Informazione Corretta, il nuovo VIDEO di Fiamma Nirenstein: "Mai dimenticare chi è l'aggressore e il criminale in questa guerra: Hamas"
Mai dimenticare chi è l'aggressore e il criminale in questa guerra: Hamas
Video di Fiamma Nirenstein a cura di Giorgio Pavoncello in esclusiva per Informazione Corretta
L'uccisione a sangue freddo di sei ostaggi israeliani da parte di Hamas ha lasciato tutti gli israeliani sconvolti. E il dolore spinge la gente in piazza, contro Netanyahu, per chiedere la liberazione di tutti gli ostaggi, costi quel che costi. Ma non bisogna mai dimenticare le responsabilità delle parti: Hamas è il criminale che prende ostaggi e li uccide, Netanyahu ha tutto l'interesse a liberare gli israeliani e sta agendo per conseguire questo obiettivo.
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La strategia della barbarie: Hamas vuole spaccare Israele
Il Giornale, 02 settembre 2024
Fra quelle sei creature giovani e innocenti, di cui tutti qui conoscono i nomi e i volti uno a uno, Hersh Goldberg Polin era tuttavia il cuore di ciascuno, il più tenero fra i ragazzi assassinati da Hamas nella dimostrazione di ulteriore barbarie che segna la continuazione del 7 di ottobre a quasi un anno di distanza. Hersh era anche il ragazzo rapito al concerto Nova per cui genitori americani erano andati con immensa dignità a chiedere aiuto alla convenzione democratica di Biden e Harris. Nello scegliere chi uccidere, Hamas, come uno zombie che faccia anche politica, un mostro assetato di sangue che si aggira fra le sue vittime nel suo cimitero sotterraneo e sceglie le vittime, come Caron dimonio che avvolge la coda, ha cercato anche l’utilità maggiore, la strada pratica per ottenere quello che vuole. Hamas ha scelto le vittime più adatte, giovani e in parte già nell’eventuale lista umanitaria per un accordo che non è mai venuto, per spingere la gente d’Israele a infuriarsi contro Netanyahu, magari col supporto dell’amico americano che cerca il cessate il fuoco da tempo, e a potenziare la richiesta di accettare tutte le clausole di Hamas specie quella principe di uscire con tutte le truppe e per sempre dal suo regno Gaza, così da poter tornare a dominarla, a organizzarsi, a preparare il prossimo Sette di Ottobre.
Il meccanismo è chiaro: quanto più Hamas colpisce con crudeltà, tanto più il mondo israeliano spinge sui sensi di colpa di Netanyahu verso l’accettazione delle condizioni di Hamas. Sei giovani uccisi spingono in piazza migliaia di persone che biasimano la decisione del governo di non lasciare lo Tzir Philadeplhi, quel confine traforato di gallerie che portano dentro Israele armi e uomini per Hamas dall’Egitto, e che potrebbe persino far sparire verso lidi ignoti, per esempio l’Iran, i rapiti, come accadde con Ron Arad. Hersh, il tenero ventitreenne californiano che in un video diffuso da Sinwar pregava di aiutarlo e biasimava Netanyahu, spezza il cuore e il popolo di Israele. Le parole del primo ministro che si è scusato con le famiglie, che ha detto di sentirsi personalmente responsabile per future trattative, sono un successo politico di Hamas, come il fatto che il Ministro della Difesa Gallant abbia richiesto al governo di ritornare sulla sua decisione di non lasciare il confine con l’Egitto. Ma davvero, se poi Bibi cedesse tutto, Sinwar sarebbe pronto a cedere la collana di ostaggi che si tiene sempre intorno come scudi umani? Hamas da tempo non da nessun segnale di voler trattare. L’interlocutore è uno zombie dominato dalla determinazione di uccidere e distruggere, che schiocca le dita per uccidere ancora e ancora, stavolta sei giovani innocenti. Ma la maggioranza di Israele lo sa bene, e anche fra le lacrime ne tiene conto.
«Colpire per primi». La lezione di Bibi: mai più in letargo come il 7 ottobre
Il Giornale, 26 agosto 2024
Dov’è l’aviazione? Questa fu la tragica domanda che ieri non si è dovuta ripetere: chi ricorda minuto per minuto, come la cronista, il 7 di ottobre, non può dimenticare che dall’attimo in cui i missili di Hamas cominciarono ad avventarsi in misura molto superiore al solito sul sud di Israele, lo sguardo disperato di tutti, mentre crescevano le notizie di morte, rimase puntato verso il cielo in attesa dei caccia israeliani. Si aspettava che stanassero, che distruggessero finalmente i lanciamissili, che bombardassero le migliaia di invasori e le loro retrovie e coprissero l’ingresso dell’esercito. Non accadde. La desolazione del cielo silente contro il rimbombo dei missili di Hamas fu lo sfondo della rovina.
