Fiamma Nirenstein Blog

La guerra antisemita contro l'Occidente

7 ottobre 2023 Israele brucia

Jewish Lives Matter

Informazione Corretta, il nuovo video di Fiamma Nirenstein

Museo del popolo ebraico

Dalle accuse ai successi. Il disegno di Netanyahu e la grande sfida finale: "Decapitare la piovra"

martedì 1 ottobre 2024 Il Giornale 0 commenti
Il Giornale, 01 ottobre 2024
 
Non è meno stupefacente dell'impossibile eliminazione di Nasrallah l'ammirato sguardo del mondo verso il personaggio che tutto il conformismo internazionale ha amato odiare, e ha usato come schermo per attaccare Israele, la guerra, gli ebrei: Netanyahu. Perché nello slang comune si poteva dire: «Magari è vero che Israele ha sofferto il 7 di ottobre, è vero che l'Iran le ha scatenato contro l'inferno... ma certo, questo Netanyahu». In queste ore il rovesciamento è stupefacente anche nell'opinione pubblica israeliana: non è solo l'Onu che nel 2023 ha dedicato due terzi delle sue risoluzioni di biasimo a Israele, anche i telegiornali israeliani hanno dedicato tre quarti delle notizie alla durezza di Netanyahu che vuole per forza andare a Rafah, si impunta nel voler trattenere nelle sue mani il confine di Gaza con l'Egitto, lo Tzir Filadelfi, risponde in maniera assolutamente impropria a un presidente degli Stati Uniti generoso come Biden, che gli chiede il cessate il fuoco, e Bibi si impunta. È stato Netanyahu, ha ripetuto la vox populi, a insistere su una guerra criticata da tutto il mondo per la sua lunghezza e la sue durezza, che ha alzato le spalle davanti alle accuse dell'Icj e dell'Icc; se ne è infischiato quando lo hanno comparato a Sinwar e chiesto il suo arresto o quando hanno accusato il Paese di genocidio. L'isolamento non lo ha toccato. Netanyahu ha più volte ripetuto che a Gaza si doveva continuare a combattere fino alla vittoria, fino alla distruzione di Hamas per non rischiare un 7 ottobre numero due; è stato vissuto dall'opinione pubblica internazionale come una minaccia alla stabilità mondiale, come un guerrafondaio. Bibi è stato svillaneggiato ovunque. È stato anche accusato dell'orribile ipotesi che ignorasse la necessità primaria di liberare i rapiti, a volte è stato assurdamente biasimato più di chi i rapiti non li ha mai voluti scambiare veramente, Sinwar. Alla base di queste accuse quella cocente, che certo Netanyahu vive come la grande frattura nella sua vita e come un'onta da lavare, di aver fallito il compito di salvare Israele dall'attacco del 7 ottobre. Insieme, si sono sentite spesso le consuete accuse legate al suo processo, alla sua troppo lunga permanenza nel ruolo di primo ministro (17 anni in tutto), all'incapacità di coltivarsi dei successori, il suo governo troppo di destra, con due ministri come Ben Gvir e Smotrich molto discussi. Il suo essere un laico moderato è stato ignorato nell'antipatia dell'amministrazione americana di sinistra di aver un governo in cui specie Ben Gvir ha sollevato spesso questioni infiammatorie, come quella della Spianata delle Moschee, su cui Netanyahu ha sempre tentato, inascoltato, di porre un freno. Ma la svolta è venuta quando Netanyahu ha potuto mettere in pratica a fondo, nell'azione del Mossad, dell'esercito la sua teoria, che spiega da decenni: Israele è assediato da una piovra con una testa minacciosa e feroce, che ha disegnato l'uso di Hamas, degli Hezbollah, degli Houthi, dei siriani, degli iracheni, in funzione della distruzione dello Stato d'Israele e dell'Occidente tutto. Bisogna combatterla a fondo, frontalmente. Lo ha rispiegato all'Onu quattro giorni or sono, e mentre lo diceva, finalmente, ha premuto il bottone dell'azione che ha ricondotto Israele e il suo fantastico esercito a essere sé stessi. Nasrallah è stato ucciso in un'operazione prodigiosa, pochi giorni dopo l'incredibile operazione dei beeper. Intanto, a Gaza frenava, poteva farlo finalmente, e anzi disegnava l'ipotesi che l'invisibile Sinwar potesse cedere sulla restituzione degli ostaggi.
 
Tutto è sul tappeto adesso, e non sorprende che Gideon Sa'ar sia entrato nel governo dando a Bibi una stabilità nei numeri e quindi anche la possibilità di frenare Ben Gvir che non aveva avuto fino ad ora. Questo vuol dire accordi col mondo arabo, soprattutto con l'Arabia Saudita se si accorge finalmente che si disegna un nuovo Medio Oriente di pace, contro la piovra. Netanyahu non se ne era mai andato, ma adesso è tornato stabilmente, e alla vigilia del capodanno ebraico che è mercoledì sera, ha rivolto un discorso al popolo iraniano, un discorso semplice che si basa su quello che non si era mai visto ancora in Medio Oriente: arabi sunniti, curdi, siriani, iraniani, e persino palestinesi che lodano Israele, lo ringraziano, distribuiscono dolci e chiedono a Bibi di continuare.
 
Voi soffrite della miseria e della oppressione in cui vi ha gettato questo regime, dovete liberarvene, dice in sostanza il primo ministro, due antiche nazioni come il popolo ebraico e quello persiano, costruiranno un nuovo futuro insieme. Un pensiero degno di un grande disegno strategico, con tanta guerra ancora da combattere ma un fine chiaro, degno di Israele.

 

 

Il popolo ebraico fa un altro miracolo

lunedì 30 settembre 2024 Il Giornale 3 commenti

Il Giornale, 30 settembre 2024

Il prossimo 7 ottobre non sarà un anniversario di sole lacrime, di pura contrizione anche se la memoria è cocente. Il popolo d’Israele vive! E come, e non era affatto scontato. Tutta la sua storia è fatta di miracoli: per salvarlo dal Faraone all’inseguimento, si deve aprire il mare; dall’Inquisizione, dai pogrom, dalle mille altre aggressioni genocide cui è stato sottoposto l’uscita è sempre incredibile, sorprendente, specie per come gli ebrei ne sono usciti attivi, fedeli a se stessi e alla tradizione Torah, e al ritorno a Gerusalemme finché l’hanno realizzato. Il 1948 fu una guerra combattuta da reduci dei campi di concentramento eppure abbiamo vinto tutti gli eserciti arabi uniti nell’odio che ci marciarono addosso; e più avanti nel ‘67, nel ‘73… Tutte guerre vinte per un pelo, colpi di fantasia miracolosi, leader che partoriscono idee salvifiche che chi se le sarebbe aspettate. E adesso, mai nessuno avrebbe puntato un euro sull’idea che si potesse eliminare Nasrallah e tutta la sua gerarchia, pietrificando l’Iran cui abbiamo ridotto a pezzi anche l’altro suo proxy favorito, Hamas. E adesso abbiamo bombardato a duemila chilometri di distanza l’altro suo incaricato speciale, gli Houti, distruggendogli l’aeroporto da cui riceve armi e aiuti degli Ayatollah? Khamenei è nascosto sottoterra, gli sciiti iracheni e siriani aspettano il loro turno, le cinque capitali controllate da Teheran tremano.

