La follia e il buon senso
Il Giornale, 24 novembre 2024
Nel 2002 un giudice spagnolo e una giudice francese chiesero all’Inghilterra, dove Henry Kissinger era diretto, di arrestarlo con l’accusa di complicità col generale Pinochet nell’eccidio di 4000 persone. A Londra i governanti alzarono le sopracciglia e suggerirono che la richiesta di studiare il caso fosse rivolta ai giudici americani, un Paese democratico. Ma Israele è il Paese degli Ebrei. Non solo: è il Paese di Netanyahu, di un governo, che, secondo la macchina della spazzatura internazionale, ha il difetto di non essere di sinistra. Anzi: di destra estrema, come ripetono mentendo tanti che si rallegrano che uno dei maggiori uomini di Stato del nostro tempo sia stato condannato alla gogna. E fanno bene a essere contenti: questa bomba antisemita e antimoderata è gigantesca. Ma proprio per questo gli esploderà in mano. Il giudizio dell’ICC, la Corte penale internazionale, è solo politico e anche masochista: niente prove, niente indagini, testimonianze di ONG antisraeliane il cui lavoro, da una vita, è fornire le proprie chiacchiere alle varie strutture dell’ONU, dall’UNESCO all’ICC, per distruggere Israele. Ma l’ONU è un’organizzazione corrotta in cui una maggioranza automatica mette insieme Stati falliti, Stati islamici, Stati spaventati, Stati che adorano contrapporsi agli USA e a Israele.
Questo, mentre Israele dal nord al sud, brucia di bombe, aggressioni armate, una guerra di cui ogni cittadino amante della pace soffre le conseguenze nel lutto, nell’economia, nelle scuole. È il piano dell’Iran. Ma l’ICC non lo vuole sapere, fa il suo passo onusiano, deve distruggere Israele: ma il passo stavolta è troppo lungo. La gente normale ride a pensare che si debba arrestare Netanyahu dopo il 7 di ottobre, sa la verità, teme semmai la violenza dei lunatici e dei jihadisti, rafforzati dalla sentenza; gli Stati che hanno subito promesso di arrestare Netanyahu come il Canada, il Belgio, l’Irlanda, si ritroveranno rifiutati dal buon senso, che distingue un aggredito da un aggressore, una persona civile da un fanatico antisemita, le cifre verificabili degli uccisi in guerra da quelli inventati, la cura nel consegnare migliaia di tonnellate di cibo e medicine dalla furto che ne ha fatto Hamas. La festa di criminalizzazione di Netanyahu alla fine porta alla vergogna della sinistra e alla sua definitiva decadenza; lo slancio teorico con cui tanti intellettuali anche ebrei profetizzano che il popolo ebraico non dovrà avere una terra, non conosce Israele, così tanto nazione, così tanto ebraica, così tanto piena di bambini e di soldati che sanno vivere e morire per la loro Terra, di persone la cui generosità non conosce i limiti dell’egoismo occidentale, che basta guardarsi intorno per capirlo.
Dopo la sentenza dell’ICC, Israele vive, e anche Netanyahu, mentre l’Occidente rischia la vita. Sembra accorgersene a sinistra solo Olaf Scholz che ha messo un’ipoteca sul verdetto dell’ICC. È stato scritto più volte che Churchill sarebbe stato condannato dall’ICC. Succederà, ma tutti rideranno. Il senatore Lindsey Graham l’ha detto senza paura: “Francia, Inghilterra, Canada, se seguite quei delinquenti noi vi sanzioneremo, distruggeremo le vostre economie, perché altrimenti nessuno potrà combattere il terrorismo”. Chi sceglierà questo destino, si troverà con Erdogan ad affermare che il ICC ha restaurato la fiducia nella giustizia.
Un assist ai terroristi: la legge internazionale per nascondere l'odio contro Israele
Il Giornale, 22 novembre 2024
La risoluzione della Corte penale internazionale abolisce l’ordine morale della democrazia e della civiltà. Può darsi che adesso, in giro per il mondo, la polizia aspetti all’aeroporto anche i ragazzi che hanno combattuto per difendere un Paese dallo sterminio di Hamas, che dopo il servizio militare vogliono andare a studiare o in vacanza o in uno stage tecnologico o musicale… pieni di amore per la democrazia e per la vita; che la polizia di Parigi, per esempio, aspetti con le manette i politici di destra e di sinistra, i ministri, gli ufficiali che compiano il peccato mortale di provenire da Israele, un Paese che è in guerra anche se voleva la pace. La risoluzione della Corte penale internazionale è una dichiarazione di antisemitismo che assorda adesso tutto il mondo, gridata in nome di una giustizia reinventata, che sovverte l’idea stessa di democrazia e di libertà.
Netanyahu e Gallant sono ricercati come criminali di una guerra che è stata inflitta a Israele, che hanno dovuto combattere per la vita e per la morte contro un nemico che ha fatto del suo popolo uno scudo umano totale per i terroristi, rifugiati invece in 800 chilometri di gallerie mentre usavano le case e gli ospedali per sparare su Israele i loro missili. Il 7 ottobre, la peggiore strage di ebrei che il mondo abbia conosciuto dopo il 1945, voluta da un grande schieramento capitanano dall’Iran accanto a Hezbollah, è stato cancellato con informazioni fasulle tratte da ONG esperte in pregiudizi antisemiti, o dal “Ministero della Sanità” di Hamas. La risoluzione della Corte penale internazionale fornisce un assegno in bianco al terrorismo islamico, e non è un caso che Hamas sia stato il primo a congratularsi. È una scelta per cui un tribunale internazionale, che dovrebbe avere tutti i crismi della legalità oggettiva, base della fiducia del popolo, in questo caso di tutto il pianeta!
