L'Iran minaccia, Israele resiste e "vede" il bluff
Il Giornale, 03 novembre 2024
L’Iran sventola la minaccia atomica: fino a oggi si parlava di missili balistici, di un anello di fuoco formato dai suoi proxy pronto a lanciarsi in battaglia. Adesso, alla vigilia delle elezioni americane, è chiaro che le sue invettive sottendono una pressione decisiva del governo americano che cerca la rielezione su Israele. È stato il leader supremo Ali Khamenei a promettere di nuovo una vendetta invincibile e indimenticabile, ma prima di lui aveva parlato un suo importante consigliere militare, Kamal Kharrazi, comunicando che se Teheran fosse esposta a «una minaccia esistenziale» potrebbe rivedere la sua dottrina nucleare, usando la bomba atomica ormai pronta. Il fatto che la minaccia atomica venga rinnovata oggi denuncia un cambiamento che contraddice, dopo tutto, la minaccia stessa, una difficoltà e si può dire tranquillamente una paura di fondo. Khamenei ha detto lui stesso che l’attacco di Israele di una settimana fa ha portato danni che solo adesso cominciano a essere evidenti: l’Iran è accecato dei suoi radar e dei suoi sistemi di difesa missilistica, colpito nelle sue fabbriche d’armi, di missili e di droni, privato della benzina solida per i missili balistici. Nel frattempo i missili degli Hezbollah sono ridotti di una percentuale che taluni vogliono all’80%, Hamas è agli ultimi respiri.
La scelta strategica di Israele di superare la sua consueta guerra di contenimento (che ha portato al 7 ottobre) per scegliere lo scontro risolutivo che porti a una pace di lunga durata è certamente molto rischiosa, ma ha anche un evidente valore di dissuasione. L’esercito in Libano smonta casa per casa, villaggio per villaggio, depositi enormi stupefacenti di armi iraniane accumulate da 15 anni, tutte destinate agli attacchi. L’Iran sembra fare molto rumore senza decisioni precise: l’eliminazione dei grandi capi carismatici dei suoi movimenti jihadisti fondamentali, sia sciiti sia sunniti, è molto significativo in un mondo messianico. Esso può sostituire, certo, tecnicamente, i suoi uomini, ma non ha un ricambio alla pari con gli elementi carismatici come Nasrallah e Sinwar. La confusione è evidente. In più l’Iran al momento non ha più Hezbollah neanche come cuscinetto territoriale, né può più assediare Israele anche se certo può seguitare ad alimentare il terrorismo che lo tormenta dal West Bank e il bombardamento che lo tortura dal Libano ogni giorno con morti e feriti.
Israele però scegliendo la strada della deterrenza sostanziale punta proprio sulla trasformazione strategica dell’area intera: non lascia spazio a manovre psicologiche nemmeno alla vigilia delle elezioni americane, anche se lascia la porta aperta, per esempio, ai tentativi di Hochstein, l’inviato americano, di inventarsi un nuovo accordo 1.701. Israele cerca fatti, l’Iran minaccia di attaccare valutando tuttavia se deve fermarsi e tirarsi indietro dalla strategia dell’aggressione cambiando strada, o se questo è un passo troppo costoso, che metterà anche in crisi la sua piramide di potere. Ancora è difficile prevedere il futuro. Ma alla fine le strutture atomiche sono la posta, e certamente Israele non ne è ignara.
