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La "resistenza" di chi sceglie la via del terrore

domenica 6 ottobre 2024 Il Giornale 3 commenti

Il Giornale, 06 ottobre 2024

Non voglio raccontarti, giovane ignorante che vai in piazza con la bandiera palestinese o quella del Libano e piangi Nasrallah, come i peggiori nemici dei palestinesi e dei libanesi, di cui del resto non ti importa proprio niente, siano proprio Hamas e gli Hezbollah sul cui modello terrorista tu disegni adesso la tua rivoluzione generale contro il mondo capitalista, imperialista, fascista, colonialista… Contro il babbo, la mamma, il datore di lavoro, la noia quotidiana, la tua incapacità. Cerchi una casa alla tua pigrizia morale, all’ignoranza in cui la tua generazione è cresciuta, al tuo vittimismo. E anche al tuo desiderio di violenza, di cui hai reso oggetto gli ebrei. Che c’è di nuovo? So che non hai voglia di sapere niente della verità. La colpa agli ebrei, è un classico di tutti i tempi, è una psicosi consistente e radicata, ricca, che ti garantisce molti argomenti, che conta su una paranoica antica fissazione di massa capace di portare a grandi risultati, persino alla guerra mondiale cui ha già condotto Hitler.

Ci vorrebbe almeno un breve corso per spiegarti la storia che non sai. Ma qui ed ora, se tu volessi fare una dimostrazione di “resistenza” contro un eventuale potere di Hamas o degli Hezbollah saresti morto in un momento, linciato, picchiato, sparato, sbattuto in un carcere, torturato. Se tu fossi una donna subiresti la peggiore fra tutte le oppressioni, quella medievale della poligamia, dell’abbigliamento, del comportamento, del matrimonio, la tua bambina potrebbe essere sposata a 12 anni con un jihadista di cinquant’anni, e convertita; se tu fossi gay, ti impiccherebbero a una gru o ti ucciderebbero per strada. Questo di fronte alla “resistenza”, parola ormai corrotta e pervertita, contro il nemico sionista e gli americani pare di poca importanza. La manifestazione si fa a ridosso del 7 di ottobre: “resisti” di fronte a bambini che hanno visto uccidere i loro genitori e poi hanno subito la stessa sorte mentre gli urlavano yehud, ebreo, di fronte alla memoria di Kfir e del suo fratellino di cui non si sa nulla, di fronte a donne ebree stuprate e uccise, ai rapiti, ai bruciati. Resisti di fronte a chi si è difeso dall’aggressione da Gaza, e poi dal Libano, dove se ne preparava una uguale, e difende anche te dall’ideologia assassina e fascista dei tuoi amici jihadisti.

Per rassicurarvi delle bontà del vostro evidente psicotico cinismo che proibisce di difendersi dall’odio belluino armato, parlate di genocidio: sì, un tentativo di genocidio c’è stato un anno fa, ed è ancora in corso, e l’ha riaffermato ieri il grande Ayatollah, colui che sta diventando il vostro capo ogni minuto di più, quello che vi suggerisce gli slogan e le piattaforme delle vostre manifestazioni. È il genocidio degli ebrei. E lo ripropone tutto l’asse della “resistenza” iraniano cui ti sei entusiasticamente unito, il suo motto è genocidio. E infatti Israele ha fatto di tutto nonostante le cifre gonfiate (40mila, si seguita ad abbaiare senza sapere che sono almeno 20mila i terroristi compresi nel numero, che gli altri, comprendono anche uomini, e non solo  donne e bambini come si ripete perfidamente, che Hamas ha lasciato con intenzione omicida fuori delle sue rivoltanti gallerie di difesa solo per Sinwar e compagni), stravolte, inventate, prive di qualunque base fattuale come tutte le fonti decenti ammettono, oppure che testimoniano un tasso di uccisione di civili molto più basso di quello di qualsiasi altra guerra, per avvertire, fornire aiuto umanitario, mantenere uno standard mai visto prima da parte di nessun esercito.

Ma che vi importa, cosa c’entra con la vostra “resistenza”, che i palestinesi dalla nascita dello Stato d’Israele abbiano sempre rifiutato l’offerta di pace, di due Stati per due popoli? che si siano enormemente moltiplicati dalla nascita d’Israele? A questo “resistete”? Al colonialismo? Peccato che non ci sia colonialismo nella storia di Israele: gli ebrei sono gli unici veri aborigeni della zona mediorientale, mai vennero con le armi, ma con la zappa tornarono a casa loro, finché non furono, come sempre costretti a difendersi dall’aggressione del 1948, e poi via via lungo tutta la strada. Furono gli arabi che vennero con le orde di Maometto settecento anni dopo Cristo, con stragi spaventose, invadendo anche territorio cristiano. È noto che il maggiore colonialista sia stato il potere islamico turco dell’Impero Ottomano. Per decolonizzare fino al voto dell’ONU del 1947, tutte le organizzazioni internazionali dagli anni Venti hanno votato l’ovvia idea che gli ebrei tornassero a casa loro. Da allora in una storia di sconfitte prima a fianco del regime nazista, poi comunista, coi dittatori panarabisti, i palestinesi invece di accettare di condividere la terra hanno seguitato a crogiolarsi nell’idea religiosa della distruzione del nemico, ebreo e occidentale. Voi in piazza tenete per Teheran, che tiene per la Russia e per la Cina, che si associa agli Houty agli Hezbollah a Hamas… ma certo, per odiare gli ebrei si può pagare qualsiasi prezzo, drogarsi, ubriacarsi di idiozia, e alla fine, perdere.   

