Solo chi è in malafede non vede l'antisemitismo
Il Giornale, 15 novembre 2024
Per favore, che si smetta di fingere stupore e rammarico per la crescita dell’antisemitismo. È ridicolo, come lo sarebbe stato nella Germania o anche nell’Italia degli ultimi anni trenta. È ormai parte di un paesaggio politico intrecciato con la crisi mondiale, è un piano internazionale che approfitta dell’ignoranza, se ne infischia delle belle parole, è arrivato il momento per i Paesi Occidentali di capire che l’ondata di antisemitismo che spazza il mondo è una guerra, come quella in Ucraina o a Gaza e sul bordo libanese, costa vite; o si sta da una parte, o si sta dall’altra. Never Again al momento è fuori uso. Solo ieri Parigi si riempiva di truppe armate per fronteggiare le squadracce proPal intenzionate a proseguire il lavoro dei loro colleghi a Amsterdam, aggredire i tifosi israeliani giunti per la partita; a Milano si sfregiavano i murali su Liliana Segre (nella stessa città,57 manifestazioni dal 7 ottobre); a Anversa (90 episodi di antisemitismo nei primi due mesi di guerra) si arrestavano gli attivisti di una “caccia all’ebreo” in preparazione. A Roma, una lettera indirizzata al ministro Tajani a Palazzo Chigi avverte i Paesi che sostengono la “entità sionista a sostegno del genocidio… che da oggi si useranno le armi” per colpire “gli interessi dello stato terrorista”. Il padrone dell’Hotel Ongaro a Selva di Cadore avverte che gli ebrei non sono graditi, e cancella le prenotazioni degli israeliani. La Leonardo, leader nell’aerospazio Difesa e Sicurezza, è stata assalita fisicamente dai proPal come “complice dell’illegittimo Stato d’Israele” mentre, ha detto il ministro della difesa Crosetto “era in corso un’importante riunione col personale della difesa” e definisce gli antisemiti “pericolosi eversivi” che non si devono “vezzeggiare”.
Intanto Josef Borrell, ministro degli Esteri dell’UE, propone di interrompere il dialogo Europa Israele per “possibili violazioni” dei diritti umani. I turisti israeliani in Tailandia sono stati avvertiti che gli si prepara un’aggressione armata. Negli USA, l’aggressione degli ebrei è pane quotidiano. Eccetera… La vergogna per il fallimento del Never Again… meglio smettere di occuparsene narcisisticamente mentre Israele è costretta a una guerra di sopravvivenza perché l’Iran e i suoi hanno deciso di distruggere lo Stato ebraico. Al lato, si aggrediscono gli ebrei in nome della stessa ideologia genocida. Da adottare, semmai, il voto del parlamento tedesco per la difesa della vita degli ebrei; oppure la promessa di Trump di tagliare i fondi alle Università i cui studenti ebrei siano minacciati. Si può fare, sapendo che si tratta di una guerra mondiale.
Le torture di Hamas che nessuno può negare
Il Giornale, 11 novembre 2024
Le fotografie che per primo ha pubblicato ieri il Daily Mail completano l’informazione grafica che per la prima volta il mondo ha ricevuto il 7 ottobre del 2023: testimoniano la crudeltà cui può arrivare l’animo umano e di nuovo tali immagini sono fornite dal regime islamista di Hamas. Si tratta stavolta di ore di video riprese da una telecamera dentro una sede dell’organizzazione nel nord di Gaza ben prima della guerra, fra il 2018 e il 2020. Non c’è ombra di ebreo, solo la torture inflitte da Hamas ai suoi concittadini: il footage è stato trovato per caso dall’Esercito israeliano e adesso le immagini meno inguardabili mostrano persone appese al soffitto a testa in giù o per la testa, le membra distorte senza poter toccare il pavimento, con la testa in un sacco, mentre aguzzini li colpiscono in varie parti del corpo e sulle piante dei piedi, con le braccia legate dietro la schiena… una vittima ora fuggita in Egitto, Hamza Howidy ha detto “ti torturano finché devi per forza confessare qualsiasi cosa vogliano”.
Le torture comprendono elettrodi, bruciature, tagli, oggetti introdotti dentro il corpo; le subiscono i nemici politici, chiunque sia sospettato di ribellione al regime, di critica, di connivenza con Israele, ma sono oggetto di torture i gay, gli adulteri, i ladri, chi rompa l’ordine sociale che è anche religioso. Il terrore regola la società di Gaza, i torturati che oggi parlano dall’estero come Rami Aiman, spiegano che se hai la fortuna di sopravvivere, i terroristi vengono ancora e ancora a prelevarti a casa per torturarti. Le esecuzioni specie dei gay o delle pretese spie sono continue: persone trascinate da auto in corsa, sepolti vivi… è lo stile personale di Sinwar già chiamato da tutti “il macellaio di Khan Yunis” quando era capo delle guardie di Hamas. Uccideva con le sue mani sia sospette spie che individui che deviavano dalla religione. Di fronte alla crudeltà qui di nuovo esposta, potranno le folle che si fregiano della medaglia dei diritti umani rifiutare questa seconda occasione di capire? Non comprenderanno che Israele ha dovuto combattere contro chi ha dichiarato: “Noi conquistiamo i titoli col sangue”; “lo faremo ancora e ancora” e di questo ha fatto la sua strategia? Sinwar, come l’Iran degli Ayatollah, si è impossessato dell’Islam riducendolo alla base teorica e religiosa della peggiore violenza giustificata da un grande fine di dominazione che coincide con la sua purificazione del mondo.