Israelofobia in diretta Tv
Il Giornale, 31 ottobre 2024
Ha detto molto bene nella sua rubrica su Huffington Post Pierluigi Battista attaccando il modo in cui la trasmissione tv Report spara la ignobile pubblicità del suo prossimo programma su Rai Tre; Battista lamenta che per un programma di quel genere, di cui ricorda la precedente puntata su Alessandro Giuli, venga propinato da un canale, il terzo della RAI, per il quale si è costretti a pagare il canone. In verità, io di sicuro non lo guarderò: spesso da Gerusalemme scanalo con speranza sulle reti della mia patria lontana, e incontro, salvo in pochi casi, talk show carichi di bugie ignobili, di vergognosa insensibilità storica e morale, di propaganda antisraeliana, ignorante, sciocca, scandalistica e creatrice consapevole di antisemitismo. Adesso Report promette che domenica mostrerà “Israele come laboratorio politico dell’estrema destra internazionale” ovvero un antro odioso di nazi fascisti razzisti, colonialisti, imperialisti… con la solita criminalizzazione di Netanyahu, si capisce, e il rovesciamento “sionismo uguale nazismo”. Robert Wistrich ci ha dedicato volumi, ma la TV di Stato non lo sa. La seconda frase pubblicitaria è da querela, e riproduce il famoso blood libel delle azzime mescolate col sangue dei bambini a Pesach, la Pasqua ebraica: Report ci spiega che ci mostreranno “Gaza come laboratorio dove testare le armi”, cioè sul corpo, secondo la vulgata dei “civili” o meglio dei bambini palestinesi. Se un ubriaco dice questa frase alla fine di una cena, è imperdonabile, se è la RAI deve chiudere i battenti, è fallita.
È sadica e paranoica. Eppure è una forma di ubris invincibile quella israelofobica radio tv, dilaga sulla RAI e in ogni dibattito sugli altri canali, segue la moda e il rating: si può modulare più o meno smodatamente e in coro (da Lilli Gruber sempre), spiritosamente (Propaganda Live il 22 marzo per esempio con il reportage di Francesca Mannocchi, o anche ospitando Gad Lerner che amerebbe Israele, oh certo, se non ci fosse Netanyahu); con dei professori (Caracciolo) delle professoresse ( Anna Foa che presenta “Il suicidio di Israele a Quante Storie, da quello Zanchini che chiese a Esther Mieli “Scusi lei è ebrea” a radio Anch’io il 29 ottobre dopo lo sterminio); Corrado Somigli sulla 7,fa l’en plein quando l’Albanese, la solita impiegata dell’ ONU antisemita di ogni giorno, gli dice in tv che “il 7 ottobre non ha una matrice antisemita ma è una ribellione contro un potere occupante”. Anche a Agorà il 12 ottobre fu invitata l’Albanese quando io, ignara, trovandomela nel panel non potei respirare la sua stessa aria, e me ne andai. Avevo però intanto sentito il famoso corrispondente del Corriere e mio antico conoscente Lorenzo Cremonesi che dopo aver dichiarato Israele “in guerra civile” aveva anche aggiunto che “Israele vuole deportare anche gli arabi israeliani” e che “in Israele si pensa di avere sangue superiore”… proprio così, ed è adesso ospite frequente di Monica Maggioni a Newsroom dove si pratica soft odio per Israele.
Immagino che ai loro occhi potrebbe riscattarsi, se si convertisse, pardon, mio lapsus, se cacciasse Netanyahu. Anche Anna Foa ha detto che Netanyahu “vuole annettere Gaza e l’West bank, crede di essere mosso da Dio”. Orsini dalla Berlinguer da acuto analista a Carta Bianca ha detto “se Israele manda gli aerei in Iran, glieli tirano giù 300-400 km prima che arrivino”. Anche da Floris a “Di martedì” se ne dicono parecchie. C’è larga licenza di sparare quando si parla di Israele perché nessuno o quasi ci capisce niente. Nei talk della RAI e della 7 ci si collega con parecchi corrispondenti che si aggirano tristi fra le rovine del Libano dimenticandosi che quelle sono le postazioni degli hezbollah che stanno bombardando Israele proprio adesso, e che là sotto ci sono lanciamissili e depositi di armi potenti, che sotto finte case di abitazione ci sono gallerie destinate a portare dentro Israele dal Libano una nuova strage di massa.
