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Cade un altro muro dopo Hezbollah e la Siria. Gli ostaggi a casa: una vittoria per Netanyahu

mercoledì 18 dicembre 2024 Il Giornale 1 commento
Cade un altro muro dopo Hezbollah e la Siria. Gli ostaggi a casa: una vittoria per Netanyahu

Il Giornale, 18 dicembre 2024

L’odierna trattativa, forse definitiva o forse ancora in fieri, per il rilascio degli ostaggi è tuttavia significativa e importante come la subitanea caduta del regime di Assad, come il crollo di Hamas e degli Hezbollah; è un altro muro che cade nel fronte feroce e determinato alla distruzione dello Stato d’Israele. Mentre si sgretola, sullo sfondo l’Iran e la Russia siedono sempre più spaventati. L’inviato di Trump per i rapiti, Browler, è in zona; Biden, ha detto che sa che le cose vanno avanti. Al Cairo o no, le parti si incontrano concitate e parlano fitto. È la migliore maniera per Netanyahu di spiegare, una volta per tutte al mondo come la sua guerra cerchi una vittoria vera, che sia tale per tutti, in primo piano la gente di Israele, e che figuri un Medio Oriente bonificato dai terroristi ormai sconfitti. Su Netanyahu è stato scritto che la sua scelta di combattere senza accettare diktat americani Hamas e poi gli Hezbollah non aveva sfondo strategico, era la sua risposta dura al 7 ottobre. O peggio ancora, che era una maniera di proteggere la propria coalizione con la guerra.

Netanyahu ha collezionato senza piegarsi le peggiori critiche, senza deflettere da quella che alla fine si è disegnato come un quadro strategico: ma manca un punto principale, la seconda puntata dei rapiti riportati a casa. Anche l’Iran è lo sfondo strategico indispensabile: ma i rapiti sono un pezzo di cuore del popolo ebraico, una riparazione per il futuro ferito d’Israele; in più c’è l’aspetto politico, la durissima opposizione a Bibi nel chiedergli uno scambio senza condizioni mentre si alleava con le famiglie disperate ha indebolito la trattativa rafforzando il ricatto, giorno dopo giorno. È adesso che da una posizione di sicurezza sul campo di battaglia Netanyahu può trattare, cedere sul numero dei prigionieri terroristi senza però lasciare le vie di controllo Filadelfia e di Katzerin, così che Hamas non si riformi come sa e come vuole fare. Le famiglie seguitano a chiedere le restituzioni di tutti insieme, la destra che non si liberino i terroristi: Netanyahu andrà per la sua strada, Hamas e più morbido dopo la minaccia di Trump di distruggerlo se non restituisce gli ostaggi prima del 20 gennaio; Israele è molto più forte. Bibi torna da vincitore nella storia, anche se quando i rapiti torneranno a casa seguiterà l’interminabile infinito scontro in Israele fra destra e sinistra. Ma bisogna essere davvero cinici per criticare il Primo Ministro, come fa la stampa che gli dà la caccia tutti i giorni, per aver chiesto licenza ieri dalle sei ore in tribunale dove lo si interroga tre giorni a settimana sui regali di sigari e sulle captatio benevolentiae giornalistiche. 

Ma adesso è lui, di nuovo, che tesse gli ultimi particolari di un possibile accordo senza rese, generoso ma prudente. I rapiti sono amati uno a uno: ciascuno ha un nome più noto di quello di una star, un volto, tutta la gente di Israele ne riconosce le fattezze, Oded che ha 84 anni, Liri che ne ha 19, Romi, Segev, e Kfir, cuore di ognuno, che ha compiuto ormai da tempo un anno nelle mani dei torturatori e aguzzini… ha ragione la massa delle famiglie che ha ripetuto che senza di loro nessuna vittoria è vittoria, che la guerra la vince solo il loro ritorno a casa, perché è regola di Israele, e solo di Israele, di non lasciare mai nessuno indietro.

 

 

Trump e Netanyahu, obiettivi precisi. Al centro del cerchio di fuoco c’è l’Iran

sabato 14 dicembre 2024 Il Giornale 0 commenti

Il Giornale, 14 dicembre 2024

Al centro del cerchio di fuoco che esso stesso aveva costruito, adesso, ironia della sorte, si trova l’Iran: la Repubblica Islamica non sa quale sarà il suo destino, neppure il tiranno Assad ha ritenuto opportuno andarsi a rifugiare a Teheran, preferendo nascondere la sua vergogna a Mosca. Trump alla vigilia del suo mandato ne minaccia direttamente, come non mai, le aspirazioni atomiche; Israele disegna un nuovo terreno mediorientale sminato dall’odio jihadista avendone smontato tutti i piani.  Due paragoni storici valgono a capire la situazione attuale; tutti e due spiegano la vittoria di Israele, e la sconfitta iraniana. Il primo è quello dell’attacco preventivo del 1967 con la Guerra dei Sei Giorni, quando l’aviazione israeliana attacco le forze aeree egiziane ancora a terra prevenendone l’attacco programmato per distruggere Israele insieme ai siriani e ai giordani. Da là, più avanti, dopo la sconfitta subitanea del nemico, nacque la pace con Egitto e Giordania.

