La scure anti Hamas di Trump
Il Giornale, 05 novembre 2024
“Che questa verità serva a chiarire”, dice Trump nel messaggio in cui minaccia Hamas che “se Hamas non restituisce i rapiti entro il 20 di gennaio la punizione sarà la più dura di tutta la storia degli Stati Uniti”. È una svolta non solo pratica, ma conoscitiva. È la parola verità che la crea. Trump, infatti, identifica finalmente in Hamas l’unico responsabile delle atrocità, della vita e della morte dei 101 essere umani nelle sue mani: e si stupisce, e quanto a ragione, che se ne chiacchieri e si esclami, senza decidere per un’azione. La parola verità nella melma antisemita che ha invaso il mondo dopo il 7 di ottobre ha cancellato assassini e vittime, gli ha scambiati di posto, ha riempito il mondo di porcherie storiche e politiche, di folle impazzite. Il rovesciamento della verità per cui una mandria di migliaia di assassini ha fatto a pezzi, uno ad uno e per scelta, famiglie innocenti si è trasformata in odio per gli ebrei e in minaccia per l’Occidente.
Adesso, con questa decisa presa di posizione di Trump, si è alzata una bandiera mentre si sta organizzando un gruppo di governo che sembra orientato a fronteggiare la violenza non solo di Hamas, ma anche quella dell’Iran coi suoi proxy. Hamas è quello che deve essere: il solo colpevole. Da una parte il bene, Israele e i suoi rapiti, e dall’altra il male, Hamas e chi gli sta dietro. Questi, soccomberanno. È un punto di vista andato perduto dal 7 di ottobre anche qui: lo slogan “Bring Them home” rivolto a Netanyahu, ha spesso sottinteso che la maggiore responsabilità non fosse di Hamas ma di Bibi. Le manifestazioni di strada in Israele, confuse dall’odio politico, accusando Netanyahu di non volere una tregua per tenere in piedi il governo (la tregua col Libano ha smentito nei fatti questa idea), si sono trasformati in manna per Hamas, che ha alzato il prezzo di un accordo che non si mai profilato da parte di Hamas se non al prezzo della sopravvivenza del regime di Gaza. Hamas, e l’ha confermato Blinken insieme a Biden stesso, ha rifiutato tutti gli accordi cui invece Israele era disposto, salvo tormentare e poi giustiziare vilmente i rapiti (si è conosciuto ieri un nuovo episodio) non dimenticando mai di fomentare lo scontro e il tormento di tutta Israele. Adesso è finita: se i rapiti non vengono a casa, se la società occidentale è investita da un’aggressione totalitaria violenta, questo deve essere fermato a ogni costo. Non con inutili regalie, con aiuti umanitari di cui si impossessano i terroristi, con calunnie verso Israele, nemmeno dando spazio all’attacco politico che rafforza palesemente il nemico mentre si combatte una guerra indispensabile e il più possibile contenuta nonostante gli scudi umani. Lo slogan finalmente non è “Bring Them Home”, portali a casa, ma “Let My People Go” lascia andare la mia gente.
Ondata sunnita. Ma per Israele sono tutti nemici
Il Giornale, 03 dicembre 2024
Gli strati tettonici del Medio Oriente sono in movimento, non c’è forza che possa bloccarli. Si tratta per ciascuna delle forze in campo, in un panorama vasto come il mondo intero, di piazzare le mosse giuste per tempo. Un grande movimento geopolitico sposta l’epicentro dall’Iran, accucciato e confuso, e vede in Siria il terreno di scontro di sunniti e sciiti per la leadership della guerra jihadista al mondo. La scena si apre, si può dire, a Beirut con la scossa dei beeper e poi con l’incredibile eliminazione di Nasrallah: l’Iran scopre che il 7 ottobre è stato investimento sbagliato, si rende via via conto che i maggiori proxy del suo asse della resistenza vanno a pezzi. Intanto, nemmeno Israele rende conto di quelli che si chiamano in linguaggio tecnico “unintended results” della guerra: se ne accorgono benissimo i nemici sunniti, e non solo, di Assad. Il suo regime ha la base nel partito Ba’ath fondato nel 1930 sul modello del partito fascista, guidato dagli Alawiti, un gruppo musulmano sciita, con Drusi, Ismaeliti, e cristiani ortodossi.
