La nuova strategia: ora l’obiettivo è colpire le élite. Funzionerà?
Il Giornale, 13 gennaio 2010
Il polverone sollevato in queste ore in Iran sull’assassinio dello scienziato nucleare Massoud Ali Mohammadi è fatto di informazioni e disinformazioni che si elidono: era un grande sostenitore del regime; no, era un fiero alleato di Mir Hossein Moussavi, anzi aveva firmato una lettera in suo sostegno; era stato visto per strada inseguire gli studenti che partecipavano alle manifestazioni; no, era un tipo completamente apolitico. È stato il Mossad, sono stati gli americani; no, è un assassinio interno al regime... E così via.
Tutte queste diverse informazioni diffuse da agenzie di stampa, da vecchi amici dell’ucciso, dal rettore dell’università, dal governo iraniano stesso, hanno tutte quante la stessa origine, e tutte tendono verso un solo punto: il caos. Perché, comunque sia andata la vicenda, resta chiara una cosa sola: Mohammadi non insegnava storia dell’arte, insegnava fisica nucleare. Non sappiamo se questo gli assegnasse un ruolo nei lavori in corso per costruire la potenza nucleare iraniana, ma possiamo pensare che un avvertimento ai dissidenti da parte del governo avrebbe potuto essere dato semmai colpendo qualche personaggio in vista nella rivoluzione in atto contro il regime di Ahmadinejad e degli Ayatollah. E che, per converso, se a colpire fosse stata un’organizzazione di opposizione interna, come dice l’agenzia televisiva iraniana Press Tv che accusa un gruppo monarchico, la Royal Association, allora avrebbe mirato a qualche personaggio famoso.
Qui, comunque, abbiamo un fisico nucleare, tranquillo, normale, adatto quindi a un’attività segreta, in un Paese che ne ha visto svariati svanire all’orizzonte: due sono espatriati in America, Shahram Amid si volatilizzò durante un pellegrinaggio alla Mecca, un certo Ardebili arrestato in Georgia riuscì poi a sparire, e nel gennaio del 2007 un professore di fisica nucleare di Shiraz, Ardeshir Hassanpur, morì in casa a causa di una fuga di gas per motivi poco chiari. Dunque, anche se non sappiamo che ruolo abbia avuto o avrebbe potuto avere Mohammadi, sappiamo che era parte di una categoria al centro della vicenda iraniana di questi tempi, e in un momento in cui la minaccia del nucleare è diventata particolarmente pressante.
Sei nazioni stanno in questi giorni pianificando di incontrarsi il prossimo fine settimana per prendere una posizione dura di fronte a una sfida sempre più arrogante, mentre gli ultimi studi parlano di almeno 4000 centrifughe che a tutto ritmo producono uranio arricchito. L’incontro, che probabilmente si svolgerà a New York, ascolterà da Hillary Clinton le conclusioni raggiunte dagli Usa dopo un periodo in cui, con l’Aiea e l’Onu, ha proposto favorevoli soluzioni per spingere l’Iran a cambiare politica: per esempio, quella dell’arricchimento dell’uranio all’estero. Ogni offerta è stata respinta con disprezzo da Ahmadinejad. Ora, la decisione è quella di stabilire sanzioni che colpiscano le élite iraniane risparmiando la popolazione. Un impegno dovuto, anche perché Obama aveva già promesso le sanzioni per la fine del 2009. Ma funzionerà? Difficile crederlo.
L’ammiraglio Mike Mullen, presidente dei Capi di Stato Maggiore dell’esercito americano, ha detto, dopo aver confermato che la bomba è per strada, alcune parole che hanno una risonanza pratica confacente al tema di cui qui ci occupiamo: «Il potenziale sabotaggio occidentale o le sfide tecniche potrebbero influenzare parecchio la produzione nucleare iraniana». Questo mentre l’Amministrazione non dimentica mai di tenere pronto il suo esercito per eventuali scontri, ha detto Mullen.
L’idea, insomma, è che ci sia poco da discutere con l’Iran - di cui ora si dice che ha impianti nucleari segreti ormai nascosti in gallerie mischiate con molte altre cavità vuote per confondere ogni attaccante -, che il 6 gennaio ha minacciato di prendere il totale controllo dello Stretto di Hormuz, con conseguente blocco del Golfo Persico, che per bocca di Ahmadinejad dichiara il suo disprezzo per ogni minaccia di sanzioni... Diventa chiaro, quindi, che la lingua che può capire l’Iran odierno, che coniuga la persecuzione dell’opposizione con la costruzione del nucleare, non è certo solo quella della diplomazia. Questo tutti lo capiscono: Israele, gli Usa, l’opposizione...
non voglio apparire una pacifista sfegatata ma, avendo verificato che la maggior parte delle guerre, sia 'preventive' sia 'dovute', portano a danni collaterali di enorme gravità e conseguenze che durano intere generazioni di persone sconvolte, mi chiedo... Quando finirà? Chi deve tirarsi indietro per primo? Perché farsi cullare dalla sindrome di Superman e credere che una superpotenza, solo in quanto tale, ha il dovere e il diritto di consumare i suoi ingentissimi e sempre rinnovati armamenti per 'portare la pace'? So che 'non intervenire' somigia a vigliaccheria, pavidità etc. Ma qui non stiamo parlando di una zuffa in cui rischiare di separare i contendenti. Qui c'è costante il rischio di condannare con assoluta certezza innocenti a fare una brutta fine per essersi trovati sul tiro del fuoco o varie. Possibile che non possano esistere altri sistemi meno cruenti? Tanto più che è stato dimostrato che tanta buona volontà purtroppo finisce per trasformarsi in atteggiamenti del tutto diversi da quanto inizialmente sperato, tipo Abu Graib etc. E' successo anche ai contingenti italiani in Africa, rei di violenze verso ragazzine, scandali prontamente fatti sottacere ma qualcuno ricorda l'orrore. E se gente che ci vive da decenni in mezzo alle 'conseguenze' dei conflitti armati di qualsiasi natura e colore, come i medici che rappezzano tutte le vittime innocenti, ebbene costoro, come un sol coro, dicono una cosa sola: "NO ALLA GUERRA!'