Le fake news che aiutano i terroristi

Ma lo Stato palestinese legittima la violenza (e prolunga il conflitto)

È semplice, né in diplomazia né nella vita di ogni giorno devi ricompensare il responsabile, specie non pentito, di un danno, altrimenti lo spingerai a farne uno peggiore: è quello che, affrontando il tema da un podio terribile e sacrosanto, quello di 471 giorni nelle mani di Hamas, ha detto al primo ministro inglese Keir Starmer Emily Damari, che ha anche cittadinanza inglese: “Il tuo annuncio manda un messaggio pericoloso: la violenza viene legittimata... in questo modo non trovi una soluzione, prolunghi il conflitto.” E chiede: “Se fosse stato al potere al tempo della Seconda Guerra Mondiale avrebbe chiesto il riconoscimento dell’occupazione nazista di Paesi come l’Olanda la Francia e la Polonia?”. Anche il forum delle famiglie dei rapiti è dello stesso parere contro la minaccia del Primo ministro britannico che minaccia il voto per lo Stato palestinese all’ONU e pretende il cessate il fuoco a Gaza. Tutta Israele è angosciata dalla corrente aggressione europea che crea un’ulteriore difficoltà nel recuperare gli ostaggi e nel concludere la guerra. Il ministro degli esteri Gideon Saar ha avvertito “se un'organizzazione terroristica vi abbraccia, siete arrivati nel posto sbagliato”.
Ma molti Paesi Europei, in testa a tutti la Francia, corrono verso la terza settimana di settembre quando all’ONU Macron cercherà un voto maggioritario al riconoscimento dello Stato palestinese. Reagan, durante la guerra del 1982 intimò a Begin di fermare la guerra in Libano dopo aver visto l’immagine di un bambino di Beirut senza le braccia, poi capì che era un fotomontaggio e si tirò indietro. Qui ormai la locomotiva corre a trecento all’ora, anche se la foto del bambino affamato è stata smentita dal New York Times stesso, e Israele paracaduta su Gaza con l’Egitto e i sauditi una quantità di cibo che va a sommarsi alle centinaia di camion pieni di aiuti. Il fatto è che è difficile smontare la motivazione di qualcosa che non ne ha alcuna, e che rema contro il suo proprio scopo, la pace. Un garbuglio ignobile. L’idea dello Stato palestinese è vecchia, ma esso non fu mai preso in considerazione né da Egitto né da Germania che occupavano l’uno Gaza e l’altro la West Bank, né dai palestinesi cui dal 1948 è stato offerto dieci volte. Si vuole tutto, from the river to the sea, ovvero la distruzione dello Stato d’Israele, e non la condivisione. Ma veniamo ai tempi recenti. Anche dopo che gli accordi di Oslo si sono trasformati nella tragedia terrorista della Seconda Intifada, venti anni fa Israele ha liberato Gaza dai 9000 cittadini ebrei. Avrebbe dovuto diventare, pieno di serre, imprese, una specie di Singapore cuore del nuovo, appunto, Stato palestinese.
Non si chiese prima ad Hamas, e nemmeno all’Autorità nazionale palestinese niente sulle sue intenzioni: uno Stato democratico? Demilitarizzato? Intendevano smettere di insegnare ai bambini dai tre anni in su a odiare gli ebrei e l’Occidente sui libri di scuola? Avrebbero smesso di perseguitare gli omosessuali e di opprimere le donne? Nessuno chiese niente, un primo Stato palestinese era fatto mentre già vigeva un’Autorità palestinese da cui emanava il terrorismo delle migliaia di morti dell’Intifada. Gaza dunque divenne la base del progetto di distruzione di Israele, il proxy iraniano traforato di gallerie, armato fino ai denti. Doveva nascerne la pace, per questo fu sgomberata e consegnata ai palestinesi: ma il guscio vuoto di qualsiasi contenuto sensato diventò una cintura esplosiva innescata su un terrorista suicida.