È una misura di giustizia come ha detto Biden, ma Israele se l’è costruita col suo stile impossibile, difendendo i suoi cittadini fra mille divieti e senza paura di fantasticare, mettendo in atto il suo film di vittoria. Solo così si difende uno Stato giovane di 76 anni, attaccato da ogni parte. Israele cammina nella scia della storia del popolo che nato 2500 anni fa nella terra d’Israele, ora la difende, finalmente a casa, con tutto se stesso. La guerra certo non è finita, Hezbollah aveva almeno 100mila uomini: Netanyahu sa che la deve portare fino in fondo, nonostante la pressione internazionale cui Israele ha prestato per mesi orecchio. Adesso, ha capito che la sua stessa esistenza è a rischio definitivo se non ci sarà un “nuovo Medio Oriente”.

Strano era il modo in cui Shimon Peres chiamava quello che doveva nascere da un accordo che si è rivelato fallimentare: ora per stabilire la pace che Israele ama più di se stesso, lo Stato Ebraico ha capito che anche la guerra, come la pace, deve essere vera, fino in fondo, altrimenti vince e ti uccide chi non la vuole perché dominato da assurde convinzioni fanatiche e religiose (gli Houti che c’entrano con gli ebrei?). Questa è la lezione del nostro tempo, ma per tutti. Non solo per Israele: il popolo ebraico è il capofila di una pagina di storia in cui il mondo libero deve combattere a suo fianco, per la sopravvivenza. Adesso anche lui ha una splendida potenza di fuoco, aviazione, coraggio da vendere. Per ora ha eliminato con operazioni che faranno scuola nei decenni le due formazioni terroriste più pericolose del mondo: Hamas e Hezbollah. E sfida l’Iran. Vorrei sentire gli applausi, prego.     

 

"Ucciso Nasrallah". Israele si fa giustizia. E Teheran ora trema

domenica 29 settembre 2024 Il Giornale 2 commenti

Il Giornale, 29 settembre 2024

Israele è orgogliosa e contenta dopo tanto soffrire, Hezbollah rovinati, Hamas terrorizzata, Houthi e milizie irachene isteriche: l’Iran, la testa della piovra, nudo. Mai è stato così confuso: ora deve decidere se cercare di riprendere in mano la leadership della sua strategia di distruzione dello Stato di Israele in nome della vendetta per Hassan Nasrallah o fare un passo indietro nell’imbarazzo e nella paura, ridisegnando la strada per i suoi irrinunciabili obiettivi religiosi. Certo, il regime degli ayatollah promette vagamente vendetta, il presidente ha persino detto che l’Iran sa che l’ordine è venuto da Washington e che questo non verrà ignorato. Ma si capisce che non sa che cosa fare. Gli iraniani non agiscono d’istinto. Per ora comunicano che l’evento terribile ha aperto le porte dell’inferno, che non passerà invendicato, coprono di lode il «martire sulla via di Gerusalemme», invitano i musulmani di tutto il mondo a reagire, ignorando magari che una buona parte dell’Islam odiava Nasrallah... Ma la botta subita è cosa da ponderare, per Khamenei: Hamas è sull’orlo della sconfitta, Nasrallah è morto. La debolezza del disegno strategico di accerchiamento ed eliminazione di Israele sulla strada della sconfitta dell’Occidente è evidente, e la debolezza in Medioriente è imperdonabile.

È significativo che in base alla minaccia di Israele sull’uso di aerei civili iraniani per far atterrare all’aeroporto di Beirut armi e uomini, ieri il ministero dei Trasporti libanese abbia costretto un aereo da Teheran a tornarsene a casa senza toccare il suolo. Il Libano invece di obbedire, come da decenni, all’ordine degli Hezbollah, ha ascoltato Netanyahu. La rivoluzione che Israele sta inducendo nel Medioriente con l’eliminazione di Nasrallah è drammatica, convulsa: dal ‘92 teneva le redini del Libano soggiogato, era uno dei capi più carismatici e consolidati del terrorismo mediorientale e internazionale, il miglior alleato e proxy dell’ayatollah Khamenei.

Dopo un anno di paralisi, Israele ha rimesso in moto la sua capacità di difendersi con una reazione in più puntate, tutte leggendarie e tutte riuscite, e l’Iran è rimasto nudo di fronte alla determinazione di fronteggiare l’aggressione che è cominciata il 7 ottobre e ad uscire dall’accerchiamento. È ancora ben lontana la sua conclusione, Israele ha seguitato ieri ad attaccare le postazioni degli Hezbollah nel quartiere di Dahieh, mentre il Medio Oriente rimugina e si ridisegna sull’immagine del buco fumante fatto dalle 83 bombe da una tonnellata ciascuna lanciate dagli F15 israeliani. Da là il capo degli Hezbollah ha diretto attentati terroristici in tutto il mondo in nome della rivoluzione sciita di cui si riteneva un rappresentante forte quanto l’Iran. Nasrallah ha sbagliato quando ha deciso l’8 ottobre di affiancare Hamas con i lanci continui sulla popolazione israeliana del Nord, con l’Iran ha immaginato che la debolezza israeliana di quel momento fosse definitiva e che l’accerchiamento avrebbe distrutto lo Stato ebraico.