Invece crea un nuovo ordine legale ed etico che nega la legittima difesa, che esalta il terrorismo, che non prende in nessuna considerazione il concetto basilare di intenzionalità, che non esamina le caratteristiche morali delle parti in causa. Insomma, che non distingue la democrazia dalla dittatura, l’umanità dalla crudeltà, la barbarie dalla cultura, la disperata battaglia per recuperare i rapiti dalla crudeltà di chi ancora, invece li tiene prigionieri. L’accusatore, Karim Khan, potrà adesso invece che affrontare le accuse rivoltegli per crimini sessuali vantarsi della sua richiesta di arrestare il Primo Ministro di Israele col Ministro della Difesa. Un gesto di portata mondiale, che piacerà all’Iran, alla Russia, alla Cina, alla Corea del Nord, a tutti gli islamisti del mondo, alla maggioranza automatica all’ONU, alle folle violente dei proPal. Da oggi Netanyahu può andare soltanto negli USA, che non ha mai firmato la Carta di Roma; Biden che ha anche bloccato la risoluzione antisraeliana al Consiglio di sicurezza dell’ONU, uscendo con onore, ha già detto che considera con disgusto la scelta dell’Aia. La Corte internazionale, come l’ONU, fu fondata con nobili intenti nel 1998. Ma, come l’ONU, è stata politicizzata e abusata. Gli arabi e i palestinesi sin dal 2001 alla conferenza contro il razzismo di Durban col supporto delle ONG più importanti, come Amnesty International o Human Rights Watch, inaugurarono l’aggressione legale che dura fino ad ora contro Israele: la Corte penale internazionale e la Corte internazionale di giustizia ne divennero lo strumento più tecnico. La criminalizzazione e la delegittimazione sarebbero arrivata fino alle accuse di genocidio, e avrebbero regalato ai palestinesi uno Stato. La Corte penale internazionale nel 2015, fra condanne per “l’occupazione” costruite su false interpretazioni del diritto internazionale, riconobbe la “Palestina”, che non esisteva e non esiste, e l’ammise come membro: così consentiva indagini e condanne di Israele. Le accuse odierne, prima di tutte quella di affamare i palestinesi, non hanno base, sono fra 200 e 300 al giorno i camion introdotti nella Striscia e che per tre quarti poi però Hamas ruba con le armi in pugno. Così come non c’è stata né riduzione dell’energia elettrica né dell’acqua. E soprattutto Israele ha cercato strenuamente di salvare i cittadini innocenti, con avvertimenti, spostamenti, verifiche: ma Hamas ha preteso la loro morte come scudi umani anche se Israele cercava di evitarla. La storia dirà tutta la verità su questo.
Ora, il Primo Ministro di uno Stato democratico, Benjamin Netanyahu, diventa oggetto di caccia, insieme al suo ex ministro della difesa, dei poliziotti di 120 nazioni, non può più mettere piede in Francia o in Belgio o in Olanda o teoricamente in nessuno di questi Paesi che hanno firmato la Carta di Roma. Ma la decisione sembra fatta apposta per piazzare un altro fendente nel corpo dello Stato ebraico prima che il gesto della Corte penale internazionale diventi oggetto di disgusto in una svolta mondiale. Michael Waltz, prossimo Consigliere per la sicurezza nazionale di Trump ha fatto capire che questo è l’ultimo rantolo delle Nazioni Unite asservite alla maggioranza automatica contro il popolo ebraico. È la prima volta che la Corte penale internazionale disegna un mandato di cattura per il leader di un Paese democratico. Certo. L’ONU ha prima usato la Corte internazionale di giustizia, il tribunale internazionale, per definire Israele “genocida”, o ora la Corte penale internazionale, e prima l’UNRWA, l’Unesco, e le commissioni, e le risoluzioni dell’Assemblea Generale... Tutti i suoi rami hanno avuto lo scopo di denigrare e condannare Israele. Adesso, chi ha la forza di reagire, anche in Italia, può rispondere a questa tabe antisemita. Ci sono molti modi per farlo, uscire dalla Corte penale internazionale, usare una politica di sanzioni, prendere una forte posizione di sostegno a Israele. Ricordandosi chiaramente che questo attacco, giorno dopo giorno, è contro tutto il sistema politico di cui, con Israele, siamo parte, con orgoglio.
Chi soffia sul fuoco dell’antisemitismo
Il Giornale, 18 novembre 2024
Il Papa, mentre tutto il mondo fronteggia la crescita violenta di un antisemitismo senza precedenti dalla Seconda guerra mondiale, col suo nuovo libro “La speranza non delude mai”, Edizioni Piemme, fornisce legna per questo fuoco. Una linea è subito diventata titolo di testa in tutte le lingue: suggerisce che debba essere indagato un presunto, possibile, fors’anche opinabile genocidio compiuto da Israele sui palestinesi a Gaza. Il sottinteso è l’intenzione genocida, ed essa altro non può essere che criminale, e quindi la guerra di Gaza, in realtà una indesiderata guerra di necessità dopo un attacco spaventoso, sia compiuta con un’intenzione maligna, eventualmente anche meditata. Forse il Papa è stato mal consigliato da chi immagina che il mondo cui egli parla sia intriso di pietismo populista, folle che ormai marciano sulle città del mondo con violenza, in nome di un fronte in cui la democrazia e la libertà non hanno cittadinanza.