Stavolta, invece, Israele ha levato in volo i suoi caccia, in numero elevato, impressionante, si dice cento, prima del disastro, in un’azione preventiva. Alle cinque Israele si è svegliata con quel continuo ronzare nel cielo. Già il 14 di aprile di fronte all’attacco iraniano i missili di Teheran erano stati bloccati oltre che da “Kipat Barzel”, dagli F35; il 19 luglio all’attacco dei Houty si è risposto levando in volo gli aerei che ne hanno bombardato Hodeida a 1800 chilometri di distanza. Due risposte agli attacchi nemici, un risveglio evidente dal letargo mortale del 7 ottobre. Ma stavolta Israele ha fatto di meglio, l’attacco è stato preventivo, ed è seguito a una formidabile quantità di informazioni del Mossad: dove erano i missili (3000, mai alzatisi in volo), quando avrebbero sparato, cosa intendevano colpire, tutto da dentro le mura di Nasrallah e la sua operazione di vendetta per il suo capo di stato maggiore, Fuad Shukra, un fratello per lui.
Forse solo ieri Nasrallah, che com’era ovvio ha vantato la riuscita della sua operazione fallita, si è reso conto accorto di quanto gli serviva davvero quel suo vice esperto di armi, di terrorismo ben mirato, di strategia per distruggere Israele, il capo della tortura post 7 ottobre contro il Nord di Israele. Netanyahu ha bloccato la vendetta e il duplice obiettivo principe di Hezbollah nella guerra continua a fianco di Hamas: il centro di Tel Aviv, addirittura al sancta sanctorum della guerra, la Kirya, la bocca del sotterraneo in cui in guerra si riunisce il gabinetto di Netanyahu; e, si dice, la base del Mossad di Glilot. Niente di tutto questo è stato realizzato: Israele invece di lasciarsi attaccare e poi rispondere, come ha fatto fino ad ora, ha innovato e quindi attaccato.
Niente più 7 di ottobre, che i nemici smettano di sognare la sorpresa che può avviare la distruzione dello Stato Ebraico: questo è il messaggio. Non si tratta di una mossa strategica definitiva, Netanyahu mentre ha deciso di muoversi con baldanzosità e decisione, proprio come nella vicenda di Rafah ha fatto solo quello che era indispensabile, senza dimenticare che giorno dopo giorno dai Boeing 744 seguitano a venir scaricati equipaggiamenti e armi indispensabili, e che in Florida nel comitato centrale del Centcom egli siede con gli USA, ma anche col Kuwait e i Sauditi. “Non è la fine del capitolo” ha detto però Netanyahu. Sa che la calma è momentanea, e che non è certo pace quella di un nord tutto sgombro dai suoi cittadini, con città come Kiriat Shmona e i kibbutz vuoti; i bambini non andranno a scuola il primo di settembre, le famiglie sono sparse per gli alberghi di tutta Israele non hanno più casa ne lavoro.
Ma Israele fa i conti con il problema di tutti i problemi, quello che affronta ancora combattendo da dieci mesi a Gaza mentre Sinwar preferisce la distruzione definitiva alla restituzione dei rapiti: l’odio, l’antisemitismo con radici religiose che è diventato l’ordine dell’Iran ai suoi di distruggere comunque Israele, e di attaccare l’Occidente. In qualsiasi situazione, che sia o non sia conveniente. L’Iran cova il suo progetto di bomba atomica e profitta della protezione russa e cinese, lo Yemen si prepara, Nasrallah li ha chiamati a agire quanto prima: ma la grande coalizione inventata da Qassem Soleimani adesso almeno sa che gli aerei di Israele si alzano in volo, e che Netanyahu darà l’ordine.
Attacco antisemita di sinistra pericoloso per tutti
Il Giornale, 24 agosto 2024
È un lavorone la lista che il Nuovo Partito Comunista ha preparato per indicare come obiettivi da colpire gli “agenti sionisti”, le “retrovie di cui gode nei Paesi imperialisti l’entità sionista”. Un gruppo di giovani violenti e antisemiti deve aver lavorato sodo per preparare le liste, e un nostalgico bolscevico sbiancato dalla lunga camminata attraverso i fallimenti e le nefandezze della sinistra estrema ha messo insieme i dati inzuppandoli di frasi ridicole, e obsolete. Il documento è lungo e suddiviso in capitoli molto specifici, c’è una specie di confusione intenzionale per cui i nomi indicati sono mescolati con altri di personaggi e istituzioni che non si sono particolarmente esposti sul tema, e invece manca poi palesemente qualche nome in vista… è una tecnica in stile sovietico, si cerca di complicare le cose in modo che la difesa si frastagli.