Dieci giorni fa l’attacco dei beeper e tutte le eliminazioni mirate hanno portato la storia a imboccare la strada contraria. «Chi ci colpisce, verrà colpito» ha detto Netanyahu nel suo discorso all’Onu, e sapeva quello che stava dicendo: lo ha sentito anche Khamenei, che sa che Nasrallah era uscito dal suo bunker per andare ad ascoltare proprio quel discorso che disegnava alla sua fine. Quando pochi minuti dopo aver concluso Netanyahu ha detto «Ken», «Sì» in ebraico al telefono, l’operazione impossibile è partita. Con Nasrallah si trovava anche il generale Abbas Nilforoushan, responsabile per il Libano e anche capo delle forze Quds per l’ordine pubblico. Un elemento in più che ha subito spinto Khamenei a farsi trasportare al sicuro in un bunker super difeso. Là certo medita, e si chiede se magari Israele visto il successo in Libano, non stia disegnando una definitiva resa dei conti. Intanto le sirene hanno suonato ieri al Tel Aviv, gli Houthi si sono fatti vivi.

Israele è in guerra ma non combatte più con una mano legata dietro la schiena, gli americani non erano stati avvertiti prima, ha detto Blinken, ma non è sembrato contrariato. Nasrallah ha ammazzato più americani che israeliani. E infatti Biden ha salutato la sua eliminazione come una «misura di giustizia». Adesso l’Iran trema. Stavolta Israele è in vantaggio e non stretta all’angolo come un anno fa.

 

Tutto può accadere. Ma adesso l'Iran sa che Israele è pronto

sabato 28 settembre 2024 Il Giornale 0 commenti

Il Giornale, 28 settembre 2024

Se Nasrallah sia vivo o morto, ancora non si sa: ma il Centro di comando degli Hezbollah che comanda almeno 40mila combattenti, governa 200mila missili, nuovi sofisticatissimi sistemi cyber… tutto è distrutto. E mentre scriviamo, giungono notizie sulla realistica possibilità che Nasrallah fosse davvero dentro il bunker distrutto a Beirut dalle forze israeliane. Netanyahu è sulla via del ritorno da New York, nonostante di Shabbat secondo la tradizione ebraica sia proibito viaggiare. Ma quando si tratta di “pikuah nefesh”, questione vitale, allora è permesso. E qui il caso è senza dubbio questo: questione vitale. Tutto può succedere adesso. Nel caso Nasrallah, il mitologico ieratico assassino capo degli Hezbollah, succeduto a Najaf al Mussay eliminato nel 1992, è ancora vivo, probabilmente vorrà dimostrare che può ancora dare fuoco a Israele per intero. Il fronte interno sta già dando istruzioni alla popolazione tramite la radio e la tv: state vicini ai rifugi. Nasrallah potrebbe reagire subito indicendo anche l’Iran a intervenire immediatamente per punire Israele, come non ha fatto per l’attacco dei beeper e l’eliminazione dei suoi capi di Stato maggiore successivi. Se invece è stato ucciso dall’attacco di Israele, il suo effetto potrebbe essere quello di paralizzare il nemico per un certo periodo, di bloccarlo finché riorganizza le forze dopo lo shock della perdita del capo supremo: il religioso ispirato che combatte aspettando il Mahdi, il messia shiita che porterà il dominio islamico, il modello fra i proxy dell’Iran, il terribile capo terrorista col turbante, organizzatore di una rete feroce, campione nel numero di morti in tutto il mondo, e anche in guadagni in traffici illegali.

Nasrallah è il parlatore instancabile, genio del male, inventore della teoria della debolezza sostanziale della società Israeliana in quanto tipicamente occidentale: “È debole come il filo di una tela di ragno” ha ripetuto più volte durante le tante guerre contro lo Stato Ebraico, anche quelle in cui veniva palesemente battuto, come nel 2006. Questa sua invenzione psicologica ha certo ispirato l’idea della possibilità di distruggere lo Stato Ebraico con attacchi militari e anche psicologici, che spezzassero l’unità. Sinwar se ne è ispirato esplicitamente. L’operazione “bombe sul rifugio di Nasrallah” a Dahya, il quartiere Hezbollah a Beirut è partita quando Netanyahu stava per salire ieri sul podio dell’ONU. Là di fronte a una platea ignara, dopo che da un ufficetto in albergo aveva consentito all’operazione, ha esclamato: “Quando è troppo è troppo”, nel corso di un discorso in cui ha spiegato, e non a caso, l’inevitabilità della guerra di necessità di Israele contro gli Hezbollah: ha raccontato come gli uomini di Nasrallah avessero preso a bombardare proditoriamente il suo Paese sin dall’8 di ottobre non essendo affatto coinvolti nella guerra di Gaza. Nasrallah ha deciso di fiancheggiare gli assassini di Hamas e quindi di rendere un’area fantasma, con le città e i kibbutz, una grande regione.

È la decisione inamovibile di riportare a casa i più di 60mila cittadini fuggiti dal confine per l’aggressione di Nasrallah, ha detto Netanyahu, che ci porta a combattere, e ce la faremo. Nel frattempo si compiva di sorpresa la più grossa operazione di guerra compiuta fin qui, senza operazione di terra. Il grande bunker di Nasrallah è stato colpito: il capo di Hezbollah da decenni si serve di rifugi profondamente nascosti sotto terra costruiti sotto edifici che ieri sono stati distrutti. Ieri potrebbe avere pensato che dopo che negli anni Israele l’ha risparmiato, anche adesso, in una giornata relativamente interlocutoria, con la proposta americana sul terreno, poteva allentare leggermente la guardia, specie mentre Netanyahu era negli USA, all’ONU. La decisione di Israele si incastona nel discorso dal podio: è solo con una guerra decisa che si conquista, ha detto Netanyahu, una vera pace per Israele, altro non si può fare contro i tanti nemici guidati dall’Iran che vogliono la sua distruzione da sette fronti, che combattere e vincere e con questo garantire ai possibili amici, come l’Arabia Saudita, che vale la pena di una partnership di sviluppo e difesa reciproca dall’Iran. L’Iran ieri sera ha già annunciato che le regole del gioco sono senza dubbio cambiate. Sembra logico che intenda prendere decisioni che lo disegnino come l’affidabile scudo di tutto il mondo sciita e di Hamas. D’altra parte, certo Israele ha pensato a questa possibilità, e l’Iran lo sa bene.        