Nei talk, spesso non si è mai notato la pioggia di missili quotidiana dopo i massacri, chi si accaparra De MagistrisA fa bingo quasi come se avesse l’Albanese, ma vanno forte anche Travaglio e i suoi, e Parsi è in gamba. Sulla 7 è un continuo attacco, forse vince Formigli. Fra gli interlocutori più appassionati, molti rappresentanti della sinistra istituzionale e di quella scatenata: Laura Boldrini, Marco Furfaro, Sandro Ruotolo, Nicola Frantoianni, Angelo Bonelli... È tutto OK, essere antisraeliani poi non vuol mica dire essere antisemiti, vero? Come non lo sai? Eppure, fra gli altri, anche Martin Luther King aveva detto il contrario, ma chi se ne importa, e non ti curare del fatto che la prova delle tre D (Demonizzazione, Delegittimazione, Doppio standard) di Sharansky qui funziona benissimo. Il tg3 non è secondo a nessuno: quello on line ha recentemente dovuto cancellare un tweet in cui si sosteneva che l’immagine delle moglie di Sinwar in fuga con la borsa da milionari era un “tentativo di Israele di screditarne l’immagine” “dopo averlo reso un martire agli occhi di milioni di persone”.
Il dolore di Israele per i caduti in Libano. E Bibi spinge sulla "vittoria per la pace"
Il Giornale, 29 ottobre 2024
Il verde cimitero del Monte Herzl, dove sul fianco delle colline di Gerusalemme, sono sepolti tutti i primi ministri della storia ebraica a fianco di un numero esorbitante di soldati israeliani caduti dalla Guerra d’Indipendenza del 1948 e poi via via in tutte le guerre fino ad oggi, è troppo movimentato a ogni ora. Vanno, vengono folle di giovani e vecchi, in divisa e in blue jeans, che ogni quarto d’ora cambiano, e seguono le bare coperte con la bandiera trasportate verso la fila delle rispettive brigate sulle spalle di soldati che nascondono le lacrime sotto il portamento militare. Ci sono sempre tanti bambini nella folla, nipoti, figli, fratellini: la settimana scorsa 26 soldati sono stati uccisi in battaglia, avevano dai diciotto ai 55 anni, erano di leva o nelle riserve. I padri uccisi lasciano 56 orfani. Israele ogni giorno ascolta presto alla radio la lista dei caduti di cui è permesso fare il nome (“mutar le pirsum” dopo avere avvertito la famiglia) e scoppia in lacrime o si riassetta per un’altra giornata di guerra. E’ una roulette russa in cui prima o o poi perdi, Israele conta poco più di nove milioni di abitanti, dal 7 di ottobre a circa 14mila feriti e più di 1800 uccisi fra i soldati: per esempio ieri anche alla mia famiglia è toccato un doppio lutto, è stato ucciso il trentenne Gilad Eliamaliach guardiano della scuola del mio figlio piccolo, che lascia 5 bambini; ed è stato ucciso in azione con Avraham Yosef Goldberg, Avi per noi, maestro di Tanach di mio figlio: lascia dietro di se una famiglia che era un centro di cultura ebraica e di musica, in cui con la moglie Rachel, violinista e infermiera, suonava il clarinetto. Aveva otto figli, di cui il maggiore nel servizio militare. Dal sette di ottobre, volontariamente, è andato a combattere in Libano lasciando la casa di Gerusalemme e la scuola Himmelfarb dove insegnava. Amava i soldati di cui era comandante e rabbino, la sua brigata Alon. E anche molto tutti i ragazzi per cui era un insegnate unico ma aveva deciso di combattere per la sopravvivenza del popolo ebraico e così dal 7 ottobre ha fatto per 260 giorni.