Ma attenzione, sotto c’è una determinata e specifica intenzione violenta che cerca di intimidire mentre chiama a colpire la sua vasta schiera di antisemiti consapevoli o ignari, ideologici, etnici, religiosi, politici; ci si appella ai movimenti che insozzano le università, le scuole, i luoghi della cultura con settimane dell’apartheid o del genocidio, con bugie insolenti, ripetute, ossessive su Israele, gli ebrei e chi gli è amico. Si chiama il pubblico tv agli stereotipi bugiardi dei dibattiti (cifre sballate, genocidio, apartheid…), a dimenticare gli orrori del 7 ottobre. Il linguaggio è da Minculpop e BR, la sua pretesa fredda oggettività è ubriaca e isterica, si radica nella storia nazicomunista che ha fatto degli ebrei un difetto dell’umanità, e che oggi ha una sponda decisa in Iran e nel mondo islamico che qui viene chiamato sottotraccia a raccolta; evoca una storia che passa per i campi di sterminio, arriva ai gulag, si avventa sugli ebrei di nuovo col 7 di ottobre, e sempre si ammanta di qualche causa che coinvolge i poveri, gli sfruttati. Coinvolge concetti come nazione e identità, ne ricava l’infamia degli ebrei e quindi la necessità di sterminarli.
Perché la sinistra non reagisce duramente rifiutando ogni paternità storica dell’appello antisemita travestito da filopalestinese? Stalin sin dall’inizio della sua carriera spiegava che gli ebrei, anzi, i sionisti, non potevano esistere nell’Unione Sovietica che si fondava su unità storica e di popolo, e che erano uno strumento dell’imperialismo internazionale: così, ne deportò e ne uccise un paio di milioni finché nel 1953 per fortuna morì alla vigilia dello sterminio per la “congiura dei medici ebrei”. La terminologia del documento è questo: piana, chiara, parte dall’appoggio alla resistenza palestinese, dalla “Festa della Riscossa Popolare” fino allo sviluppo della lotta contro il sistema politico delle “larghe intese”. Attacca cioè la democrazia, e la vede come bastione della cospirazione sionista nel mondo. E quanto più sembra idiota, tanto più è pericolosa, proprio come i documenti delle Brigate Rosse.
La “colonizzazione sionista” per loro sta invadendo il mondo: una schiera di attori della società democratica sono elencati come agenti segreti, e ci si può sentire sinceramente onorati di farne parte. Ma attenzione: questa gente è armata, e il ministro Piantedosi ha dato lodevoli segni di sapere che “organismi e agenti sionisti in Italia” sono davvero minacciati. Esiste oggi una massa incontrollata che crede nella violenza, ormai negli USA è costume fisso la distruzione e l’attacco armato, è questa la nuova storia dell’antisemitismo. La criminalizzazione di Israele si è disseminata nel mondo intero, ed è in gran parte responsabilità delle istituzioni come l’ONU che avrebbero dovuto essere il guardiano dei diritti umani.
Forse il documento dei neocomunisti dice alla rovescia una grande verità, cioè il suo uso è ormai la bandiera della guerra woke contro la cultura democratica, dunque contro i diritti umani. Dalle Nazioni Unite, all’Unione Europea, alle ONG più varie, l’antisemitismo della criminalizzazione e della delegittimazione di Israele, ha aggredito con Israele la libertà di parola, di religione, di sessualità, difendendo invece società dove le donne, i bambini, i gay sono condannati alla schiavitù e alla morte. Parole come genocidio non valgono all’ONU per lo Yemen, per il Sudan, per la Siria, occupazione non funziona per la Turchia o l Russia, la Cina… Il significato del 7 ottobre, i bruciati, i decapitati, è cancellato. Resta l’antisemitismo, l’odio più antico, rispolverato da una miserabile congrega di neocomunisti, che spiega con le minacce agli ebrei e agli amici degli ebrei quanto la vita di Israele sia essenziale per tutti.
Il gioco letale delle pretese degli ayatollah
Il Giornale, 14 agosto 2024
È veramente una bella cosa che l’Iran abbia fatto sapere che è pronta a mandare dei suoi inviati ai colloqui di Doha (o del Cairo) di domani sulla liberazione dei rapiti. Che carini, che interesse umanitario senza confini. E soprattutto che abbia comunicato che nel caso si arrivi a quello che viene chiamato “un accordo” cioè a un cessate il fuoco, cioè alla capitolazione di Israele di fronte a tutte le richieste che consentano la sopravvivenza di Hamas, allora potrebbe anche decidere di non attaccare Israele. Oppure rimandare. Cosa c’entra? È proprio qui il punto: c’entra sin dal 7 di ottobre. Se c’era bisogno di una prova di quanto Hamas sia un dipendente prezzolato degli Ayatollah, ecco che qui essi dimostrano di volere gestire tutta la commedia, dal primo giorno alla caduta del sipario. Naturalmente sulla loro vittoria. Hamas fa i suoi giuochi pesanti anche in queste ore: ha detto che i colloqui non gli interessano, eppure lascia uno spiraglio; mette in bilico ma vellica l’ultima grande speranza degli Stati Uniti di portare a casa almeno la liberazione di almeno una parte dei rapiti con la pacificazione della Striscia.