Io non vedo così il mondo cristiano della gente normale, amica degli ebrei nel mondo democratico, che capisce invece che il termine “genocidio” porta sugli ebrei di tutto il mondo oggi un’ulteriore ondata di antisemitismo, disegna i cartelli su cui la Stella di David viene sostituita con la svastica mentre intorno folle inconsulte urlano “Free Palestine”, si assomma alla sovrapposizione di ritratti di Hitler con quelli di Netanyahu mentre Erdogan urla ai media che sono uguali, è il titolo di al-Jazeera o del Manifesto o persino del Guardian, tutti i giorni. Tornare a quell’accusa incrementa la moda imbrogliona di aggredire Israele e gli ebrei per compiacere il terzomondismo dell’ONU, soddisfare l’Iran, Putin, i cinesi… di certo i social e i talk show impazziscono di gioia. E questa esortazione del Papa ha una ragione concreta d’essere? Nessuna. Non solo i numeri dei morti a Gaza non sono certificati, dato che la fonte, inverificabile, è sempre solo rimasta quella del Ministero della Salute di Gaza: l’ONU che pure ci ha balbettato sopra parecchio, ci ha dato un quarto dei 40mila morti che in genere vengono menzionati: accertati sarebbero 8200. Invece l’unica cifra realistica, quella degli armati uccisi fornita da Israele, intorno ai 20mila, ci dice che la proporzione di civili uccisi, sarebbe uno a uno, la più bassa della Storia. Israele, come nessun altro Paese ha fornito aiuti militari e sanitari a tonnellate, ha cercato di non colpire la popolazione civile con accorgimenti di ogni tipo, mentre le condizioni di guerra rispecchiavano le parole di Sinwar: il sangue dei loro civili (mai rifugiati nelle gallerie usate, come gli ospedali e le scuole, solo per la guerra) è servito come scudo e per suscitare solidarietà ai combattenti di Hamas.
Genocidio c’è stato, ma è fallito: era la scelta di Hamas quando ha attaccato il 7 di ottobre, di uccidere tutti gli ebrei. Il termine sia stato coniato nel 1944 da Raphael Lemkin per descrivere le atrocità della Shoah e adottato nella legge internazionale del 1948 per criminalizzare “atti commessi con l’intento di distruggere un gruppo etnico raziale o religioso”, e mai è stato usato per stigmatizzare Fatah e Hamas che promettono “la costruzione di una Stato islamico e palestinese al posto di Israele”. Al contrario, è difficile immaginare che Israele abbia mai avuto intenzioni simili avendo accettato la partizione territoriale sin dal 1948, e via via da Camp David (1978) al 1995 (Oslo). Altra cosa, e sarebbe frivolo il pensarlo, è sanzionare che Israele combatta per la sua sopravvivenza contro il terrorismo. E comunque la presenza araba in Israele è cresciuta del 1182 per cento, mentre la presenza ebraica nei Paesi arabi è calata del 98,87 per cento. Là, si, c’è stata la pulizia etnica. A Gaza la popolazione dal 1948 poi è cresciuta verticalmente, e solo dall’inizio della guerra è cresciuta di 130mila unità circa. Il professor Robert Wistrich il maggiore storico dell’antisemitismo l’ha spiegato a fondo: “Holocaust Inversion”, il rovesciamento che fa degli ebrei i nuovi nazisti e dei palestinesi i nuovi ebrei, è la strada maestra nata con l’URSS e che dura fino ad oggi. Sarebbe tragico che la Chiesa imboccasse questa strada. Il consiglio di una giornalista ebrea qualunque: quella riga sarebbe meglio rivederla.
Il piano di Trump sul Medioriente. Pressioni per strangolare l’Iran
Il Giornale, 17 novembre 2024
La “dream team” che Trump ha disegnato per affrontare il grande conflitto, testa a Teheran, tentacoli in tutto il Medioriente, epicentro in Israele, e quindi in tutto il mondo manifestanti e violenza woke, fa parte di un disegno per bloccare la guerra totalitaria, iraniana e russa. Come se la vedrà con Putin, è da vedere, e probabilmente quei droni iraniani contro l’Ucraina, e il loro passaggio in Siria verso gli Hezbollah, saranno decisivi nel raffreddare il rapporto. I personaggi che decideranno sul Medioriente non sono soltanto estimatori di Israele: ne sono sostenitori che conoscono la millenaria resistenza del popolo ebraico. Nella dream team c’è una svolta concettuale fatta per spazzare via le bugie su Israele per cui l’antisemitismo è diventato moneta corrente della politica; è un alto là che intende concludere un ciclo, somiglia all’idea escatologica di riportare l’America alla sua grandezza. Una rivoluzione che “makes Israel great again” dopo che è stato tenuto per anni nel braccio della morte sotto la leadership degli Ayatollah, con la partecipazione venuta a compimento il 7 di ottobre della strage di Hamas, e poi dai missili degli hezbollah, e dall’esplicito esercizio balistico su Gerusalemme da duemila chilometri di distanza da una parte e dell’altra, Iran, Iraq, Yemen. Trump con queste nomine dice basta, e adesso si tratta di vedere se ci riesce: Marco Rubio, Segretario di Stato, dice che “Hamas deve esser completamente sradicato”; Michael Waltz, Consigliere per la Sicurezza Nazionale, dopo l’attacco iraniano ha detto che Israele deve distruggergli tutte le strutture nucleari e quelle energetiche; Mike Huckabee, nuovo ambasciatore, sostiene che non esiste il West Bank, si chiama Giudea e Samaria, ed è chiaro il diritto storico degli Ebrei al loro retaggio; Elise Stefanik prossima ambasciatrice all’ONU, ha svergognato e costretto alle dimissioni Claudine Gay, presidente dell’Università Harvard, che ha sostenuto che avocare lo sterminio degli ebrei è legittimo “a seconda del contesto”; Pete Hegseth, Ministro della Difesa, in varie visite in Israele ha mostrato la sua predilezione per il senso di sfida dei giovani ebrei a Nablus, o a est Gerusalemme. Il tema degli insediamenti è un cavallo di battaglia classico: Trump, si dice, ha un’agenda che si identifica con la destra israeliana. Ma le cose sono molto più complesse.