Un suo messaggio a noi che ci preoccupavamo dice “Sono solo una piccola parte della mia unità, ma ne sono felice perché spero che questa volta la nostra vittoria porterà la pace per molto tempo. Ho scritto sui muri di diverse case del Libano: 'Noi volevamo la pace, voi avete scelto la guerra'. È tutto qui”. Uno a uno i soldati scomparsi, nei funerali che si sono protratti per giorni fino a notte tarda, appaiono nella memoria come personaggi non rimpiazzabili, unici. Un altro dello stesso gruppo, Eliav Amiram Abitbol, ha donato un rene a uno dei bambini cui offriva il suo volontariato. Tutta Israele è toccata uno a uno dalla scomparsa dei loro cari, o amici, delle straordinarie capacità, la loro assenza si somma a quella dei rapiti, e questo suscita discussione oltre che pena. È la matrice psicologica anche se non ancora politica del pacifismo che Israele nei decenni ha vissuto come una componente molto ingaggiata nella definizione della sua vita. Cedere invece di morire, è una grande tentazione anche se la storia ebraica insegna senza remissione che invece funziona al contrario. Nel 2000 la ritirata dal Libano, che disgraziatamente consentì poi agli hezbollah di nidificare in Libano coperti dall’Iran piazzando missili e gallerie al sud, nacque dal famoso movimento delle Quattro Madri che si basava proprio sull’angoscia creata dalla perdita delle vite dei figli, e che ebbe un apice nel disastro di un elicottero nel 1997. Nel 2000, dopo che il movimento aveva messo sottosopra Israele con una strategia di grandi dimostrazioni e di alleanze politiche, Ehud Barak ordinò il ritiro. Allora funzionò, e anche con Sharon quando decise il distacco da Gaza: ma oggi solo il 6 per cento degli Israeliani pensa che la guerra debba essere fermata per il suo grande costo in vite umane.
Netanyahu ieri nel suo discorso alla knesset ha spiegato due temi che sono molti legati in questa dimensione: quello dei soldati di leva e delle riserve che combattono da un anno ormai quella che lui chiama la sorpresa di una “guerra di rinascita” con determinazione leonina; e quello della strategia della guerra in corso, la sua novità assoluta nel puntare a ristabilire la deterrenza perduta puntando alla pace con la vittoria esemplificata dall’eliminazione di Nasrallah e Sinwar, l’identificazione definitiva dell’Iran con l’asse malefico che vuole dominare il Medio Oriente e distruggere la democrazia, e quindi della grande impresa salvifica che combattendo Israele compie. È una chiamata alla salvezza di Israele che convince la maggior parte della gente, anche quella che non può soffrire Netanyahu. Sembra che dopo il 7 di ottobre sia ormai parte della psicologia di Israele un motto: “Primum vivere”, e non contenendo il pericolo ma eliminandolo. Per questo Netanyahu ieri è tornato sul tema del pericolo atomico iraniano. Rischioso, ma necessario. Costa molto, ma vale la pena.
Informazione Corretta, il nuovo VIDEO di Fiamma Nirenstein: «Israele non si sta "suicidando" si sta battendo per la vita»
Nella fantasia degli intellettuali e dei media occidentali, Israele "si sta suicidando". E' una fantasia, perché nella realtà sta lottando per la vita, vincendo. Perché è riuscito a compiere imprese ai limiti dell'impossibile, come l'eliminazione di Nasrallah e il raid aereo sull'Iran. Non esiste neppure quell'"Israele diviso al suo interno", se non nella fantasia dei media occidentali.
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La mossa di Bibi e il silenzio di Khamenei. Ma guai a sottovalutare l'odio anti-Israele
Il Giornale, 27 ottobre 2024
Chissà se l’attacco israeliano in Iran sulle sue strutture militari suonerà finalmente come una squillo liberatorio, segnalando che il regime di Teheran non è intoccabile, che la sua terribile continua violazione dei diritti umani e la sua aggressione in combutta con la Russia al mondo democratico può essere affrontata, fermata, che non è eterna. Oppure se la paura obnubilerà il significato dell’attacco di ieri notte alle 2 circa, e di nuovo spingerà alla caccia del solito “cessate il fuoco”. Per ora Biden e anche i tedeschi e gli inglesi hanno detto con inusitato coraggio: “Israele ha ragione, guai all’Iran se osa rispondere”. Gli Stati Uniti hanno anche aggiunto che se Teheran oserà farsi avanti, dietro a Israele ci sono gli USA con le armi. Intanto hanno portato il terzo Thaad, un fantastico sistema di difesa antimissili balistici. Dall’Iran i segnali sono svariati: da una parte si minimizza il danno, si nega persino l’ingresso degli F15, si dice che sono sciocchezze; dall’altra si minaccia, come al solito, “l’entità sionista” di immediate risposte definitive.