E adesso, quando si vuole votare, indossando giacca e cravatta, lo Stato palestinese, si è mai pensato di chiedere per esempio a Abu Mazen se smetterà di pagare lo stipendio ai terroristi? Se libri di testo verranno cambiati? E i suoi confini? Saranno abbastanza vicini all'aeroporto perché i missili possano colpire gli aerei che decollano? Per andare da Hevron a Gaza ci sarà una strada speciale su cui i terroristi possano trasportare esplosivo? Non abbiamo sentito dire niente altro, da Macron o Starmer che si uniscono purtroppo a un coro che già raccoglie oltre ai soliti Paesi onusiani che votano sempre contro Israele una decina di Paesi Europei che hanno già riconosciuto la Palestina. Molti lo fecero nel 1988, la Bulgaria, Cipro l’Ungheria, la Romania, la Polonia..Poi la Svezia nel 2014 e nel 2024 la Spagna e l’Irlanda. Certo, l’hanno fatto per la pace. E hanno ottenuto tanta, tanta guerra.
Tappeti rossi per la Albanese. Entra nelle Camere l'odio anti-Israele

È una groopy di prima fila dell’invenzione che Israele cerchi il genocidio, nel suo rapporto questa parola è citata 57 volte in 38 pagine. Ignora che Israele è impegnata in una guerra di difesa e di recupero degli ostaggi dopo la carneficina del 7 ottobre; che l’uso colossale, programmato di uno scudo umano mette in prima fila i civili in modo mai visto sopra centinaia di km di gallerie in cui soffrono gli ostaggi. La Albanese propone al parlamento italiano come il leader Ghazi Hamad che i palestinesi siano “un popolo di martiri”. Sparito l’odio, il terrorismo, le atrocità... resta il colonialismo inventato. Gli ebrei per lei, il popolo indigeno tornato dopo tanto soffrire, sono un popolo crudele. I suoi seguaci si sono moltiplicati, Macron propone all’ONU lo Stato palestinese, l’Europa vuole espellere Israele dalla ricerca scientifica: non si può proprio sopportare che gli ebrei che di fronte alle persecuzioni non hanno mai potuto difendersi, oggi combattano senza indietreggiare. Alla Camera e al Senato l’hanno invitata Laura Boldrini del PD, il deputato AVS Angelo Bonelli, Ascari di Cinque stelle... La Albanese dice cose semplici, ha molto mercato: la lobby ebraica comanda gli Stati Uniti, Israele è simile alla Germania Nazista, l’occupazione, i settler, i soldati che vanno a caccia di bambini da ammazzare sono Israele; anzi diceva ieri, l’economia di occupazione è stata trasformata in economia di genocidio. Boh. Ma Israele non ha mai perseguito il genocidio, né la fame. Ha fatto passi senza precedenti per limitare il danno ai civili: messaggi, telefonate, spostamenti, cancellazioni.
I soldati sparano solo se in pericolo o in combattimento. Si cita la fonte di Hamas nel dire che ci sono stati 58mila morti con 18mila bambini, ma sono bambini fino ai 18 anni, le famiglie denunciano più volte i loro morti, la metà del numero è fatta di combattenti: quindi la proporzione fra combattenti e civili è fra le più basse della storia e Israele ha un accumulo di migliaia e migliaia di morti per attacchi terroristi e caduti in guerra, e di suoi civili colpiti dai missili. Infine, molti esperti concordano sul fatto che la fame nasce dal fatto che Hamas ha rubato immense quantità di aiuto per i suoi scopi. Ma nella Striscia il cibo c’è, si dovrebbe distribuirlo senza che Hamas lo rubi. L’Albanese può suggerirlo e anche che, se Hamas restituisce gli ostaggi, la guerra finirebbe. Non lo dice mai.