 

Perché Israele (ora) non può accettare la proposta di cessate il fuoco col Libano

venerdì 27 settembre 2024 Il Giornale 0 commenti

Il Giornale, 27 settembre 2024

David Azulai è il capo del Consiglio Regionale di Metula, lui sa bene che cosa vuol dire essere espulsi dalla propria casa da undici mesi e più, e avere aspettato invano che il mondo dicesse una parola contro i colpi di mortaio e la pioggia di missili, più di 7500, che hanno martellato la vita della sua gente dal giorno dopo il 7 di ottobre fino a svuotare il nord della Galilea, il Golan, una zona del Kinneret, mentre andavano fuoco coltivazioni e foreste coltivate con fatica, e 3 milioni di Israeliani ancora ieri correvano nei rifugi. L’attacco di Hamas era avvenuto al sud, teoricamente Azulai e la gente al confine del Libano, non avrebbero dovuto essere coinvolti nemmeno per sogno: invece gli Hezbollah hanno cominciato a bombardare in sostegno di Hamas, giorno dopo giorno, i loro migliori alleati. Né USA né Francia hanno chiesto un cessate il fuoco.

Oggi Azulai afferma: “Il cessate il fuoco americano e francese garantirebbe un prossimo 7 ottobre qui al nord”. Netanyahu intanto ha deciso che comunque è pronto a discutere della offerta di cessate il fuoco, a patto che intanto abbandoni Hamas alla sua sorte, smettendo di dichiarare che combatterà al suo fianco fino all’ultimo. L’Iran alle spalle degli Hezbollah, il vero burattinaio delle forze che hanno giurato di distruggere Israele, ha curato che si rafforzasse ogni giorno la riserva di centinaia di migliaia di missili di cui ancora una buona parte è pronta all’uso. È la fede che ha organizzato la guerra sciita al Nord: quando Israele colpisce un edificio, che la stampa internazionale subito mostra come obiettivo della crudeltà di Netanyahu, si possono ammirare tutta una serie di scoppi successivi. E’ la strategia cui non si rinuncia in 21 giorno: anni di riserve di missili e esplosivi nascoste dagli Hezbollah nella case della gente per colpire Israele a Tel Aviv, a Haifa, a Safed… e naturalmente in tutto il Nord. Adesso la strategia subisce uno iato, il programma di distruzione di Israele ha un impatto inaspettato con l’azione dei beeper, l’eliminazione di Ibrahim Ahil e gli altri generali di Nasrallah, con la distruzione delle sue armi e dei lanciamissili. Israele continua: ieri ha colpito Dahua alla ricerca di Abu Salah, capo dell’aviazione di Nasrallah.

Deve smettere di cercare di evitare che il grande programma della sua distruzione abbia luogo, agli ordini dell’Iran? O deve seguitare a indurre quella deterrenza indispensabile per ogni saggio ripensamento, foriero di pace e anche prima di tutto del ritorno dei propri cittadini a casa loro? 21 giorni non servirebbero al primo e più importante degli scopi dichiarati dal governo israeliano, ovvero riportare a casa con i vecchi, i bambini, le scuole, i loro beni, i loro affari le decine di migliaia di persone che devono credere, fidarsi, andarsi a mettere a tiro di una forza che non spara su obiettivi di guerra, ma che spara sulla gente, per esempio sui 12 bambini drusi di Madjel Sham uccisi sul campo di calcio.  La richiesta di un cessate il fuoco per trovare una trattativa, non ha nessun oggetto: Israele non ha nessun contenzioso da trattare con gli Hezbollah, è Nasrallah che deve smettere di combattere la sua guerra di distruzione insieme a Sinwar agli ordini dell’Iran contro Israele.

Un “cessate il fuoco” che si fa solo perché ben presto ci sono le elezioni e Biden vuole avvengano in pace, e perché la guerra è una cosa che tutti, per primo Israele, odiano, non si può fare se prepara o sottintende la prosecuzione di un grande odio strategico. È quello che si deve abbattere. E la situazione della sicurezza dei cittadini israeliani che deve cambiare. Se un appello americano e francese si fosse rivolto finalmente agli Hezbollah intimandogli di deporre le armi, di abbandonare il sostegno di Hamas, di rispettare la risoluzione dell’ONU 1701 che gli impone di ritirarsi dietro il Litani, 15 chilometri di là dal confine, avrebbe avuto un’altra credibilità.  

Non è chiedendo a Israele di smettere di combattere, di abbandonare un campo che finalmente disegna la deterrenza indispensabile per fermare il piano distruttivo dell’Iran, che si garantisce a Israele che Nasrallah rinuncerà al suo disegno ideologico, per cui gli hezbollah vivono. Qualcuno chiedendo un cessate il fuoco alla pari si è dimenticato che Israele è l’aggredito, di nuovo! e anche chi è l’aggressore: è il peggiore terrorista del mondo quanto a numero di esplosioni omicide  in tutto il mondo, a Parigi (13 attentati con 20 morti e 255 feriti) 307 morti fra soldati americano e francesi nell’attacco alle baracche con camion bomba, 85 morti alla Comunità ebraica di Buenos Aires, Khobar Towers, Burgas… è senza fine l’attività omicida dell’organizzazione pilotata dall’Iran per uno scopo di annichilimento dell’Occidente in nome dell’Islam Sciita, in testa al quale brilla la distruzione di Israele. E adesso che finalmente Israele sta riuscendo a imporre un cammino di sicurezza dai suoi piani costruiti agli ordini di un disegno mondiale dell’Iran, dovrebbe semplicemente sostenerlo, come si sostenne l’America nella guerra contro l’Isis. Ma, pardonne, mi ero dimenticata che questo è lo Stato Ebraico. 

 

Un nuovo rigurgito di antisemitismo (e ignoranza)

mercoledì 25 settembre 2024 Il Giornale 2 commenti

Il Giornale, 25 settembre 2024

Dispiace davvero vedere di nuovo il bel Libano in preda a una terribile crisi, come negli anni ‘90. L’aggressività degli Hezbollah al servizio degli Ayatollah ha trascinato tutto il mosaico di fedi e di etnie libanesi nel baratro del folle disegno di distruzione dello Stato d’Israele e di guerra all’Occidente. Ma come per il 7 di ottobre, la vera successione degli eventi sfugge al buon senso, alle chiacchere mondane dei talk show. È fantastico: non provocati, da 11 mesi e mezzo gli Hezbollah, che non hanno niente a che fare con Gaza, hanno bombardato Israele ogni giorno per pura affettuosa solidarietà dichiarata con i bestiali assassini di Hamas. Hanno reso deserte le città e le campagne del nord, di fatto strappandole alla sovranità del loro Stato, Israele; ne hanno distrutto la vita civile, hanno costretto 70mila abitanti a sgomberare la loro casa, hanno fatto chiudere le scuole, fatto morti e feriti, sterminato dodici bambini Drusi a Madjel Sham, ucciso persino le mucche degli allevamenti… Israele ha tenuta bassa la risposta per quanto ha potuto, mentre gli USA cercavano una mediazione. Ma con gli Hezbollah, il Partito di Dio, non c’è niente da mediare, come con Hamas. 