Al momento non si sentono le voci determinanti, Khamenei e i grandi generali non si sentono, mentre è uscito un editto di polizia per cui chi diffonde immagini legate all’attacco sarà condannato da uno a dieci anni e le Guardie della Rivoluzione sorvegliano le strade. Intanto si vocifera che gli americani abbiano ricevuto un messaggio in parsi: per ora non si intende reagire. Ma guai a sottovalutare la furia, la vergogna, l’esaltazione religiosa carica d’odio. Israele non ha cambiato gli ordini del fronte interno, aspetta tranquilla: l’attacco all’Iran era una risposta indispensabile dopo i 200 missili del 23 aprile e gli altri 200 del primo di ottobre, ma soprattutto dopo il sostegno sfacciato al bestiale attacco di Hamas del 7 di ottobre, la poderosa costruzione di hezbollah in funzione dello strangolamento dello Stato ebraico e degli altri proxy tutti devoti a questo scopo.
Israele ha colpito 20 siti su un’area molto larga, penetrando l’Iran per 700 chilometri. Ha distrutto gli S300 russi accecando i radar come quelli “Shanachir” e altre strutture di controllo dello spazio aereo, ha colpito basi missilistiche come Kermanshah creando buone condizioni di volo anche per un eventuale futuro prossimo, ha distrutto le fabbriche e i depositi di quei droni che danno tanta noia anche agli americani (certo c’è stato un accordo su questo) perché li usa la Russia contro l’Ucraina... E di più capiremo nei prossimi giorni. Per ora è un bel risultato aver portato su Teheran 100 aerei di combattimento di cui quattro, segnando un nuovo record, condotti da donne. L’azione intrapresa è un forte deterrente: al nord in Gaza e nel sud del Libano è in atto la stessa tecnica di distruzione delle strutture belliche, e Hamas e Hezbollah ne prendono nota. I due migliori sostegni del regime ne risultano ancora più indeboliti, e questo, spera Gerusalemme, potrebbe aiutare la trattativa sui rapiti che si riapre a Doha. Ma rispetto al disegno dell’Iran che tortura Israele da 45 anni con la strategia incentrata sulla costruzione dell’atomica e sulla catena di attacco ai confini, in Israele parte dell’opinione pubblica considera debole la risposta, troppo condizionata dalla vigilia delle elezioni americane.
Una vittoria della Harris potrebbe garantire a Israele aiuto solo se starà ai suoi patti pacifisti. Per ora le richieste di Biden sono state rispettate: strutture militari e stop. Ma le riserve energetiche, ricchezza del regime, e quelle atomiche, a un centimetro dal completamento della costruzione della bomba sono le vere minacce a Israele e al mondo. Il seguito alla prossima puntata.