Trump è ben memore dei suoi ben riusciti Accordi di Abramo: al lato del piano di normalizzazione con gli Stati Arabi era previsto uno Stato palestinese demilitarizzato, e Israele in cambio degli accordi lasciò perdere un preventivo accordo sul 30 per cento della zona C, quello che gli accordi di Oslo affidano a Israele fino a una pace che gli dia sicurezza. Trump semplicemente sembra, scavalcando le formule fallite (terra in cambio di pace) sa che Israele è circondata, e che un sette ottobre è dietro la porta. Suo genero Jared Kushner, molto addentro i Patti di Abramo, sembra avrà un ruolo fondamentale in Medio Oriente; il suo partner preferito Elon Musk ha incontrato alle Nazioni Unite l’ambasciatore iraniano Iravani. Complicato: nelle stesse Biden sta cercando uno stop alla guerra con gli Hezbollah tramite il suo inviato Hochstein dal governo libanese, e Trump sembra avergli dato il suo gradimento. Nel frattempo Ron Dermer, Ministro per gli Affari strategici di Israele ha fatto un passaggio in Russia prima di incontrare in America sia gli uomini di Biden che quelli di Trump.
La prospettiva di Trump sembra quella di premere forte contando su rapporti diretti e opinioni chiare: è proibito, e non a parole, cercare di organizzare, il genocidio degli ebrei. Non richieste di cessate il fuoco, interventi umanitari che indeboliscono Israele, cerimoniose astensioni o veti alle sedute dell’ONU che per ben 500 volte nel 2023 hanno condannato Israele. Nel frattempo ha già promesso di tagliare i fondi alle Università in cui si perseguitano gli ebrei. Trump vuole un suo strano premio Nobel per la pace, deve bloccare l’Iran e la Russia che hanno preso in mano metà del mondo con la violenza, e prepara una strada per farlo. Non piacerà a tutti. Anche ridare alla parola annessione (che Israele non desidera come ha detto Netanyahu) un significato temporaneo contro un altro 7 di ottobre, può starci, senza ideologia, ma perché i tentacoli terroristi non afferrino la gente dei kibbutz del sud e delle case del nord. Trump sa che pace ci sarà solo bloccando il jihadismo: ha quattro anni a disposizione.
Solo chi è in malafede non vede l'antisemitismo
Il Giornale, 15 novembre 2024
Per favore, che si smetta di fingere stupore e rammarico per la crescita dell’antisemitismo. È ridicolo, come lo sarebbe stato nella Germania o anche nell’Italia degli ultimi anni trenta. È ormai parte di un paesaggio politico intrecciato con la crisi mondiale, è un piano internazionale che approfitta dell’ignoranza, se ne infischia delle belle parole, è arrivato il momento per i Paesi Occidentali di capire che l’ondata di antisemitismo che spazza il mondo è una guerra, come quella in Ucraina o a Gaza e sul bordo libanese, costa vite; o si sta da una parte, o si sta dall’altra. Never Again al momento è fuori uso. Solo ieri Parigi si riempiva di truppe armate per fronteggiare le squadracce proPal intenzionate a proseguire il lavoro dei loro colleghi a Amsterdam, aggredire i tifosi israeliani giunti per la partita; a Milano si sfregiavano i murali su Liliana Segre (nella stessa città,57 manifestazioni dal 7 ottobre); a Anversa (90 episodi di antisemitismo nei primi due mesi di guerra) si arrestavano gli attivisti di una “caccia all’ebreo” in preparazione. A Roma, una lettera indirizzata al ministro Tajani a Palazzo Chigi avverte i Paesi che sostengono la “entità sionista a sostegno del genocidio… che da oggi si useranno le armi” per colpire “gli interessi dello stato terrorista”. Il padrone dell’Hotel Ongaro a Selva di Cadore avverte che gli ebrei non sono graditi, e cancella le prenotazioni degli israeliani. La Leonardo, leader nell’aerospazio Difesa e Sicurezza, è stata assalita fisicamente dai proPal come “complice dell’illegittimo Stato d’Israele” mentre, ha detto il ministro della difesa Crosetto “era in corso un’importante riunione col personale della difesa” e definisce gli antisemiti “pericolosi eversivi” che non si devono “vezzeggiare”.
Intanto Josef Borrell, ministro degli Esteri dell’UE, propone di interrompere il dialogo Europa Israele per “possibili violazioni” dei diritti umani. I turisti israeliani in Tailandia sono stati avvertiti che gli si prepara un’aggressione armata. Negli USA, l’aggressione degli ebrei è pane quotidiano. Eccetera… La vergogna per il fallimento del Never Again… meglio smettere di occuparsene narcisisticamente mentre Israele è costretta a una guerra di sopravvivenza perché l’Iran e i suoi hanno deciso di distruggere lo Stato ebraico. Al lato, si aggrediscono gli ebrei in nome della stessa ideologia genocida. Da adottare, semmai, il voto del parlamento tedesco per la difesa della vita degli ebrei; oppure la promessa di Trump di tagliare i fondi alle Università i cui studenti ebrei siano minacciati. Si può fare, sapendo che si tratta di una guerra mondiale.