La veloce distruzione delle armi siriane e le truppe sul Golan indicano questo: un futuro in cui i jihadisti sia sciiti (gli Hezbollah), che sunniti, i nuovi padroni della Siria, siano costretti alla pace. Il secondo paragone mette audacemente insieme il collasso di Assad con la caduta del Muro di Berlino. Siamo nel 1989. Cade il muro, e poco dopo l’Unione Sovietica cessava di esistere. Evoca la storia Mehrdad Marty Yussefiani, iraniano e americano, membro del Jerusalem Center for Security and Foreign Affairs. Adesso, è il regime iraniano che può fare la fine dell’URSS. Netanyahu in un messaggio di giovedì al popolo iraniano lo ha invitato all’azione e alla speranza: ha ricordato che venti miliardi di dollari, mentre in Iran manca tutto, sono stati spesi per i piani imperialisti dei loro tiranni. La guerra di aggressione, ha detto, caratterizza la loro politica, Israele ha vinto nel verticale crollo del disegno di appropriarsi del Medio Oriente e di distruggere Israele. Il Primo Ministro ha detto in persiano “donna, vita, libertà”, unendosi al movimento di liberazione dei tiranni e annunciando eventi che, dice, verranno prima di quanto ci si aspetti. Netanyahu non parla nel vuoto. Sa che Khamenei minaccia ma è di fatto in difficoltà come non mai: tutti i piani sono saltati, fu lui a dire che “il 7 ottobre era l’evento più importante della storia della resistenza”, e adesso il suo “asse della resistenza” è smantellato.

Gli Hezbollah, il suo braccio destro, sono stati sgominati insieme a Hamas; adesso, è stata stroncata con un’azione mai vista prima ogni possibilità che le armi accumulate in Siria, la roccaforte del piano di dominio sciita, passino nelle loro mani. Tutto è stato prosciugato dall’attacco fulmineo di Israele almeno per l’80 per cento: i missili antiaerei coi sistemi più avanzati, SA22 e SA17, gli squadroni di aerei SU22 e SAAU24, il 100 per cento dei droni esplosivi, altri 390 obiettivi fra cui sistemi di attacco, radar, ogni accumulo di armi chimiche e di altro tipo, fabbriche e depositi… Iraniani e libanesi sono spariti dalla scena che era fino a ieri casa loro, solo un passaggio di frontiera col Libano esiste ancora ed è ben sorvegliato. I cieli sono liberi: un aereo israeliano o di altro tipo che sorvolasse adesso Damasco, avrebbe poco da temere dai nuovi padroni, i sunniti di Hayat Tahrir al Sham. Erdogan che li ha spinti e protetti osserva per ora le possibilità che persegue di trasformare in dominio ottomano l’arma pesantemente jihadista di al Julani.

L’avvento di Trump però vale anche per lui, il fallimento di Khamenei è un’indicazione potente che la partita deve essere conclusa per garantire la pace che Trump chiede con determinazione a tutti prima di prendere possesso della Casa Bianca. Vale anche per i sunniti, ed è dalla parte di Israele. Per questo ha detto che intende prevenire la bomba iraniana, molto prossima secondo tutte le osservazioni dell’IAEA. C’è la possibilità che se ne occupi Israele, ma anche che i suoi aerei debbano alzarsi in volo. Si può fermare, dice, Khamenei, con sanzioni, regole, navi, armi a Israele, bombe “bunker busting”. Se non funzionasse… si vedrà. Ma ha già detto abbastanza, mentre Israele dimostrava, sul terreno, che è finito il tempo per la jihad di credere che un interlocutore credulo e moscio cada in trappola e diventi di nuovo la vittima designata del prossimo massacro. Per ora sgomberare dalla bomba iraniana per un nuovo Medioriente è l’obiettivo. Prima l’Occidente se ne rende conto, prima perseguirà la pace che desidera.   

 

Sigari, champagne e pregiudizi: Bibi ne uscirà assolto (e più forte)

mercoledì 11 dicembre 2024 Il Giornale 2 commenti
Sigari, champagne e pregiudizi: Bibi ne uscirà assolto (e più forte)

Il Giornale, 11 dicembre 204

Corrotto, corruzione... questa parola è stata appiccicata a Netanyahu da anni come complemento di una evidente odio politico. È un classico: guerrafondaio, non democratico, spietato in guerra… Certo, è corrotto. Ieri però Netanyahu ha preso molto ossigeno: “Ho aspettato otto giorni questo giorno” ha preso a raccontare, e il processo aperto in tempi assurdamente inadatti, sembra un incauto passo dei suoi nemici. Al momento fornisce al Premier, come ha detto martedì durante la sua prima deposizione, la possibilità di parlare e fare ascoltare, in termini strategici, la verità di un leader perseguitato dai media e dai suoi oppositori in quanto Primo Ministro di destra, con tutti i mezzi. Eletto troppo a lungo, amato da troppa gente, l’élite nel solco della storia laburista lo aborre; il processo può mostrare come questo, in tutto il mondo, si sia trasformato in violenza e denigrazione, come si cerchi di nascondere sotto un monte di fake news la capacità eccezionale di chi ha condotto Israele, dopo la palude di fuoco del 7 di ottobre, a una situazione in cui i suoi peggiori nemici sono ormai distrutti.