Così strano che non importi a Biden che il prezzo è il perpetuarsi della Nukba, il trionfo della rete del male iraniana. Adesso dunque con le sue improvvise uscite, mentre tutto il mondo aspetta i suoi missili su Israele e le navi da guerra americane muovono verso il fronte di guerra, l’Iran prende tutte le carte in mano, diventa il joker appropriandosi della vicenda dei rapiti. E mostra in che cosa consiste il giuoco veramente: cioè fa capire agli USA che se obbligano Israele a firmare la propria sconfitta, non trascinerà il fronte democratico, Biden e la Kamala Harris in una guerra grande, lunga, che metta in giuoco il futuro politico americano. Ma se Hamas vince col sostegno iraniano, completa un disegno in cui con il 7 ottobre ha ucciso e ferito migliaia di israeliani, creato profughi a centinaia di migliaia, distrutto terra e case.
Adesso alla guerra psicologica della minaccia e al continuo invito americano all’appeasement, alla richiesta di non agire in base al principio di autodifesa, di ritorno alla sicurezza dei suoi cittadini, si unisce il salto a piè pari di Iran nel giuoco: dai ad Hamas quel che chiede, o ti copro di missili. Mai è stato così evidente che quando Netanyahu afferma il punto indispensabile di una trattativa ragionevole e non disfattista che consenta la disfatta di Hamas difende non solo Israele, ma tutto il mondo dalla minaccia terrorista globale iraniana. Il resto è sconfitta. La proposta dell’Iran è in realtà un’ennesima minaccia di distruzione totale di Israele e oltre.
Massima allerta in Israele nella ricorrenza simbolica. La distruzione del Tempio
Il Giornale, 13 agosto 2024
Come è silenziosa e tranquilla la giornata di massima allerta di Gerusalemme, su Tel Aviv… il sud vicino a Gaza è chiuso, al nord l’esercito in allerta estrema; il Fronte Interno non dice una parola di più, si sa già cosa fare in caso di attacco, ma i religiosi che cominciano il digiuno con cui per Tisha be Av, il 9 di Av, quando il grande Tempio fu distrutto dagli antichi romani, mettono la radio (che non si tocca durante certe feste religiose) su un canale di allarme predisposto, sempre acceso. Il simbolo, come si deve in Medioriente, prende il sopravvento sugli avvertimenti e sulla logica, sul “don’t” di Biden che rinnova all’Iran e agli Hezbollah la minaccia: è troppo mistica e estatica la loro ispirazione politica e religiosa, l’idea di riempire il cielo di Israele di messaggeri di morte nelle stesse ore in cui una distruzione storica fece crollare la meraviglia della civiltà bimillenaria della Bibbia e del re David. Una vendetta da non perdere, che susciti il desiderio del Mahdi di venire su questa Terra. Per Israele è di nuovo tempo di distruzione, lo ripete da giorni l’Ayatollah Khamenei che non valuta niente la polemica interna di Masoud Pezeshkian che suggerisce invece di colpire i traditori in Azerbaijan e in Kurdistan. Khamenei prima di morire deve lavare l’onta dell’ospite, Ismail Haniyeh, ucciso a casa sua. Lo vogliono le Guardie della Rivoluzione, il suo bastone di conquista e il nemico del popolo iraniano stesso che soffre sotto il suo giogo.
Tre fatti principali segnalano la tempesta all’orizzonte, mentre Netanyahu e Gallant ripetono frasi d’incoraggiamento ma sfogano il nervosismo attaccandosi a vicenda nel momento meno adatto: il Pentagono annuncia che è pronta la USS Georgia, un sottomarino caricato a missili balistici, mentre la grande portaerei Lincoln ha mosso i motori avanti tutta, e si unisce alla Theodore Roosevelt, con dodici altri navi americane da guerra. “Don’t”. Ma dopo giorni di segnali incerti la possibilità che le sirene suonino è realistica: Tomer Bar, il capo dell’aviazione, ha sospeso ogni viaggio all’estero dei suoi piloti, insieme ai magnifici sistemi di difesa gli aerei da combattimento sono la più utile risorsa. La guerra prossima ventura guarda in aria: e forse, e qui è il terzo avvertimento, guarda in su anche Hamas, che ha dichiarato che non parteciperà alla trattativa di giovedì per i rapiti. Potrebbe essere un via libera ai suoi alleati Iran e Hezbollah, che avevano dichiarato che avrebbero agito, ma con attenzione, senza distruggere la possibilità che dalle decisioni di America, Egitto, Qatar e Israel sui rapiti derivasse, con un accordo, il cessate il fuoco definitivo a Gaza. Può darsi che adesso Hamas col suo gesto segnali che col suo distacco dall’ipotesi di una pacificazione come quella proposta da Biden i suoi alleati sono liberi di agire a modo loro.