Antisemitismo senza più freni

Il Giornale, 29 luglio 2025
È strano che un padre e un bambino di sei anni con la kippà vengano aggrediti in un autogrill milanese? Per carità. E che c’è di strano che Macron voglia riconoscere lo Stato palestinese? Che si adoperi all’ONU per un voto collettivo chiamando a raccolta i soliti Norvegia, Spagna Irlanda, Slovenia etc… e puntando sul forte cavallo dell’Arabia Saudita? E ancora, che c’è di strano che 34 ex ambasciatori, di cui alcuni ancora con cariche importanti, chiedano alla Meloni, che saggiamente si ritrae, di farlo “con urgenza” anche lei? A una mente raziocinante, dato che i palestinesi mai hanno accettato la condivisione, ma al contrario, Hamas e Autorità nazionale palestinese, ciascuna a suo modo, da 75 anni rifiutano ogni offerta ragionevole e puntano alla distruzione di Israele, sembra che almeno una carta di impegni da parte dei loro amici avrebbero dovuto chiederla. Saranno una democrazia? Non credo. Guiderà Hamas? Ragionevolmente. Ma Macron più i suoi proxy vogliono solo ferire Israele, è un tributo politico interessato e vuoto a un’opinione pubblica postmoderna che oggi, quando dici “ebrei”, sventola le bandiere from the river to the sea. Ed ecco il risultato: antisemitismo rafforzato, anche creato, dalle istituzioni irresponsabili e dal loro corteggio.
Hamas ci contava sin dall’inizio, quando, dopo il 7 ottobre António Guterres dice “non nasce nel vuoto”. Identico a questi signori, politici e deep state, il branco che ha assalito un papà e suo figlio di sei anni, il padre buttato per terra, perché indossavano la kippà all’autogrill Villoresi. Che ne sanno i bruti: sono ebrei con la kippà, gli ebrei sono cattivi, diamogli giù. E con lo Stato palestinese: che ne sa Macron e chi lo segue, i palestinesi sono vittime, vogliono lo Stato che danneggia i cattivi israeliani, diamogli lo Stato. Che gli importa se Hamas lo gestirà dato che comunque è molto più forte e deciso di Abu Mazen, e se è Abu Mazen che importa che condanni il 7 ottobre, tutto fa. Dagli all’ebreo.
Da parte sua, la lettera dei 34 dice che “riconoscere la Palestina è un’iniziativa da assumere con urgenza di altissimo significato politico...” perché “per Israele non ci sono più giustificazioni possibili” sulle operazioni militari a Gaza…”. Cioè: in sé non conta lo Stato, importa ferire Israele. I 34 saggi non dimostrano un attimo di dubbio sulle cifre taroccate da Hamas, gli aiuti rubati da Hamas, sui rapiti che sono la pietra di fondamento di una guerra che altrimenti sarebbe finita da tempo! E allora la leadership europea docet: e che c’è di strano che i turisti israeliani non possano sbarcare, assediati, a Syris e a Cipro? Sarete anche contenti che i ragazzi ebrei vengano cacciati dall’aereo con cui tornano a casa dal campo estivo. E vi sembrerà che ci guadagnino gli allievi della scuola di musica di Vienna se tre maestri sono stati cacciati da un ristorante italiano perché osavano parlare la lingua della Bibbia.
Ormai vi siete abituati all’antisemitismo, lo declinate più o meno elegantemente a seconda dello strato sociale, una volta all’ONU, una volta all’autogrill. Vi siete abituati ad accusare gli ebrei di crimini spaventosi, e quando si viene poi a sapere che il bambino riprodotto con gusto su tutte le prime pagine era malatissimo e già in cura in Italia da mesi girate il capo... anche dalle università, i posti di lavoro, i comuni che rompono i rapporti con le città israeliane, costruite col sudore e il coraggio di gente che resiste nei decenni a un’aggressione terrorista che ha fatto decine di migliaia di morti e che richiede il sacrificio continuo dei giovani. Ma la verità è sotto il sole: Hamas affama la sua gente, e l’affamerà di più se domani uno sciagurato Stato palestinese fasullo, mai costretto a disconoscere il 7 ottobre, spenderà gli immensi proventi dal consesso internazionali in gallerie e armi letali per distruggere Israele, e attaccare l’intera società occidentale. È già successo, nel 2005. Ma, già, voi la storia non la sapete.