Netanyahu ieri ha raccontato se stesso, ha spiegato non il processo, ma come la sua determinazione ha trascinato il Paese ferito a morte in una battaglia che ha destrutturato l’asse del male guidato dall’Iran. Netanyahu ha deciso di parlare di sé, della sua scelta di fondo di dedicarsi a battere il nemico più pericoloso l’Iran, con Hamas e Hezbollah. Dunque, in una situazione paradossale ieri si è visto un leader che fronteggia sette scenari di guerra tutti in fasi decisive, che deve decidere a ogni istante che fare con l’esercito siriano mentre si disegna un nuovo Medioriente, che sta trattando minuto per minuto il rientro dei rapiti, costretto invece, a scendere tre volte a settimana in un bunker due piani sottoterra per sei ore al giorno per rispondere su domande relative a sigari e giornali. Netanyahu non ha ricusato il processo, anche se molti dicono che avrebbe dovuto rimandare: lo si fa anche per matrimoni e funerali, Bibi aveva chiesto due giorni invece di tre la settimana, ma ai giudici non è piaciuto. Lui ha mantenuto un umore gioviale, è rimasto quattro ore in piedi, la sua scelta è stata raccontare la sua vita dedita a Israele e il suo successo strategico, indicando così la povertà del momento. L’accusa più grave è relativa a casse di champagne e a sigari: Netanyahu dice che odia lo champagne, che non ha tempo di fumare sigari, non si è quasi accorto di una captatio benevolentiae da parte del milionario Minchen che voleva essergli amico e mandava regali per compleanni e feste, e con cui forse la corruzione sarebbe rappresentata da un aiuto per un visto per gli USA.

 Le altre due accuse sono riferite ai media: Netanyahu avrebbe ascoltato la proposta del padrone di Yediot Aharonot, un giornalone, di favorire una legge contro il giornale gratuito Israel Hayom in cambio di una copertura più pietosa. Il giornale gratis viene tuttora distribuito a ogni angolo.  Nell’ultimo caso, Netanyahu è accusato di aver firmato nel 2010 una regola a favore della compagnia Bezec Telecom, a vantaggio del padrone del giornale on line Walla, Shaul Elovitch. Solo che Netanyahu lo ha conosciuto solo nel 2012. Né Walla ha mai mostrato simpatia per Netanyahu.

Nel giugno 2023 i giudici suggerirono all’accusa di lasciar cadere le accuse, citando “difficoltà” nel definirle. Il consiglio fu ignorato. Con un castello di accuse così fragile in un momento tanto importante il Primo Ministro è costretto nel sotterraneo. Ma all’aria aperta, Israele, secondo la strategia perseguita per anni da Netanyahu ha battuto l’anello di fuoco dell’Iran e ora distrugge la possibilità che un fronte jihadista prepari nuove conquiste dalla Siria. Dal processo, il Primo Ministro di Israele ha annunciato che resta sul fronte.    

 

L'Asse del Male finito il 7 ottobre

lunedì 9 dicembre 2024 Il Giornale 4 commenti
L'Asse del Male finito il 7 ottobre

Il Giornale, 09 dicembre 2024

Il mondo è cambiato con la caduta di Assad, e non solo il Medio Oriente. La ragione sta in un subitaneo scivolamento delle “fiches” dell’asse del male l’una sull’altra, tutte di colore nero: questo movimento continua, tocca fino Mosca, chiede risposte dall’Occidente, dal Lontano Oriente, dall’Africa. Perché se la sua caratteristica è che i malvagi uno a uno perdano, non è tempo di cambiare strategia, di puntare alto, un po' per tutti?  I leader degli assassini, i terroristi di Hamas (come Sinwar), di Hezbollah, (come Nasrallah) sono stati uccisi; oppure come Assad, il dittatore che ha ucciso col gas venefico mezzo milione dei suoi cittadini, sono fuggiti. Quale che sia il futuro, oggi i piani del “cerchio di fuoco” che parevano guidare la danza sono finiti, chiusi; i grandi capi della vicenda sono stupefatti e dolenti, in particolare gli Ayatollah e Putin.

Vero, un dittatore, il turco Erdogan, vive un momento di felici aspettative perché i sunniti, che in Siria sono il 70 per cento, guidati da Hayat Tahrir al Sham e dal suo amico al-Julani gli crea spazio per i suoi disegni espansionisti. Ma in Siria i Curdi che occupano il 40 per cento del territorio non intendono accettare che il loro peggiore nemico dilaghi, e forse al-Julani, che si esprime in maniera cauta, vuole rafforzare il suo potere. La grande jungla non è diventata un boschetto. Ma questo, fa parte della storia del Medioriente e Israele dopo aver bombardato un paio di depositi e fabbriche di armi di distruzione di massa (gas Sarin, forse, e altro) e aver stanziato per la prima volta dal 67 qualche carro armato nella zona cuscinetto del Monte Hermon, dalla parte siriana, è consapevole che i nuovi padroni non sono amanti di Sion. La storia è stata fra le più concitate possibile, un regime pronto a tutto da 53 anni è stato rovesciato in poche ore, e quasi senza violenza. Ma l’inizio della fine del cerchio di fuoco che ieri ha preso l’ultimo colpo, è il 7 di ottobre del 2023 quando dilaga la spaventevole fuoriuscita di orrore, con cui Hamas credette di poter fare a pezzi lo Stato di Israele. Doveva essere la fine dello Stato Ebraico il grande piano congegnato con la leadership iraniana gli Hezbollah invincibili, superattrezzati con 250mila missili. Con loro l’Iraq e i Houty, e a guardia di Assad, la Russia di Putin con gli hezbollah. Le armi iraniane passano tutte dalla Siria.