Chi si alzerà nel mondo islamico per ripristinarne il valore che Bernard Lewis gli attribuiva con nostalgia? Certo non lo farà chi insisterà con “Free Palestinese” quando quella è la Palestina dei torturatori. Ma il conformismo e la paura sono sempre una trincea robusta. Non è detto che anche questa volta la risposta non sia la stessa di dopo il 7 ottobre, la negazione giustificatoria, la costruzione di una catena di menzogne. Vedremo ora cosa diranno i sostenitori dei diritti umani. Ci aspettiamo di tutto.
La linea rossa fra antisemitismo e critica d'Israele
Il Giornale, 10 novembre 2024
Dovrebbe essere facile identificare l’antisemitismo quando una folla suddivisa in falangi preparate ad arte insegue dei tifosi israeliani urlandogli non che la loro squadra fa schifo, ma “ebreo” e “Allah hu akbar”, li investe con le auto, picchia a sangue anche i bambini, costringe le vittime a saltare nei canali o a inginocchiarsi ripetendo “viva la Palestina”, sghignazza su un padre che copre il figlio col suo corpo e dice prendete tutto ma lasciatelo stare. Sì, dovrebbe essere facile, infatti le autorità olandesi si sono vergognate e scusate.. invece alcuni giornali italiani, proprio come Al Jazeera, sono infiorettati di “un nesso fra l’odio antiebraico e i crimini delle forze israeliane” (Gad Lerner sul Fatto), di “vergognosi cori” dei tifosi che arrivano sull’onda del “massacro di civili inermi” (Manifesto), e sull’Unità oltre a questo di vista si trova proprio ieri anche una di quelle inchieste (De Giovannangeli) in cui si proclama che nelle carceri israeliane si torturano i bambini…, ecco dunque perché si odia Israele. Il tema (per chi studia l’argomento è ormai imbarazzante, dato, dal 7 ottobre, il ributtante inaspettato quantificato tsunami di antisemitismo) è quello della legittimità di criticare, anzi di combattere Israele, la differenza fra critica e antisemitismo. Ci sono molti libri su questo argomento da quando Martin Luther King disse a un suo interlocutore: “Tu dici sionismo, my brother, ma in realtà intendi gli ebrei, e questo è antisemitismo”. Ma la sovrapposizione dei termini è stata soprattutto decifrata dalla scoperta del grande storico Bernard Lewis, nel 2005, con l’idea del “nuovo antisemitismo politico” che trasforma i vecchi stereotipi della sete di sangue, dell’egoismo, della grettezza, della smania dominatrice... in colonialismo, imperialismo, nazifascismo, autoritarismo, razzismo, crimini di guerra, genocidio. Finisce l’odio religioso romano e cristiano medievale, poi quello razzista nazista e poi comunista, e si approda a quello odierno. Israele, l’ebreo collettivo è Shylock, o Dreyfus. Come un tempo si perseguitavano gli ebrei sostenendo che mescolassero le azzime di Pasqua con il sangue dei bambini e da questo si motivavano i pogrom con migliaia di vittime, e poi la Shoah è stata spiegata nel Mein Kampf come un’indispensabile pulizia del mondo, così oggi mentre non si sa nulla su come si conduce e perché la guerra a Gaza, si basano accuse di stragi e genocidio su dati mai verificati, gonfiati, di fonte nemica a Israele.
L’antisemitismo mascherato da critica politica in Occidente ha creato una fitta rete di diffamazione ormai infissa nella comune narrazione televisiva, la crescita della propaganda islamista, l’ignoranza panneggiata nella favola woke degli oppressori e degli oppressi: l’occupazione coloniale di un mai esistito stato palestinese è la più diffusa, e la più falsa. Nathan Sharansky durante la sua prigionia (9 anni) nelle carceri sovietiche come dissidente ha spiegato come nessun’altro: ci sono tre D che individuano l’antisemitismo. Demonizzazione, come quando si compara Israele ai nazisti o lo si accusa di genocidio quando invece sono gli Ebrei a essere l’oggetto di un conclamato progetto di genocidio sperimentato fra l’altro il 7 di ottobre. Doppio standard, quando per esempio l’ONU condanna freneticamente Israele per violazione di diritti umani, e ignora Cina, Russia, Siria, Iran… O quando Israele non può essere eletto alla testa di molte commissioni dell’ONU, o quando si esclude dalle mostre, dagli incontri sportivi e scientifici. L’ultima D sta per delegittimazione: popolo indigeno nella sua terra, al popolo ebraico è negato con una storia inventata il diritto di esistere e di difendersi. Israele ha colpito una base dell’Unifil ed è scoppiato lo scandalo internazionale; chi si è accorto che gli Hezbollah hanno avuto la stessa avventura? Il cumulo di stereotipi, la larga diffusione, la trasformazione in diritti umani dei palestinesi rendono l’Occidente lo zimbello dell’odio e della violenza di Amsterdam, l’islamismo estremo e il radicalismo riportano l’Europa agli anni Trenta.