La verità sulla piaga della fame

Il Giornale, 28 luglio 2025
La storia cui assistiamo nelle ultime ore vede sette invii di cibo piovere dal cielo mentre centinaia di camion carichi dei medesimi beni umanitari aspettavano sul confine: la suddivisione in zone non ha funzionato, la distribuzione tramite la Gaza Humanitarian Foundation è fallita, l’ONU non si è messa a disposizione e tantomeno l’UNRWA… anzi hanno impedito che fosse introdotto tutto quello che c’era, per paura delle intimidazioni di Hamas. Perché Hamas intende solo un modo di introdurre il cibo, quello in cui se ne impossessa e ne fa lo strumento di potere nella Striscia, l’arma che gli consente di restare al potere. Ieri Israele ha segnalato, insieme alle uscite di Trump e di Rubio, che c’è un cambiamento di strategia. Quale sia è ancora da vedere. Per Trump, è chiaro che ci vorrebbe un’ulteriore stretta su Hamas che rifiuta la trattativa. Ma Israele ha un bene da salvaguardare dall’inizio della guerra, che le costa caro forse ora più che mai: Hamas l’ha detto direttamente. Può ad ogni istante ammazzare i rapiti. Quando il loro ennesimo rifiuto ha irritato Trump e Israele ha ritirato la delegazione, i caporioni residui nei loro lussuosi hotel a Doha e forse i leader locali fotografati mentre mangiano lautamente nelle gallerie, si sono dichiarati stupefatti: ma come, hanno detto, eravamo pronti a proseguire gli incontri… solo, l’accordo deve consegnare loro tutta la Striscia, il potere… beh, se non funziona intanto abbiamo dato ordine di uccidere i rapiti.
Parlare dei rapiti è la strada maestra dall’ 8 di ottobre 2023: dal primo giorno di guerra Israele ha combattuto con la mano destra legata dietro la schiena preoccupata di colpire gli ostaggi, e la sinistra bloccata dal piano geniale di Hamas della guerra umanitaria. È l’ottavo fronte, quello dell’odio internazionale. Hamas, dopo aver investito somme enormi in gallerie, ha costruito quel cuscino di carne umana, donne e bambini, da usare come scudi umani, da affamare rubando gli aiuti umanitari per distribuirli ai suoi. Ed ecco le immense schiere di decerebrati creati dal postmodernismo woke che ha acceso la tv e letto i giornali senza conoscenza né elaborazione, in nome degli oppressi contro gli oppressori. Mai, un militante di Cinque Stelle, potrà mettere a fuoco l’impossibilità assoluta che Israele sia un Paese genocida a causa della sua storia e soprattutto della sua gente, dei suoi soldati uno a uno, che mai sparerebbe a un bambino se non si creasse l’impossibile situazione in cui la guerra talora pone l’uomo più santo. L’opinione pubblica si è affidato a fake così pazzeschi che ci sono volute tre settimane per realizzare che la chiesa distrutta era intatta, e che il bambino Osama ben Raqab muore di fibrosi cistica e non di fame (accanto si vede il fratellino in normali condizioni) e che il famoso ospedale in cui il 17 ottobre del 2023 sarebbero stati uccisi dagli israeliani cinquecento gazawi, e poi si è scoperto che era stata un missile palestinese... ancora oggi viene riportato dalla Reuters con lo stesso titolo. L’aria è irrespirabile per una stratificazione di pretesi omicidi di massa della folla ammassata per il cibo… genocidio, sterminio per fame… non importa dove, non importa se, l’importante è la pressione che Hamas ha programmato con aiuto internazionale, con intuizione egemonica sovietica. Così il fatto che Hamas dica no alla trattativa si traduce in una ulteriore minaccia per i rapiti, di cui tutto il mondo, sia ben chiaro è complice. E Israele prepara una risposta che prende tempo, che pensa cosa fare, che tiene duro, come ha detto Netanyahu ieri, e tiene aperta tutta la strada, anche così le possibilità di trattare. Di sicuro c’è solo che quel cibo finisce in mano a Hamas. Saranno dunque contenti i manifestanti in Grecia, i proprietari della Trattoria Ramazzotti di Vienna da cui sono stati cacciati i tre musicisti che insegnano all’Accademia, né cibo né bevande per chi parla ebraico. Amit Peled, il violoncellista, abbracciato al suo strumento ha detto “io seguiterò a parlare ebraico e a suonare Hatikva”. Saranno contenti i deficienti che, come ai tempi delle Brigate Rosse, hanno impiccato in effigie Netanyahu al Comune di Ferrara, contento il personale aereo che ha sbattuto giù dal volo i ragazzi che cantavano in ebraico.