Solo due giorni fa a Doha la Russia, l’Iran la Turchia, siedevano con cinque stati arabi. Già si leccavano le ferite, spostavano le pedine… e poi, la Siria: il ministro degli esteri iraniano Abbas Araghchi, nervoso e stravolto racconta che ha chiesto invano più volte all’Iraq di intervenire; Sergei Lavrov si spazientisce col giornalista di al Jazeera: quello gli chiede quel che succederà col porto di Tartus o l’aeroporto di Hmeimim, da cui la Russia tiene il Medioriente per il collo, e Lavrov risponde “insomma, vuoi che ti dica che  abbiamo perso!” e poi passa all’Ucraina, dove per altro è in crisi il rapporto con un’Iran basato sui fruttuosi droni contro Israele e contro Zelensky. Ambedue hanno perso tanti miliardi e tempo a Gaza, a Beirut, a Damasco.  L’Iran teme, raccontano adesso da Teheran in molti, che la sua sconfitta si trasformi in un rovesciamento del regime; potrebbe avere una crisi isterica e passare alla bomba atomica, anche se l’attacco del 26 ottobre dei cento F35 lo ha lasciato quasi senza missili balistici e sistemi di difesa. E i suoi Hezbollah dopo il fantasmagorico attacco dei beeper e poi la fine dell’invincibile Nasrallah, sono l’ombra di sé stessi. Israele ha sconfitto l’asse del male. La leadership della Jihad Islamica è scappata da Damasco e si è rifugiata a Teheran. È chiaro che la sconfitta dell’asse sciita fa posto ai sunniti che contano anche le peggiori organizzazioni terroriste. Esse hanno l’appoggio di Erdogan. Ma il fattore Trump per cui Putin e Khamenei hanno lasciato perdere Assad, può avere un suo riflesso speculare sulla parte sunnita, più esplicitamente interessata, in alcune componenti, a un rapporto con gli USA e anche con Israele. 

Inoltre Israele ha imparato la lezione: non tornerà al 6 di ottobre. L’Iran battuto e spaventato non è diverso dalla vecchia entità fanatica e violenta che marciava vittoriosa: Israele deve tener presente come primo fronte quello della bomba atomica. Da una parte ha di fronte Juliani, da verificare, e Erdogan che potrebbe anche giuocare il ruolo di domatore degli estremisti. Dall’altro Khamenei che certo sta già progettando la puntata nucleare della guerra contro Israele e l’Occidente.  

 

La scure anti Hamas di Trump

giovedì 5 dicembre 2024 Il Giornale 1 commento

Il Giornale, 05 novembre 2024

“Che questa verità serva a chiarire”, dice Trump nel messaggio in cui minaccia Hamas che “se Hamas non restituisce i rapiti entro il 20 di gennaio la punizione sarà la più dura di tutta la storia degli Stati Uniti”. È una svolta non solo pratica, ma conoscitiva. È la parola verità che la crea. Trump, infatti, identifica finalmente in Hamas l’unico responsabile delle atrocità, della vita e della morte dei 101 essere umani nelle sue mani: e si stupisce, e quanto a ragione, che se ne chiacchieri e si esclami, senza decidere per un’azione. La parola verità nella melma antisemita che ha invaso il mondo dopo il 7 di ottobre ha cancellato assassini e vittime, gli ha scambiati di posto, ha riempito il mondo di porcherie storiche e politiche, di folle impazzite. Il rovesciamento della verità per cui una mandria di migliaia di assassini ha fatto a pezzi, uno ad uno e per scelta, famiglie innocenti si è trasformata in odio per gli ebrei e in minaccia per l’Occidente.

Adesso, con questa decisa presa di posizione di Trump, si è alzata una bandiera mentre si sta organizzando un gruppo di governo che sembra orientato a fronteggiare la violenza non solo di Hamas, ma anche quella dell’Iran coi suoi proxy.  Hamas è quello che deve essere: il solo colpevole. Da una parte il bene, Israele e i suoi rapiti, e dall’altra il male, Hamas e chi gli sta dietro. Questi, soccomberanno. È un punto di vista andato perduto dal 7 di ottobre anche qui: lo slogan “Bring Them home” rivolto a Netanyahu, ha spesso sottinteso che la maggiore responsabilità non fosse di Hamas ma di Bibi. Le manifestazioni di strada in Israele, confuse dall’odio politico, accusando Netanyahu di non volere una tregua per tenere in piedi il governo (la tregua col Libano ha smentito nei fatti questa idea), si sono trasformati in manna per Hamas, che ha alzato il prezzo di un accordo che non si mai profilato da parte di Hamas se non al prezzo della sopravvivenza del regime di Gaza. Hamas, e l’ha confermato Blinken insieme a Biden stesso, ha rifiutato tutti gli accordi cui invece Israele era disposto, salvo tormentare e poi giustiziare vilmente i rapiti (si è conosciuto ieri un nuovo episodio) non dimenticando mai di fomentare lo scontro e il tormento di tutta Israele. Adesso è finita: se i rapiti non vengono a casa, se la società occidentale è investita da un’aggressione totalitaria violenta, questo deve essere fermato a ogni costo. Non con inutili regalie, con aiuti umanitari di cui si impossessano i terroristi, con calunnie verso Israele, nemmeno dando spazio all’attacco politico che rafforza palesemente il nemico mentre si combatte una guerra indispensabile e il più possibile contenuta nonostante gli scudi umani. Lo slogan finalmente non è “Bring Them Home”, portali a casa, ma “Let My People Go” lascia andare la mia gente. 