Le torture di Hamas che nessuno può negare
Il Giornale, 11 novembre 2024
Le fotografie che per primo ha pubblicato ieri il Daily Mail completano l’informazione grafica che per la prima volta il mondo ha ricevuto il 7 ottobre del 2023: testimoniano la crudeltà cui può arrivare l’animo umano e di nuovo tali immagini sono fornite dal regime islamista di Hamas. Si tratta stavolta di ore di video riprese da una telecamera dentro una sede dell’organizzazione nel nord di Gaza ben prima della guerra, fra il 2018 e il 2020. Non c’è ombra di ebreo, solo la torture inflitte da Hamas ai suoi concittadini: il footage è stato trovato per caso dall’Esercito israeliano e adesso le immagini meno inguardabili mostrano persone appese al soffitto a testa in giù o per la testa, le membra distorte senza poter toccare il pavimento, con la testa in un sacco, mentre aguzzini li colpiscono in varie parti del corpo e sulle piante dei piedi, con le braccia legate dietro la schiena… una vittima ora fuggita in Egitto, Hamza Howidy ha detto “ti torturano finché devi per forza confessare qualsiasi cosa vogliano”.
Le torture comprendono elettrodi, bruciature, tagli, oggetti introdotti dentro il corpo; le subiscono i nemici politici, chiunque sia sospettato di ribellione al regime, di critica, di connivenza con Israele, ma sono oggetto di torture i gay, gli adulteri, i ladri, chi rompa l’ordine sociale che è anche religioso. Il terrore regola la società di Gaza, i torturati che oggi parlano dall’estero come Rami Aiman, spiegano che se hai la fortuna di sopravvivere, i terroristi vengono ancora e ancora a prelevarti a casa per torturarti. Le esecuzioni specie dei gay o delle pretese spie sono continue: persone trascinate da auto in corsa, sepolti vivi… è lo stile personale di Sinwar già chiamato da tutti “il macellaio di Khan Yunis” quando era capo delle guardie di Hamas. Uccideva con le sue mani sia sospette spie che individui che deviavano dalla religione. Di fronte alla crudeltà qui di nuovo esposta, potranno le folle che si fregiano della medaglia dei diritti umani rifiutare questa seconda occasione di capire? Non comprenderanno che Israele ha dovuto combattere contro chi ha dichiarato: “Noi conquistiamo i titoli col sangue”; “lo faremo ancora e ancora” e di questo ha fatto la sua strategia? Sinwar, come l’Iran degli Ayatollah, si è impossessato dell’Islam riducendolo alla base teorica e religiosa della peggiore violenza giustificata da un grande fine di dominazione che coincide con la sua purificazione del mondo.
Chi si alzerà nel mondo islamico per ripristinarne il valore che Bernard Lewis gli attribuiva con nostalgia? Certo non lo farà chi insisterà con “Free Palestinese” quando quella è la Palestina dei torturatori. Ma il conformismo e la paura sono sempre una trincea robusta. Non è detto che anche questa volta la risposta non sia la stessa di dopo il 7 ottobre, la negazione giustificatoria, la costruzione di una catena di menzogne. Vedremo ora cosa diranno i sostenitori dei diritti umani. Ci aspettiamo di tutto.
La linea rossa fra antisemitismo e critica d'Israele
Il Giornale, 10 novembre 2024
Dovrebbe essere facile identificare l’antisemitismo quando una folla suddivisa in falangi preparate ad arte insegue dei tifosi israeliani urlandogli non che la loro squadra fa schifo, ma “ebreo” e “Allah hu akbar”, li investe con le auto, picchia a sangue anche i bambini, costringe le vittime a saltare nei canali o a inginocchiarsi ripetendo “viva la Palestina”, sghignazza su un padre che copre il figlio col suo corpo e dice prendete tutto ma lasciatelo stare. Sì, dovrebbe essere facile, infatti le autorità olandesi si sono vergognate e scusate.. invece alcuni giornali italiani, proprio come Al Jazeera, sono infiorettati di “un nesso fra l’odio antiebraico e i crimini delle forze israeliane” (Gad Lerner sul Fatto), di “vergognosi cori” dei tifosi che arrivano sull’onda del “massacro di civili inermi” (Manifesto), e sull’Unità oltre a questo di vista si trova proprio ieri anche una di quelle inchieste (De Giovannangeli) in cui si proclama che nelle carceri israeliane si torturano i bambini…, ecco dunque perché si odia Israele. Il tema (per chi studia l’argomento è ormai imbarazzante, dato, dal 7 ottobre, il ributtante inaspettato quantificato tsunami di antisemitismo) è quello della legittimità di criticare, anzi di combattere Israele, la differenza fra critica e antisemitismo. Ci sono molti libri su questo argomento da quando Martin Luther King disse a un suo interlocutore: “Tu dici sionismo, my brother, ma in realtà intendi gli ebrei, e questo è antisemitismo”. Ma la sovrapposizione dei termini è stata soprattutto decifrata dalla scoperta del grande storico Bernard Lewis, nel 2005, con l’idea del “nuovo antisemitismo politico” che trasforma i vecchi stereotipi della sete di sangue, dell’egoismo, della grettezza, della smania dominatrice... in colonialismo, imperialismo, nazifascismo, autoritarismo, razzismo, crimini di guerra, genocidio. Finisce l’odio religioso romano e cristiano medievale, poi quello razzista nazista e poi comunista, e si approda a quello odierno. Israele, l’ebreo collettivo è Shylock, o Dreyfus. Come un tempo si perseguitavano gli ebrei sostenendo che mescolassero le azzime di Pasqua con il sangue dei bambini e da questo si motivavano i pogrom con migliaia di vittime, e poi la Shoah è stata spiegata nel Mein Kampf come un’indispensabile pulizia del mondo, così oggi mentre non si sa nulla su come si conduce e perché la guerra a Gaza, si basano accuse di stragi e genocidio su dati mai verificati, gonfiati, di fonte nemica a Israele.