Tuttavia mai, in quasi un anno, si è sentito una protesta o una risoluzione dell’ONU che li richiamasse, o che incitasse il governo Libanese a agire perché rispettassero la risoluzione 1701; non una presa di posizione dell’UE, non una richiesta francese o tedesca ufficiale di piantarla di partecipare alla più sporca delle guerre, dalla parte degli assassini. Adesso invece, visto che Israele agisce per porre fine alla vicenda, non contro il Libano ma contro gli Hezbollah, sia Guterres che Borrell, indovina!, hanno subito sentito il bisogno di biasimare, di dichiararsi preoccupati; la stampa mondiale riprende i numeri del ministero della sanità libanese, chissà come verificati, e anche la grande stampa li spara in prima pagina. Le case da cui Israele nella valle della Bekaa ha cercato di far sgomberare la gente prima dell’attacco contenevano purtroppo quantità di missili e esplosivo, le esplosioni secondarie degli edifici colpiti lo confermano.

Distruggere i missili forniti dall’Iran a centinaia di migliaia è indispensabile per bloccare Hamas, così come affrontare la schiera dei suoi comandanti e distruggerla. Questo ha fatto vittime collaterali, e duole: purtroppo ci sono anche dei civili, ma sparare soprattutto questo in prima pagina significa un sottinteso classico, già molto in voga per Gaza: non la guerra contro il terrorismo, ma l’accusa per cui, in guerra, dopo i palestinesi vittime ecco i libanesi, ecco che di nuovo gli ebrei ammazzano donne e bambini. Il sottinteso è che ci sia una crudeltà specifica nella guerra d’Israele: forse una sorta di vezzo etnico, come per Gaza? Al contrario, Israele fa di tutto per evitare morti civili mentre i suoi nemici, Hamas come Hezbollah, fanno di tutto per farne il loro scudo e poi il centro della loro propaganda.  Associarsi alle accuse esaltandole, è puro antisemitismo, non accade con nessun altro conflitto, non per gli americani, né per i russi.

L’attacco dei beeper ha ridotto la leadership degli Hezbollah, i missili e i lanciamissili nascosti nelle case in una strategia di scudi umani richiedono un attacco alle costruzioni, pena la vita di Israele. IL nemico non è il Libano sono gli Hezbollah, che hanno giurato di distruggere Israele, e che negli anni, facendo strage di migliaia di persone con atti terroristici fra i maggiori del mondo, hanno certificato le loro intenzioni agli occhi di tutti. Dopo la fine dell’Isis e di Al Qaeda, Israele cerca di eliminare un pericolo diretto prima di tutto verso le sue città, ma che ha già colpito gli USA, l’Europa, il Sud America. Che cosa vuol dire Borrell quando dice che “entrambe le parti” devono attuare un cessate il fuoco? Nasrallah deve mettere fine alla sua continua minaccia, così da poter far tornare la gente d’Israele a casa. Israele non può smettere di combattere finché questo scopo minimale e legittimo non venga raggiunto.

 

Così l' attacco di Israele annichilisce Nasrallah e spaventa l'Iran: colpo all'asse del terrorismo

martedì 24 settembre 2024 Il Giornale 0 commenti

Il Giornale, 24 settembre 2024

È il fronte del nord che cambierà la situazione mediorientale, l’attacco plurimo contro gli Hezbollah trasformerà anche la guerra di Gaza, e soprattutto potrebbe finalmente modificare, forse perfino neutralizzare temporaneamente il disegno strategico dell’Iran di “unire il fronte” per i suoi scopi. Secondo molti analisti sono tre: un grande fronte islamico sciita guidato dai suoi uomini, comandanti di lungo corso, per la conquista del Medioriente e del mondo, incorporando anche una parte sunnita; distruggere Israele; distruggere il potere occidentale, prima di tutto gli Stati Uniti. Una tappa strategica fondamentale è stata il 7 di ottobre, quando Sinwar ha scatenato Hamas; avrebbe dovuto chiamare alle armi prima di tutto i sodali più vicini, gli Hezbollah, che infatti dal giorno dopo sono scesi sul campo. Ma debolmente. Sinwar si era figurato un’invasione territoriale del sud con svariate roccaforti occupate dai suoi uomini, e lo stesso era stato prefigurato, a breve, per una vasta invasione a nord, identica nella sua sanguinosità, da parte degli Hezbollah. Era programmato, ma non è avvenuto. Hamas è stato ricacciato dentro Gaza, dove ha poi subito decimazione e distruzione. E per Hezbollah, la scena è in pieno movimento, e non gli va bene: ieri, di nuovo con un’operazione di abilità e precisione classiche della tradizione dell’Israele pre7 di ottobre, l’IDF ha bombardato gli edifici che Hezbollah aveva trasformato in depositi di armi, le case che nascondevano i missili iraniani pronti al lancio, e prima ha chiesto alla popolazione di allontanarsi.

Adesso Nasrallah, che nel corso degli anni era stato dotato dall’Iran di centinaia di migliaia di missili, non può più contarci a pieno, e anche i lanciamissili sono stati distrutti sabato. E questo, dopo che i capi più importanti e stagionati come Ibrahim Aqil e oltre, erano stati eliminati venerdì, riuniti per disegnare la grande vendetta all’altra operazione stupefacente, quella dei cercapersone. Dall’inizio del grande esperimento dell’eliminazione di Israele lo Stato Ebraico dopo la sorpresa ha risposto con tutte le sue forze. Hezbollah all’inizio non ha bombardato anche il Golan, non è arrivato a Haifa, a Safed, a Naharya, voleva cacciare la popolazione israeliana, fare il deserto e preparare l’invasione: ha pagato con il prezzo delle sue armi e dei suoi uomini, e del disonore degli attacchi a sorpresa alle une e agli altri. Anche gli altri proxy iraniani, che avrebbero secondo le fantasie della “resistenza” stretto i ranghi per distruggere Israele, gli Houty, le milizie sciite in Iraq, non hanno che colpito sporadicamente. E l’Iran che il 13 di aprile ha addirittura sfoderato i gioielli della corona, i missili balistici, se li è visti respingere tutti da una coalizione cui hanno partecipato anche due l’Arabia Saudita e la Giordania.