 

Ondata sunnita. Ma per Israele sono tutti nemici

martedì 3 dicembre 2024 Il Giornale 0 commenti

Il Giornale, 03 dicembre 2024

Gli strati tettonici del Medio Oriente sono in movimento, non c’è forza che possa bloccarli. Si tratta per ciascuna delle forze in campo, in un panorama vasto come il mondo intero, di piazzare le mosse giuste per tempo. Un grande movimento geopolitico sposta l’epicentro dall’Iran, accucciato e confuso, e vede in Siria il terreno di scontro di sunniti e sciiti per la leadership della guerra jihadista al mondo. La scena si apre, si può dire, a Beirut con la scossa dei beeper e poi con l’incredibile eliminazione di Nasrallah: l’Iran scopre che il 7 ottobre è stato investimento sbagliato, si rende via via conto che i maggiori proxy del suo asse della resistenza vanno a pezzi. Intanto, nemmeno Israele rende conto di quelli che si chiamano in linguaggio tecnico “unintended results” della guerra: se ne accorgono benissimo i nemici sunniti, e non solo, di Assad. Il suo regime ha la base nel partito Ba’ath fondato nel 1930 sul modello del partito fascista, guidato dagli Alawiti, un gruppo musulmano sciita, con Drusi, Ismaeliti, e cristiani ortodossi.

 La sua caratteristica in questi anni è stata la strage spietata di centinaia di migliaia di oppositori, anche con gas venefici, mentre il mondo, specie gli USA, si voltavano dall’altra parte, e l’Ingresso progressivo in un’asse controllato dalla Russia che ne ha fatto il suo bastione sul Mediterraneo. L’Iran, usando la Siria come la chiave d’ingresso delle armi e dei suoi uomini nel mondo arabo, ne ha fatto la rampa di lancio con cui ha trascinato il Medio Oriente nel bagno di sangue del 7 di ottobre. La Cina è rimasta sempre astutamente nel ruolo di osservatore legato alla Russia. Israele in questi anni con interventi continui, mai rivendicati, si è occupata soprattutto di evitare che la Siria diventasse l’autostrada da Teheran: i carichi d’armi e i generali iraniani e degli hezbollah sono stati sistematicamente eliminati. Assad, mentre vedeva la guerra avanzare a Gaza e in Libano, aveva negli ultimi mesi cercato di evitare un legame troppo stretto con l’Iran: pure, sul suo territorio contro l’asse iraniana indebolita si è riaperta l’antica guerra imperiale della Turchia sunnita forte anch’essa dei suoi proxy, che sono molti. La Turchia di Erdogan coltiva il sogno dell’Impero Ottomano, anche se la sua diplomazia si giostra con manie di grandezza anche maggiori (Putin, o i Cinesi). La Siria vede adesso all’attacco i suoi jihadisti, che uniscono alla sofferenza a causa della dittatura di Assad il sogno dello stato islamico dell’Isis, o di Al Qaeda. Da Aleppo a Idlib, e mentre punta a Damasco, Hayat Tahrir al Sham (HTS), feroci militanti di Al Qaeda, per vincere cercano anche gruppi non estremi: SDF, Sirian Democratic Forces sostenute dagli USA o i Curdi che Erdogan odia. Erdogan li sosterrà come l’Iran sostiene Assad, Hezbollah, Hamas, Houty, iracheni. Gioca la sua battaglia egemonica, un grande fronte sunnita contro quello sciita, sono finite le visite di cortesia, e la Russia faccia i suoi conti. Basandosi anche su Libia, Egitto gruppi sunniti, avrà un esercito dominato dalla Fratellanza Musulmana. Hamas che ha giocato in questi anni fra Teheran e Turchia col Qatar, adesso si volgerà a Erdogan. Israele può solo tenere duro su tutti i confini: i nemici dei miei nemici non sono miei amici. 

 

Cara Liliana ti sbagli. È difesa non vendetta

sabato 30 novembre 2024 Il Giornale 8 commenti

Il Giornale, 30 novembre 2024

Non so farmi una ragione dell’articolo della Senatrice Liliana Segre, che amo come ebrea e venero come sopravvissuta della Shoah, se non immaginando che nella sofferenza dell’attuale ondata di antisemitismo e di Israele in guerra, spinta dal desiderio di aiutare il mondo ebraico, sia inciampata in un suo legittimo sogno di pace e di equidistanza. Tuttavia, a mio parere, gli ebrei e il mondo civile in generale, non possono abbandonarsi a questo sogno: la verità è l’unica arma per vincere una battaglia, quando essa è per la vita. E questa lo è. L’intenzione della Senatrice è buona: quella di smontare l’accusa di genocidio. Ma nel farlo, Liliana Segre lascia aperto il campo all’accusa di crimini di guerra: tuttavia facendo questo, non fa un buon servizio alla verità fondamentale del diritto all’autodifesa da una forza invece razzista, genocida, e potentissima. Quella dell’Iran e dei suoi proxy, Hamas, Hezbollah, e altri. La Senatrice mette in campo la sua conoscenza giuridica e morale e anche la sua esperienza personale, per individuare giustamente il rovesciamento dell’accusa di nazismo sugli ebrei come pilastro dell’attuale antisemitismo: Robert Wistrich ci ha scritto dei volumi, e così è oggi.