L' Europa tocca il fondo: l'odio contro gli ebrei è un altro fronte di guerra
Il Giornale, 09 novembre 2024
L’Olanda è un Paese piccolo, eppure durante la Shoah ha lasciato deportare, anche collaborando non poco,106mila ebrei, più della Francia (83mila) dell’Austria (65mila) e di molti altri stati europei: quasi quanti la Germania (160mila). Ancora il 5 settembre del ’44 dei 1019 portati dall’Olanda sui treni ad Auschwitz un totale di 549 furono selezionati per le camere a gas, inclusi settantanove bambini. Anna Frank è stata nascosta due anni al numero 263 di Prinsengracht prima di essere scoperta e deportata nell’agosto del 1944. L’Olanda come gli altri paesi europei da cui sono stati trascinati alla morte sei milioni ebrei di tutte le condizioni e le età ieri ha dato la prova che “Never Again” non è un tema molto interessante per lei. Quando le migliaia di estremisti islamici, terroristi, si sono lanciati sui sostenitori della squadra Maccabi Tel Aviv che aveva giocato con l’Ajax, la polizia non ha quasi reagito benchè spesso chiamata per aiuto, non era preparata dove i criminali antisemiti avevano preparato gli agguati sapendo bene presso quali alberghi e punti di riferimento. Raggiungere i rifugi è stato difficile, solo l’aiuto di altri ebrei residenti lo ha permesso; e poi, scioccati e feriti, gli sportivi sono stati portati in salvo dall’aviazione civile israeliana organizzata però dal Pikud ha Oref, il fronte interno che si occupa della popolazione. Un fronte di guerra, in cui le forze locali non erano interessate a capire che il pogrom tentato sui tifosi israeliani, era composto di gente che urlava non il nome della squadra, o slogan calcistici, ma “Yehud” ebreo, e “Allah hu akbar”. Proprio come Hamas il Sette di Ottobre. Si sono visti giovani padri coi bambini che fuggivano aggrediti mentre gli dicevano “Vieni qui, figlio di… Are You Jewish?”.
E si facevano mostrare il passaporto, poi sequestrato, e loi facevano a forza inginocchiare e dire “Free Palestine”, persone anziane piene di sangue, coltelli levati, insulti. Dunque, e le tv ripetono i consigli a chi è ancora là, un ebreo deve rinunciare alla kippà, alla stella di David, a parlare ebraico in pubblico, e meglio se resta in camera: questo offre al viaggiatore ebreo l’Europa di oggi. Si allarga così il fronte su cui gli ebrei combattono per la vita dopo il 7 di ottobre: Israele è oggetto di incessanti bombardamenti, e anche bersaglio dell’odio antisemita e antioccidentale, accusato di tutti i crimini di cui la sinistra mondiale ritiene colpevole il fronte che odia: colonialismo, genocidio, suprematismo bianco, imperialismo. L’Iran, con Hamas, gli Hezbollah, arruola gli estremisti islamici di tutto il mondo e trova il sostegno psicotico di folle di giovani specie studenti.
L’antisemitismo è ammesso sui teleschermi e nei salotti, ha mostrato ieri i suoi colori nella città dei musei immancabili, delle biciclette colorate, delle cenette sui canali… ma ciò che è capitato a Amsterdam, può ora capitare a Bologna con la partita di basket, o il 14 a Parigi nello scontro fra le nazionali, o per un concerto di un cantante israeliano. Quell’antisemitismo sostiene società in cui donne, omosessuali e dissidenti vengono uccisi se manifestano la loro libertà.
Negli anni Settanta quando si incontrano il terrorismo rivoluzionario e quello jihadista ambedue presero di mira gli ebrei; certi governi europei, fra cui quello italiano, alleandosi con l’OLP, promossero una ondata di propaganda antiisraeliano, l’antisemitismo razzista divenne antisraeliano. L’Europa per paura e per ipocrisia, non combatte l’odio antioccidentale: la Russia, l’Iran, la Cina, se ne compiacciono. L’allarme è rosso, Non c’è che lottare, si può, la Germania per esempio ha votato una risoluzione dal titolo “Never Again is Now” per difendere la vita degli ebrei e battere l’antisemitismo. Ne va del futuro di tutti: il nuovo ministro degli esteri Gideon Saar e Amir Ohana sono volati in Olanda. Il significato è chiaro. Israele è attiva in tutto il mondo nella difesa degli ebrei, anche se è l’anniversario della Notte dei Cristalli, non funzionerà: Israele al contrario di allora vive e combatte.