L’antisemitismo mascherato da critica politica in Occidente ha creato una fitta rete di diffamazione ormai infissa nella comune narrazione televisiva, la crescita della propaganda islamista, l’ignoranza panneggiata nella favola woke degli oppressori e degli oppressi: l’occupazione coloniale di un mai esistito stato palestinese è la più diffusa, e la più falsa. Nathan Sharansky durante la sua prigionia (9 anni) nelle carceri sovietiche come dissidente ha spiegato come nessun’altro: ci sono tre D che individuano l’antisemitismo. Demonizzazione, come quando si compara Israele ai nazisti o lo si accusa di genocidio quando invece sono gli Ebrei a essere l’oggetto di un conclamato progetto di genocidio sperimentato fra l’altro il 7 di ottobre. Doppio standard, quando per esempio l’ONU condanna freneticamente Israele per violazione di diritti umani, e ignora Cina, Russia, Siria, Iran… O quando Israele non può essere eletto alla testa di molte commissioni dell’ONU, o quando si esclude dalle mostre, dagli incontri sportivi e scientifici. L’ultima D sta per delegittimazione: popolo indigeno nella sua terra, al popolo ebraico è negato con una storia inventata il diritto di esistere e di difendersi. Israele ha colpito una base dell’Unifil ed è scoppiato lo scandalo internazionale; chi si è accorto che gli Hezbollah hanno avuto la stessa avventura? Il cumulo di stereotipi, la larga diffusione, la trasformazione in diritti umani dei palestinesi rendono l’Occidente lo zimbello dell’odio e della violenza di Amsterdam, l’islamismo estremo e il radicalismo riportano l’Europa agli anni Trenta.
L' Europa tocca il fondo: l'odio contro gli ebrei è un altro fronte di guerra
Il Giornale, 09 novembre 2024
L’Olanda è un Paese piccolo, eppure durante la Shoah ha lasciato deportare, anche collaborando non poco,106mila ebrei, più della Francia (83mila) dell’Austria (65mila) e di molti altri stati europei: quasi quanti la Germania (160mila). Ancora il 5 settembre del ’44 dei 1019 portati dall’Olanda sui treni ad Auschwitz un totale di 549 furono selezionati per le camere a gas, inclusi settantanove bambini. Anna Frank è stata nascosta due anni al numero 263 di Prinsengracht prima di essere scoperta e deportata nell’agosto del 1944. L’Olanda come gli altri paesi europei da cui sono stati trascinati alla morte sei milioni ebrei di tutte le condizioni e le età ieri ha dato la prova che “Never Again” non è un tema molto interessante per lei. Quando le migliaia di estremisti islamici, terroristi, si sono lanciati sui sostenitori della squadra Maccabi Tel Aviv che aveva giocato con l’Ajax, la polizia non ha quasi reagito benchè spesso chiamata per aiuto, non era preparata dove i criminali antisemiti avevano preparato gli agguati sapendo bene presso quali alberghi e punti di riferimento. Raggiungere i rifugi è stato difficile, solo l’aiuto di altri ebrei residenti lo ha permesso; e poi, scioccati e feriti, gli sportivi sono stati portati in salvo dall’aviazione civile israeliana organizzata però dal Pikud ha Oref, il fronte interno che si occupa della popolazione. Un fronte di guerra, in cui le forze locali non erano interessate a capire che il pogrom tentato sui tifosi israeliani, era composto di gente che urlava non il nome della squadra, o slogan calcistici, ma “Yehud” ebreo, e “Allah hu akbar”. Proprio come Hamas il Sette di Ottobre. Si sono visti giovani padri coi bambini che fuggivano aggrediti mentre gli dicevano “Vieni qui, figlio di… Are You Jewish?”.
E si facevano mostrare il passaporto, poi sequestrato, e loi facevano a forza inginocchiare e dire “Free Palestine”, persone anziane piene di sangue, coltelli levati, insulti. Dunque, e le tv ripetono i consigli a chi è ancora là, un ebreo deve rinunciare alla kippà, alla stella di David, a parlare ebraico in pubblico, e meglio se resta in camera: questo offre al viaggiatore ebreo l’Europa di oggi. Si allarga così il fronte su cui gli ebrei combattono per la vita dopo il 7 di ottobre: Israele è oggetto di incessanti bombardamenti, e anche bersaglio dell’odio antisemita e antioccidentale, accusato di tutti i crimini di cui la sinistra mondiale ritiene colpevole il fronte che odia: colonialismo, genocidio, suprematismo bianco, imperialismo. L’Iran, con Hamas, gli Hezbollah, arruola gli estremisti islamici di tutto il mondo e trova il sostegno psicotico di folle di giovani specie studenti.
L’antisemitismo è ammesso sui teleschermi e nei salotti, ha mostrato ieri i suoi colori nella città dei musei immancabili, delle biciclette colorate, delle cenette sui canali… ma ciò che è capitato a Amsterdam, può ora capitare a Bologna con la partita di basket, o il 14 a Parigi nello scontro fra le nazionali, o per un concerto di un cantante israeliano. Quell’antisemitismo sostiene società in cui donne, omosessuali e dissidenti vengono uccisi se manifestano la loro libertà.