Gli intellettuali di sinistra e le tesi su Israele distrutto
VIDEO Presentazione a Roma del mio nuovo libro "LA GUERRA ANTISEMITA CONTRO L'OCCIDENTE"
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Un attacco diretto a Bibi (con la firma dell’Iran). Impossibile la tregua ora
Il Giornale, 20 ottobre 2024
Il linguaggio della guerra è molto più esplicito di quello della politica: ieri ha parlato in arabo e in farsi senza rischio di fraintendimenti, in coro. E impone di cambiare strada. La casa del primo ministro di Israele è stata presa di mira, anzi, bombardata dagli Hezbollah con un drone fornito dall’Iran, il loro sponsor. Durante le prime ore del giorno tutta la popolazione del nord di Israele, specie lungo la costa e in Galilea, da Rosh ha Nicrà a Haifa, era stata ancora una volta, senza un attimo di sosta fra un bum e l’altro, costretto a rifugiarsi nei bunker per ore e ore sotto missili e razzi. Un guidatore è stato ucciso, due i feriti. Con questo gli Hezbollah hanno voluto segnalare una ripresa dopo l’eliminazione di Nasrallah, e, anzi, di voler alzare il livello di scontro. Ma come il 7 di ottobre il fittissimo bombardamento di Hamas aveva voluto coprire il vero evento, quello dell’ingresso dei macellai terroristi in Israele, stavolta i botti sono stati la musica di accompagnamento di quel ronzio con cui un drone teleguidato era stato spedito contro la casa di vacanza di Netanyahu a Cesarea, che ha colpito. Il Primo Ministro solo per caso non vi si trovava, spesso ama passare lo shabbat con la famiglia nella casa al mare. Il drone è iraniano, uno Shahed come quelli che Putin usa contro gli Ucraini. La Russia ne ha già comprate, tanto sono buoni, migliaia presso i suoi amici ayatollah. Adesso insieme producono missili. Gli americani hanno studiato un sistema di difesa da questi piccoli pericolosissimi velivoli suicidi, carichi di esplosivo, che possono volare migliaia di chilometri anche senza essere intercettati tanto volano basso: i soldati americani in Medio Oriente hanno subito 165 attacchi di droni di questo tipo, con tre morti e 80 feriti. I droni sono teleguidati, non volano a caso: gli inserisci l’indirizzo di arrivo, e per alcuni è possibile teleguidare lungo la strada.
Dunque: non solo Hezbollah ha voluto riprendere la guerra oltre i quasi 5000 missili dal 7 di ottobre a fianco di Hamas, ma ha voluto rilanciare. Quasi con certezza si può pensare che un attacco che chiede una risposta decisa e dura come il tentativo di uccidere Netanyahu, non sia stato deciso senza l’ordine dell’Iran, lo sponsor, l’architetto del progetto di distruggere Israele, il padrone delle chiavi di tutti i suoi proxy. È simbolico che sia avvenuto proprio il giorno dopo l’eliminazione di Sinwar e dopo qualche settimana dall’uccisione di Nasrallah per indicare una perversa simmetria fra la propria potenza, Netanyahu e gli USA. È tipicamente mediorientale cercare di intimidire con una mossa terrificante, suggerire al nemico che verrà eliminato se non si arrende. Qui, poiché l’Iran sa che Israele prepara una risposata ai suoi 200 missili, c’è anche una provocazione sprezzante. Khamenei, mentre certo si ripara in un bunker, sa bene che Netanyahu sarà difficilmente convinto a tirarsi indietro, e che anzi sta adesso decidendo quale sarà la risposta, con determinazione e anche con maggiore legittimazione. L’Iran, gli Hezbollah, i mozziconi di Hamas dopo Sinwar, contano sulla folle acquiescenza americana e europea che chiede a Israele di riporre le armi adesso! mentre può e deve necessariamente reagire per concludere l’aggressione dell’asse del male sempre più imbizzarrito e anche impaurito. Contano sulla minaccia di un embargo americano e europeo alle armi di cui i libri di storia parleranno, se ci sarà, come della mossa di un nuovo Neville Chamberlain.
Israele non si fermerà
Il Giornale, 19 ottobre 2024
“A good day”, ha detto Biden parlando dell’eliminazione di Sinwar. E ha spiegato l’ovvio: l’eliminazione di questo terrorista belluino, che ha sterminato anche famiglie americane insieme a quelle israeliane il 7 di ottobre, è una fortuna per il mondo. Gli stessi sentimenti sono stati espressi per l’eliminazione prodigiosa del leader degli Hezbollah, Nasrallah. Di fatto, oltre a rendere questo mondo un luogo un po' migliore, la scomparsa di questi due arci assassini e di altri loro pari, è simbolicamente una promessa di pace vera. E non di quella auspicata, con molte imposizioni per fortuna non riuscite, da pii cessate il fuoco di cui sarebbero restati accesi i più pericolosi tizzoni. Si sa bene, nel consesso internazionale, che si può combattere il male, anzi, che si deve farlo, ma non se ne vogliono pagare i prezzi. Ma attraverso quanti inceppi, quante proibizioni, quanti pregiudizi, quante ipocrisie pacifiste Israele può farsi largo? Sinwar è stato finalmente eliminato a Rafah mentre stava probabilmente per scappare oltre il confine egiziano di Tzir Filadelfi, traforato di gallerie: come, non vi ricordate questi due nomi? Sono i due luoghi su cui pendeva un furioso divieto di ingresso reiterato sia da Biden che dall’Unione Europee: a Rafah, sullo Tzir Filadelfi? Mai! L’esercito faccia un passo indietro. Menomale che per arrivare al “good day” dell’eliminazione di Sinwar e dell’indebolimento ormai irreversibile di Hamas e quindi persino forse di una più facile trattativa sui poveri 101 rapiti nelle mani dei residui sbrecciati di Hamas, Netanyahu ha tenuto duro.