 

Israele prova a festeggiare il Capodanno con conflitti aperti in ognuno dei sette fronti

giovedì 3 ottobre 2024 Il Giornale 1 commento

Il Giornale, 03 ottobre 2024

5785, e li dimostra tutti il popolo d’Israele in questa primo giorno del suo anno, 362esimo giorno di guerra. Le famiglie ieri sera si sono riunite intorno al tavolo su cui il miele è stato preparato in una coppa insieme a spicchi di mela per rappresentare la dolcezza anelata. A un anno dal 7 di ottobre, le benedizioni del cibo che invocano un anno migliore sono pronte, oggi al Tempio si udrà lo shofar, il corno che risuona nei millenni della terra d’Israele, a Gerusalemme, nei deserti e nei boschi, per chiamare a raccolta, per incoraggiare, per benedire. Si leggerà insieme l’eterna storia del sacrificio di Isacco, come Abramo potendosi repentinamente allontanare dal sacrificio del figlio che in estremo atto di ubbidienza aveva accettato di compiere, subito sancisce una volta per sempre nella storia del popolo Ebraico il rifiuto a spargere sangue.

Seduti intorni al tavolo su cui il cibo e il vino parlano di auguri, speranza, dolcezza, in realtà la gente d’Israele misura l’unicità della sua esperienza storica, di come sempre sia messo alla prova e di quanto debba combattere per vincere ogni volta tornando alla vita. Lunedì sera duecento missili iraniani sono piovuti sulla gente nei rifugi, provenienti da questo Paese lontanissimo, un regime autoritario e violento che fa della distruzione di Israele il suo compito storico, ancora tiene pronti e aperti i rifugi. Le sirene e le bombe possono ricominciare ad ogni momento, la storia chiama a fronteggiare il nemico sempre più faccia a faccia. Dal Libano hanno ricominciato a piovere missili sul nord, gli Hezbollah rientrano in possesso delle loro armi iraniane. È stato un anno per il quale centinaia di famiglie ieri sera hanno dovuto lasciare vuote molte sedie, distrutte dal lutto dei 1200 morti e dei rapiti del 7 di ottobre ancora nelle mani di Hamas; i genitori, le spose, i figli di 700 soldati uccisi nella guerra non si sanno capacitare di questa nuova assenza; ieri l’ingresso dei soldati in Libano ha visto otto soldati uccisi nell’operazione, mentre smascheravano le gallerie da cui gli hezbollah intendevano compiere un nuovo 7 ottobre.

Nelle ore in cui si preparava il Capodanno si è visto alla tv Eitan Oster, il suo volto perfetto di ragazzo biondo di 22 anni, mentre diceva ai genitori due giorni fa quanto si sentisse onorato di combattere per la loro salvezza. Difficile festeggiare mentre si celebra il Capodanno in guerra su tutti e sette i fronti su cui il Paese è costretto a combattere. Nelle ore in cui ci si avviava alla cena, il Gabinetto discuteva come rispondere all’attacco che martedì ha costretto tutta Israele nei bunker; nei cimiteri di Tel Aviv e dintorni si seppellivano le 6 giovanissime vittime uccise su un autobus da due terroristi giunti da Hebron con un mitra.

Eppure Israele è sempre il quinto paese del mondo nella classifica dei paesi felici, la sua gioventù che combatte al fronte è la seconda del mondo in questo stesso gruppo. La guerra ha portato alla scoperta di una gioventù forte e senza paura, appassionata della vita, consapevole di combattere per la libertà contro il terrorismo. Il risveglio del Paese dalla depressione ben giustificata del sette di ottobre, della inverosimile incapacità a identificarne i segni alla sua vigilia, e quindi la decisione di fronteggiare il pericolo per quello che è, con il folle coraggio che richiede l’eliminazione di nemici più terribili, e il testa a testa con l’Iran, crea uno spirito di speranza, di identità. Israele quest’anno ha anche guardato stupefatto a come l’antisemitismo si impossessava delle istituzioni internazionali come l’ONU e di quelle culturali, le Università: adesso però comincia a sentire che l’avere impugnato la spada contro il terrorismo le vale un’ondata di solidarietà inusitata specie da parte degli Stati Uniti. Israel brinda con un vino fresco e amaro, ancora in preparazione nei tini del futuro. Ma brinda, nonostante l’anno terribile. 

 

 

 

L’Iron Dome protegge i cieli. La gente nascosta nei rifugi. Israele prepara la risposta

mercoledì 2 ottobre 2024 Il Giornale 0 commenti

Il Giornale, 02 ottobre 2024

Non è pensabile: Israele è richiesta di nuovo di sedersi in casa, a Gerusalemme come a Tel Aviv, ad aspettare un’altra sventola di missili balistici e di droni dall’Iran, sperando nella fortuna e in una robusta coalizione che fermi l’attacco del regime degli Ayatollah. Mentre scriviamo giunge la prima bordata sul centro di Israele. Le radio e le tv, il fronte interno che manda messaggi sui telefonini, si raccomandano di restare vicini ai rifugi: ma tutti sono tranquilli e decisi, come richiedono tutti i leader militari e politici. È la storia di un odio ormai insopportabile, che nasce con l’Iran sciita stesso, e giura di distruggere Israele come avamposto dell’Occidente democratico. Ma sembra difficile che Netanyahu sia disposto, in questa nuova fase in cui “enough is enough”, ne abbiamo abbastanza, ad accettare l’aggressione della piovra infuriata. Il New York Times dice che l’Iran sta spostando i lanciamissili in posizione di distruggere Israele: da quando è buio, mentre scriviamo, si prepara a lanciarli. Gli Stati Uniti hanno appostato quattro portaerei, gli F15 si alzano continuamente in volo, Kipat Barzel e gli altri magnifici strumenti antimissile che proteggono da anni la popolazione israeliana già si presentano in tutti i cieli di Israele col loro fumo bianco.