Giornata di fuoco e sorprese per Israele. Trump, Gallant e gli Hezbollah
Il Giornale, 07 novembre 2024
Israele non si fa mancare nessuna emozione, nel bene e nel male: ieri è stata la giornata in cui la vittoria di Trump è arrivata dopo una notte insonne come quella degli americani. In genere, si è conclusa con respiro di sollievo anche di chi non vuole confessare simpatie per Donald e certo con il senso che finalmente il sostegno per Israele in tempi duri sarà chiaro e dissuasivo. È stata anche la giornata delle manifestazioni e della conferenza stampa di tutti i capi dell’opposizione contro Netanyahu dopo il licenziamento del Ministro della Difesa Yoav Gallant. E sullo sfondo una pioggia di missili si è abbattuta su tutto il nord e la costa: è realistico che l’Iran abbia ordinato agli Hezbollah di ricordare col fuoco che è il quarantesimo giorno dall’eliminazione di Nasrallah e di dare così il benvenuto a Trump.
Bibi ieri è stato fra i primi a parlare al telefono col nuovo presidente: la guerra, i rapiti, il terrorismo, il Libano, Hamas, il cambiamento del ministro che era anche l’interlocutore preferito del governo Biden... ma fra Palm Beach e Gerusalemme si è certo insistito sull’ argomento più urgente: l’Iran, il suo progetto di attaccare di nuovo Israele, la bomba atomica già quasi pronta. Trump ha sempre mostrato di condividere la linea per cui la Repubblica Islamica è la testa di uno schieramento pericoloso per tutto l’Occidente, gli ha a suo tempo tagliato i fondi e ha cassato ogni accordo. Ieri ha detto che “vuole chiudere, e non aprire guerre”: ma è del tutto probabile che non punti come Biden a un “cessate il fuoco” che lascia i nemici in piedi a riorganizzarsi per la distruzione di Israele. Trump ha anche detto che le strutture atomiche iraniane sono il vero obiettivo su cui puntare. Israele invece attaccando ha dovuto accettare il veto di Biden. In generale memori del successo comune con i patti di Abramo, sia Trump che Netanyahu certo hanno in mente soluzioni che comprendano l’appoggio dell’Arabia Saudita, dove si è interrotta la strada degli Accordi di Abramo. Trump certo spera in un grande piano che lo consegnerebbe alla storia, eliminando l’anello di fuoco iraniano (e qui, sembra difficile che possa mantenere ormai un rapporto con Putin, tutto da quella parte) e cementando un fronte di pace con i Paesi sunniti e certo anche i Palestinesi, per cui aveva previsto a suo tempo uno Stato. Ma i tempi sono diversi. E oggi Netanyahu si sente molto più sicuro perché, se lo scontro con l’Iran arriverà, gli americani non diranno ancora “don’t”.
Intanto fino al 20 di gennaio, quando avverrà il cambio, si deve trovare un buon rapporto con Biden con cui il miglior contatto il ministro della difesa. Il segretario alla difesa Lloyd Austin ha lavorato ogni giorno con lui: non era un segreto che in questo rapporto Gallant promuovesse le sue idee, che tendevano all’appeasement ma, secondo lui, avrebbe portato alla restituzione degli ostaggi. La sua scelta ferì Netanyahu quando affermò, dopo il voto del Gabinetto il 29 agosto, di essere contrario a restare a guardia dello Tzir Filadelfi, il confine di Gaza e polmone di Hamas con l’Egitto. Gallant, che Netanyahu aveva già licenziato nel 2023 e poi riammesso su spinta popolare, è un soldato di valore, il suo dignitoso discorso ha ribadito la sua fedeltà a Israele e infiammato i suoi sostenitori. Gallant è si è fatto forte di un rapporto privilegiato col Capo di Stato Maggiore, che ha oltraggiato Netanyahu. La sua scelta di spingere per la coscrizione dei religiosi haredim rischiando una crisi di governo, ha causato la frattura. Biden, che non ha perso personalmente, cercherà ancora il suo retaggio nei prossimi due mesi tornando alle regole umanitarie, la pace, i rapiti. Si apre un altro periodo complicato, mentre l’Iran minaccia e, insieme, trema.
Il dilemma degli ebrei. L’Iran sceglie la Harris
Il Giornale, 05 novembre 2024
Gli ebrei americani,7 milioni e mezzo, un numero pari quasi a quello di tutti gli ebrei che vivono nello stato d’Israele ( 9 milioni e mezzo che comprendono anche i cittadini arabi),sono sempre stati per la maggioranza, di sinistra. Adesso, il baratro che separa le ragioni di una guerra di sopravvivenza da quella, fino a ieri di Biden, di vincere le elezioni puntando anche a un pubblico pacifista e woke, hanno cambiato un po' le cose, ma non si sa ancora quanto. Di sicuro, Trump offre una spalla un po' più robusta quando dice che Hamas non avrebbe osato attaccare se lui fosse stato al potere, e non si può negare che in questo vanto può esserci qualcosa di vero. E tuttavia anche Biden ha detto qualche “don’t” agli iraniani, ottimo finché non si trasformato in un “don’t” anche a Israele, e soprattutto, alla fine non si è tirato indietro nel fornire di armi il suo unico alleato democratico in Medio Oriente. Certo, non l’ha fatto per beneficenza e ha sempre preteso un prezzo spesso esoso in cambio, e tuttavia Kamala Harris ne avrà i vantaggi che forse una sua gestione non avrebbe meritato.