Adesso, ha a che fare con l’insistenza sulla responsabilità della malnutrizione di Gaza, mentre introduce 350 camion di aiuti al giorno, sperando che le bande di delinquenti di Hamas non se ne impossessino e ne facciano i loro commerci. Ma nessuno guarda in quella direzione, non Biden né l’UE. Si aggredisce sempre Israele, e lo si minaccia di tagliargli le armi. Cosa c’entra? Mah, va insieme all’affermazione italiana che il 7 di ottobre le armi italiane sono state negate a Israele: un bel vanto davvero, con quello che gli israeliani avevano passato in quel giorno, proprio quello. E adesso Nasrallah: Israele ha uno scopo unico nell’attaccare gli Hezbollah, sconfiggere chi ha sparato più di quattromila missili dal 7 ottobre, e riportare a casa 70mila sfollati. Deve per forza farlo, distruggere quindi le gallerie e i depositi di armi costruiti all’ombra delle basi dell’Unifil, cui Israele ha chiesto di spostarsi temporaneamente per questo scopo, prima di passare ai fatti: le azioni intraprese con dispiacere, non sono contro i Caschi Blu, ma contro gli Hezbollah che li usano come scudi umani. L’Unifil doveva intraprendere, secondo il suo statuto, “tutte le azioni necessarie” per impedire che dal Litani al confine si compissero azioni belliche delle due parti.
Ma di parti ce n’è stata una sola, gli Hezbollah, e da parte dell’Unifil niente è stato fatto fuorché coprirli. Adesso Israele deve smontare tutte quelle strutture di guerra che l’Unifil ha lasciato costruire, lanciamissili e decine di gallerie ben attrezzate con ciò che serve a un’armata pronta all’invasione uguale a quella di Hamas, ma stavolta dal Libano in Galilea. La bellicosa insistenza con cui Francia, Italia, Spagna usano parole pesanti su Israele sottintendendo una inesistente aggressività nei loro confronti, confina di nuovo con le stravaganti richieste di cessate il fuoco. Certo gli abitanti del Libano vogliono veder sparire il tallone degli Hezbollah sulla loro vita, e Israele combatte per sopravvivere. Quale cessate il fuoco? Per combattere il male, bisogna semplicemente sgominare il nemico. Semplice, e così difficile da accettare. Quando, a breve si dice, Israele si muoverà per rispondere al grande attacco missilistico iraniano, la promessa che questo conterrà è la stessa della lotta contro Hamas e gli Hezbollah: un mondo migliore, di vera pace. Israele lo farà per tutti, come sempre, e si vedrà chi saprà capire la promessa.