Ma non finisce in difesa preoccupata: Netanyahu che nei giorni scorsi aveva più volte ripetuto “chi ci colpisce noi lo colpiremo” e anche ieri ha annunciato, fra una comunicazione del ministro della Difesa Yoav Gallant e una dello spokesman dell’esercito Hagari, che sono in arrivo giornate di “grandi sfide”, che “siamo in guerra contro l’asse del male iraniano”. Ha aggiunto anche che “Insieme resisteremo, insieme combatteremo e insieme vinceremo”. Sono parole dirette, decise, che confermano la decisione di Israele di opporsi fino in fondo alla persecuzione religiosa di questi anni. L’Iran sta facendo una mossa sbagliata: i missili balistici in posizione in dieci-dodici minuti possono portare ciascuno le loro centinaia di chili di tritolo sulle case di Israele ma sottovaluta la determinazione a inaugurare una storia nuova in cui non si viva nella soggezione che ha portato al 7 di ottobre. L’Iran si muove prima di tutto giusto per contestare la forza e la determinazione dimostrata da Israele nelle ultime settimane, contro la forza e la incredibile sorpresa dei suoi servizi segreti e del suo attacco contro i generali di Nasrallah e poi l’eliminazione stessa dell’imprendibile gemello nella Shiah dell’Ayatollah Khamenei. L’Iran si affaccia anche per la vergogna che l’ha inondata prima con l’assassinio in casa sua del suo ospite e incaricato sunnita presso Hamas Ismail Haniyeh, e poi quello paradossale e incredibile di Nasrallah che ha rifatto di Israele il grande combattente che è stato sin dal 1984. L’’Iran è obbligato dopo la eliminazione di Nasrallah a difendere prima di tutto l’asse sciita e a dimostrare che Israele è il solito filo della tela di ragno che si strappa così, con una mossa decisa, col 7 di ottobre, col progetto di invasione della Galilea degli Hezbollah e il suo bombardamento di 11 mesi, i missili dei Houty.

Adesso Israele sta rovinando tutti i progetti iraniano-libanesi-palestinesi: con l’ingresso dell’esercito anche se limitata e molto mirata, sta distruggendo nel sud del Libano galleria dopo galleria, riserva di armi di ogni genere custodite sottoterra pronte ad essere usate nel 7 di ottobre numero due dalla forza Radwan, una incredibile rete di abitazioni e nascondigli pronti per servire da base di partenza e di nascondiglio nell’invasione della Galilea. Tutto lavoro iraniano sullo sfondo, che Israele ha finalmente rivelato e distrutto. È il vecchio Medio Oriente dell’odio e della paura che va a pezzi. L’Iran è furioso e disperato, vuole tentare la carta della distruzione. Difficile dire che cosa Israele progetta alla Kiria di Tel Aviv mentre i missili delle Guardie della Rivoluzione vengono portati in posizione di tiro: ma certo è difficile non immaginare che data che la plurima costruzione di fronti di distruzione e la minaccia immediata, questa sia un’occasione perché Israele, ma anche gli USA e la coalizione che tiene per un Medio Oriente liberato dal male dell’odio islamista assassino dell’Iran di Hamas, gli Hezbollah, agiscano per primi.

La legittimazione che Israele ha sempre richiesto per agire, senza toccare la gente ma per esempio le risorse militari e energetiche indispensabili al regime, adesso non manca; specialmente se si pensa che il prossimo attacco dell’Iran potrebbe essere quello che si compie con una bomba atomica.   

 

Dalle accuse ai successi. Il disegno di Netanyahu e la grande sfida finale: "Decapitare la piovra"