Gallant ripete in queste ore la promessa di restituire pan per focaccia a chi attaccasse, ma anche che siamo di fronte a una guerra molto diversa dal solito, sia nelle dimensioni che per il modo stesso in cui può essere combattuta: “I nemici ci minacciano in un modo che non ha precedenti; chiunque metta in atto queste minacce può aspettarsi da noi una risposta diversa da quelle precedenti”. Israele dal 30 luglio quando a Beirut è stato ucciso Fuad Shukr e poi Haniyeh a Teheran, avrebbe potuto attuare un attacco preventivo, per salvare la popolazione dal bombardamento che si prevede: ma i lacci internazionali legano il Paese e comunque Israele conta sulla difesa ermetica del suo cielo. Esso è 88 volte più piccolo di quello Iraniano, indifendibile; inoltre, l’aviazione israeliana non ha rivali, tantomeno in quella iraniana. Israele può anche contare sulla vasta alleanza (12 Paesi occidentali e arabi): le continue riunioni con Lloyd Austin e il Centcom superano gli screzi con l’amministrazione americana, che non sono spariti ma che sembrano poca cosa di fronte alle prossime ore.
La grande storia mette da parte ogni cosa di fronte alla possibile aggressione distruttiva del fronte islamista e autoritario. Anche la dovesse compiere per primo Nasrallah, adesso che a Beirut è stato evacuato il suo quartiere, Dahya, e all’aeroporto di Beirut si affolla la gente in fuga, saranno le armi dell’Iran, con dietro la Russia e la Cina, a disegnare una grande guerra. Quella dell’odio antioccidentale, col suo tipico nocciolo antisemita.
Le accuse esagerate solo per colpire Israele
Il Giornale, 11 agosto 2024
Fanno festa i cinici politicanti, i media che fanno della demonizzazione d’Israele la loro fortuna, la moneta corrente, la premessa dell’antisemitismo che divora la mente dell’Europa e degli USA: a loro non interessa la verità ma la criminalizzazione dello Stato Ebraico. Non cercano di capire i fatti, non gli interessa quali sono le fonti che parlano di cento morti, che chiamano scuola una delle strutture che Hamas ha trasformato in tane di armi e terroristi coperti dalla gente di Gaza. Non si sa molto di quello che è successo ieri a Al-Tabiin, nella moschea. Al solito, come quando un missile dello stesso Hamas ricadde sull’ospedale Al-Ahli e Israele fu lento nello spiegarlo, le notizie dicono solo che da Gaza parlano di cento morti, da Israele di venti; è stata un’azione di guerra contro Hamas, e non contro la gente: e purtroppo se delle persone, e non si sa quante e se c’erano bambini, sono stati coinvolte, è perché erano “proprio dove devono essere” come disse Sinwar, ovvero a fungere la scudo umano per Hamas, per i terroristi e i loro capi.
L’IDF parla di tre colpi di precisione che hanno mirato 20 persone, ma se ne saprà di più nelle prossime ore. Ma delle parole usate per condannare l’episodio, di quelle si sa tutto: è la solita parata di pregiudizio e criminalizzazione con cui si scaraventa sul mercato delle opinioni il giudizio di Josep Borrell: “Inorridito… una scuola protetta… dieci scuole prese di mira… non c’è giustificazione per questi massacri”. Vi si implica che Israele sia un distruttore di scuole e quindi di bambini, e non certo che le scuole sono diventate il rifugio degli armati di Hamas. Parole irresponsabili, di incitamento all’odio, che c’entrano con quello che l’Europa dovrebbe insegnare alla sua gente? Inutile qui aggiungere i nomi di chi, con un’indegna carica dell’ONU, vorrebbe essere citato avendo di nuovo accusato Israele del peggiore dei crimini, “genocidio”, mentre l’esercito ha invece cercato come nessun altro nella storia, con avvertimenti e aiuti umanitari, di salvaguardare la gente: chi ha rispetto della verità non può che sentirsene disgustato.
Un altro esempio scandaloso di uso delle parole è quello del nuovo ministro degli esteri inglese Lemmy, “sconvolto dall’attacco militare israeliano alla scuola e la tragica perdita di vite umane” mette il nuovo governo inglese in coda per chiedere “il cessate il fuoco immediato per proteggere i civili”. Ma gli unici civili in pericolo sempre, giorno dopo giorno, nel corso degli anni sono quelli su cui Hamas e gli Hezbollah, nelle schiere dell’Iran sparano con intenzione da decenni. Un cessate il fuoco immediato non glielo chiede nessuno.