E così, come il resto del voto anche quello degli ebrei americani è un mistero. La Harris si è molto buttata a sinistra puntando sui giovani e le donne; nei suoi ultimi discorsi in Pennsylvania, stato decisivo, ogni volta che parla promette di fermare la guerra e lamenta la “insopportabile” perdita di civili a Gaza; però, aggiunge che si batterà con tutti i mezzi per riportare a casa i rapiti. La par condicio è la sua linea: aggiunge anche che il 7 di ottobre è stato un crimine imperdonabile, però subito avverte che la pace consiste nel creare uno Stato palestinese, concetto che esprime mitigandolo con la sofferenza palestinese, censurando che si tratterebbe di affidarlo a forze terroriste o amiche dei terroristi. Questo, unito al fatto che non si presentò al Congresso il 24 luglio quando Netanyahu vi prese solennemente la parola, e che ha considerato “real” ben due volte la questione che un elettore ha posto a un suo comizio, ovvero se Israele sia uno Stato genocida, non fa di lei una candidata affidabile per Israele. Non è ideale per chi ci tiene a Israele e per gli ebrei che vedono che la grande ondata di antisemitismo che rende amara la loro vita è causata dai movimenti proPal “from the river to the sea” che propagandano su Israele stupidaggini senza vergogna, cioè che si tratti di un Paese spietato e guerrafondaio. Harris non l’ha mai denunciato. Circa l’80 per cento degli ebrei americani votavano a sinistra, ora la percentuale si è ristretta, ma non è chiaro di quanto.
Trump ha alzato la voce: siete pazzi, è la fine d’Israele, e se perdo la colpa è vostra. Trump ha anche avuto con Netanyahu un momento di rottura quando Bibi ha porto le congratulazioni a Biden nel momento delle elezioni, è ombroso e caratteriale, ha tenuto un discorso ambiguo sulla fine della guerra cercando anche il voto musulmano: pure è il presidente che ha con coraggio portato la sua ambasciata a Gerusalemme, ha riconosciuto la sovranità sul Golan, ha smascherato l’UNRWA, l’ONU, l’Autorità Palestinese, e ha messo al bando gli inutili accordi nucleari con l’Iran, tagliando i fondi a tutti. Ha creato gli accordi Abramo e oggi dunque rassicurerebbe i Paesi sunniti che temono l’Iran sulla possibilità effettiva di una politica americana coraggiosa, di uno spazio libero dalla minaccia iraniana, e quindi di una pace possibile finalmente, resa possibile dall’azione militare che Israele sta portando a termine. L’Iran intanto, mentre minaccia l’attacco a Israele per spaventare gli elettori, informa che tiene apertamente per Kamala. Se questo le faccia piacere, non si sa, ma Abdulaziz Al Sager del Centro di Ricerca del Golfo dice: “Trump imporrà pesanti sanzioni all’Iran o consentirà a Israele di condurre azioni mirate sui siti nucleari”.
Ecco il punto: Trump ha già detto che Israele ha come vero obiettivo la cessazione della minaccia atomica. Dunque, se l’Iran attaccherà Israele, Netanyahu che fino a ora ha mostrato una sua certa equidistanza dai candidati proprio osservando la regola di Biden durante la risposta all’Iran di non colpirne le strutture atomiche e energetiche, stavolta potrebbe rispondere subito gestendo una doppia possibilità: quella che anche una nuova gestione Harris, per quanto pacifista, accetterebbe e aiuterebbe necessariamente se l’Iran attacca con i missili balistici, e quella che Trump se eletto approverebbe perché prepara il terreno a una gestione solida del futuro mediorientale. Di fatto pulirebbe il terreno per ambedue i candidati, e la Harris, che sull’Iran ha sempre detto che è pericoloso, mentre arrivano dall’ America i nuovi aerei da combattimento, non avrebbe ragione di dispiacersene. Israele guarda al voto mentre i missili piovono e i soldati vengono uccisi sia a nord che a sud, ma ha molto indebolito il nemico e certo Netanyahu, come sempre i leader democratici cerca la strada per concludere una guerra vittoriosa: in realtà Trump fornisce maggiore sicurezza perché, con tutti suoi difetti, è convinto che Israele sia il bastione della civiltà democratica, dell’economia della medicina, dell’agricoltura e degli USA nel mondo arabo; la Harris ha ereditato nei consiglieri, nella impostazione ideologica, l’ambizione internazionalista di Obama. Che non ha portato fortuna né ai Paesi Arabi, né a Israele, né agli Stati Uniti, e nemmeno all’Europa.