martedì 1 ottobre 2024 Il Giornale 0 commenti
Il Giornale, 01 ottobre 2024
 
Non è meno stupefacente dell'impossibile eliminazione di Nasrallah l'ammirato sguardo del mondo verso il personaggio che tutto il conformismo internazionale ha amato odiare, e ha usato come schermo per attaccare Israele, la guerra, gli ebrei: Netanyahu. Perché nello slang comune si poteva dire: «Magari è vero che Israele ha sofferto il 7 di ottobre, è vero che l'Iran le ha scatenato contro l'inferno... ma certo, questo Netanyahu». In queste ore il rovesciamento è stupefacente anche nell'opinione pubblica israeliana: non è solo l'Onu che nel 2023 ha dedicato due terzi delle sue risoluzioni di biasimo a Israele, anche i telegiornali israeliani hanno dedicato tre quarti delle notizie alla durezza di Netanyahu che vuole per forza andare a Rafah, si impunta nel voler trattenere nelle sue mani il confine di Gaza con l'Egitto, lo Tzir Filadelfi, risponde in maniera assolutamente impropria a un presidente degli Stati Uniti generoso come Biden, che gli chiede il cessate il fuoco, e Bibi si impunta. È stato Netanyahu, ha ripetuto la vox populi, a insistere su una guerra criticata da tutto il mondo per la sua lunghezza e la sue durezza, che ha alzato le spalle davanti alle accuse dell'Icj e dell'Icc; se ne è infischiato quando lo hanno comparato a Sinwar e chiesto il suo arresto o quando hanno accusato il Paese di genocidio. L'isolamento non lo ha toccato. Netanyahu ha più volte ripetuto che a Gaza si doveva continuare a combattere fino alla vittoria, fino alla distruzione di Hamas per non rischiare un 7 ottobre numero due; è stato vissuto dall'opinione pubblica internazionale come una minaccia alla stabilità mondiale, come un guerrafondaio. Bibi è stato svillaneggiato ovunque. È stato anche accusato dell'orribile ipotesi che ignorasse la necessità primaria di liberare i rapiti, a volte è stato assurdamente biasimato più di chi i rapiti non li ha mai voluti scambiare veramente, Sinwar. Alla base di queste accuse quella cocente, che certo Netanyahu vive come la grande frattura nella sua vita e come un'onta da lavare, di aver fallito il compito di salvare Israele dall'attacco del 7 ottobre. Insieme, si sono sentite spesso le consuete accuse legate al suo processo, alla sua troppo lunga permanenza nel ruolo di primo ministro (17 anni in tutto), all'incapacità di coltivarsi dei successori, il suo governo troppo di destra, con due ministri come Ben Gvir e Smotrich molto discussi. Il suo essere un laico moderato è stato ignorato nell'antipatia dell'amministrazione americana di sinistra di aver un governo in cui specie Ben Gvir ha sollevato spesso questioni infiammatorie, come quella della Spianata delle Moschee, su cui Netanyahu ha sempre tentato, inascoltato, di porre un freno. Ma la svolta è venuta quando Netanyahu ha potuto mettere in pratica a fondo, nell'azione del Mossad, dell'esercito la sua teoria, che spiega da decenni: Israele è assediato da una piovra con una testa minacciosa e feroce, che ha disegnato l'uso di Hamas, degli Hezbollah, degli Houthi, dei siriani, degli iracheni, in funzione della distruzione dello Stato d'Israele e dell'Occidente tutto. Bisogna combatterla a fondo, frontalmente. Lo ha rispiegato all'Onu quattro giorni or sono, e mentre lo diceva, finalmente, ha premuto il bottone dell'azione che ha ricondotto Israele e il suo fantastico esercito a essere sé stessi. Nasrallah è stato ucciso in un'operazione prodigiosa, pochi giorni dopo l'incredibile operazione dei beeper. Intanto, a Gaza frenava, poteva farlo finalmente, e anzi disegnava l'ipotesi che l'invisibile Sinwar potesse cedere sulla restituzione degli ostaggi.
 
Tutto è sul tappeto adesso, e non sorprende che Gideon Sa'ar sia entrato nel governo dando a Bibi una stabilità nei numeri e quindi anche la possibilità di frenare Ben Gvir che non aveva avuto fino ad ora. Questo vuol dire accordi col mondo arabo, soprattutto con l'Arabia Saudita se si accorge finalmente che si disegna un nuovo Medio Oriente di pace, contro la piovra. Netanyahu non se ne era mai andato, ma adesso è tornato stabilmente, e alla vigilia del capodanno ebraico che è mercoledì sera, ha rivolto un discorso al popolo iraniano, un discorso semplice che si basa su quello che non si era mai visto ancora in Medio Oriente: arabi sunniti, curdi, siriani, iraniani, e persino palestinesi che lodano Israele, lo ringraziano, distribuiscono dolci e chiedono a Bibi di continuare.
 
Voi soffrite della miseria e della oppressione in cui vi ha gettato questo regime, dovete liberarvene, dice in sostanza il primo ministro, due antiche nazioni come il popolo ebraico e quello persiano, costruiranno un nuovo futuro insieme. Un pensiero degno di un grande disegno strategico, con tanta guerra ancora da combattere ma un fine chiaro, degno di Israele.

 

 

Il popolo ebraico fa un altro miracolo

lunedì 30 settembre 2024 Il Giornale 3 commenti

Il Giornale, 30 settembre 2024

Il prossimo 7 ottobre non sarà un anniversario di sole lacrime, di pura contrizione anche se la memoria è cocente. Il popolo d’Israele vive! E come, e non era affatto scontato. Tutta la sua storia è fatta di miracoli: per salvarlo dal Faraone all’inseguimento, si deve aprire il mare; dall’Inquisizione, dai pogrom, dalle mille altre aggressioni genocide cui è stato sottoposto l’uscita è sempre incredibile, sorprendente, specie per come gli ebrei ne sono usciti attivi, fedeli a se stessi e alla tradizione Torah, e al ritorno a Gerusalemme finché l’hanno realizzato. Il 1948 fu una guerra combattuta da reduci dei campi di concentramento eppure abbiamo vinto tutti gli eserciti arabi uniti nell’odio che ci marciarono addosso; e più avanti nel ‘67, nel ‘73… Tutte guerre vinte per un pelo, colpi di fantasia miracolosi, leader che partoriscono idee salvifiche che chi se le sarebbe aspettate. E adesso, mai nessuno avrebbe puntato un euro sull’idea che si potesse eliminare Nasrallah e tutta la sua gerarchia, pietrificando l’Iran cui abbiamo ridotto a pezzi anche l’altro suo proxy favorito, Hamas. E adesso abbiamo bombardato a duemila chilometri di distanza l’altro suo incaricato speciale, gli Houti, distruggendogli l’aeroporto da cui riceve armi e aiuti degli Ayatollah? Khamenei è nascosto sottoterra, gli sciiti iracheni e siriani aspettano il loro turno, le cinque capitali controllate da Teheran tremano.