La sua caratteristica in questi anni è stata la strage spietata di centinaia di migliaia di oppositori, anche con gas venefici, mentre il mondo, specie gli USA, si voltavano dall’altra parte, e l’Ingresso progressivo in un’asse controllato dalla Russia che ne ha fatto il suo bastione sul Mediterraneo. L’Iran, usando la Siria come la chiave d’ingresso delle armi e dei suoi uomini nel mondo arabo, ne ha fatto la rampa di lancio con cui ha trascinato il Medio Oriente nel bagno di sangue del 7 di ottobre. La Cina è rimasta sempre astutamente nel ruolo di osservatore legato alla Russia. Israele in questi anni con interventi continui, mai rivendicati, si è occupata soprattutto di evitare che la Siria diventasse l’autostrada da Teheran: i carichi d’armi e i generali iraniani e degli hezbollah sono stati sistematicamente eliminati. Assad, mentre vedeva la guerra avanzare a Gaza e in Libano, aveva negli ultimi mesi cercato di evitare un legame troppo stretto con l’Iran: pure, sul suo territorio contro l’asse iraniana indebolita si è riaperta l’antica guerra imperiale della Turchia sunnita forte anch’essa dei suoi proxy, che sono molti. La Turchia di Erdogan coltiva il sogno dell’Impero Ottomano, anche se la sua diplomazia si giostra con manie di grandezza anche maggiori (Putin, o i Cinesi). La Siria vede adesso all’attacco i suoi jihadisti, che uniscono alla sofferenza a causa della dittatura di Assad il sogno dello stato islamico dell’Isis, o di Al Qaeda. Da Aleppo a Idlib, e mentre punta a Damasco, Hayat Tahrir al Sham (HTS), feroci militanti di Al Qaeda, per vincere cercano anche gruppi non estremi: SDF, Sirian Democratic Forces sostenute dagli USA o i Curdi che Erdogan odia. Erdogan li sosterrà come l’Iran sostiene Assad, Hezbollah, Hamas, Houty, iracheni. Gioca la sua battaglia egemonica, un grande fronte sunnita contro quello sciita, sono finite le visite di cortesia, e la Russia faccia i suoi conti. Basandosi anche su Libia, Egitto gruppi sunniti, avrà un esercito dominato dalla Fratellanza Musulmana. Hamas che ha giocato in questi anni fra Teheran e Turchia col Qatar, adesso si volgerà a Erdogan. Israele può solo tenere duro su tutti i confini: i nemici dei miei nemici non sono miei amici.
Cara Liliana ti sbagli. È difesa non vendetta
Il Giornale, 30 novembre 2024
Non so farmi una ragione dell’articolo della Senatrice Liliana Segre, che amo come ebrea e venero come sopravvissuta della Shoah, se non immaginando che nella sofferenza dell’attuale ondata di antisemitismo e di Israele in guerra, spinta dal desiderio di aiutare il mondo ebraico, sia inciampata in un suo legittimo sogno di pace e di equidistanza. Tuttavia, a mio parere, gli ebrei e il mondo civile in generale, non possono abbandonarsi a questo sogno: la verità è l’unica arma per vincere una battaglia, quando essa è per la vita. E questa lo è. L’intenzione della Senatrice è buona: quella di smontare l’accusa di genocidio. Ma nel farlo, Liliana Segre lascia aperto il campo all’accusa di crimini di guerra: tuttavia facendo questo, non fa un buon servizio alla verità fondamentale del diritto all’autodifesa da una forza invece razzista, genocida, e potentissima. Quella dell’Iran e dei suoi proxy, Hamas, Hezbollah, e altri. La Senatrice mette in campo la sua conoscenza giuridica e morale e anche la sua esperienza personale, per individuare giustamente il rovesciamento dell’accusa di nazismo sugli ebrei come pilastro dell’attuale antisemitismo: Robert Wistrich ci ha scritto dei volumi, e così è oggi.
Ma già dal primo incipit della sua riflessione, le carte che mostra sono quelle di una scelta di campo, quella del “cessate il fuoco” e dell’equiparazione delle forze in campo, palestinesi e israeliani. Ma non c’è equipollenza qui: si tratta di scegliere fra il bene e il male, la violenza e la pace, la dittatura e la democrazia. Non è virtuosa di per sé la preferenza per il “cessate il fuoco”, quando la guerra è nata da un assalto senza precedenti da parte di una forza assassina che doveva e deve essere necessariamente fermata perché non prosegua o ripeta, forte della sua ideologia nazista, i mostruosi crimini compiuti. Di questo vive Hamas, mentre Israele vive di pace, come ogni democrazia, e va in guerra solo se è obbligata sin dal 1948. Allora, però, c’è un tempo per la pace e uno per la guerra: ed è sbagliato supporre in Israele, aggredita, un supposto spirito di vendetta. Non l’ho visto. Ho visto il sacrificio di una società stupefatta, eroica che è corsa a salvare la gente aggredita e poi a smontare il regime jihadista che ha ordinato di uccidere donne e bambini.
Il “pessimo Governo” di Israele, come lo chiama senza spiegare la Senatrice, che come si vede invece cerca subito la tregua, come ha fatto in Libano, appena può, ha cercato solo di salvare il proprio popolo. Sono certa che la maggior parte degli ebrei del mondo è orgogliosa, certo offesa e furiosa per l’ondata di antisemitismo, condivide la guerra di salvezza di Israele, vede chiara la follia dei cortei che quando urlano “Intifada” tengono per un culto della morte in cui dissidenti, omosessuali, donne sono esclusi dalla civile convivenza. Non c’è stato crimine, né vendetta, ma una guerra combattuta sopra gallerie che per 800 chilometri hanno ospitato solo i miliziani di Hamas gli scudi umani di Hamas, unico responsabile dei suoi cittadini, spesso volenterosa parte della nazificazione che ha nascosto in casa, nelle scuole e negli ospedali le armi e i terroristi.
Israele dal primo giorno ha fornito cibo e acqua e elettricità, ha cercato con schiere di avvocati di definire la legittimità degli obiettivi, ha sparso milioni di volantini e telefonate per far spostare la gente, mentre Hamas bloccava gli aiuti alimentari e gli scudi umani con i kalashnikov. Perché si accusasse Israele di crimini contro l’umanità. Questo anche quando i numeri, anche quelli forniti dal fantomatico governo di Gaza, danno una percentuale di un caduto civile per un caduto “militare”; la più bassa di ogni conflitto dal 1945. Israele non ha compiuto crimini di guerra, ne ha solo subiti; le accuse delle corti di giustizia nell’ONU e sono l’emanazione della maggioranza automatica che copre lo Stato Ebraico di odio e si associa a quel mondo in cui non c’è né diritto né giustizia, ma solo lo scopo di distruggere gli ebrei, Israele, l’Occidente. Il “pessimo governo” di Netanyahu è l’unico governo democratico mai stato giudicato colpevole; i ragazzi di Israele e i capifamiglia che lasciano tutto per andare nelle riserve, non hanno mai compiuto nessuna crudeltà paragonabile al 7 di ottobre. Questa è una guerra di sopravvivenza del popolo ebraico, una faticosa virtù che salva il mondo.