Con l’accordo o senza: Israele resta sotto minaccia
Il Giornale, 10 agosto 2024
Nessuno può essere più angosciato e insieme speranzoso, proteso, dei genitori, le mogli, i figli dei rapiti dopo che Netanyahu ha annunciato che su richiesta americana, egiziana e del Qatar una delegazione israeliana ad alto livello parteciperà a una riunione il 15 di agosto per arrivare finalmente a un accordo: Biden dice che esso dovrebbe essere decisivo per la liberazione dei rapiti e la fine del conflitto a Gaza, e dare così anche una spinta solida al desiderato appeasement mediorientale con Hezbollah e Iran. Lo chiedono tutti, specie le grandi potenze: pace per il Medio Oriente tracimato dalla guerra seguita alla strage del 7 di ottobre, e adesso torturato dall’attesa dell’attacco sia iraniano che degli Hezbollah su Israele. I rapiti in catene sono ancora 115, di cui 111 dal 7 di ottobre e 4 presi fra il 2014 e il 2015. Netanyahu ha già liberato 105 ostaggi con un breve cessate il fuoco e il rilascio di prigionieri palestinesi, quasi tutti terroristi, e poi con operazioni militari di salvataggio. È indicibile la pressione psicologica e politica che adesso si addensa sul suo capo: Israele vive 24 ore al giorno da dieci mesi con l’insonnia, le lacrime, le urla, le manifestazioni e le insinuazioni politiche che ne fanno un leader politico senza cuore e senza scrupoli, e addossano a lui tutta la responsabilità della sorte dei rapiti, non a Hamas.
Le condizioni con cui ha sempre compiuto la trattativa, ormai molto larga sui detenuti palestinesi, i tempi, lo stop alle manovre militari, è però da sempre la garanzia che Hamas non potrà più governare Gaza e farne una fortezza di odio e di nuovo attacco. Ma la richiesta di andare a un accordo senza se e senza ma, adesso viene da gran parte del mondo intero, ogni Paese per i suoi motivi data la situazione di crisi: dagli USA perché portare a compimento l’operazione di salvataggio sarebbe per il Partito Democratico un successo da premiare il prossimo novembre e l’afflato pacifista aiuterebbe a evitare il grosso conflitto con l’Iran che può da un momento all’altro contagiare il mondo; dalla Russia e dalla Cina per motivi diversi legati al rafforzamento e alla salvaguardia dei loro protetti, da Hamas all’Iran e agli Hezbollah; da parte dell’Europa, dell’ONU etc, per motivi banalmente ideologici e per paura del suo Islam interno.
Insomma, Israele viene collocata in questo modo in una continua guerra di attrizione in una situazione in cui invece l’Iran nella regione non perde il suo potere strategico, e i suoi la seguono. Quanto all’accordo, Sinwar, privo di Haniyeh e Deif e orbato di decine di migliaia dei suoi armati, ha un solo scudo di difesa, i poveri rapiti. Nel momento in cui li liberasse tutti, come Netanyahu e anche Biden intendono, resterebbe nudo di fronte alla punizione umana e divina. In secondo luogo, Netanyahu accetterà persino, magari, di liberare terroristi con cinque ergastoli come Marwan Barghouti, ma in cambio di tutti i rapiti. Una selezione sarebbe lo spunto di un’ennesima ondata di delusione come è stato dopo che aveva detto “sì’” al programma che Biden annunciò il 31 maggio che di fatto Hamas ha poi rifiutato. Inoltre, Netanyahu non può lasciare in mano di Sinwar il confine di Filadelfia, quello con le gallerie monumentali da cui Hamas può velocemente recuperare uomini e armi, né la strada di controllo dentro la Striscia.
Tutta la politica americana e degli “alleati” di Israele crea, pacificando, una situazione al sud, al nord, da lontano (in Iran, Iraq, Yemen) e da vicino (Libano, Siria) per cui gli assassini del 7 ottobre, in diverse vesti e con svariate nazionalità, fiancheggiati nel mondo ovunque l’Islam estremo di manifesti, mantengono il controllo. Netanyahu sa dunque che rinunciare a Gaza e al Nord di Israele costruisce una situazione di pericolo estremo, un’esplosione imminente, non solo in questi giorni. Si sta costruendo una bomba a tempo. Gli USA lo sanno?