Il terrorista assetato di sangue era "l'architetto" del 7 ottobre. Morto nella fuga da vigliacco
Il Giornale, 18 ottobre 2024
Il soldato che scavava fra le pietre dell’edificio di Rafah (dove per lunghi mesi all’Idf era stato proibito di entrare) dopo che a sua Brigata l’aveva distrutta con successo scoprendovi all’interno terroristi e armi, ha detto proprio così: «Wow! Questo somiglia a Sinwar». E lo era. Che sorpresa, che orgoglio per i soldati. Il macellaio del 7 ottobre, il sanguinario fanatico capo di Hamas che ha scavalcato i limiti del male conosciuto nel nostro secolo coi suoi piani e i suoi ordini disegnando l’attacco, ha fatto anche lui il suo errore, come Nasrallah. La sua ora è venuta non in una delle gallerie, scoperto dai servizi segreti circondato dai poveri rapiti un anno fa, ma beccato per caso carico di soldi e passaporti falsi probabilmente mentre voleva scappare dallo Tzir Filadelfi come un vigliacco. Nella foto un gruppetto di soldati guarda stupefatto il corpo seminascosto di Sinwar, chissà con quale orgoglio riescono a pensare a come proprio loro, in questa pagina di storia, hanno messo fine alla vita del topo di gallerie, responsabile dei bimbi decapitati, delle famiglie bruciate, delle ragazze violentate e uccise, dei sei ragazzini fucilati poche settimane fa all’imbocco della galleria.
Quei ragazzi hanno verificato con sollievo senza fine che neppure uno dei rapiti era là a coprire Sinwar. È morto tenendoli nascosti senza scambiarli, spavaldo e sicuro di se stesso, bruciante d’odio per gli ebrei fino al punto di uscire all’aria aperta sicuro di vincere, dopo aver portato l’inferno su Israele e anche sul suo popolo, usato come scudo umano della sua folle ideologia e dei suoi assassini, ben riparati nelle gallerie costruite coi miliardi ricevuti dall’Iran e dal Qatar e dall’aiuto umanitario di tutto il mondo. Sinwar aveva promesso di liberare tutti i prigionieri palestinesi quando nel 2011, condannato a quattro ergastoli, era uscito nello scambio Shalit: non gli è riuscito. Tornato a casa guarito da un cancro al cervello curato da Israele, con la conoscenza profonda della società israeliana così da sfruttarne rotture e debolezze, e con la decisione a usare qualsiasi mezzo per uccidere gli ebrei e distruggere loro Paese.
Prima di tutto, sotto di lui si stringe il rapporto con l’Iran. Uccide con le sue mani, letteralmente, quelli che accusa di essere agenti di Israele. Crea la strategia miliardaria delle gallerie, oltre a essere l’architetto degli orrori del 7 ottobre. Lo disegna con una precisione che arriva persino alle mappe e agli ordini nelle tasche degli assassini con la fascia verde in capo e le motociclette o i pick-up che, sempre secondo i suoi ordini, tornano dalla strage carichi di rapiti e corpi su cui Sinwar ha giocato il suo sporco gioco di ricatti, propaganda, violenze sessuali, sangue, ulteriori uccisioni. Senza avere mai l’intenzione di condurre una vera trattativa per conservare la leva più potente nelle proprie mani. Nel frattempo, teneva sotto il tallone una popolazione nazificata e insieme affamata e violentata da Hamas stesso. Nella testa della cronista torna l’immagine che tutti hanno visto di Sinwar coi suoi bambini che tengono già un mitra in mano mentre lui li vezzeggia, poi l’uomo che cammina nel buio della galleria e davanti i suoi tre bambini che lo precedono nello spostamento. Povere creature, quando si pensa alla reazione del suo collega adesso anche lui all’Inferno, Ismail Haniyeh, quando raggiunto dalla notizia della morte dei suoi figli non ha alzato un sopracciglio. «Amiamo la morte più della vita» ripetevano ambedue, ed eccoli accontentati.
Adesso, cambia lo spettacolo, difficile per Hamas in stato comatoso trovare un successore, si aprono le strade per Gaza, oltre alla crisi militare evidente di Hamas c’è anche una crisi politica che deve suggerire la capacità di Israele di gestire la sua guerra di sopravvivenza, come ha saputo farlo con Nasrallah. Certamente l’Iran guarda, speriamo che sappia dare buoni consigli a chi ha in mano i rapiti. E che in generale si renda conto che Israele ha tutte le intenzioni di vincere la guerra. L’idea di una guerra totale, ora che Hamas e Hezbollah sono senza testa, è molto meno robusta.