Così Netanyahu ha indebolito l’Iran
Il Giornale, 28 novembre 2024
La folta schiera dei critici di Netanyahu in Israele e nel mondo intero è sul piede di guerra: interessante che i pacifisti siano contro il cessate il fuoco, sostenendo con buone ragioni che non contiene la garanzia per i settantamila cittadini israeliani sloggiati da casa di potervi tornare in sicurezza; da destra molti avrebbero voluto vedere stavolta, dato che il lavoro era ben avviato, la fine degli Hezbollah, la maggiore organizzazione terroristica del Medio Oriente, il braccio destro del drago omicida, l’Iran. Anche questo non è accaduto. E tuttavia, se l’onestà per una volta prevarrà sulla politica, non si può altro, adesso, che lodare Netanyahu per la leadership e il coraggio che ha portato a questa pace: intanto la maggiore accusa di questi 14 mesi di guerra su sette fronti è stata che egli la volesse perpetuare senza riguardo per rapiti e soldati così da conservare un potere senza scadenza.
Questo punto viene smontato da una scelta che gli aliena parte del suo elettorato e che vede quanto il famoso superdestro ministro Ben Gvir sia invece lontano dal Primo Ministro, da cui dissente senza che Bibi dia segno di fastidio. Dal punto di vista strategico, Netanyahu ha compiuto la scelta onesta di affrontare la realtà senza fantasie di vittorie assolute nel contesto jihadista dell’area mediorientale. Gli Hezbollah anche se azzoppati e monchi vorranno tornare sul campo, ma intanto si è rotto il cerchio di fuoco formato da Nasrallah e Sinwar, ambedue eliminati con gesti di rocambolesca abilità dalla scena; le spaventose riserve di missili sono in parte state distrutte, la via con la Siria è tagliata, Hamas ha perso la sua sponda maggiore, e chiede di riaprire finalmente la questione degli ostaggi chiamando da Gaza ormai frammentata come mai non era stata. Lo Tzir Philadelphi, il suo polmone di rifornimento è in mano a Israele, i suoi leader dispersi o morti. La schiera di mallevadori dell’attuale cessate il fuoco ha dovuto compiere dei passi che portano a pensare che l’antagonismo contro Israele sia temporaneo e labile: la Turchia si è messa disposizione, dopo che Erdogan chiamò “Hitler” il Primo Ministro israeliano e gli giurò odio eterno; la Francia pur di partecipare alla svolta ha rinunciato all’idea criminale di arrestare Netanyahu e Gallant secondo l’ordine della Corte Penale Internazionale. Si apre uno scenario in cui si riaffaccia l’Arabia Saudita, ha detto Biden, e si intravede, fra poco meno di due mesi quando Trump si instaurerà, una situazione per cui l’Iran ha già cominciato a acquattarsi e a fingersi contenta della tregua: in realtà e stata schiacciata dalla forza autonoma di Israele e dalla sua alleanza con gli USA, forte oggi con Biden, e più forte domani con Trump. E questo, nonostante si sia cercato in questi mesi di imporre senza sosta a Netanyahu di abbandonare il campo, di lasciare Hamas in vita e gli Hezbollah padroni del confine nord. Rifiutandosi di farlo Netanyahu e esercitando il diritto alla difesa, mai dimenticando il 7 di ottobre e l’Iran, è diventato oggetto delle calunnie e le offese del mondo intero: assassino, guerrafondaio, criminale genocida. Il terribile risveglio di Beri per lui è stata una svolta conoscitiva simile probabilmente a quella che il mondo dovette affrontare con la salita al potere di Hitler. La sua decisione di distruggere Hamas ma di trovare un varco nella vicenda libanese per riaprire a un grande processo di pace che tenga nell’orizzonte la promessa di distruggere la macchina motrice della guerra, l’Iran, è la strada che con la sua determinazione, la sua prepotenza, il suo soldatesco e sofisticato impegno intellettuale ha evitato la sconfitta e portato a imboccare una strada nuova.
Bibi sa che Israele è sola a difendersi, ma che ha dalla sua la solidità della storia ebraica plurimillenaria e la giovinezza dei soldati sul campo, lo Stato d’Israele che parte dell’Occidente sa, nonostante tutto, essere il suo scudo ultimativo. Hezbollah adesso è stato costretto a accettare un cessate il fuoco senza legarlo all’uscita da Gaza, e questo rompe l’anello di fuoco dell’Iran. Altro verrà, Netanyahu sa che il Medio Oriente prepara una sorpresa al giorno; ma l’Iran adesso è molto più debole del 6 ottobre.