Ma già dal primo incipit della sua riflessione, le carte che mostra sono quelle di una scelta di campo, quella del “cessate il fuoco” e dell’equiparazione delle forze in campo, palestinesi e israeliani. Ma non c’è equipollenza qui: si tratta di scegliere fra il bene e il male, la violenza e la pace, la dittatura e la democrazia.  Non è virtuosa di per sé la preferenza per il “cessate il fuoco”, quando la guerra è nata da un assalto senza precedenti da parte di una forza assassina che doveva e deve essere necessariamente fermata perché non prosegua o ripeta, forte della sua ideologia nazista, i mostruosi crimini compiuti. Di questo vive Hamas, mentre Israele vive di pace, come ogni democrazia, e va in guerra solo se è obbligata sin dal 1948. Allora, però, c’è un tempo per la pace e uno per la guerra: ed è sbagliato supporre in Israele, aggredita, un supposto spirito di vendetta. Non l’ho visto. Ho visto il sacrificio di una società stupefatta, eroica che è corsa a salvare la gente aggredita e poi a smontare il regime jihadista che ha ordinato di uccidere donne e bambini.

 Il “pessimo Governo” di Israele, come lo chiama senza spiegare la Senatrice, che come si vede invece cerca subito la tregua, come ha fatto in Libano, appena può, ha cercato solo di salvare il proprio popolo. Sono certa che la maggior parte degli ebrei del mondo è orgogliosa, certo offesa e furiosa per l’ondata di antisemitismo, condivide la guerra di salvezza di Israele, vede chiara la follia dei cortei che quando urlano “Intifada” tengono per un culto della morte in cui dissidenti, omosessuali, donne sono esclusi dalla civile convivenza. Non c’è stato crimine, né vendetta, ma una guerra combattuta sopra gallerie che per 800 chilometri hanno ospitato solo i miliziani di Hamas gli scudi umani di Hamas, unico responsabile dei suoi cittadini, spesso volenterosa parte della nazificazione che ha nascosto in casa, nelle scuole e negli ospedali le armi e i terroristi.

Israele dal primo giorno ha fornito cibo e acqua e elettricità, ha cercato con schiere di avvocati di definire la legittimità degli obiettivi, ha sparso milioni di volantini e telefonate per far spostare la gente, mentre Hamas bloccava gli aiuti alimentari e gli scudi umani con i kalashnikov. Perché si accusasse Israele di crimini contro l’umanità. Questo anche quando i numeri, anche quelli forniti dal fantomatico governo di Gaza, danno una percentuale di un caduto civile per un caduto “militare”; la più bassa di ogni conflitto dal 1945. Israele non ha compiuto crimini di guerra, ne ha solo subiti; le accuse delle corti di giustizia nell’ONU e sono l’emanazione della maggioranza automatica che copre lo Stato Ebraico di odio e si associa a quel mondo in cui non c’è né diritto né giustizia, ma solo lo scopo di distruggere gli ebrei, Israele, l’Occidente. Il “pessimo governo” di Netanyahu è l’unico governo democratico mai stato giudicato colpevole; i ragazzi di Israele e i capifamiglia che lasciano tutto per andare nelle riserve, non hanno mai compiuto nessuna crudeltà paragonabile al 7 di ottobre. Questa è una guerra di sopravvivenza del popolo ebraico, una faticosa virtù che salva il mondo. 

 

Così Netanyahu ha indebolito l’Iran

giovedì 28 novembre 2024 Il Giornale 1 commento

Il Giornale, 28 novembre 2024

La folta schiera dei critici di Netanyahu in Israele e nel mondo intero è sul piede di guerra: interessante che i pacifisti siano contro il cessate il fuoco, sostenendo con buone ragioni che non contiene la garanzia per i settantamila cittadini israeliani sloggiati da casa di potervi tornare in sicurezza; da destra molti avrebbero voluto vedere stavolta, dato che il lavoro era ben avviato, la fine degli Hezbollah, la maggiore organizzazione terroristica del Medio Oriente, il braccio destro del drago omicida, l’Iran. Anche questo non è accaduto. E tuttavia, se l’onestà per una volta prevarrà sulla politica, non si può altro, adesso, che lodare Netanyahu per la leadership e il coraggio che ha portato a questa pace: intanto la maggiore accusa di questi 14 mesi di guerra su sette fronti è stata che egli la volesse perpetuare senza riguardo per rapiti e soldati così da conservare un potere senza scadenza.