È una misura di giustizia come ha detto Biden, ma Israele se l’è costruita col suo stile impossibile, difendendo i suoi cittadini fra mille divieti e senza paura di fantasticare, mettendo in atto il suo film di vittoria. Solo così si difende uno Stato giovane di 76 anni, attaccato da ogni parte. Israele cammina nella scia della storia del popolo che nato 2500 anni fa nella terra d’Israele, ora la difende, finalmente a casa, con tutto se stesso. La guerra certo non è finita, Hezbollah aveva almeno 100mila uomini: Netanyahu sa che la deve portare fino in fondo, nonostante la pressione internazionale cui Israele ha prestato per mesi orecchio. Adesso, ha capito che la sua stessa esistenza è a rischio definitivo se non ci sarà un “nuovo Medio Oriente”.

Strano era il modo in cui Shimon Peres chiamava quello che doveva nascere da un accordo che si è rivelato fallimentare: ora per stabilire la pace che Israele ama più di se stesso, lo Stato Ebraico ha capito che anche la guerra, come la pace, deve essere vera, fino in fondo, altrimenti vince e ti uccide chi non la vuole perché dominato da assurde convinzioni fanatiche e religiose (gli Houti che c’entrano con gli ebrei?). Questa è la lezione del nostro tempo, ma per tutti. Non solo per Israele: il popolo ebraico è il capofila di una pagina di storia in cui il mondo libero deve combattere a suo fianco, per la sopravvivenza. Adesso anche lui ha una splendida potenza di fuoco, aviazione, coraggio da vendere. Per ora ha eliminato con operazioni che faranno scuola nei decenni le due formazioni terroriste più pericolose del mondo: Hamas e Hezbollah. E sfida l’Iran. Vorrei sentire gli applausi, prego.     

 

"Ucciso Nasrallah". Israele si fa giustizia. E Teheran ora trema

domenica 29 settembre 2024 Il Giornale 2 commenti

Il Giornale, 29 settembre 2024

Israele è orgogliosa e contenta dopo tanto soffrire, Hezbollah rovinati, Hamas terrorizzata, Houthi e milizie irachene isteriche: l’Iran, la testa della piovra, nudo. Mai è stato così confuso: ora deve decidere se cercare di riprendere in mano la leadership della sua strategia di distruzione dello Stato di Israele in nome della vendetta per Hassan Nasrallah o fare un passo indietro nell’imbarazzo e nella paura, ridisegnando la strada per i suoi irrinunciabili obiettivi religiosi. Certo, il regime degli ayatollah promette vagamente vendetta, il presidente ha persino detto che l’Iran sa che l’ordine è venuto da Washington e che questo non verrà ignorato. Ma si capisce che non sa che cosa fare. Gli iraniani non agiscono d’istinto. Per ora comunicano che l’evento terribile ha aperto le porte dell’inferno, che non passerà invendicato, coprono di lode il «martire sulla via di Gerusalemme», invitano i musulmani di tutto il mondo a reagire, ignorando magari che una buona parte dell’Islam odiava Nasrallah... Ma la botta subita è cosa da ponderare, per Khamenei: Hamas è sull’orlo della sconfitta, Nasrallah è morto. La debolezza del disegno strategico di accerchiamento ed eliminazione di Israele sulla strada della sconfitta dell’Occidente è evidente, e la debolezza in Medioriente è imperdonabile.

È significativo che in base alla minaccia di Israele sull’uso di aerei civili iraniani per far atterrare all’aeroporto di Beirut armi e uomini, ieri il ministero dei Trasporti libanese abbia costretto un aereo da Teheran a tornarsene a casa senza toccare il suolo. Il Libano invece di obbedire, come da decenni, all’ordine degli Hezbollah, ha ascoltato Netanyahu. La rivoluzione che Israele sta inducendo nel Medioriente con l’eliminazione di Nasrallah è drammatica, convulsa: dal ‘92 teneva le redini del Libano soggiogato, era uno dei capi più carismatici e consolidati del terrorismo mediorientale e internazionale, il miglior alleato e proxy dell’ayatollah Khamenei.

Dopo un anno di paralisi, Israele ha rimesso in moto la sua capacità di difendersi con una reazione in più puntate, tutte leggendarie e tutte riuscite, e l’Iran è rimasto nudo di fronte alla determinazione di fronteggiare l’aggressione che è cominciata il 7 ottobre e ad uscire dall’accerchiamento. È ancora ben lontana la sua conclusione, Israele ha seguitato ieri ad attaccare le postazioni degli Hezbollah nel quartiere di Dahieh, mentre il Medio Oriente rimugina e si ridisegna sull’immagine del buco fumante fatto dalle 83 bombe da una tonnellata ciascuna lanciate dagli F15 israeliani. Da là il capo degli Hezbollah ha diretto attentati terroristici in tutto il mondo in nome della rivoluzione sciita di cui si riteneva un rappresentante forte quanto l’Iran. Nasrallah ha sbagliato quando ha deciso l’8 ottobre di affiancare Hamas con i lanci continui sulla popolazione israeliana del Nord, con l’Iran ha immaginato che la debolezza israeliana di quel momento fosse definitiva e che l’accerchiamento avrebbe distrutto lo Stato ebraico.