Un patto per la pace. Controllare Hezbollah e concentrarsi sull’Iran
Il Giornale, 27 novembre 2024
Non sarà un accordo come quello del 2006 che è stato ridotto a pezzi il giorno dopo firmato perché non c’era né sorveglianza né attori capaci di tenerlo in piedi. Oggi è diverso, specialmente è evidente la coscienza della fase nuova in cui lo si firma: dopo il 7 ottobre, la fine delle illusioni e con la consapevolezza che bisogna andare avanti. I termini erano simili allora, quelli della risoluzione 1.701: Hezbollah doveva, disarmato, ritirarsi oltre il Litani, l’Unifil sorvegliare con l’esercito libanese che Nasrallah non tornasse nel Sud del Libano. Un patto fallimentare, coi libanesi spaventati e, nell’esercito, spesso sciiti come gli Hezbollah; l’Unifil imbelle e perfino connivente con chi è contro Israele. Tzipi Livni, che aveva condotto in porto quell’accordo pagò col fallimento politico: la Taqiyya, la legittima menzogna in favore dell’islam, ricostruì sul confine le forze Radwan; il meccanismo di aggressione terrorista accumulò centinaia di migliaia di missili e droni e scavò di nascosto gallerie fin sotto le case in Galilea: dal 7 ottobre questo è diventato guerra di invasione a fianco di Hamas. Perché l’accordo fallì? Mancò il meccanismo di controllo e di intervento.
Adesso Netanyahu mette piedi, con il supporto americano, un accordo che consente di sapere se Hezbollah prepara sorprese e di agire per tempo: Radwan dovrà restare lontano dal confine, sarà disarmato, non potrà ricostruire i villaggi fasulli pieni di armi e di gallerie. Se arriva un camion, si verificherà che non porti armi, per la prima volta. Israele cerca la pace fuori dalle illusioni che hanno portato al disastro del 7 ottobre.
È possibile? Si può tenere a bada gli Hezbollah? E perché lo si deve fare proprio adesso che Israele ha ridotto a pezzi la forza terrorista al servizio degli ayatollah avendo eliminato Nasrallah e i suoi ufficiali, compiuto operazioni da leggenda come quella dei beeper, distrutte in gran parte postazioni e riserve economiche e militari? Hezbollah ha come unica ragion d’essere l’attacco genocida a Israele e l’ubbidienza all’Iran. Ma Israele - come ha spiegato Netanyahu - vuole evitare che Biden, stizzito, lasci che il Consiglio di Sicurezza dell’Onu, sulle tracce di Obama nel 2016, lo condanni; vuole che le riserve che da più di un anno combattono vittoriosamente, ma vengono feriti e uccisi fra Gaza e il Nord riprendano fiato; vuole accelerare il rifornimento di armi americane; vuole che Hamas, ormai isolato definitivamente, si decida a trattare sui rapiti.
Israele peraltro non si è mai posta l’obiettivo di cancellare Hezbollah, dovrebbe occupare il Libano. Lo stato ebraico sa che continuare a combattere gli Hezbollah toglie tempo e forze rispetto all’obiettivo essenziale, l’Iran, che prepara la bomba atomica mentre riassetta la sua strategia di accerchiamento fallito, ma non concluso. Il meccanismo dell’accordo costruisce la possibilità, su cui ha lavorato in profondità il ministro degli Affari Strategici Ron Dermer, di agire rapidamente su nuove importazioni di armi, su violazioni per ricostruire una forza d’attacco. Le vie di rifornimento dalla Siria, autostrada iraniana per Beirut, saranno chiuse; sul terreno Israele, gli americani, Centcom, qualche Paese arabo, creeranno anche una nuova prospettiva per Gaza. La Francia, che ha fatto sapere di essere intenzionata ad arrestare Netanyahu, non trova naturalmente la fiducia di Israele. E quando la questione fra due mesi sarà nelle mani della nuova amministrazione americana, si sarà capito ormai se il terrorismo di Hezbollah, figlio degli ayatollah, continua: nel qual caso, è logico aspettarsi un ampio «go» invece che un «don’t».
Abu Dhabi è il nuovo fronte per minare i Patti di Abramo
Il Giornale, 25 novembre 2024
Questo è il Medioriente: mentre sembra che proceda la trattativa col Libano,150 missili di Hezbollah sono piovuti su Israele, Israele attacca Dahia. Ci vuole una forte determinazione a credere nella convivenza con l’Islam, ma questa era appunto la scelta del giovane rabbino lubavitcher Zvi Kogan, che aveva dedicato la sua vita a far fiorire l’unica alleanza solida col mondo arabo, quella dei patti di Abramo, negli Emirati. Ma, proprio ad Abu Dabi, Zvi è stato ucciso da emissari iraniani, laddove invece col mondo sunnita aveva costruito corsi di cultura ebraica, un dialogo interreligioso, un supermarket di cibo kasher, una struttura di accoglienza per gli ebrei in viaggio. I Lubavitcher sono un gruppo missionario che studia la Torah e vive seguendo i precetti religiosi sulle orme del grande saggio di New York Menachen Mendel Schneerson. Nelle case dei Lubavitcher trovano una minestra, un letto, una parola buona e generosa tutti i pellegrini ebrei nel mondo: Kogan era là ormai da tanti anni, da prima dei Patti di Abramo del 2020, ancora un ragazzo con la giovane moglie Rivky, il viso sorridente nel dialogo emotivo e molto denso che conduceva fra islam ed ebraismo.