Questo punto viene smontato da una scelta che gli aliena parte del suo elettorato e che vede quanto il famoso superdestro ministro Ben Gvir sia invece lontano dal Primo Ministro, da cui dissente senza che Bibi dia segno di fastidio. Dal punto di vista strategico, Netanyahu ha compiuto la scelta onesta di affrontare la realtà senza fantasie di vittorie assolute nel contesto jihadista dell’area mediorientale. Gli Hezbollah anche se azzoppati e monchi vorranno tornare sul campo, ma intanto si è rotto il cerchio di fuoco formato da Nasrallah e Sinwar, ambedue eliminati con gesti di rocambolesca abilità dalla scena; le spaventose riserve di missili sono in parte state distrutte, la via con la Siria è tagliata, Hamas ha perso la sua sponda maggiore, e chiede di riaprire finalmente la questione degli ostaggi chiamando da Gaza ormai frammentata come mai non era stata. Lo Tzir Philadelphi, il suo polmone di rifornimento è in mano a Israele, i suoi leader dispersi o morti. La schiera di mallevadori dell’attuale cessate il fuoco ha dovuto compiere dei passi che portano a pensare che l’antagonismo contro Israele sia temporaneo e labile: la Turchia si è messa disposizione, dopo che Erdogan chiamò “Hitler” il Primo Ministro israeliano e gli giurò odio eterno; la Francia pur di partecipare alla svolta ha rinunciato all’idea criminale di arrestare Netanyahu e Gallant secondo l’ordine della Corte Penale Internazionale.  Si apre uno scenario in cui si riaffaccia l’Arabia Saudita, ha detto Biden, e si intravede, fra poco meno di due mesi quando Trump si instaurerà, una situazione per cui l’Iran ha già cominciato a acquattarsi e a fingersi contenta della tregua: in realtà e stata schiacciata dalla forza autonoma di Israele e dalla sua alleanza con gli USA, forte oggi con Biden, e più forte domani con Trump. E questo, nonostante si sia cercato in questi mesi di imporre senza sosta a Netanyahu di abbandonare il campo, di lasciare Hamas in vita e gli Hezbollah padroni del confine nord. Rifiutandosi di farlo Netanyahu e esercitando il diritto alla difesa, mai dimenticando il 7 di ottobre e l’Iran, è diventato oggetto delle calunnie e le offese del mondo intero: assassino, guerrafondaio, criminale genocida. Il terribile risveglio di Beri per lui è stata una svolta conoscitiva simile probabilmente a quella che il mondo dovette affrontare con la salita al potere di Hitler. La sua decisione di distruggere Hamas ma di trovare un varco nella vicenda libanese per riaprire a un grande processo di pace che tenga nell’orizzonte la promessa di distruggere la macchina motrice della guerra, l’Iran, è la strada che con la sua determinazione, la sua prepotenza, il suo soldatesco e sofisticato impegno intellettuale ha evitato la sconfitta e portato a imboccare una strada nuova.

 Bibi sa che Israele è sola a difendersi, ma che ha dalla sua la solidità della storia ebraica plurimillenaria e la giovinezza dei soldati sul campo, lo Stato d’Israele che parte dell’Occidente sa, nonostante tutto, essere il suo scudo ultimativo. Hezbollah adesso è stato costretto a accettare un cessate il fuoco senza legarlo all’uscita da Gaza, e questo rompe l’anello di fuoco dell’Iran. Altro verrà, Netanyahu sa che il Medio Oriente prepara una sorpresa al giorno; ma l’Iran adesso è molto più debole del 6 ottobre.   

 

Un patto per la pace. Controllare Hezbollah e concentrarsi sull’Iran

mercoledì 27 novembre 2024 Il Giornale 0 commenti

Il Giornale, 27 novembre 2024

Non sarà un accordo come quello del 2006 che è stato ridotto a pezzi il giorno dopo firmato perché non c’era né sorveglianza né attori capaci di tenerlo in piedi. Oggi è diverso, specialmente è evidente la coscienza della fase nuova in cui lo si firma: dopo il 7 ottobre, la fine delle illusioni e con la consapevolezza che bisogna andare avanti. I termini erano simili allora, quelli della risoluzione 1.701: Hezbollah doveva, disarmato, ritirarsi oltre il Litani, l’Unifil sorvegliare con l’esercito libanese che Nasrallah non tornasse nel Sud del Libano. Un patto fallimentare, coi libanesi spaventati e, nell’esercito, spesso sciiti come gli Hezbollah; l’Unifil imbelle e perfino connivente con chi è contro Israele. Tzipi Livni, che aveva condotto in porto quell’accordo pagò col fallimento politico: la Taqiyya, la legittima menzogna in favore dell’islam, ricostruì sul confine le forze Radwan; il meccanismo di aggressione terrorista accumulò centinaia di migliaia di missili e droni e scavò di nascosto gallerie fin sotto le case in Galilea: dal 7 ottobre questo è diventato guerra di invasione a fianco di Hamas. Perché l’accordo fallì? Mancò il meccanismo di controllo e di intervento.

Adesso Netanyahu mette piedi, con il supporto americano, un accordo che consente di sapere se Hezbollah prepara sorprese e di agire per tempo: Radwan dovrà restare lontano dal confine, sarà disarmato, non potrà ricostruire i villaggi fasulli pieni di armi e di gallerie. Se arriva un camion, si verificherà che non porti armi, per la prima volta. Israele cerca la pace fuori dalle illusioni che hanno portato al disastro del 7 ottobre.

È possibile? Si può tenere a bada gli Hezbollah? E perché lo si deve fare proprio adesso che Israele ha ridotto a pezzi la forza terrorista al servizio degli ayatollah avendo eliminato Nasrallah e i suoi ufficiali, compiuto operazioni da leggenda come quella dei beeper, distrutte in gran parte postazioni e riserve economiche e militari? Hezbollah ha come unica ragion d’essere l’attacco genocida a Israele e l’ubbidienza all’Iran. Ma Israele - come ha spiegato Netanyahu - vuole evitare che Biden, stizzito, lasci che il Consiglio di Sicurezza dell’Onu, sulle tracce di Obama nel 2016, lo condanni; vuole che le riserve che da più di un anno combattono vittoriosamente, ma vengono feriti e uccisi fra Gaza e il Nord riprendano fiato; vuole accelerare il rifornimento di armi americane; vuole che Hamas, ormai isolato definitivamente, si decida a trattare sui rapiti.