In guerra a una temperatura di 45 gradi ragazzi che hanno imparato solo la pace e mai a odiare il nemico, sono invece costretti a morire in guerra da un nemico che spunta all’improvviso da sottoterra: ieri sono stati seppelliti un ragazzino di vent’anni Inon Vana, la sua mamma si è scusata per non averlo abbracciato abbastanza; un giovane druso, Amir Saad, orgoglioso di servire nell’esercito israeliano; un trentenne che ha combattuto per due settimane ferite gravissime, lascia due bambine piccole Betzalel Mosbacher. Altri due sono stati feriti gravemente ieri: I terroristi saltano fuori dalle gallerie, uccidono e poi spariscono di nuovo sotto, coi rapiti, lasciando la loro gente a strapparsi residui del loro cibo.
Ecco chi sogna la morte di Israele

L’Albanese non esiste come esperta, ricercatrice. lo dimostrano i rapporti sul Medio Oriente costruiti solo sulla base delle testimonianze delle sue ONG preferite. Ma esiste come progressista negazionista: grande ruolo. Non sa la storia e neppure la cronaca, le sue fonti sono il ministero della sanità di Hamas, Wafa, le sue ONG e simili. Gi ebrei… la sua opinione è molto simile a quelle dei suoi predecessori storici antisemiti. Soldi, potere, lobby, razzismo. Altro non sa e come lei, banali e molto ovvi, quasi tutti i talk show e le testate italiane e internazionali. E poi, quando la sua parte compie i gesti più mostruosi che mente umana possa immaginare, non lo sa, dubita. Altrimenti come resta una persona per bene, un essere normativo se approva lo stupro e la mutilazione di massa? Di più: la sua parte dal 1948 rifiuta una soluzione negoziata, ma lei non lo sa. Dice “from the river to the sea”, chiede che sparisca Israele.
E’ ovvio che la sua idea di legalità internazionale è farlocca, ma la riafferma cercando consenso, e lo trova. È un consenso che gode dei miliardi del petrolio, e dice: “Io ho ragione, tu hai torto, sei di destra, io sono contro il colonialismo”. Che non c’è. Ma che importa la realtà: Albanese è capitata sulla cima dell’onda del woke, trasformato in incitamento al terrorismo e alla violenza. Ottimo: il Premio Nobel per la pace, secondo i suoi “progressisti” deve essere assegnato a lei. Non è strano: chi firma si sente buono, antimperialista. Al tempo in cui il comunismo era un assassino di massa, Dario Fo, lo ricevette. Continua oggi: Albanese è accovacciata nella sinistra e nelle istituzioni internazionali a partire dall’ONU: oggi, è la diva della conferenza di Bogotà che raccoglie 30 nazioni che con la Cina, il Qatar, la Spagna, Sud Africa, Algeria, Indonesia... E la sinistra italiana, povera di leader, ha trovato la bandiera: il sindaco di Bari che le offre le chiavi della città, un consigliere fiorentino che le vuole dare la cittadinanza onoraria (della mia città!!) e i big leader del Campo largo che ne difendono il “diritto di parola”. Ma è vero il contrario: così la bloccano, la ammutoliscono. L’ONU ha accolto la donna col curriculum che ha, partecipazione a conferenze con Hamas, frasi antisemite, impicci di soldi e falsi di accademia. Ma dietro di lei, l’immenso fenomeno che la crea e la definisce, la mutazione cieca della brava persona. Essa ama i poveri e gli oppressi, per lei Israele nasce come un progetto “coloniale aziendalizzato”, una misera balla, ma gli ebrei sono bianchi, dice, che importa se il popolo ebraico è l’unico indigeno millenario che mai ha lasciato Israele del tutto nonostante gli spintoni, se la fatica del deserto strappato alla sabbia e della guerra di difesa è stato tutto di immigrati dal Lager. Perché: la brava persona progressista è generosa, ama i poveri del terzo mondo più che sé stessa, vuole benessere e democrazia, odia l’occupazione inventata.