Era noto a tutti, ben conosciuto dalle autorità locali, adesso molto turbate dagli eventi inaspettati e imbarazzanti in un mondo piccolo e ben controllato. Nel 2021, nel Giorno della Memoria della Shoah in una cerimonia interreligiosa con ebrei, Islam e cristiani, era stato Kogan a recitare la preghiera comune e ad accendere le candele della memoria. Il suo ruolo era religioso, ma anche politico: organizzava lezioni e incontri che costruivano un futuro di amicizia, è stato bloccato da chi non voleva. Stava andando al supermarket di cibo kasher quando tre giorni fa, è sparito. A lungo si è sperato che sarebbe ricomparso: gli emirati sono puliti di terroristi, sorvegliati con cura. Dall’aeroporto di Tel Aviv, semi inattivo dal 7 di ottobre, 8 voli ogni giorno vi portano cittadini israeliani per vacanze sicure e per affari importanti. Così l’oasi politica di Abu Dhabi è stata identificata dall’Iran come un altro fronte da cui attaccare Israele. Gli uomini del Mossad al lavoro insieme alla polizia locale hanno dovuto scoprire il corpo di Zvi quasi sul confine dell’Oman. Da là si sono involati tre assassini di nazionalità uzbeca, sembra diretti in Turchia. Là sono approdati anche gli uomini di Hamas trasferiti dal Qatar. Zvi era un ebreo religioso che aveva fatto il suo dovere di soldato nell’Unità Givati.
Adesso, da privato cittadino, era pur sempre un israeliano: l’Iran conduce la sua guerra agli ebrei in tutto il mondo usando sempre un “proxy” che gli presti il suo nome. In grande, Hamas e gli Hezbollah, o gli Houty... in piccolo, sicari di varie nazioni che hanno agito in Argentina, a Parigi, a Istanbul, due settimane fa in Tailandia e in Sri Lanka, una settimana fa con un attentato preparato contro Erwin Cotler, ex ministro della giustizia canadese, ebreo. L’Iran supera i confini della guerra guerreggiata per colpire gli ebrei dove viaggiano o vivono la propria vita, fomenta l’antisemitismo e la violenza contro la società occidentale delle tante aggressioni di Amsterdam, o di New York, o della sentenza della Corte penale internazionale, e dei social media. Dall’omicidio di un rabbino di 28 anni per minare i Patti di Abramo fino alla costruzione della bomba atomica, l’Iran tira i fili di un grande attacco agli ebrei e all’occidente.
La follia e il buon senso
Il Giornale, 24 novembre 2024
Nel 2002 un giudice spagnolo e una giudice francese chiesero all’Inghilterra, dove Henry Kissinger era diretto, di arrestarlo con l’accusa di complicità col generale Pinochet nell’eccidio di 4000 persone. A Londra i governanti alzarono le sopracciglia e suggerirono che la richiesta di studiare il caso fosse rivolta ai giudici americani, un Paese democratico. Ma Israele è il Paese degli Ebrei. Non solo: è il Paese di Netanyahu, di un governo, che, secondo la macchina della spazzatura internazionale, ha il difetto di non essere di sinistra. Anzi: di destra estrema, come ripetono mentendo tanti che si rallegrano che uno dei maggiori uomini di Stato del nostro tempo sia stato condannato alla gogna. E fanno bene a essere contenti: questa bomba antisemita e antimoderata è gigantesca. Ma proprio per questo gli esploderà in mano. Il giudizio dell’ICC, la Corte penale internazionale, è solo politico e anche masochista: niente prove, niente indagini, testimonianze di ONG antisraeliane il cui lavoro, da una vita, è fornire le proprie chiacchiere alle varie strutture dell’ONU, dall’UNESCO all’ICC, per distruggere Israele. Ma l’ONU è un’organizzazione corrotta in cui una maggioranza automatica mette insieme Stati falliti, Stati islamici, Stati spaventati, Stati che adorano contrapporsi agli USA e a Israele.
Questo, mentre Israele dal nord al sud, brucia di bombe, aggressioni armate, una guerra di cui ogni cittadino amante della pace soffre le conseguenze nel lutto, nell’economia, nelle scuole. È il piano dell’Iran. Ma l’ICC non lo vuole sapere, fa il suo passo onusiano, deve distruggere Israele: ma il passo stavolta è troppo lungo. La gente normale ride a pensare che si debba arrestare Netanyahu dopo il 7 di ottobre, sa la verità, teme semmai la violenza dei lunatici e dei jihadisti, rafforzati dalla sentenza; gli Stati che hanno subito promesso di arrestare Netanyahu come il Canada, il Belgio, l’Irlanda, si ritroveranno rifiutati dal buon senso, che distingue un aggredito da un aggressore, una persona civile da un fanatico antisemita, le cifre verificabili degli uccisi in guerra da quelli inventati, la cura nel consegnare migliaia di tonnellate di cibo e medicine dalla furto che ne ha fatto Hamas. La festa di criminalizzazione di Netanyahu alla fine porta alla vergogna della sinistra e alla sua definitiva decadenza; lo slancio teorico con cui tanti intellettuali anche ebrei profetizzano che il popolo ebraico non dovrà avere una terra, non conosce Israele, così tanto nazione, così tanto ebraica, così tanto piena di bambini e di soldati che sanno vivere e morire per la loro Terra, di persone la cui generosità non conosce i limiti dell’egoismo occidentale, che basta guardarsi intorno per capirlo.