L'Iran minaccia, Israele resiste e "vede" il bluff
Il Giornale, 03 novembre 2024
L’Iran sventola la minaccia atomica: fino a oggi si parlava di missili balistici, di un anello di fuoco formato dai suoi proxy pronto a lanciarsi in battaglia. Adesso, alla vigilia delle elezioni americane, è chiaro che le sue invettive sottendono una pressione decisiva del governo americano che cerca la rielezione su Israele. È stato il leader supremo Ali Khamenei a promettere di nuovo una vendetta invincibile e indimenticabile, ma prima di lui aveva parlato un suo importante consigliere militare, Kamal Kharrazi, comunicando che se Teheran fosse esposta a «una minaccia esistenziale» potrebbe rivedere la sua dottrina nucleare, usando la bomba atomica ormai pronta. Il fatto che la minaccia atomica venga rinnovata oggi denuncia un cambiamento che contraddice, dopo tutto, la minaccia stessa, una difficoltà e si può dire tranquillamente una paura di fondo. Khamenei ha detto lui stesso che l’attacco di Israele di una settimana fa ha portato danni che solo adesso cominciano a essere evidenti: l’Iran è accecato dei suoi radar e dei suoi sistemi di difesa missilistica, colpito nelle sue fabbriche d’armi, di missili e di droni, privato della benzina solida per i missili balistici. Nel frattempo i missili degli Hezbollah sono ridotti di una percentuale che taluni vogliono all’80%, Hamas è agli ultimi respiri.
La scelta strategica di Israele di superare la sua consueta guerra di contenimento (che ha portato al 7 ottobre) per scegliere lo scontro risolutivo che porti a una pace di lunga durata è certamente molto rischiosa, ma ha anche un evidente valore di dissuasione. L’esercito in Libano smonta casa per casa, villaggio per villaggio, depositi enormi stupefacenti di armi iraniane accumulate da 15 anni, tutte destinate agli attacchi. L’Iran sembra fare molto rumore senza decisioni precise: l’eliminazione dei grandi capi carismatici dei suoi movimenti jihadisti fondamentali, sia sciiti sia sunniti, è molto significativo in un mondo messianico. Esso può sostituire, certo, tecnicamente, i suoi uomini, ma non ha un ricambio alla pari con gli elementi carismatici come Nasrallah e Sinwar. La confusione è evidente. In più l’Iran al momento non ha più Hezbollah neanche come cuscinetto territoriale, né può più assediare Israele anche se certo può seguitare ad alimentare il terrorismo che lo tormenta dal West Bank e il bombardamento che lo tortura dal Libano ogni giorno con morti e feriti.
Israele però scegliendo la strada della deterrenza sostanziale punta proprio sulla trasformazione strategica dell’area intera: non lascia spazio a manovre psicologiche nemmeno alla vigilia delle elezioni americane, anche se lascia la porta aperta, per esempio, ai tentativi di Hochstein, l’inviato americano, di inventarsi un nuovo accordo 1.701. Israele cerca fatti, l’Iran minaccia di attaccare valutando tuttavia se deve fermarsi e tirarsi indietro dalla strategia dell’aggressione cambiando strada, o se questo è un passo troppo costoso, che metterà anche in crisi la sua piramide di potere. Ancora è difficile prevedere il futuro. Ma alla fine le strutture atomiche sono la posta, e certamente Israele non ne è ignara.
Israelofobia in diretta Tv
Il Giornale, 31 ottobre 2024
Ha detto molto bene nella sua rubrica su Huffington Post Pierluigi Battista attaccando il modo in cui la trasmissione tv Report spara la ignobile pubblicità del suo prossimo programma su Rai Tre; Battista lamenta che per un programma di quel genere, di cui ricorda la precedente puntata su Alessandro Giuli, venga propinato da un canale, il terzo della RAI, per il quale si è costretti a pagare il canone. In verità, io di sicuro non lo guarderò: spesso da Gerusalemme scanalo con speranza sulle reti della mia patria lontana, e incontro, salvo in pochi casi, talk show carichi di bugie ignobili, di vergognosa insensibilità storica e morale, di propaganda antisraeliana, ignorante, sciocca, scandalistica e creatrice consapevole di antisemitismo. Adesso Report promette che domenica mostrerà “Israele come laboratorio politico dell’estrema destra internazionale” ovvero un antro odioso di nazi fascisti razzisti, colonialisti, imperialisti… con la solita criminalizzazione di Netanyahu, si capisce, e il rovesciamento “sionismo uguale nazismo”. Robert Wistrich ci ha dedicato volumi, ma la TV di Stato non lo sa. La seconda frase pubblicitaria è da querela, e riproduce il famoso blood libel delle azzime mescolate col sangue dei bambini a Pesach, la Pasqua ebraica: Report ci spiega che ci mostreranno “Gaza come laboratorio dove testare le armi”, cioè sul corpo, secondo la vulgata dei “civili” o meglio dei bambini palestinesi. Se un ubriaco dice questa frase alla fine di una cena, è imperdonabile, se è la RAI deve chiudere i battenti, è fallita.