Negli anni Settanta quando si incontrano il terrorismo rivoluzionario e quello jihadista ambedue presero di mira gli ebrei; certi governi europei, fra cui quello italiano, alleandosi con l’OLP, promossero una ondata di propaganda antiisraeliano, l’antisemitismo razzista divenne antisraeliano. L’Europa per paura e per ipocrisia, non combatte l’odio antioccidentale: la Russia, l’Iran, la Cina, se ne compiacciono. L’allarme è rosso, Non c’è che lottare, si può, la Germania per esempio ha votato una risoluzione dal titolo “Never Again is Now” per difendere la vita degli ebrei e battere l’antisemitismo. Ne va del futuro di tutti: il nuovo ministro degli esteri Gideon Saar e Amir Ohana sono volati in Olanda. Il significato è chiaro. Israele è attiva in tutto il mondo nella difesa degli ebrei, anche se è l’anniversario della Notte dei Cristalli, non funzionerà: Israele al contrario di allora vive e combatte.
Giornata di fuoco e sorprese per Israele. Trump, Gallant e gli Hezbollah
Il Giornale, 07 novembre 2024
Israele non si fa mancare nessuna emozione, nel bene e nel male: ieri è stata la giornata in cui la vittoria di Trump è arrivata dopo una notte insonne come quella degli americani. In genere, si è conclusa con respiro di sollievo anche di chi non vuole confessare simpatie per Donald e certo con il senso che finalmente il sostegno per Israele in tempi duri sarà chiaro e dissuasivo. È stata anche la giornata delle manifestazioni e della conferenza stampa di tutti i capi dell’opposizione contro Netanyahu dopo il licenziamento del Ministro della Difesa Yoav Gallant. E sullo sfondo una pioggia di missili si è abbattuta su tutto il nord e la costa: è realistico che l’Iran abbia ordinato agli Hezbollah di ricordare col fuoco che è il quarantesimo giorno dall’eliminazione di Nasrallah e di dare così il benvenuto a Trump.
Bibi ieri è stato fra i primi a parlare al telefono col nuovo presidente: la guerra, i rapiti, il terrorismo, il Libano, Hamas, il cambiamento del ministro che era anche l’interlocutore preferito del governo Biden... ma fra Palm Beach e Gerusalemme si è certo insistito sull’ argomento più urgente: l’Iran, il suo progetto di attaccare di nuovo Israele, la bomba atomica già quasi pronta. Trump ha sempre mostrato di condividere la linea per cui la Repubblica Islamica è la testa di uno schieramento pericoloso per tutto l’Occidente, gli ha a suo tempo tagliato i fondi e ha cassato ogni accordo. Ieri ha detto che “vuole chiudere, e non aprire guerre”: ma è del tutto probabile che non punti come Biden a un “cessate il fuoco” che lascia i nemici in piedi a riorganizzarsi per la distruzione di Israele. Trump ha anche detto che le strutture atomiche iraniane sono il vero obiettivo su cui puntare. Israele invece attaccando ha dovuto accettare il veto di Biden. In generale memori del successo comune con i patti di Abramo, sia Trump che Netanyahu certo hanno in mente soluzioni che comprendano l’appoggio dell’Arabia Saudita, dove si è interrotta la strada degli Accordi di Abramo. Trump certo spera in un grande piano che lo consegnerebbe alla storia, eliminando l’anello di fuoco iraniano (e qui, sembra difficile che possa mantenere ormai un rapporto con Putin, tutto da quella parte) e cementando un fronte di pace con i Paesi sunniti e certo anche i Palestinesi, per cui aveva previsto a suo tempo uno Stato. Ma i tempi sono diversi. E oggi Netanyahu si sente molto più sicuro perché, se lo scontro con l’Iran arriverà, gli americani non diranno ancora “don’t”.
Intanto fino al 20 di gennaio, quando avverrà il cambio, si deve trovare un buon rapporto con Biden con cui il miglior contatto il ministro della difesa. Il segretario alla difesa Lloyd Austin ha lavorato ogni giorno con lui: non era un segreto che in questo rapporto Gallant promuovesse le sue idee, che tendevano all’appeasement ma, secondo lui, avrebbe portato alla restituzione degli ostaggi. La sua scelta ferì Netanyahu quando affermò, dopo il voto del Gabinetto il 29 agosto, di essere contrario a restare a guardia dello Tzir Filadelfi, il confine di Gaza e polmone di Hamas con l’Egitto. Gallant, che Netanyahu aveva già licenziato nel 2023 e poi riammesso su spinta popolare, è un soldato di valore, il suo dignitoso discorso ha ribadito la sua fedeltà a Israele e infiammato i suoi sostenitori. Gallant è si è fatto forte di un rapporto privilegiato col Capo di Stato Maggiore, che ha oltraggiato Netanyahu. La sua scelta di spingere per la coscrizione dei religiosi haredim rischiando una crisi di governo, ha causato la frattura. Biden, che non ha perso personalmente, cercherà ancora il suo retaggio nei prossimi due mesi tornando alle regole umanitarie, la pace, i rapiti. Si apre un altro periodo complicato, mentre l’Iran minaccia e, insieme, trema.