 Israele peraltro non si è mai posta l’obiettivo di cancellare Hezbollah, dovrebbe occupare il Libano. Lo stato ebraico sa che continuare a combattere gli Hezbollah toglie tempo e forze rispetto all’obiettivo essenziale, l’Iran, che prepara la bomba atomica mentre riassetta la sua strategia di accerchiamento fallito, ma non concluso. Il meccanismo dell’accordo costruisce la possibilità, su cui ha lavorato in profondità il ministro degli Affari Strategici Ron Dermer, di agire rapidamente su nuove importazioni di armi, su violazioni per ricostruire una forza d’attacco. Le vie di rifornimento dalla Siria, autostrada iraniana per Beirut, saranno chiuse; sul terreno Israele, gli americani, Centcom, qualche Paese arabo, creeranno anche una nuova prospettiva per Gaza. La Francia, che ha fatto sapere di essere intenzionata ad arrestare Netanyahu, non trova naturalmente la fiducia di Israele. E quando la questione fra due mesi sarà nelle mani della nuova amministrazione americana, si sarà capito ormai se il terrorismo di Hezbollah, figlio degli ayatollah, continua: nel qual caso, è logico aspettarsi un ampio «go» invece che un «don’t».

 

 

Abu Dhabi è il nuovo fronte per minare i Patti di Abramo

lunedì 25 novembre 2024 Il Giornale 1 commento

Il Giornale, 25 novembre 2024

Questo è il Medioriente: mentre sembra che proceda la trattativa col Libano,150 missili di Hezbollah sono piovuti su Israele, Israele attacca Dahia. Ci vuole una forte determinazione a credere nella convivenza con l’Islam, ma questa era appunto la scelta del giovane rabbino lubavitcher Zvi Kogan, che aveva dedicato la sua vita a far fiorire l’unica alleanza solida col mondo arabo, quella dei patti di Abramo, negli Emirati. Ma, proprio ad Abu Dabi, Zvi è stato ucciso da emissari iraniani, laddove invece col mondo sunnita aveva costruito corsi di cultura ebraica, un dialogo interreligioso, un supermarket di cibo kasher, una struttura di accoglienza per gli ebrei in viaggio. I Lubavitcher sono un gruppo missionario che studia la Torah e vive seguendo i precetti religiosi sulle orme del grande saggio di New York Menachen Mendel Schneerson. Nelle case dei Lubavitcher trovano una minestra, un letto, una parola buona e generosa tutti i pellegrini ebrei nel mondo: Kogan era là ormai da tanti anni, da prima dei Patti di Abramo del 2020, ancora un ragazzo con la giovane moglie Rivky, il viso sorridente nel dialogo emotivo e molto denso che conduceva fra islam ed ebraismo.

Era noto a tutti, ben conosciuto dalle autorità locali, adesso molto turbate dagli eventi inaspettati e imbarazzanti in un mondo piccolo e ben controllato. Nel 2021, nel Giorno della Memoria della Shoah in una cerimonia interreligiosa con ebrei, Islam e cristiani, era stato Kogan a recitare la preghiera comune e ad accendere le candele della memoria. Il suo ruolo era religioso, ma anche politico: organizzava lezioni e incontri che costruivano un futuro di amicizia, è stato bloccato da chi non voleva. Stava andando al supermarket di cibo kasher quando tre giorni fa, è sparito. A lungo si è sperato che sarebbe ricomparso: gli emirati sono puliti di terroristi, sorvegliati con cura. Dall’aeroporto di Tel Aviv, semi inattivo dal 7 di ottobre, 8 voli ogni giorno vi portano cittadini israeliani per vacanze sicure e per affari importanti. Così l’oasi politica di Abu Dhabi è stata identificata dall’Iran come un altro fronte da cui attaccare Israele. Gli uomini del Mossad al lavoro insieme alla polizia locale hanno dovuto scoprire il corpo di Zvi quasi sul confine dell’Oman. Da là si sono involati tre assassini di nazionalità uzbeca, sembra diretti in Turchia. Là sono approdati anche gli uomini di Hamas trasferiti dal Qatar. Zvi era un ebreo religioso che aveva fatto il suo dovere di soldato nell’Unità Givati.

Adesso, da privato cittadino, era pur sempre un israeliano: l’Iran conduce la sua guerra agli ebrei in tutto il mondo usando sempre un “proxy” che gli presti il suo nome. In grande, Hamas e gli Hezbollah, o gli Houty... in piccolo, sicari di varie nazioni che hanno agito in Argentina, a Parigi, a Istanbul, due settimane fa in Tailandia e in Sri Lanka, una settimana fa con un attentato preparato contro Erwin Cotler, ex ministro della giustizia canadese, ebreo.  L’Iran supera i confini della guerra guerreggiata per colpire gli ebrei dove viaggiano o vivono la propria vita, fomenta l’antisemitismo e la violenza contro la società occidentale delle tante aggressioni di Amsterdam, o di New York, o della sentenza della Corte penale internazionale, e dei social media. Dall’omicidio di un rabbino di 28 anni per minare i Patti di Abramo fino alla costruzione della bomba atomica, l’Iran tira i fili di un grande attacco agli ebrei e all’occidente.   

 

 

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