Ed ecco che quando Israele consegna terra, sgombera Gaza e parte grande del West bank, tenta dieci volte (numero vero) l’accordo, Albanese non lo sa, è progressista. Noi siamo la parte giusta della storia, noi siamo il sale dell’umanità. E chiuderà gli occhi e la mente. Dunque, il buon progressista cosa racconterà a se stesso quando quel sette di ottobre i suoi Palestinesi bruciano vivi i bambini e stuprano le donne? Non racconterà. Nei rapporti dell’Albanese non c’è. Anche Greta Thunberg non ha voluto guardare il film su Nova. Si butta la statua di Cristoforo Colombo a San Francisco, si sradica e si sporcano Churchill e Lincoln. Mentre si cancella la storia, si ignora anche l’enorme forza omicida che Israele soffre da 75 anni, i missili, le decine di migliaia di trucidati nel terrorismo. Oggi Israele è costretto a combattere contro chi vuole distruggerlo. Stavolta dopo il 7 ottobre, sa che i nemici non vogliono affatto la pace, e non è disposta alla resa. Questo è inaccettabile per la mente progressista collettiva. Vuole la sua pace virtuosa, progressiva, felice, sulla tomba del popolo ebraico. Peccato, signora, Israele non ci sta.
Il viaggio della pace di Netanyahu negli Usa. Un progetto ambizioso da Gaza all’Indonesia

Il Giornale, 03 luglio 2025
Gaza è in queste ore una sfinge che interroga il mondo più impietosamente del solito: là, nella possibilità restauratasi in queste ore di un accordo, c’è lo scrigno del futuro, dalle decisioni delle giornate, delle ore a venire, dipende se il Medio Oriente, il mondo possano svoltare dalla guerra dei più di 600 giorni: l’eliminazione totale o parziale delle strutture nucleari e del disegno malefico degli Ayatollah che scatenò il 7 ottobre e poi il resto cerca una conclusione. Dunque Netanyahu parte domenica per Washington, le dichiarazioni sue e di Trump si incastrano, si inanellano, si contraddicono e si ricongiungono: Trump dice ieri che Israele è d’accordo per una tregua, che sarà bene che Hamas accetti la proposta Witkoff, per ora 10 rapiti vivi e 8 corpi, 60 giorni di tregua, perché qualsiasi altra, scrive in lettere capitali sarà molto peggio. Hamas non risponde ancora, si capisce che vuole ottenere tramite Qatar e Egitto, i mallevadori, che la tregua sia definitiva. Da Israele fluisce una seminotizia... potrebbe restare tregua e non pace, ma potrebbe essere sine die. Netanyahu si muove con cautela, non è assediato all’interno, il suo successo recente non lascia spazi né a sinistra (Lapi) né a destra (Ben Gvir) per aggressioni politiche: parte e sa che ha in mano una pietra preziosa, si chiama pace di dimensioni mai viste, l’ha conquistata con le unghie e coi denti, ora niente azzardi, Trump è corso in aiuto contro l’Iran in uno scontro spettacolare, che non è ancora concluso.