Dieci giorni fa l’attacco dei beeper e tutte le eliminazioni mirate hanno portato la storia a imboccare la strada contraria. «Chi ci colpisce, verrà colpito» ha detto Netanyahu nel suo discorso all’Onu, e sapeva quello che stava dicendo: lo ha sentito anche Khamenei, che sa che Nasrallah era uscito dal suo bunker per andare ad ascoltare proprio quel discorso che disegnava alla sua fine. Quando pochi minuti dopo aver concluso Netanyahu ha detto «Ken», «Sì» in ebraico al telefono, l’operazione impossibile è partita. Con Nasrallah si trovava anche il generale Abbas Nilforoushan, responsabile per il Libano e anche capo delle forze Quds per l’ordine pubblico. Un elemento in più che ha subito spinto Khamenei a farsi trasportare al sicuro in un bunker super difeso. Là certo medita, e si chiede se magari Israele visto il successo in Libano, non stia disegnando una definitiva resa dei conti. Intanto le sirene hanno suonato ieri al Tel Aviv, gli Houthi si sono fatti vivi.

Israele è in guerra ma non combatte più con una mano legata dietro la schiena, gli americani non erano stati avvertiti prima, ha detto Blinken, ma non è sembrato contrariato. Nasrallah ha ammazzato più americani che israeliani. E infatti Biden ha salutato la sua eliminazione come una «misura di giustizia». Adesso l’Iran trema. Stavolta Israele è in vantaggio e non stretta all’angolo come un anno fa.

 

Tutto può accadere. Ma adesso l'Iran sa che Israele è pronto

sabato 28 settembre 2024 Il Giornale 0 commenti

Il Giornale, 28 settembre 2024

Se Nasrallah sia vivo o morto, ancora non si sa: ma il Centro di comando degli Hezbollah che comanda almeno 40mila combattenti, governa 200mila missili, nuovi sofisticatissimi sistemi cyber… tutto è distrutto. E mentre scriviamo, giungono notizie sulla realistica possibilità che Nasrallah fosse davvero dentro il bunker distrutto a Beirut dalle forze israeliane. Netanyahu è sulla via del ritorno da New York, nonostante di Shabbat secondo la tradizione ebraica sia proibito viaggiare. Ma quando si tratta di “pikuah nefesh”, questione vitale, allora è permesso. E qui il caso è senza dubbio questo: questione vitale. Tutto può succedere adesso. Nel caso Nasrallah, il mitologico ieratico assassino capo degli Hezbollah, succeduto a Najaf al Mussay eliminato nel 1992, è ancora vivo, probabilmente vorrà dimostrare che può ancora dare fuoco a Israele per intero. Il fronte interno sta già dando istruzioni alla popolazione tramite la radio e la tv: state vicini ai rifugi. Nasrallah potrebbe reagire subito indicendo anche l’Iran a intervenire immediatamente per punire Israele, come non ha fatto per l’attacco dei beeper e l’eliminazione dei suoi capi di Stato maggiore successivi. Se invece è stato ucciso dall’attacco di Israele, il suo effetto potrebbe essere quello di paralizzare il nemico per un certo periodo, di bloccarlo finché riorganizza le forze dopo lo shock della perdita del capo supremo: il religioso ispirato che combatte aspettando il Mahdi, il messia shiita che porterà il dominio islamico, il modello fra i proxy dell’Iran, il terribile capo terrorista col turbante, organizzatore di una rete feroce, campione nel numero di morti in tutto il mondo, e anche in guadagni in traffici illegali.

Nasrallah è il parlatore instancabile, genio del male, inventore della teoria della debolezza sostanziale della società Israeliana in quanto tipicamente occidentale: “È debole come il filo di una tela di ragno” ha ripetuto più volte durante le tante guerre contro lo Stato Ebraico, anche quelle in cui veniva palesemente battuto, come nel 2006. Questa sua invenzione psicologica ha certo ispirato l’idea della possibilità di distruggere lo Stato Ebraico con attacchi militari e anche psicologici, che spezzassero l’unità. Sinwar se ne è ispirato esplicitamente. L’operazione “bombe sul rifugio di Nasrallah” a Dahya, il quartiere Hezbollah a Beirut è partita quando Netanyahu stava per salire ieri sul podio dell’ONU. Là di fronte a una platea ignara, dopo che da un ufficetto in albergo aveva consentito all’operazione, ha esclamato: “Quando è troppo è troppo”, nel corso di un discorso in cui ha spiegato, e non a caso, l’inevitabilità della guerra di necessità di Israele contro gli Hezbollah: ha raccontato come gli uomini di Nasrallah avessero preso a bombardare proditoriamente il suo Paese sin dall’8 di ottobre non essendo affatto coinvolti nella guerra di Gaza. Nasrallah ha deciso di fiancheggiare gli assassini di Hamas e quindi di rendere un’area fantasma, con le città e i kibbutz, una grande regione.