Ora colpire duro per non essere ancora vittime
Il Giornale, 09 agosto 2024
C’è qualcosa di eversivo per quanto è paradossale nel fatto che Israele funga da anatra nello stagno mentre l’Iran e gli Hezbollah, oltre ai vari altri degni proxy, con lo sfondo russo-cinese, si allenano e sbraitano la distruzione di Israele, che la stiano contrattando con gli USA, discutendone con la Russia, occhieggiandola con la Cina, mentre Israele guarda e aspetta. Nella realtà Israele si prepara ad ogni evento, ha ormai un’ottima preparazione bellica, servizi segreti e fronte interno che sanno cosa dire alla popolazione, che vive la vita di ogni giorno tranquilla. Gallant aggiusta il tiro al Nord, promette agli Hezbollah che faranno una brutta fine se ci si provano; Netanyahu promette un attacco molto decisivo all’Iran se si fa avanti. Ma il fatto è che Iran e Hezbollah non parlano di vendetta, ma della loro stessa ragione di vita, distruggere Israele. Si tratta dell’avanzare di un progetto vecchio, concreto, che ha accumulato armi modernissime di ogni tipo e un odio religioso (niente a che fare con condividere la terra) capace di decapitare i neonati, stuprare, bruciare, rapire. Non domani e basta: sempre, da anni, e di più ancora dal 7 di ottobre, data onorata e promossa dai due offesissimi protagonisti, il cui seguito è stato, per iniziativa iraniana, un bombardamento continuo anche sul nord di Israele da cui sono stati sfollati più di centomila cittadini. Essi non torneranno mai più a casa per essere presi di mira ogni giorno per sempre prevedendo anche come promesso l’ingresso sanguinoso delle truppe feroci di Nasrallah, uguali e peggiori di quello di Hamas.
Anche ieri Naharyya, Shlomi, Matsuva sono stati bombardate. Di ieri 19 feriti sono stati colpiti dai droni, gli stessi che l’Iran da a Putin contro l’Ucraina. Uno è in condizioni gravissime. Ieri i cieli dell’Iran occidentale sono stati sgomberati per far posto alle esercitazioni sofisticate dei missili delle basi di Defzul, Kermanshah, Shiraz, un’esercitazione di masse di missili. Il capo di stato maggiore iraniano Abdolrahim Mousavi ha detto: “Il regime sionista riceverà un colpo forte e definitivo. Esso stesso capisce che va veloce verso la distruzione e non potrà salvarsi dall’annichilimento”. Chi non si stupisce leggendo questa dichiarazione, ha ragione: la strategia iraniana è chiara, gli Hezbollah sono il loro scudo geografico e la loro arma mentre l’Iran è all’ultimo stadio della costruzione della bomba atomica.
Se per caso avesse accettato in queste ore ti lasciare andare avanti gli Hezbollah (“vai avanti cretino”?) questo non stupirebbe, l’Iran tiene alla sua flotta fantasma che scavalca le sanzioni e commercia 135milioni di barili di petrolio al giorno specie con la Cina e con la Russia. Questa flotta deve cessare i suoi traffici illegali, si possono fermare anche le strutture di Bandar Abbas, le istallazioni di Kharg. Beirut ieri ha subito due bombe soniche dei jet israeliane. E dunque, perché non andare avanti? La popolazione iraniana è in gran parte soggetta alla prepotenza di un regime che odia, come anche la gente del Libano in gran parte non vuole essere lo strumento di guerra dei pazzi terroristi Hezbollah. Questo Israele lo sa, e sa fare distinzioni. Ma vale la pena di nuovo di cercare un accordo irraggiungibile? Questo convincerebbe la gente di Israele a tornare a Kiriat Shmone? Ragionevolmente, no. E un bell’accordo con l’Iran che gli fornisca col permesso degli USA di abolire le sanzioni e accumulare i soldi per la bomba atomica ci rassicurerebbe?
In queste ore tutto il mondo parla del concerto cancellato in Austria a causa delle minacce di morte degli integralisti islamici. Israele non è un concerto, è lo Stato del Popolo ebraico, per sempre, non si può cancellare. Non si può cancellare ciò che il mondo dei fanatici islamisti odia, ovunque. E allora è l’ora di rendersene conto.
Teheran punta su Sinwar. Il teorico del terrorismo e del sacrificio dei rapiti
Il Giornale, 08 agosto 2024
Sembra più una convulsione in articulo mortis che una vera scelta di leadership, eppure i suoi contenuti sono molto illuminanti: sulla neve senza vele e quasi senza cannoni di Hamas è salito sul cassero Yehiye Sinwar come nuovo capo del “political bureau” dopo l’uccisione di Ismail Haniyeh a Teheran la settimana scorsa. Intanto, una chiara dichiarazione dopo le ridicole analisi, che ne volevano fare un provetto diplomatico, su Ismail Hanyieh. Chi lo sostituisce è nient’altri che Sinwar, uno dei più feroci terroristi del mondo, con cui si contendeva la palma della leadership di Hamas. Lo ha eletto il consiglio della Shura, 50 membri importanti scelti a Gaza, nell’West Bank, la diaspora tipo Qatar e fra i prigionieri nelle carceri: cioè, l’intera Hamas ha deciso di confermare, nonostante le pretese dei giorni scorsi che esistesse dentro l’organizzazione terrorista religiosa una parte più moderata, più diplomatica, più internazionale… la linea del 7 ottobre, quella di Sinwar, generale e resa realtà nell’involucro delle gallerie, per cui si sgozzano bambini, si violentano donne, si uccidono famiglie nel modo più crudele possibile, si rapiscono vecchi, giovani, neonati come i piccoli fratelli Bibas. Questo è Sinwar. È la sua linea generata dal ventre di Gaza in collaborazione pluriennale con l’Iran, che certamente ha avuto nella scelta del nuovo vecchio capo una parte fondamentale, dato che è solo con l’aiuto degli Ayatollah che ora preparano i loro missili sperando di colpire al cuore lo Stato Ebraico, che Hamas si è fatta attore principale del terrorismo internazionale ed è stato uno dei suoi migliori proxy, ora sulla via del tramonto.