Dopo la sentenza dell’ICC, Israele vive, e anche Netanyahu, mentre l’Occidente rischia la vita. Sembra accorgersene a sinistra solo Olaf Scholz che ha messo un’ipoteca sul verdetto dell’ICC. È stato scritto più volte che Churchill sarebbe stato condannato dall’ICC. Succederà, ma tutti rideranno. Il senatore Lindsey Graham l’ha detto senza paura: “Francia, Inghilterra, Canada, se seguite quei delinquenti noi vi sanzioneremo, distruggeremo le vostre economie, perché altrimenti nessuno potrà combattere il terrorismo”. Chi sceglierà questo destino, si troverà con Erdogan ad affermare che il ICC ha restaurato la fiducia nella giustizia.
Un assist ai terroristi: la legge internazionale per nascondere l'odio contro Israele
Il Giornale, 22 novembre 2024
La risoluzione della Corte penale internazionale abolisce l’ordine morale della democrazia e della civiltà. Può darsi che adesso, in giro per il mondo, la polizia aspetti all’aeroporto anche i ragazzi che hanno combattuto per difendere un Paese dallo sterminio di Hamas, che dopo il servizio militare vogliono andare a studiare o in vacanza o in uno stage tecnologico o musicale… pieni di amore per la democrazia e per la vita; che la polizia di Parigi, per esempio, aspetti con le manette i politici di destra e di sinistra, i ministri, gli ufficiali che compiano il peccato mortale di provenire da Israele, un Paese che è in guerra anche se voleva la pace. La risoluzione della Corte penale internazionale è una dichiarazione di antisemitismo che assorda adesso tutto il mondo, gridata in nome di una giustizia reinventata, che sovverte l’idea stessa di democrazia e di libertà.
Netanyahu e Gallant sono ricercati come criminali di una guerra che è stata inflitta a Israele, che hanno dovuto combattere per la vita e per la morte contro un nemico che ha fatto del suo popolo uno scudo umano totale per i terroristi, rifugiati invece in 800 chilometri di gallerie mentre usavano le case e gli ospedali per sparare su Israele i loro missili. Il 7 ottobre, la peggiore strage di ebrei che il mondo abbia conosciuto dopo il 1945, voluta da un grande schieramento capitanano dall’Iran accanto a Hezbollah, è stato cancellato con informazioni fasulle tratte da ONG esperte in pregiudizi antisemiti, o dal “Ministero della Sanità” di Hamas. La risoluzione della Corte penale internazionale fornisce un assegno in bianco al terrorismo islamico, e non è un caso che Hamas sia stato il primo a congratularsi. È una scelta per cui un tribunale internazionale, che dovrebbe avere tutti i crismi della legalità oggettiva, base della fiducia del popolo, in questo caso di tutto il pianeta!
Invece crea un nuovo ordine legale ed etico che nega la legittima difesa, che esalta il terrorismo, che non prende in nessuna considerazione il concetto basilare di intenzionalità, che non esamina le caratteristiche morali delle parti in causa. Insomma, che non distingue la democrazia dalla dittatura, l’umanità dalla crudeltà, la barbarie dalla cultura, la disperata battaglia per recuperare i rapiti dalla crudeltà di chi ancora, invece li tiene prigionieri. L’accusatore, Karim Khan, potrà adesso invece che affrontare le accuse rivoltegli per crimini sessuali vantarsi della sua richiesta di arrestare il Primo Ministro di Israele col Ministro della Difesa. Un gesto di portata mondiale, che piacerà all’Iran, alla Russia, alla Cina, alla Corea del Nord, a tutti gli islamisti del mondo, alla maggioranza automatica all’ONU, alle folle violente dei proPal. Da oggi Netanyahu può andare soltanto negli USA, che non ha mai firmato la Carta di Roma; Biden che ha anche bloccato la risoluzione antisraeliana al Consiglio di sicurezza dell’ONU, uscendo con onore, ha già detto che considera con disgusto la scelta dell’Aia. La Corte internazionale, come l’ONU, fu fondata con nobili intenti nel 1998. Ma, come l’ONU, è stata politicizzata e abusata. Gli arabi e i palestinesi sin dal 2001 alla conferenza contro il razzismo di Durban col supporto delle ONG più importanti, come Amnesty International o Human Rights Watch, inaugurarono l’aggressione legale che dura fino ad ora contro Israele: la Corte penale internazionale e la Corte internazionale di giustizia ne divennero lo strumento più tecnico. La criminalizzazione e la delegittimazione sarebbero arrivata fino alle accuse di genocidio, e avrebbero regalato ai palestinesi uno Stato. La Corte penale internazionale nel 2015, fra condanne per “l’occupazione” costruite su false interpretazioni del diritto internazionale, riconobbe la “Palestina”, che non esisteva e non esiste, e l’ammise come membro: così consentiva indagini e condanne di Israele. Le accuse odierne, prima di tutte quella di affamare i palestinesi, non hanno base, sono fra 200 e 300 al giorno i camion introdotti nella Striscia e che per tre quarti poi però Hamas ruba con le armi in pugno. Così come non c’è stata né riduzione dell’energia elettrica né dell’acqua. E soprattutto Israele ha cercato strenuamente di salvare i cittadini innocenti, con avvertimenti, spostamenti, verifiche: ma Hamas ha preteso la loro morte come scudi umani anche se Israele cercava di evitarla. La storia dirà tutta la verità su questo.