È la decisione inamovibile di riportare a casa i più di 60mila cittadini fuggiti dal confine per l’aggressione di Nasrallah, ha detto Netanyahu, che ci porta a combattere, e ce la faremo. Nel frattempo si compiva di sorpresa la più grossa operazione di guerra compiuta fin qui, senza operazione di terra. Il grande bunker di Nasrallah è stato colpito: il capo di Hezbollah da decenni si serve di rifugi profondamente nascosti sotto terra costruiti sotto edifici che ieri sono stati distrutti. Ieri potrebbe avere pensato che dopo che negli anni Israele l’ha risparmiato, anche adesso, in una giornata relativamente interlocutoria, con la proposta americana sul terreno, poteva allentare leggermente la guardia, specie mentre Netanyahu era negli USA, all’ONU. La decisione di Israele si incastona nel discorso dal podio: è solo con una guerra decisa che si conquista, ha detto Netanyahu, una vera pace per Israele, altro non si può fare contro i tanti nemici guidati dall’Iran che vogliono la sua distruzione da sette fronti, che combattere e vincere e con questo garantire ai possibili amici, come l’Arabia Saudita, che vale la pena di una partnership di sviluppo e difesa reciproca dall’Iran. L’Iran ieri sera ha già annunciato che le regole del gioco sono senza dubbio cambiate. Sembra logico che intenda prendere decisioni che lo disegnino come l’affidabile scudo di tutto il mondo sciita e di Hamas. D’altra parte, certo Israele ha pensato a questa possibilità, e l’Iran lo sa bene.        

 

Perché Israele (ora) non può accettare la proposta di cessate il fuoco col Libano

venerdì 27 settembre 2024 Il Giornale 0 commenti

Il Giornale, 27 settembre 2024

David Azulai è il capo del Consiglio Regionale di Metula, lui sa bene che cosa vuol dire essere espulsi dalla propria casa da undici mesi e più, e avere aspettato invano che il mondo dicesse una parola contro i colpi di mortaio e la pioggia di missili, più di 7500, che hanno martellato la vita della sua gente dal giorno dopo il 7 di ottobre fino a svuotare il nord della Galilea, il Golan, una zona del Kinneret, mentre andavano fuoco coltivazioni e foreste coltivate con fatica, e 3 milioni di Israeliani ancora ieri correvano nei rifugi. L’attacco di Hamas era avvenuto al sud, teoricamente Azulai e la gente al confine del Libano, non avrebbero dovuto essere coinvolti nemmeno per sogno: invece gli Hezbollah hanno cominciato a bombardare in sostegno di Hamas, giorno dopo giorno, i loro migliori alleati. Né USA né Francia hanno chiesto un cessate il fuoco.

Oggi Azulai afferma: “Il cessate il fuoco americano e francese garantirebbe un prossimo 7 ottobre qui al nord”. Netanyahu intanto ha deciso che comunque è pronto a discutere della offerta di cessate il fuoco, a patto che intanto abbandoni Hamas alla sua sorte, smettendo di dichiarare che combatterà al suo fianco fino all’ultimo. L’Iran alle spalle degli Hezbollah, il vero burattinaio delle forze che hanno giurato di distruggere Israele, ha curato che si rafforzasse ogni giorno la riserva di centinaia di migliaia di missili di cui ancora una buona parte è pronta all’uso. È la fede che ha organizzato la guerra sciita al Nord: quando Israele colpisce un edificio, che la stampa internazionale subito mostra come obiettivo della crudeltà di Netanyahu, si possono ammirare tutta una serie di scoppi successivi. E’ la strategia cui non si rinuncia in 21 giorno: anni di riserve di missili e esplosivi nascoste dagli Hezbollah nella case della gente per colpire Israele a Tel Aviv, a Haifa, a Safed… e naturalmente in tutto il Nord. Adesso la strategia subisce uno iato, il programma di distruzione di Israele ha un impatto inaspettato con l’azione dei beeper, l’eliminazione di Ibrahim Ahil e gli altri generali di Nasrallah, con la distruzione delle sue armi e dei lanciamissili. Israele continua: ieri ha colpito Dahua alla ricerca di Abu Salah, capo dell’aviazione di Nasrallah.

Deve smettere di cercare di evitare che il grande programma della sua distruzione abbia luogo, agli ordini dell’Iran? O deve seguitare a indurre quella deterrenza indispensabile per ogni saggio ripensamento, foriero di pace e anche prima di tutto del ritorno dei propri cittadini a casa loro? 21 giorni non servirebbero al primo e più importante degli scopi dichiarati dal governo israeliano, ovvero riportare a casa con i vecchi, i bambini, le scuole, i loro beni, i loro affari le decine di migliaia di persone che devono credere, fidarsi, andarsi a mettere a tiro di una forza che non spara su obiettivi di guerra, ma che spara sulla gente, per esempio sui 12 bambini drusi di Madjel Sham uccisi sul campo di calcio.  La richiesta di un cessate il fuoco per trovare una trattativa, non ha nessun oggetto: Israele non ha nessun contenzioso da trattare con gli Hezbollah, è Nasrallah che deve smettere di combattere la sua guerra di distruzione insieme a Sinwar agli ordini dell’Iran contro Israele.

Un “cessate il fuoco” che si fa solo perché ben presto ci sono le elezioni e Biden vuole avvengano in pace, e perché la guerra è una cosa che tutti, per primo Israele, odiano, non si può fare se prepara o sottintende la prosecuzione di un grande odio strategico. È quello che si deve abbattere. E la situazione della sicurezza dei cittadini israeliani che deve cambiare. Se un appello americano e francese si fosse rivolto finalmente agli Hezbollah intimandogli di deporre le armi, di abbandonare il sostegno di Hamas, di rispettare la risoluzione dell’ONU 1701 che gli impone di ritirarsi dietro il Litani, 15 chilometri di là dal confine, avrebbe avuto un’altra credibilità.  

