dolcezza, in realtà la gente d’Israele misura l’unicità della sua esperienza storica, di come sempre sia messo alla prova e di quanto debba combattere per vincere ogni volta tornando alla vita. Lunedì sera duecento missili iraniani sono piovuti sulla gente nei rifugi, provenienti da questo Paese lontanissimo, un regime autoritario e violento che fa della distruzione di Israele il suo compito storico, ancora tiene pronti e aperti i rifugi. Le sirene e le bombe possono ricominciare ad ogni momento, la storia chiama a fronteggiare il nemico sempre più faccia a faccia. Dal Libano hanno ricominciato a piovere missili sul nord, gli Hezbollah rientrano in possesso delle loro armi iraniane. È stato un anno per il quale centinaia di famiglie ieri sera hanno dovuto lasciare vuote molte sedie, distrutte dal lutto dei 1200 morti e dei rapiti del 7 di ottobre ancora nelle mani di Hamas; i genitori, le spose, i figli di 700 soldati uccisi nella guerra non si sanno capacitare di questa nuova assenza; ieri l’ingresso dei soldati in Libano ha visto otto soldati uccisi nell’operazione, mentre smascheravano le gallerie da cui gli hezbollah intendevano compiere un nuovo 7 ottobre.

Nelle ore in cui si preparava il Capodanno si è visto alla tv Eitan Oster, il suo volto perfetto di ragazzo biondo di 22 anni, mentre diceva ai genitori due giorni fa quanto si sentisse onorato di combattere per la loro salvezza. Difficile festeggiare mentre si celebra il Capodanno in guerra su tutti e sette i fronti su cui il Paese è costretto a combattere. Nelle ore in cui ci si avviava alla cena, il Gabinetto discuteva come rispondere all’attacco che martedì ha costretto tutta Israele nei bunker; nei cimiteri di Tel Aviv e dintorni si seppellivano le 6 giovanissime vittime uccise su un autobus da due terroristi giunti da Hebron con un mitra.

Eppure Israele è sempre il quinto paese del mondo nella classifica dei paesi felici, la sua gioventù che combatte al fronte è la seconda del mondo in questo stesso gruppo. La guerra ha portato alla scoperta di una gioventù forte e senza paura, appassionata della vita, consapevole di combattere per la libertà contro il terrorismo. Il risveglio del Paese dalla depressione ben giustificata del sette di ottobre, della inverosimile incapacità a identificarne i segni alla sua vigilia, e quindi la decisione di fronteggiare il pericolo per quello che è, con il folle coraggio che richiede l’eliminazione di nemici più terribili, e il testa a testa con l’Iran, crea uno spirito di speranza, di identità. Israele quest’anno ha anche guardato stupefatto a come l’antisemitismo si impossessava delle istituzioni internazionali come l’ONU e di quelle culturali, le Università: adesso però comincia a sentire che l’avere impugnato la spada contro il terrorismo le vale un’ondata di solidarietà inusitata specie da parte degli Stati Uniti. Israel brinda con un vino fresco e amaro, ancora in preparazione nei tini del futuro. Ma brinda, nonostante l’anno terribile. 

 

 

 

L’Iron Dome protegge i cieli. La gente nascosta nei rifugi. Israele prepara la risposta

mercoledì 2 ottobre 2024 Il Giornale 0 commenti

Il Giornale, 02 ottobre 2024

Non è pensabile: Israele è richiesta di nuovo di sedersi in casa, a Gerusalemme come a Tel Aviv, ad aspettare un’altra sventola di missili balistici e di droni dall’Iran, sperando nella fortuna e in una robusta coalizione che fermi l’attacco del regime degli Ayatollah. Mentre scriviamo giunge la prima bordata sul centro di Israele. Le radio e le tv, il fronte interno che manda messaggi sui telefonini, si raccomandano di restare vicini ai rifugi: ma tutti sono tranquilli e decisi, come richiedono tutti i leader militari e politici. È la storia di un odio ormai insopportabile, che nasce con l’Iran sciita stesso, e giura di distruggere Israele come avamposto dell’Occidente democratico. Ma sembra difficile che Netanyahu sia disposto, in questa nuova fase in cui “enough is enough”, ne abbiamo abbastanza, ad accettare l’aggressione della piovra infuriata. Il New York Times dice che l’Iran sta spostando i lanciamissili in posizione di distruggere Israele: da quando è buio, mentre scriviamo, si prepara a lanciarli. Gli Stati Uniti hanno appostato quattro portaerei, gli F15 si alzano continuamente in volo, Kipat Barzel e gli altri magnifici strumenti antimissile che proteggono da anni la popolazione israeliana già si presentano in tutti i cieli di Israele col loro fumo bianco.