Ora, il Primo Ministro di uno Stato democratico, Benjamin Netanyahu, diventa oggetto di caccia, insieme al suo ex ministro della difesa, dei poliziotti di 120 nazioni, non può più mettere piede in Francia o in Belgio o in Olanda o teoricamente in nessuno di questi Paesi che hanno firmato la Carta di Roma. Ma la decisione sembra fatta apposta per piazzare un altro fendente nel corpo dello Stato ebraico prima che il gesto della Corte penale internazionale diventi oggetto di disgusto in una svolta mondiale. Michael Waltz, prossimo Consigliere per la sicurezza nazionale di Trump ha fatto capire che questo è l’ultimo rantolo delle Nazioni Unite asservite alla maggioranza automatica contro il popolo ebraico. È la prima volta che la Corte penale internazionale disegna un mandato di cattura per il leader di un Paese democratico. Certo. L’ONU ha prima usato la Corte internazionale di giustizia, il tribunale internazionale, per definire Israele “genocida”, o ora la Corte penale internazionale, e prima l’UNRWA, l’Unesco, e le commissioni, e le risoluzioni dell’Assemblea Generale... Tutti i suoi rami hanno avuto lo scopo di denigrare e condannare Israele. Adesso, chi ha la forza di reagire, anche in Italia, può rispondere a questa tabe antisemita. Ci sono molti modi per farlo, uscire dalla Corte penale internazionale, usare una politica di sanzioni, prendere una forte posizione di sostegno a Israele. Ricordandosi chiaramente che questo attacco, giorno dopo giorno, è contro tutto il sistema politico di cui, con Israele, siamo parte, con orgoglio.
Chi soffia sul fuoco dell’antisemitismo
Il Giornale, 18 novembre 2024
Il Papa, mentre tutto il mondo fronteggia la crescita violenta di un antisemitismo senza precedenti dalla Seconda guerra mondiale, col suo nuovo libro “La speranza non delude mai”, Edizioni Piemme, fornisce legna per questo fuoco. Una linea è subito diventata titolo di testa in tutte le lingue: suggerisce che debba essere indagato un presunto, possibile, fors’anche opinabile genocidio compiuto da Israele sui palestinesi a Gaza. Il sottinteso è l’intenzione genocida, ed essa altro non può essere che criminale, e quindi la guerra di Gaza, in realtà una indesiderata guerra di necessità dopo un attacco spaventoso, sia compiuta con un’intenzione maligna, eventualmente anche meditata. Forse il Papa è stato mal consigliato da chi immagina che il mondo cui egli parla sia intriso di pietismo populista, folle che ormai marciano sulle città del mondo con violenza, in nome di un fronte in cui la democrazia e la libertà non hanno cittadinanza.
Io non vedo così il mondo cristiano della gente normale, amica degli ebrei nel mondo democratico, che capisce invece che il termine “genocidio” porta sugli ebrei di tutto il mondo oggi un’ulteriore ondata di antisemitismo, disegna i cartelli su cui la Stella di David viene sostituita con la svastica mentre intorno folle inconsulte urlano “Free Palestine”, si assomma alla sovrapposizione di ritratti di Hitler con quelli di Netanyahu mentre Erdogan urla ai media che sono uguali, è il titolo di al-Jazeera o del Manifesto o persino del Guardian, tutti i giorni. Tornare a quell’accusa incrementa la moda imbrogliona di aggredire Israele e gli ebrei per compiacere il terzomondismo dell’ONU, soddisfare l’Iran, Putin, i cinesi… di certo i social e i talk show impazziscono di gioia. E questa esortazione del Papa ha una ragione concreta d’essere? Nessuna. Non solo i numeri dei morti a Gaza non sono certificati, dato che la fonte, inverificabile, è sempre solo rimasta quella del Ministero della Salute di Gaza: l’ONU che pure ci ha balbettato sopra parecchio, ci ha dato un quarto dei 40mila morti che in genere vengono menzionati: accertati sarebbero 8200. Invece l’unica cifra realistica, quella degli armati uccisi fornita da Israele, intorno ai 20mila, ci dice che la proporzione di civili uccisi, sarebbe uno a uno, la più bassa della Storia. Israele, come nessun altro Paese ha fornito aiuti militari e sanitari a tonnellate, ha cercato di non colpire la popolazione civile con accorgimenti di ogni tipo, mentre le condizioni di guerra rispecchiavano le parole di Sinwar: il sangue dei loro civili (mai rifugiati nelle gallerie usate, come gli ospedali e le scuole, solo per la guerra) è servito come scudo e per suscitare solidarietà ai combattenti di Hamas.
Genocidio c’è stato, ma è fallito: era la scelta di Hamas quando ha attaccato il 7 di ottobre, di uccidere tutti gli ebrei. Il termine sia stato coniato nel 1944 da Raphael Lemkin per descrivere le atrocità della Shoah e adottato nella legge internazionale del 1948 per criminalizzare “atti commessi con l’intento di distruggere un gruppo etnico raziale o religioso”, e mai è stato usato per stigmatizzare Fatah e Hamas che promettono “la costruzione di una Stato islamico e palestinese al posto di Israele”. Al contrario, è difficile immaginare che Israele abbia mai avuto intenzioni simili avendo accettato la partizione territoriale sin dal 1948, e via via da Camp David (1978) al 1995 (Oslo). Altra cosa, e sarebbe frivolo il pensarlo, è sanzionare che Israele combatta per la sua sopravvivenza contro il terrorismo. E comunque la presenza araba in Israele è cresciuta del 1182 per cento, mentre la presenza ebraica nei Paesi arabi è calata del 98,87 per cento. Là, si, c’è stata la pulizia etnica. A Gaza la popolazione dal 1948 poi è cresciuta verticalmente, e solo dall’inizio della guerra è cresciuta di 130mila unità circa. Il professor Robert Wistrich il maggiore storico dell’antisemitismo l’ha spiegato a fondo: “Holocaust Inversion”, il rovesciamento che fa degli ebrei i nuovi nazisti e dei palestinesi i nuovi ebrei, è la strada maestra nata con l’URSS e che dura fino ad oggi. Sarebbe tragico che la Chiesa imboccasse questa strada. Il consiglio di una giornalista ebrea qualunque: quella riga sarebbe meglio rivederla.