Lavora per sé e per Israele per i libri di storia. Trump e Israele trattano con la Siria e col Libano per arrivare un’alleanza organica, occhieggiano persino all’Indonesia, il Paese musulmano con 240 milioni di abitanti, aspettano l’Arabia Saudita, la regina del patto di Abramo del futuro, che ora vuole la sconfitta di Hamas. Israele, e Trump lo sa, non può articolare nessun patto davvero significativo senza raggiungere due scopi: i rapiti a casa, e la sconfitta di Hamas. Sconfitta può significare tante cose: Ron Dermer che sott’acqua dopo l’aiuto americano in Iran, disegna il prossimo passo è già al lavoro. Netanyahu ha affermato anche ieri che i due obiettivi della guerra a Gaza sono sempre quelli. Hamas è di fatto già a pezzi, come il capo di Stati Maggiore Eyal Zamir ha detto, non controlla il territorio priva com’è della leadership ormai eliminata, Gaza è distrutta, la metà dei suoi sono stati uccisi, la rapina degli aiuti umanitari è stata smascherato, i suoi padroni e finanziatori, Iran, Hezbollah, Siria di Assad si sono disseccati in battaglia.
Come dice un analista israeliano, Amit Segal, Israele può accettare purché l’esercito resti sul bordo a proteggere le comunità in pericolo e sullo Tzir Filadelfia contro il contrabbando dall’Egitto; può espellere i residui della leadership di Hamas; può ottenere un cambio di regime; mettere nell’accordo il permesso di reagire militarmente per prevenire attività terroristiche. Si capisce bene che è un accomodamento, ma due elementi di realismo: restare legati agli USA, e tener conto delle infinite cautele comunque, giorno per giorno, indotte dalla presenza dei rapiti nelle gallerie e nelle case trasformate in prigioni. Ogni ragazzo israeliano che combatte a Khan Yunes come a Sajaia, come Janiv MIchailovich di 19 anni che ieri è stato ucciso da eroe in battaglia, ha dentro di sé un coraggio da leone e anche il sogno di liberare un rapito. Affronta la morte nelle gallerie per quello. Il dilemma può sciogliersi in un disegno vasto come quello che si prospetta, e comprende dai rapiti all’Indonesia, quella pace larga per ottenere la quale domenica Netanyahu va all’aeroporto. Intanto, continuano le trattative.
Trump in difesa di Bibi

Il nemico al tappeto e gli Usa al fianco. Israele può esultare

Il Giornale, 25 giugno 2025
La svolta in nome di Bibi. Usa in guerra per la libertà

Il Giornale, 23 giugno 2025
A un anno di distanza dal 7 ottobre Benjamin Netanyahu, dopo dodici mesi di guerra dominata dal rovesciamento strategico e culturale piombato su Israele con la macelleria di Hamas e le sue 1200 perdite massacrate più 252 rapiti, decise di dare un nuovo nome alla guerra. Da “Spade d’acciaio” a “Guerra di Tkuma”, una parola ebraica antichissima, che vuol dire resurrezione. Il gabinetto votò il cambiamento: Netanyahu aveva virtualmente concluso la shivà, i sette giorni di lutto in cui non si esce, si pensa agli amati perduti, non si vive, e tornava a essere sé stesso. Nella “tkuma” lo abbiamo ritrovato ieri notte, tutto intero per ciò che è e desidera. E al mattino, dopo l’attacco ai siti nucleari di Trump, con gesto simbolico ha messo in un pertugio del Muro del Pianto il suo secondo messaggio dopo il primo di qualche giorno fa, quando Israele stava per intraprendere, tutta sola, l’azione impossibile: “Possa il presidente degli Stati Uniti essere elevato per essersi assunto la responsabilità di espellere il male e l’oscurità dal mondo” c’è scritto fra le parole di preghiera. Più di un ringraziamento, un’elevazione nella grande storia. Bibi ha spiegato più volte il suo retaggio parlando del centesimo compleanno del padre, lo storico Ben Tzion: “Grazie” disse il venerando allora “di ricordare la mia opera, ma oggi l’Iran minaccia la distruzione del popolo ebraico, ed è qui che il nostro spirito deve sorgere, dobbiamo dimostrare tutto il nostro valore, la nostra forza, la capacità di distruggere il pericolo col nostro spirito”. Spirito si dice “ruah” come vento, ed è qualcosa di sacro, e di questo, rispetto all’operazione in Iran, Netanyahu non cessa di ringraziare i soldati e il popolo.