È sadica e paranoica. Eppure è una forma di ubris invincibile quella israelofobica radio tv, dilaga sulla RAI e in ogni dibattito sugli altri canali, segue la moda e il rating: si può modulare più o meno smodatamente e in coro (da Lilli Gruber sempre), spiritosamente (Propaganda Live il 22 marzo per esempio con il reportage di Francesca Mannocchi, o anche ospitando Gad Lerner che amerebbe Israele, oh certo, se non ci fosse Netanyahu); con dei professori (Caracciolo) delle professoresse ( Anna Foa che presenta “Il suicidio di Israele a Quante Storie, da quello Zanchini che chiese a Esther Mieli “Scusi lei è ebrea” a radio Anch’io il 29 ottobre dopo lo sterminio); Corrado Somigli sulla 7,fa l’en plein quando l’Albanese, la solita impiegata dell’ ONU antisemita di ogni giorno, gli dice in tv che “il 7 ottobre non ha una matrice antisemita ma è una ribellione contro un potere occupante”. Anche a Agorà il 12 ottobre fu invitata l’Albanese quando io, ignara, trovandomela nel panel non potei respirare la sua stessa aria, e me ne andai. Avevo però intanto sentito il famoso corrispondente del Corriere e mio antico conoscente Lorenzo Cremonesi che dopo aver dichiarato Israele “in guerra civile” aveva anche aggiunto che “Israele vuole deportare anche gli arabi israeliani” e che “in Israele si pensa di avere sangue superiore”… proprio così, ed è adesso ospite frequente di Monica Maggioni a Newsroom dove si pratica soft odio per Israele.
Immagino che ai loro occhi potrebbe riscattarsi, se si convertisse, pardon, mio lapsus, se cacciasse Netanyahu. Anche Anna Foa ha detto che Netanyahu “vuole annettere Gaza e l’West bank, crede di essere mosso da Dio”. Orsini dalla Berlinguer da acuto analista a Carta Bianca ha detto “se Israele manda gli aerei in Iran, glieli tirano giù 300-400 km prima che arrivino”. Anche da Floris a “Di martedì” se ne dicono parecchie. C’è larga licenza di sparare quando si parla di Israele perché nessuno o quasi ci capisce niente. Nei talk della RAI e della 7 ci si collega con parecchi corrispondenti che si aggirano tristi fra le rovine del Libano dimenticandosi che quelle sono le postazioni degli hezbollah che stanno bombardando Israele proprio adesso, e che là sotto ci sono lanciamissili e depositi di armi potenti, che sotto finte case di abitazione ci sono gallerie destinate a portare dentro Israele dal Libano una nuova strage di massa.
Nei talk, spesso non si è mai notato la pioggia di missili quotidiana dopo i massacri, chi si accaparra De MagistrisA fa bingo quasi come se avesse l’Albanese, ma vanno forte anche Travaglio e i suoi, e Parsi è in gamba. Sulla 7 è un continuo attacco, forse vince Formigli. Fra gli interlocutori più appassionati, molti rappresentanti della sinistra istituzionale e di quella scatenata: Laura Boldrini, Marco Furfaro, Sandro Ruotolo, Nicola Frantoianni, Angelo Bonelli... È tutto OK, essere antisraeliani poi non vuol mica dire essere antisemiti, vero? Come non lo sai? Eppure, fra gli altri, anche Martin Luther King aveva detto il contrario, ma chi se ne importa, e non ti curare del fatto che la prova delle tre D (Demonizzazione, Delegittimazione, Doppio standard) di Sharansky qui funziona benissimo. Il tg3 non è secondo a nessuno: quello on line ha recentemente dovuto cancellare un tweet in cui si sosteneva che l’immagine delle moglie di Sinwar in fuga con la borsa da milionari era un “tentativo di Israele di screditarne l’immagine” “dopo averlo reso un martire agli occhi di milioni di persone”.