Ieri un membro della Commissione per la sicurezza e la politica estera del Majlis, Ahmad Bakhshayesh Ardestani ha persino ipotizzato che il defunto presidente Ebraihim Raisi forse era stato sorpreso da una esplosione del suo beeper in elicottero; il corpo d’Elite della Guardie Rivoluzionarie ha ordinato a tutti i membri di non usare dispositivi di comunicazione. L’arma migliore del regime, Hezbollah, è rimasta senza leader, senza armi, e il suo ruolo di inutile incendiario nella società libanese ora risulta sempre più chiaro. Israele non ha deciso per una guerra in profondità. Vuole che Nasrallah ordini di cessare dagli attacchi al nord e i suoi cittadini possano tornare; è simile alla richiesta a Sinwar: restituisci tutti i rapiti e parliamo. L’ONU che si riunisce in queste ore, il suo tema, le guerre ormai tante, in corso. Intanto il giornale iraniano ufficiale, Jomhouri-e Eslami ha pubblicato questo avviso: “Nella corrente situazione, bisognerebbe considerare il passaggio a altri metodi nella guerra contro il regime sionista… non vuol dire fermarla, ma cambiare… ci sono elementi che provano a trascinare l’Iran in una guerra diretta col regime sionista, e portare gli USA al coinvolgimento nella guerra. Adesso l’Iran teme che Israele farà agli Hezbollah quello che ha fatto ad Hamas a Gaza e si perderà così un importante e potente braccio nell’asse dei proxy nel Medo Oriente e in tutto il mondo? Così sembra”. Si chiama deterrenza, e forse ricomincia a funzionare.

 

Israele, il passo implacabile contro i profeti del terrore

sabato 21 settembre 2024 Il Giornale 3 commenti

Il Giornale, 21 settembre 2024

Dopo la giornata dei beeper e il seguito dei walkietalkie, dopo la distruzione di cento rampe di lancio pronte per una parte dei missili che l’Iran ha fornito agli Hezbollah, ieri pomeriggio nel centro di Beirut è stato eliminato un capo terrorista ricercato da anni, Ibrahim Aqil. Di nuovo un colpo strategico fondamentale contro il maggiore proxy degli Ayatollah, un gruppo terrorista che ha trascinato il Libano in una guerra a fianco di Hamas di cui gli altri cittadini libanesi si rammaricano. Essi per primi sperano che questa situazione crei le condizioni per il tramonto di Nasrallah. Non così il resto del mondo. Per ora al nord, sul Golan, in Galilea, verso Tiberiade, le sirene non hanno smesso di chiamare i cittadini israeliani a correre nei rifugi. Ma i bombardamenti degli Hezbollah dal 7 di ottobre, quando Nasrallah intraprese dal Nord la guerra di attrizione a fianco di Hamas, sono un fatto normale, e per ora non cessa. Ma Nasrallah, durante il suo discorso di giovedì (niente bandiere sullo sfondo, tono incerto, rating gigantesco nell’attesa dell’annuncio, che non è venuto, della sua vendetta) ha solo confermato che non smetterà di combattere finché Hamas lo farà, che Israele semmai è il responsabile della guerra e ha confessato di non avere mai ricevuto un colpo così duro come mercoledì. E oggi un altro colpo nel cuore di Beirut: un’altra sonora umiliazione. È vero, i suoi missili partono ancora, i boschi bruciano, le case ebraiche del nord ancora sono deserti, due soldati sono stati uccisi Nael Fwarsy e Tomer Keren, ma solo domenica scorsa Netanyahu annunciò che fra gli obiettivi strategici, oltre alla sconfitta di Hamas c’era anche il ritorno a casa dei 65mila sfollati cacciati dalle loro case dalla ferocia degli Hezbollah.

Hezbollah solo per solidarietà coi peggiori assassini del secolo li ha aggrediti e cacciati via: donne, bambini, famiglie. Così, finalmente Israele mercoledì ha azionata una macchina di attacco inusitata, stupefacente, ad personam, con poche perdite civili rispetto all’obiettivo, i terroristi di Nasrallah. Un congegno super complesso, preparato con un lavoro di sicurezza e tecnologico da Netflix: dimostra che Israele è ancora sé stesso, e che dopo il fallimento del 7 ottobre ha ripreso la via dell’invenzione inaspettata per vincere i propri più terribili nemici. La spiegazione della lunga preparazione a fronte invece dell’ignoranza colpevole su Hamas, è legata probabilmente alla maggiore attenzione per il fronte iraniano. Grave errore. Adesso, lo scopo è chiaro: Israele vuole riportare la sua gente sfollata a casa, riprendere possesso del suo territorio, delle sue case, delle sue scuole; non ha nessun interesse al territorio libanese se non per quella parte che viene usata come rampa di lancio per i missili iraniani, pronti per il prossimo sterminio degli ebrei programmato dall’Iran da anni, e costruito con la sua schiera di proxy che non hanno niente a che fare l’uno con l’altro se non la passione estatica jihadista, il sogno di eliminare gli ebrei. Qui non valgono le leggende sull’occupazione, la sofferenza: è puro odio. Come quello dei missili lanciati da 2000 chilometri di distanza dagli Houty per capire quanto è folle l’aggressione antisemita. Eppure anche la semplice decisione di Israele di cercare di riportare a casa i suoi, al nord, è coperta di insulti, di disapprovazione, di timore dell’“escalation”. Ma l’escalation c’era già stata, quella che ha portato a fianco di Hamas l’Iran e i suoi. Mai condannata. Chi ha intimato agli Hezbollah di smettere di fiancheggiare Hamas? Nessuno.

L’Occidente biasima solo Israele, non ammira affatto, la brillante impresa dei beeper, non chiede di lasciar tornare a casa gli sfollati israeliani per por fine al conflitto. Che Blinken abbia insistito diverse volte sul fatto che “gli Stati Uniti non sapevano, non sono coinvolti…” e che si preoccupa per una “escalation” non stupisce. Israele è solo mentre l’Inghilterra laburista gli taglia le armi, mentre, su un altro proscenio, lo scontro con il terrorismo allarga il suo fronte anche nelle nostre città e l’ONU intanto vota una risoluzione che sembra scritta da Krusciov usando la politica delle maggioranze automatiche dell’ONU e nega a Israele il diritto alla difesa. Normale. Fa solo impressione anche che l’Italia si sia astenuta.