Il dilemma degli ebrei. L’Iran sceglie la Harris
Il Giornale, 05 novembre 2024
Gli ebrei americani,7 milioni e mezzo, un numero pari quasi a quello di tutti gli ebrei che vivono nello stato d’Israele ( 9 milioni e mezzo che comprendono anche i cittadini arabi),sono sempre stati per la maggioranza, di sinistra. Adesso, il baratro che separa le ragioni di una guerra di sopravvivenza da quella, fino a ieri di Biden, di vincere le elezioni puntando anche a un pubblico pacifista e woke, hanno cambiato un po' le cose, ma non si sa ancora quanto. Di sicuro, Trump offre una spalla un po' più robusta quando dice che Hamas non avrebbe osato attaccare se lui fosse stato al potere, e non si può negare che in questo vanto può esserci qualcosa di vero. E tuttavia anche Biden ha detto qualche “don’t” agli iraniani, ottimo finché non si trasformato in un “don’t” anche a Israele, e soprattutto, alla fine non si è tirato indietro nel fornire di armi il suo unico alleato democratico in Medio Oriente. Certo, non l’ha fatto per beneficenza e ha sempre preteso un prezzo spesso esoso in cambio, e tuttavia Kamala Harris ne avrà i vantaggi che forse una sua gestione non avrebbe meritato.
E così, come il resto del voto anche quello degli ebrei americani è un mistero. La Harris si è molto buttata a sinistra puntando sui giovani e le donne; nei suoi ultimi discorsi in Pennsylvania, stato decisivo, ogni volta che parla promette di fermare la guerra e lamenta la “insopportabile” perdita di civili a Gaza; però, aggiunge che si batterà con tutti i mezzi per riportare a casa i rapiti. La par condicio è la sua linea: aggiunge anche che il 7 di ottobre è stato un crimine imperdonabile, però subito avverte che la pace consiste nel creare uno Stato palestinese, concetto che esprime mitigandolo con la sofferenza palestinese, censurando che si tratterebbe di affidarlo a forze terroriste o amiche dei terroristi. Questo, unito al fatto che non si presentò al Congresso il 24 luglio quando Netanyahu vi prese solennemente la parola, e che ha considerato “real” ben due volte la questione che un elettore ha posto a un suo comizio, ovvero se Israele sia uno Stato genocida, non fa di lei una candidata affidabile per Israele. Non è ideale per chi ci tiene a Israele e per gli ebrei che vedono che la grande ondata di antisemitismo che rende amara la loro vita è causata dai movimenti proPal “from the river to the sea” che propagandano su Israele stupidaggini senza vergogna, cioè che si tratti di un Paese spietato e guerrafondaio. Harris non l’ha mai denunciato. Circa l’80 per cento degli ebrei americani votavano a sinistra, ora la percentuale si è ristretta, ma non è chiaro di quanto.
Trump ha alzato la voce: siete pazzi, è la fine d’Israele, e se perdo la colpa è vostra. Trump ha anche avuto con Netanyahu un momento di rottura quando Bibi ha porto le congratulazioni a Biden nel momento delle elezioni, è ombroso e caratteriale, ha tenuto un discorso ambiguo sulla fine della guerra cercando anche il voto musulmano: pure è il presidente che ha con coraggio portato la sua ambasciata a Gerusalemme, ha riconosciuto la sovranità sul Golan, ha smascherato l’UNRWA, l’ONU, l’Autorità Palestinese, e ha messo al bando gli inutili accordi nucleari con l’Iran, tagliando i fondi a tutti. Ha creato gli accordi Abramo e oggi dunque rassicurerebbe i Paesi sunniti che temono l’Iran sulla possibilità effettiva di una politica americana coraggiosa, di uno spazio libero dalla minaccia iraniana, e quindi di una pace possibile finalmente, resa possibile dall’azione militare che Israele sta portando a termine. L’Iran intanto, mentre minaccia l’attacco a Israele per spaventare gli elettori, informa che tiene apertamente per Kamala. Se questo le faccia piacere, non si sa, ma Abdulaziz Al Sager del Centro di Ricerca del Golfo dice: “Trump imporrà pesanti sanzioni all’Iran o consentirà a Israele di condurre azioni mirate sui siti nucleari”.
Ecco il punto: Trump ha già detto che Israele ha come vero obiettivo la cessazione della minaccia atomica. Dunque, se l’Iran attaccherà Israele, Netanyahu che fino a ora ha mostrato una sua certa equidistanza dai candidati proprio osservando la regola di Biden durante la risposta all’Iran di non colpirne le strutture atomiche e energetiche, stavolta potrebbe rispondere subito gestendo una doppia possibilità: quella che anche una nuova gestione Harris, per quanto pacifista, accetterebbe e aiuterebbe necessariamente se l’Iran attacca con i missili balistici, e quella che Trump se eletto approverebbe perché prepara il terreno a una gestione solida del futuro mediorientale. Di fatto pulirebbe il terreno per ambedue i candidati, e la Harris, che sull’Iran ha sempre detto che è pericoloso, mentre arrivano dall’ America i nuovi aerei da combattimento, non avrebbe ragione di dispiacersene. Israele guarda al voto mentre i missili piovono e i soldati vengono uccisi sia a nord che a sud, ma ha molto indebolito il nemico e certo Netanyahu, come sempre i leader democratici cerca la strada per concludere una guerra vittoriosa: in realtà Trump fornisce maggiore sicurezza perché, con tutti suoi difetti, è convinto che Israele sia il bastione della civiltà democratica, dell’economia della medicina, dell’agricoltura e degli USA nel mondo arabo; la Harris ha ereditato nei consiglieri, nella impostazione ideologica, l’ambizione internazionalista di Obama. Che non ha portato fortuna né ai Paesi Arabi, né a Israele, né agli Stati Uniti, e nemmeno all’Europa.