Il dolore di Israele per i caduti in Libano. E Bibi spinge sulla "vittoria per la pace"
Il Giornale, 29 ottobre 2024
Il verde cimitero del Monte Herzl, dove sul fianco delle colline di Gerusalemme, sono sepolti tutti i primi ministri della storia ebraica a fianco di un numero esorbitante di soldati israeliani caduti dalla Guerra d’Indipendenza del 1948 e poi via via in tutte le guerre fino ad oggi, è troppo movimentato a ogni ora. Vanno, vengono folle di giovani e vecchi, in divisa e in blue jeans, che ogni quarto d’ora cambiano, e seguono le bare coperte con la bandiera trasportate verso la fila delle rispettive brigate sulle spalle di soldati che nascondono le lacrime sotto il portamento militare. Ci sono sempre tanti bambini nella folla, nipoti, figli, fratellini: la settimana scorsa 26 soldati sono stati uccisi in battaglia, avevano dai diciotto ai 55 anni, erano di leva o nelle riserve. I padri uccisi lasciano 56 orfani. Israele ogni giorno ascolta presto alla radio la lista dei caduti di cui è permesso fare il nome (“mutar le pirsum” dopo avere avvertito la famiglia) e scoppia in lacrime o si riassetta per un’altra giornata di guerra. E’ una roulette russa in cui prima o o poi perdi, Israele conta poco più di nove milioni di abitanti, dal 7 di ottobre a circa 14mila feriti e più di 1800 uccisi fra i soldati: per esempio ieri anche alla mia famiglia è toccato un doppio lutto, è stato ucciso il trentenne Gilad Eliamaliach guardiano della scuola del mio figlio piccolo, che lascia 5 bambini; ed è stato ucciso in azione con Avraham Yosef Goldberg, Avi per noi, maestro di Tanach di mio figlio: lascia dietro di se una famiglia che era un centro di cultura ebraica e di musica, in cui con la moglie Rachel, violinista e infermiera, suonava il clarinetto. Aveva otto figli, di cui il maggiore nel servizio militare. Dal sette di ottobre, volontariamente, è andato a combattere in Libano lasciando la casa di Gerusalemme e la scuola Himmelfarb dove insegnava. Amava i soldati di cui era comandante e rabbino, la sua brigata Alon. E anche molto tutti i ragazzi per cui era un insegnate unico ma aveva deciso di combattere per la sopravvivenza del popolo ebraico e così dal 7 ottobre ha fatto per 260 giorni.
Un suo messaggio a noi che ci preoccupavamo dice “Sono solo una piccola parte della mia unità, ma ne sono felice perché spero che questa volta la nostra vittoria porterà la pace per molto tempo. Ho scritto sui muri di diverse case del Libano: 'Noi volevamo la pace, voi avete scelto la guerra'. È tutto qui”. Uno a uno i soldati scomparsi, nei funerali che si sono protratti per giorni fino a notte tarda, appaiono nella memoria come personaggi non rimpiazzabili, unici. Un altro dello stesso gruppo, Eliav Amiram Abitbol, ha donato un rene a uno dei bambini cui offriva il suo volontariato. Tutta Israele è toccata uno a uno dalla scomparsa dei loro cari, o amici, delle straordinarie capacità, la loro assenza si somma a quella dei rapiti, e questo suscita discussione oltre che pena. È la matrice psicologica anche se non ancora politica del pacifismo che Israele nei decenni ha vissuto come una componente molto ingaggiata nella definizione della sua vita. Cedere invece di morire, è una grande tentazione anche se la storia ebraica insegna senza remissione che invece funziona al contrario. Nel 2000 la ritirata dal Libano, che disgraziatamente consentì poi agli hezbollah di nidificare in Libano coperti dall’Iran piazzando missili e gallerie al sud, nacque dal famoso movimento delle Quattro Madri che si basava proprio sull’angoscia creata dalla perdita delle vite dei figli, e che ebbe un apice nel disastro di un elicottero nel 1997. Nel 2000, dopo che il movimento aveva messo sottosopra Israele con una strategia di grandi dimostrazioni e di alleanze politiche, Ehud Barak ordinò il ritiro. Allora funzionò, e anche con Sharon quando decise il distacco da Gaza: ma oggi solo il 6 per cento degli Israeliani pensa che la guerra debba essere fermata per il suo grande costo in vite umane.
Netanyahu ieri nel suo discorso alla knesset ha spiegato due temi che sono molti legati in questa dimensione: quello dei soldati di leva e delle riserve che combattono da un anno ormai quella che lui chiama la sorpresa di una “guerra di rinascita” con determinazione leonina; e quello della strategia della guerra in corso, la sua novità assoluta nel puntare a ristabilire la deterrenza perduta puntando alla pace con la vittoria esemplificata dall’eliminazione di Nasrallah e Sinwar, l’identificazione definitiva dell’Iran con l’asse malefico che vuole dominare il Medio Oriente e distruggere la democrazia, e quindi della grande impresa salvifica che combattendo Israele compie. È una chiamata alla salvezza di Israele che convince la maggior parte della gente, anche quella che non può soffrire Netanyahu. Sembra che dopo il 7 di ottobre sia ormai parte della psicologia di Israele un motto: “Primum vivere”, e non contenendo il pericolo ma eliminandolo. Per questo Netanyahu ieri è tornato sul tema del pericolo atomico iraniano. Rischioso, ma necessario. Costa molto, ma vale la pena.
Informazione Corretta, il nuovo VIDEO di Fiamma Nirenstein: «Israele non si sta "suicidando" si sta battendo per la vita»
Nella fantasia degli intellettuali e dei media occidentali, Israele "si sta suicidando". E' una fantasia, perché nella realtà sta lottando per la vita, vincendo. Perché è riuscito a compiere imprese ai limiti dell'impossibile, come l'eliminazione di Nasrallah e il raid aereo sull'Iran. Non esiste neppure quell'"Israele diviso al suo interno", se non nella fantasia dei media occidentali.
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