Non è chiedendo a Israele di smettere di combattere, di abbandonare un campo che finalmente disegna la deterrenza indispensabile per fermare il piano distruttivo dell’Iran, che si garantisce a Israele che Nasrallah rinuncerà al suo disegno ideologico, per cui gli hezbollah vivono. Qualcuno chiedendo un cessate il fuoco alla pari si è dimenticato che Israele è l’aggredito, di nuovo! e anche chi è l’aggressore: è il peggiore terrorista del mondo quanto a numero di esplosioni omicide  in tutto il mondo, a Parigi (13 attentati con 20 morti e 255 feriti) 307 morti fra soldati americano e francesi nell’attacco alle baracche con camion bomba, 85 morti alla Comunità ebraica di Buenos Aires, Khobar Towers, Burgas… è senza fine l’attività omicida dell’organizzazione pilotata dall’Iran per uno scopo di annichilimento dell’Occidente in nome dell’Islam Sciita, in testa al quale brilla la distruzione di Israele. E adesso che finalmente Israele sta riuscendo a imporre un cammino di sicurezza dai suoi piani costruiti agli ordini di un disegno mondiale dell’Iran, dovrebbe semplicemente sostenerlo, come si sostenne l’America nella guerra contro l’Isis. Ma, pardonne, mi ero dimenticata che questo è lo Stato Ebraico. 

 

Un nuovo rigurgito di antisemitismo (e ignoranza)

mercoledì 25 settembre 2024 Il Giornale 2 commenti

Il Giornale, 25 settembre 2024

Dispiace davvero vedere di nuovo il bel Libano in preda a una terribile crisi, come negli anni ‘90. L’aggressività degli Hezbollah al servizio degli Ayatollah ha trascinato tutto il mosaico di fedi e di etnie libanesi nel baratro del folle disegno di distruzione dello Stato d’Israele e di guerra all’Occidente. Ma come per il 7 di ottobre, la vera successione degli eventi sfugge al buon senso, alle chiacchere mondane dei talk show. È fantastico: non provocati, da 11 mesi e mezzo gli Hezbollah, che non hanno niente a che fare con Gaza, hanno bombardato Israele ogni giorno per pura affettuosa solidarietà dichiarata con i bestiali assassini di Hamas. Hanno reso deserte le città e le campagne del nord, di fatto strappandole alla sovranità del loro Stato, Israele; ne hanno distrutto la vita civile, hanno costretto 70mila abitanti a sgomberare la loro casa, hanno fatto chiudere le scuole, fatto morti e feriti, sterminato dodici bambini Drusi a Madjel Sham, ucciso persino le mucche degli allevamenti… Israele ha tenuta bassa la risposta per quanto ha potuto, mentre gli USA cercavano una mediazione. Ma con gli Hezbollah, il Partito di Dio, non c’è niente da mediare, come con Hamas. 

Tuttavia mai, in quasi un anno, si è sentito una protesta o una risoluzione dell’ONU che li richiamasse, o che incitasse il governo Libanese a agire perché rispettassero la risoluzione 1701; non una presa di posizione dell’UE, non una richiesta francese o tedesca ufficiale di piantarla di partecipare alla più sporca delle guerre, dalla parte degli assassini. Adesso invece, visto che Israele agisce per porre fine alla vicenda, non contro il Libano ma contro gli Hezbollah, sia Guterres che Borrell, indovina!, hanno subito sentito il bisogno di biasimare, di dichiararsi preoccupati; la stampa mondiale riprende i numeri del ministero della sanità libanese, chissà come verificati, e anche la grande stampa li spara in prima pagina. Le case da cui Israele nella valle della Bekaa ha cercato di far sgomberare la gente prima dell’attacco contenevano purtroppo quantità di missili e esplosivo, le esplosioni secondarie degli edifici colpiti lo confermano.

Distruggere i missili forniti dall’Iran a centinaia di migliaia è indispensabile per bloccare Hamas, così come affrontare la schiera dei suoi comandanti e distruggerla. Questo ha fatto vittime collaterali, e duole: purtroppo ci sono anche dei civili, ma sparare soprattutto questo in prima pagina significa un sottinteso classico, già molto in voga per Gaza: non la guerra contro il terrorismo, ma l’accusa per cui, in guerra, dopo i palestinesi vittime ecco i libanesi, ecco che di nuovo gli ebrei ammazzano donne e bambini. Il sottinteso è che ci sia una crudeltà specifica nella guerra d’Israele: forse una sorta di vezzo etnico, come per Gaza? Al contrario, Israele fa di tutto per evitare morti civili mentre i suoi nemici, Hamas come Hezbollah, fanno di tutto per farne il loro scudo e poi il centro della loro propaganda.  Associarsi alle accuse esaltandole, è puro antisemitismo, non accade con nessun altro conflitto, non per gli americani, né per i russi.

L’attacco dei beeper ha ridotto la leadership degli Hezbollah, i missili e i lanciamissili nascosti nelle case in una strategia di scudi umani richiedono un attacco alle costruzioni, pena la vita di Israele. IL nemico non è il Libano sono gli Hezbollah, che hanno giurato di distruggere Israele, e che negli anni, facendo strage di migliaia di persone con atti terroristici fra i maggiori del mondo, hanno certificato le loro intenzioni agli occhi di tutti. Dopo la fine dell’Isis e di Al Qaeda, Israele cerca di eliminare un pericolo diretto prima di tutto verso le sue città, ma che ha già colpito gli USA, l’Europa, il Sud America. Che cosa vuol dire Borrell quando dice che “entrambe le parti” devono attuare un cessate il fuoco? Nasrallah deve mettere fine alla sua continua minaccia, così da poter far tornare la gente d’Israele a casa. Israele non può smettere di combattere finché questo scopo minimale e legittimo non venga raggiunto.

 

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