Ma non finisce in difesa preoccupata: Netanyahu che nei giorni scorsi aveva più volte ripetuto “chi ci colpisce noi lo colpiremo” e anche ieri ha annunciato, fra una comunicazione del ministro della Difesa Yoav Gallant e una dello spokesman dell’esercito Hagari, che sono in arrivo giornate di “grandi sfide”, che “siamo in guerra contro l’asse del male iraniano”. Ha aggiunto anche che “Insieme resisteremo, insieme combatteremo e insieme vinceremo”. Sono parole dirette, decise, che confermano la decisione di Israele di opporsi fino in fondo alla persecuzione religiosa di questi anni. L’Iran sta facendo una mossa sbagliata: i missili balistici in posizione in dieci-dodici minuti possono portare ciascuno le loro centinaia di chili di tritolo sulle case di Israele ma sottovaluta la determinazione a inaugurare una storia nuova in cui non si viva nella soggezione che ha portato al 7 di ottobre. L’Iran si muove prima di tutto giusto per contestare la forza e la determinazione dimostrata da Israele nelle ultime settimane, contro la forza e la incredibile sorpresa dei suoi servizi segreti e del suo attacco contro i generali di Nasrallah e poi l’eliminazione stessa dell’imprendibile gemello nella Shiah dell’Ayatollah Khamenei. L’Iran si affaccia anche per la vergogna che l’ha inondata prima con l’assassinio in casa sua del suo ospite e incaricato sunnita presso Hamas Ismail Haniyeh, e poi quello paradossale e incredibile di Nasrallah che ha rifatto di Israele il grande combattente che è stato sin dal 1984. L’’Iran è obbligato dopo la eliminazione di Nasrallah a difendere prima di tutto l’asse sciita e a dimostrare che Israele è il solito filo della tela di ragno che si strappa così, con una mossa decisa, col 7 di ottobre, col progetto di invasione della Galilea degli Hezbollah e il suo bombardamento di 11 mesi, i missili dei Houty.

Adesso Israele sta rovinando tutti i progetti iraniano-libanesi-palestinesi: con l’ingresso dell’esercito anche se limitata e molto mirata, sta distruggendo nel sud del Libano galleria dopo galleria, riserva di armi di ogni genere custodite sottoterra pronte ad essere usate nel 7 di ottobre numero due dalla forza Radwan, una incredibile rete di abitazioni e nascondigli pronti per servire da base di partenza e di nascondiglio nell’invasione della Galilea. Tutto lavoro iraniano sullo sfondo, che Israele ha finalmente rivelato e distrutto. È il vecchio Medio Oriente dell’odio e della paura che va a pezzi. L’Iran è furioso e disperato, vuole tentare la carta della distruzione. Difficile dire che cosa Israele progetta alla Kiria di Tel Aviv mentre i missili delle Guardie della Rivoluzione vengono portati in posizione di tiro: ma certo è difficile non immaginare che data che la plurima costruzione di fronti di distruzione e la minaccia immediata, questa sia un’occasione perché Israele, ma anche gli USA e la coalizione che tiene per un Medio Oriente liberato dal male dell’odio islamista assassino dell’Iran di Hamas, gli Hezbollah, agiscano per primi.

La legittimazione che Israele ha sempre richiesto per agire, senza toccare la gente ma per esempio le risorse militari e energetiche indispensabili al regime, adesso non manca; specialmente se si pensa che il prossimo attacco dell’Iran potrebbe essere quello che si compie con una bomba atomica.   

 

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