Qui è il segreto di questa guerra così audace e impari, e che finalmente conta su un partner pari alla sfida: la superpotenza americana, di nuovo nel suo ruolo di guardia della libertà generale. Netanyahu al contrario delle sciocchezze che si possono dire sui suoi interessi per la guerra, ha deciso che non poteva aspettare, perché ne andava della vita. Dopo decenni di discussioni con i quattro presidenti precedenti a Trump e i tanti “don’t”, intanto America e Israele insieme hanno deciso: “L’Iran non deve avere l’arma atomica”. Questo aprirà almeno a parte del mondo la comprensione della minaccia atomica terrorista. La foto di ieri notte mostra Bibi al telefono con Trump nel minuto dell’azione americana, quando su Fordow vengono lanciati dai B2 162 tonnellate di esplosivo. Dopo gli israeliani, compiono l’azione chirurgica per distruggere le 3 fornaci di morte iraniane. Bibi con Trump guarda la grande storia che svolta, il presidente americano insieme a lui osserva l’attacco: i siti atomici vengono distrutti. Netanyahu guarda la sua storia in cinemascope, e forse non ci crede neppure lui. Un commentatore israeliano, Hagai Segal, dice che non è solo una pietra miliare militare, è il più grande trionfo diplomatico da quando Ben Gurion riuscì ad assicurare la maggioranza all’ONU per fondare lo Stato il 29 novembre 1947. Dopo la magica operazione israeliana, l’entrata sulla scena gli Stati Uniti avrà la sua logica: siamo all’alba di un nuovo giorno, quello in cui il Medio Oriente e tutto il mondo finalmente liberati dalle trame e dai progetti genocidi di un regime fanatico dovrà cedere. L’Iran può suicidarsi andando contro l’ultimatum di Trump o arretrare. Il suo mondo erano i proxy ora sconfitti uno a uno da Israele. Netanyahu può disegnare con Trump la riabilitazione dell’area, un rapporto col mondo arabo liberato dalla motivazione omicida senza limiti dell’Iran e dai suoi. Trump e Netanyahu hanno smentito con parole di onore reciproco la bugia che Trump avesse buttato Bibi alle ortiche… non è mai successo.
I sessanta giorni per rispondere alle proposte di Trump per l’Iran erano reali, Netanyahu aspettava la prova della realtà e avvertiva che avrebbe agito. I due hanno rispettato l’un l’altro con la promessa di agire per la fine della minaccia nucleare. Questo è tutto il punto: Trump ha capito con Netanyahu che i vari “don’t” di Biden erano sbagliati dopo che il sette di ottobre si era mostrato come un anello della catena iraniana della distruzione di Israele, il cuore ideologico dei regimi islamisti come l’eliminazione degli ebrei lo era per il nazismo. Netanyahu ha deciso di uscire dalla trappola di cui anche lui, con gli accordi di Hebron e il discorso di Bar Ilan, era stato partecipe e ha capito che il parametro era quello dell'eliminazione del pericolo mortale. Combattere per sopravvivere. Trump ha capito che si trattava di un’idea resa realistica da anni di lavoro. Adesso la recupera anche per “fare grande l’America” e lo fa nonostante l’opposizione interna. Una volta che la testa del serpente sia tagliata si apre un mondo di pace.