Il contendente diretto di Sinwar era Khaled Meshaal, un altro terrorista messianico, ma la cui integerrima fede islamista propende con decisione totale verso la Sunna, anzi, verso i Fratelli Musulmani, ed è quindi sospettosa e distante dall’egemonia shiita dell’Iran, anche se ne accetta la incidentale collaborazione. Meshaal è anche un preferito di Doha, e anche questo per gli iraniani, gelosi della loro esclusiva egemonia sul Medioriente, non è un punto a favore. Intanto dal Qatar si sente dire anche che avrebbe favorito la candidatura di Sinwar nella prospettiva che egli adesso possa essere, nel suo nuovo ruolo, sfilato da dentro Gaza lasciando il campo libero al futuro, a una qualche soluzione conveniente per i rapporti internazionali delle parti in causa come il Qatar. E forse anche a una linea meno decisa sui rapiti, che Sinwar usa come suo scudo di difesa, e di cui si dice che siano costretti a una continua vicinanza fisica con lui nelle gallerie o chissà dove. Israele o non sa dove si trovi l’uomo di cui certo vorrebbe la testa, o non può avvicinarsi per prudenza verso la vita dei rapiti. Ma per Israele l’ha detto chiaro il portavoce dell’esercito Daniel Hagari: “Il suo posto è già assegnato, vicino a quello di Mohammed Deif”, il braccio destro di Sinwar che svolgeva soprattutto un ruolo militare, eliminato da Israele. La linea di Sinwar è nota, sillabata, urlata, ripetuta in molti suoi discorsi magari tenendo in braccio un bambino con un piccolo mitra in mano e la fascia verde sulla fronte.
Nel 2022 celebrando l’anniversario della sua organizzazione disse: “Noi vi verremo addosso come un torrente in piena, con innumerevoli proiettili, una cascata di armati senza limiti e vi sommergeremo a milioni, un’ondata dietro l’altra”. Non sono parole in libertà: la “nukba”, che appunto è stata chiamata da Hamas “uragano”, ha rappresentato la prima realizzazione del grande cambiamento annunciato da Sinwar quando nello scambio per Gilad Shalit tornò a Gaza nel 2011: qui spiegò che la battaglia non era più quella per il territorio, per “due Stati per due popoli”, che ogni prospettiva siglata ad Oslo veniva cancellata in nome del progetto della distruzione totale dello Stato d’Israele. Nella sua visione è probabilmente compresa l’immensa propensione personale, forse legata al tumore al cervello diagnosticato dal dentista e curato in carcere con i mezzi più generosi e moderni, per lo spargimento di sangue. Sangue: quello dei nemici, tutti coloro che non fanno parte del suo Islam, e prima di tutto degli Ebrei. Ma anche l’insegnamento per cui si deve uccidere anche fra i palestinesi con le proprie mani chiunque sia sospettato, di collaborare con gli Israeliani: raccontò in particolare come aveva strangolato con una kefiah un palestinese accusato di questo crimine. E anche, dopo il 7 di ottobre, sua è l’affermazione della necessità imprescindibile di versare più sangue possibile del proprio popolo, di catturare il favore del mondo tramite il suo sacrificio. Non a caso Sinwar e i suoi sono sempre rimasti sottoterra esponendo nelle infrastrutture civili di Gaza tutto l’apparato di organizzazione e di guerra, e persino di detenzione dei rapiti nelle case della sua gente, peraltro molto ben disposta.
Sinwar è, per quello che si sa, è il superstite del gruppo dirigente che ha disegnato Gaza come una città di cartone, una zona nazificata che addensi la popolazione su una rete di ragno senza fine di gallerie piene di armi, di materiali di riserva, di passaggi e nascondigli cui si accede da tutte le strutture civili della Striscia, dagli ospedali e dalle scuole, dalle case di ciascuno. Adesso certo nel suo buco aspetta che iraniani e Hezbollah si avventino su Israele. Forse allora si riaffaccerà all’aria, ma certo non solo i suoi lo aspettano.