Il piano di Trump sul Medioriente. Pressioni per strangolare l’Iran
Il Giornale, 17 novembre 2024
La “dream team” che Trump ha disegnato per affrontare il grande conflitto, testa a Teheran, tentacoli in tutto il Medioriente, epicentro in Israele, e quindi in tutto il mondo manifestanti e violenza woke, fa parte di un disegno per bloccare la guerra totalitaria, iraniana e russa. Come se la vedrà con Putin, è da vedere, e probabilmente quei droni iraniani contro l’Ucraina, e il loro passaggio in Siria verso gli Hezbollah, saranno decisivi nel raffreddare il rapporto. I personaggi che decideranno sul Medioriente non sono soltanto estimatori di Israele: ne sono sostenitori che conoscono la millenaria resistenza del popolo ebraico. Nella dream team c’è una svolta concettuale fatta per spazzare via le bugie su Israele per cui l’antisemitismo è diventato moneta corrente della politica; è un alto là che intende concludere un ciclo, somiglia all’idea escatologica di riportare l’America alla sua grandezza. Una rivoluzione che “makes Israel great again” dopo che è stato tenuto per anni nel braccio della morte sotto la leadership degli Ayatollah, con la partecipazione venuta a compimento il 7 di ottobre della strage di Hamas, e poi dai missili degli hezbollah, e dall’esplicito esercizio balistico su Gerusalemme da duemila chilometri di distanza da una parte e dell’altra, Iran, Iraq, Yemen. Trump con queste nomine dice basta, e adesso si tratta di vedere se ci riesce: Marco Rubio, Segretario di Stato, dice che “Hamas deve esser completamente sradicato”; Michael Waltz, Consigliere per la Sicurezza Nazionale, dopo l’attacco iraniano ha detto che Israele deve distruggergli tutte le strutture nucleari e quelle energetiche; Mike Huckabee, nuovo ambasciatore, sostiene che non esiste il West Bank, si chiama Giudea e Samaria, ed è chiaro il diritto storico degli Ebrei al loro retaggio; Elise Stefanik prossima ambasciatrice all’ONU, ha svergognato e costretto alle dimissioni Claudine Gay, presidente dell’Università Harvard, che ha sostenuto che avocare lo sterminio degli ebrei è legittimo “a seconda del contesto”; Pete Hegseth, Ministro della Difesa, in varie visite in Israele ha mostrato la sua predilezione per il senso di sfida dei giovani ebrei a Nablus, o a est Gerusalemme. Il tema degli insediamenti è un cavallo di battaglia classico: Trump, si dice, ha un’agenda che si identifica con la destra israeliana. Ma le cose sono molto più complesse.
Trump è ben memore dei suoi ben riusciti Accordi di Abramo: al lato del piano di normalizzazione con gli Stati Arabi era previsto uno Stato palestinese demilitarizzato, e Israele in cambio degli accordi lasciò perdere un preventivo accordo sul 30 per cento della zona C, quello che gli accordi di Oslo affidano a Israele fino a una pace che gli dia sicurezza. Trump semplicemente sembra, scavalcando le formule fallite (terra in cambio di pace) sa che Israele è circondata, e che un sette ottobre è dietro la porta. Suo genero Jared Kushner, molto addentro i Patti di Abramo, sembra avrà un ruolo fondamentale in Medio Oriente; il suo partner preferito Elon Musk ha incontrato alle Nazioni Unite l’ambasciatore iraniano Iravani. Complicato: nelle stesse Biden sta cercando uno stop alla guerra con gli Hezbollah tramite il suo inviato Hochstein dal governo libanese, e Trump sembra avergli dato il suo gradimento. Nel frattempo Ron Dermer, Ministro per gli Affari strategici di Israele ha fatto un passaggio in Russia prima di incontrare in America sia gli uomini di Biden che quelli di Trump.
La prospettiva di Trump sembra quella di premere forte contando su rapporti diretti e opinioni chiare: è proibito, e non a parole, cercare di organizzare, il genocidio degli ebrei. Non richieste di cessate il fuoco, interventi umanitari che indeboliscono Israele, cerimoniose astensioni o veti alle sedute dell’ONU che per ben 500 volte nel 2023 hanno condannato Israele. Nel frattempo ha già promesso di tagliare i fondi alle Università in cui si perseguitano gli ebrei. Trump vuole un suo strano premio Nobel per la pace, deve bloccare l’Iran e la Russia che hanno preso in mano metà del mondo con la violenza, e prepara una strada per farlo. Non piacerà a tutti. Anche ridare alla parola annessione (che Israele non desidera come ha detto Netanyahu) un significato temporaneo contro un altro 7 di ottobre, può starci, senza ideologia, ma perché i tentacoli terroristi non afferrino la gente dei kibbutz del sud e delle case del nord. Trump sa che pace ci sarà solo bloccando il jihadismo: ha quattro anni a disposizione.