La paura dell’escalation e la richiesta di cessate il fuoco-regalo sono aiuti alle organizzazioni terroristiche; e gli Hezbollah sono fra le peggiori, un’organizzazione fascista, criminale, antisemita, che punta alla liquidazione di Israele, come Hamas. Israele però viene condannata perché cerca di difendersi pena la sua stessa vita. Se la logica con cui viene ideologicamente perseguitata fosse stata la stessa ai tempi della Seconda guerra mondiale, gli Stati Uniti di Roosevelt e Truman, come l’Inghilterra di Churchill sarebbero tutti stati condannati per crimini di guerra.    

 

Colpito e vulnerabile umiliato il partito di Dio. Nasrallah prende tempo

giovedì 19 settembre 2024 Il Giornale 0 commenti

Il Giornale, 19 settembre 2024

Mai, da quando nel 1981 Hezbollah con la sua nascita segnava il disastro innanzitutto della sua stessa patria, il Libano aveva conosciuto un evento così enorme nella sua stranissima accuratezza e abilità tecnologica, una vicenda strana e cinematografica, quasi incredibile. Negli anni gli Hezbollah oltre alla dominazione iraniana su un Paese che altrimenti avrebbe scelto una strada di pluralismo religioso, hanno portato a una dittatura delle armi travestita da democrazia, a esplosioni con molte centinaia di morti francesi, americani, israeliani, ad assassini giganteschi come quelli di Rafik Hariri, a incendi come quello devastante del porto di Beirut, 4 agosto 2020, 2750 chili di nitrato d’ammonio. Adesso l’evento di lunedì, l’esplosione contemporanea di tutti i beeper degli Hezbollah, ha ferito, sembra 4000 operativi e forse ha fatto 10 morti. Tutti erano parte dell’organizzazione più qualche amico intimo, come l’ambasciatore iraniano in Libano. Gli scoppi sono continuati ancora tutta la giornata e adesso, sembra da notizie di fonte saudita, investono membri della Guardia Rivoluzionaria in Siria.

I beeper e altri attrezzi per comunicazione sono esplosi non soltanto a Beirut. Dall’ONU naturalmente sulla scorta delle proteste libanesi e iraniane vengono parole di rammarico per i morti civili dell’attacco, ma una delle caratteristiche dell’attacco è proprio il fatto che, esso è stato compiuto ad personam, fra tutti quelli che a causa della loro affiliazione agli Hezbollah o ai loro rapporti stretti con l’organizzazione avevano un beeper, cioè gli alti o i medi gradi, tutti quelli che avevano una ragione di stare in contatto per i motivi militari tipici del gruppo. Le scene inenarrabili, sanguinose, larghissime, sono state subito oscurate sulle televisioni fra cui al Jazeera, che invece manda spesso in onda da Gaza o da Jenin scene molto esplicite di sangue. Qui, si è seguito l’ordine che è subito arrivato di mostrare il meno possibile per non favorire il nemico. Israele naturalmente non ha rivendicato l’attacco, e Blinken ha subito dichiarato che gli Stati Uniti non erano stati avvertiti e che comunque si oppongono a qualsiasi gesto che possa prefigurare l’aborrita escalation.

Adesso l’escalation sembra inevitabile, è stato un evento maggiore, si aspetta il discorso di Nasrallah per domani pomeriggio: la milizia terrorista ha perduto letteralmente le mani e gli occhi degli uomini addetti alle operazioni di guerra, ai suoi missili e droni. Una notizia di Axios racconta che il tempo prescelto è stato casuale, legato alla scoperta prematura da parte di un Hezbollah della trappola, con la sua conseguente eliminazione. E si sa, le scelte del Mossad, e questo è stato vero mille volte sono quelle di non perdere un’occasione importante se si può agire, anche se è problematico. Qui si trattava di un evento preparato da mesi, manomettendo i prodotti di una compagnia (sembra) di Taiwan che si dichiara completamente ignara, con una quantità di lavoro tecnologico, di spionaggio, di rapporti, di cyber ultramoderno. Hezbollah non è mai stato debole come adesso, Netanyahu due giorni fa ha dichiarato che fra gli obiettivi di guerra c’è quello di riportare a casa gli sfollati sotto le bombe, e nelle ultime ore è stata spostata a nord la grande unità 138 di paracadutisti e altri gruppi specializzati, uno spostamento notevole delle non infinite forze in campo. Questo mentre ancora Gaza resta problematica, come si vede dai quattro soldati uccisi ieri in azione a Rafah, fra cui il 23enne capitano Daniel Toaff, pronipote del fratello del famoso rabbino romano: per lui e per gli altri tre giovani, fra cui una ragazza, la prima soldatessa uccisa in guerra, tutta Israele piange, mentre si prepara forse un’altra guerra ancora più difficile di quella attuale.

Il rumore di altre esplosioni ha seguitato a punteggiare la giornata del nord di Israele e anche in Libano e a Beirut durante i funerali a Dahia, il quartiere degli Hezbollah. Per ora gli Hezbollah non si sbilanciano, aspettano il discorso di Nasrallah che avrà comunque molta difficoltà a curare la ferita intollerabile in lingua mediorientale: al momento è umiliato, battuto, sorpreso e stravolto, mentre una parte del suo Paese che vorrebbe liberarsi dalla dominazione degli hezbollah spera che arrivi quel giorno, ha persino distribuito baclawa per la strada. Alcuni ospedali cristiani non hanno voluto ricevere gli Hezbollah feriti.  Ma gli hezbollah sono abituati, a braccetto con l’Iran, a terrorizzare il Medio Oriente,85 a essere considerati più pericolosi di Hamas, ne va anche della concorrenza fra sciiti e sunniti. L’Iran è certo furioso anche con loro che si sono lasciati giocare. Israele, sempre secondo una logica mediorientale, dovrebbe sapere utilizzare questo momento per realizzare la sua necessità primaria di riconquistare il terreno del nord, Galilea, Golan, lago di Tiberiade, rubatogli, desertificato e bruciato, dagli attacchi che hanno accompagnato e sostenuto il 7 di ottobre. Gli restituirebbe forza anche rispetto alla sofferenza del 7 di ottobre.

Certo il gabinetto di guerra valuta l’ipotesi di agire adesso: la gente lo chiede, vuole tornare a casa. Ma gli americani, al solito, frenano, mentre Nasrallah ragiona sulla possibilità di compiere a sua volta un passo sorprendente.    

 

Lo strazio di Israele per i suoi ostaggi. Ma il salvacondotto a Sinwar non risolve

giovedì 12 settembre 2024 Il Giornale 0 commenti

Il Giornale, 12 settembre 2024

La ricerca delle soluzioni per salvare i rapiti tramite un corridoio speciale per Sinwar probabilmente suscita nel capo di Hamas una buona dose di ironia e di ottimo umore, anche se è davvero improbabile: secondo quanto riportato da Bloomberg, su un “passaggio sicuro”, con la sua famiglia a fianco, potrebbe lasciare la Striscia di Gaza mentre tutti gli ostaggi vengono liberati. Irrealistico, ma sintomatico che si parli di questa possibilità. Ma Sinwar vuole, restando da comandante a Gaza, riuscire a battere Israele costringendolo a uscire dal suo territorio a ogni costo. Quindi l’idea irrealistica riportata da Gal Hirsh, il responsabile del governo per i rapiti, dice solo che Israele è pronta a tutto per salvare gli ostaggi, i chatufim, la parola più usata in Israele su tutti i media. Ci si adopra per sfondare la diabolica trappola che dal primo giorno attanaglia Israele: in cambio di un’ipotesi fantasma, mai confermata, e anzi spesso negata da Hamas, si seguita a ripetere che Israele deve andare a un accordo; ma questa logica, che un largo pubblico dà per scontata e addossa al governo, è del tutto sconveniente per Sinwar, che appena fosse privo della sua corona di carne umana diventerebbe il generale di un esercito sconfitto ormai da tempo. Un bersaglio. Esiste, e anch’essa senza la promessa sicura di lasciare andare i rapiti, e senza sapere chi sono i vivi e chi gli uccisi, soltanto la richiesta di Hamas di una totale fuoriuscita di Israele, quella che in slang pacifista viene chiamato “cessate il fuoco”, ma potrebbe chiamarsi resa; ovvero l’idea che lasciandogli la Striscia di Gaza nelle mani con in più la consegna di un numero spropositato (cresciuto, sembra anche ieri) di prigionieri palestinesi “col sangue sulle mani” anche condannati a più ergastoli, Hamas accetterebbe intanto una prima fase in cui si consegnano i prigionieri detti “umanitari”.

Netanyahu, rispetto alla famosa questione dello “tzir Filadelfi” che secondo la leggenda corrente non cederebbe a nessun costo, ha invece già fatto sapere che dopo la buona soluzione della prima fase, potrebbe con accorgimenti e suddivisioni di responsabilità fra alleati, essere lasciata. Ma chi lo ascolta: in questi giorni il rimo Ministro è l’obiettivo numero uno della disperazione e della rabbia per i rapiti, strumentalizzata spesso dai nemici politici di Bibi. Il premier passa da una visita di parenti orbati all’altro, si piega agli attacchi personali e agli insulti più duri, pallido e affaticato, senza mai tuttavia abbandonare il punto che non può consegnare a Hamas dieci milioni di cittadini israeliani; viene ormai visto, e lui lo sa bene e lo accetta senza strepitare, come un crudele politicante preda dei suoi disegni di sopravvivenza.

I suoi accusatori a volte sembrano dimenticare che non è Netanyahu a tenere rinchiusi i rapiti, ma Sinwar; non è lui a ucciderli, né lui a torturarli, ma la mostruosa crudeltà dei terroristi. Hamas, come il suo documento strategico pubblicato su Bildt rivela, traccia la sua linea di vittoria nella spaccatura della società israeliana: le disperate grida di rabbia contro il Primo Ministro, rischiano di aiutare Hamas. La strada dell’incrudelimento, dell’assassinio, dei video e delle notizie terrificanti, paga. Israele si sta battendo su tutti i fronti, a Gaza dove ieri un incidente di elicottero ha ucciso tre soldati, come nell’West bank, dove si moltiplicano gli attentati. Un passante è stato investito da un grosso camion, un altro è stato ucciso a pugnalate, mentre al nord la popolazione cacciata di casa vuole che finalmente Israele cessi di temporeggiare e affronti gli hezbollah a fondo.

I soldati e i cittadini, che combattono, vivono una vita di resistenza quotidiana straordinaria, tengono in maggioranza per non cedere a Hamas; tuttavia vivono una situazione di scontro quotidiano: sono in molti a rovesciare sul Paese tutta la disperazione, tutto lo stupore di un popolo che ha sempre pensato la democrazia avesse da tempo collocato il male assoluto nel passato e invece è costretto a viverlo senza sosta di nuovo quasi da un anno, dal 7 di ottobre quando Hamas lo ha aggredito.

Adesso come era logico dopo il ritrovamento dei corpi di sei rapiti due giorni fa, la società è in preda una crisi di nervi, gridano nelle piazze e alla tv con le famiglie che chiedono di fare qualsiasi cosa per liberare i loro cari. Il portavoce dell’esercito Daniel Hagari si è calato nel buco orrendo in cui sono stati detenuti e poi ammazzati a colpi di fucile Hersh Goldberg Polin, Eden Yerushalmi, Carmel Gat, Ori Danino, Almog Sarusi, Alex Lobanov. Da là, sceso dalla bocca del tunnel posto in una stanza per bambini decorata con Mickey Mouse, è disceso nel ventre profondo della terra lungo tre lunghe scale a pioli, e poi ha trasmesso da un lungo corridoio senz’aria senza luce, in cui è impossibile stare eretti, con bottiglie di urina e un secchio per i bisogni, qualche bottiglia d’acqua per bere e lavarsi, la stessa acqua, un po' di cibo secco, panni da donna a terra, un corano, una scacchiera, armi e sangue, sangue dei sei giovani.

Hagari ha detto che i prigionieri era non ridotti a un peso minimale, sui trenta chili come un prigioniero ad Auschwitz e che dalle tracce ritrovate si può pensare che fossero stati tenuti prigionieri in quella galleria, senz’aria, senza luce, senza cibo. Da come sono stati ritrovati, Hagari ha detto che si poteva dedurre che da eroi hanno cercato negli ultimi momenti della loro vita di difendersi gli uni con gli altri. Erano sopravvissuti undici mesi oltre ogni immaginabile sofferenza, Adesso il seguito della vicenda oltre al proseguo della guerra dei soldati valorosi che a Khan Yunis hanno rischiato la vita per recuperare i corpi, è quella che senza veli mostra quanto Israele sia ancorata a un passato in cui il nemico era un fattore secondario, e lo sforzo per la pace e il benessere era destinato a vincere su tutto. Il sette ottobre ha insegnato una lezione che ancora non si è appresa del tutto. 

 

Per offrirti un servizio migliore fiammanirenstein.com utilizza cookies. Continuando la navigazione nel sito autorizzi l'uso dei cookies.