Fiamma Nirenstein Blog

Il Giornale

Se la Nato chiama non possiamo tirarci indietro

mercoledì 9 marzo 2011 Il Giornale 3 commenti

Il Giornale, 9 marzo 2011

Attenzione che la paura di appari­re come Bush non ci faccia diven­tare dei Chamberlain. Per ora, questo è il grande rischio di Oba­ma che, a forza di cercare chiarez­za e legittimità, ci fa sprofondare nella confusione. L’Europa, dato che la Francia e l’Inghilterra vor­rebbero una nuova risoluzione dell’Onu per autorizzare le opera­zioni, non aiuta a fare chiarezza. Ma c’è un punto solo che si distin­gue anche da lontano nella grande confusione concettuale e politica che circonda ormai la questione libica, ed è rosso sangue. I ribelli libici non stanno vincendo, si può dire eufemisticamente: nelle battaglie di ieri Ben Jawad è stata presa, Misurata è circondata di carri armati di Gheddafi, Zawiyah sembra sia stata bombardata dall’aria, e il pozzo petrolifero di Ras Lanuf è stato a sua volta preso di mira dai Mig del rais. Di Tripoli, casamatta del capo, non si parla nemmeno, se non per dire che la polizia di Gheddafi mantiene un rigido e minaccioso controllo della città. [...]

Quel veleno antisemita che soffoca la voglia di libertà

domenica 6 marzo 2011 Il Giornale 0 commenti

Il Giornale, 6 marzo 2011

Anche quando il mondo arabo si batte per un futuro diverso il problema sembra sia far fuori Israele

C'è qualcosa che ci impedirà, consegnandoci ciecamente all'ignoto, di capire dove conducono le onde della più grande rivoluzio­ne dopo quella anticomunista cui abbia assistito il nostro mondo. É un dannato stupido pregiudizio che ha colori diversi, toni sganghe­rati e toni paludati, che si nutre di menzogne naziste o di raffinate ideologie pacifiste o di luoghi co­muni, ma che ha un focus strategi­co unico: dare addosso a Israele e immaginare che il conflitto con i pa­­lestinesi sia il vero problema del Medio Oriente. Non la libertà dei popoli, o il loro benessere, o il loro progresso verso la modernità. No. Israele, che deve essere spazzata via dalla mappa. Questa invenzione è stata sem­pre l'arma migliore per i vari rais, da Saddam a Gheddafi ad Assad e in Iran per Ahmadinejad. E adesso, ci siamo di nuovo. L'alibi Israele è di nuovo l'arma di consenso che può stravolgere ogni processo di moder­nizzazione. I Fratelli Musulmani di fatto hanno riproposto la loro can­didatura ufficiale in Egitto quando lo sceicco Yusuf Qaradawi ha pro­posto a un milione di persone sulla piazza Tahrir la presa di Gerusa­lemme. Urla di gioia, e nessuno che in Occidente abbia sollevato un so­pracciglio. [...]

The anti-Semitic poison that suppresses the wish for freedom

Il Giornale, March 6, 2011

There is something that will prevent us, consigning us blindly to the unknown, to understand where the waves of the greatest revolutions since the anti-communist ones that our world has seen will lead. It is a damn stupid bias that has different colors, incoherent and bombastic tones, which feeds on Nazi lies, refined pacifist ideologies or simply cliches, but that has a sole strategic focus: to bash Israel and to imagine that the conflict with the Palestinians is the real problem in the Middle East. Not the freedom of peoples, or their well-being, or their progress toward modernity. No. Israel, which must be wiped off the map. This invention has always been the best weapon for various dictators, from Saddam to Qaddafi and from Assad to Ahmadinejad in Iran. And now, here we go again. Using Israel as an excuse is again the weapon of consensus that can disrupt any process of modernization. The Muslim Brotherhood, in fact, have presented again their official candidacy in Egypt when Sheikh Yusuf Qaradawi suggested to a million people in Tahrir Square the conquest of Jerusalem. Shouts of joy, and no one in the West raised an eyebrow. [...]

I dubbi dei progressisti Usa: bombardare o no Gheddafi

mercoledì 2 marzo 2011 Il Giornale 12 commenti

Il Giornale, 2 marzo 2011

«When you have to shoot, sho­ot, don’t talk» dice Eli Wallach in "Il buono, il brutto e il cattivo", mentre fa fuori l’as­sassino che era venuto per ac­copparlo e invece si è perso in inutili minacce. La parabo­la non ha niente di feroce, è solo realistica: noi parliamo e parliamo e intanto i destini si compiono. Anche i destini di giovani, donne, bambini innocenti, se non viene fermato il tiranno determinato a sedersi sul cumulo delle loro vite. Anche adesso che, dopo un biennio di tentennamenti obamiani, gli Usa cercano di mostrarsi decisi di fronte alla rivolta del mondo arabo, Hillary Clinton ha cercato tuttavia di esorcizzare la memoria recente di un’America troppo interventista dicendo e negando, volendo e rifiutando. Intervenire sì, ma con juicio, fermare Gheddafi, ma senza armi. La Clinton sa bene che uno dei motivi principali dell’elezione stessa di Obama è sempre stata la sua violenta contrapposizione alla figura di George W. Bush e al rifiuto del tema dell’esportazione della democrazia sulla punta della lancia. [...]

The dangerous doubts of the U.S. administration

Il Giornale
, March 2, 2011

“When you have to shoot, shoot, don't talk,” said Eli Wallach in "The Good, the Bad and the Ugly", as he guns down the murder who had come to bump him off and who instead, lost himself in unnecessary threats. The parable is not fierce, it's just realistic: we talk and talk and meanwhile, destinies are fulfilled. And also those of young people, women and innocent children, if the tyrant who is determined to sacrifice their lives is not stopped. Even now that, after two years of Obamian hesitations, the U.S. has been trying to appear determined in the face of the revolts in the Arab world, still Secretary of State Hillary Clinton has sought meanwhile to exorcise the recent memory of a too interventionist America, by saying one thing and denying another, wanting one outcome and rejecting the other: to intervene yes, but with good judgment, to stop Qaddafi, but without weapons. Clinton knows well that one of the principle reasons of Obama's election was his violent opposition of George W. Bush's figure and the refusal of the idea of the exporting democracy on the tip of the spear. [...]

Che beffa vedere la Cina fare la morale a Gheddafi

lunedì 28 febbraio 2011 Il Giornale 3 commenti

Il Giornale, 28 febbraio 2011

Mentre metà del mondo grida «libertà!», chi poi decide fino in fondo, in base ai criteri della governance mondiale che ci siamo costruiti, sono sempre coloro che la libertà non sanno nemmeno dove stia di casa, ma conoscono be­nissimo invece l’indirizzo dell’Onu, dove agiscono da padroni or­mai da decenni. In questo caso parliamo della Cina che, insie­me alla Russia, altro Paese che campione di libertà non risulta davvero, è riuscita a influenza­re le sanzioni che il Consiglio di sicurezza ha votato per cercare di bloccare la mattanza di Gheddafi. Mentre la vendita di armi è bloccata, bloccati i beni degli otto figli del raìs e bloccati i movimenti di alcuni personag­gi vicini a Gheddafi e ritenuti quindi pericolosi, solo dopo molti sforzi sulla Cina si è potu­to o­ttenere che la risoluzione ri­ferirà, come richiesto dai Paesi occidentali, al Procuratore del­la Corte Penale Internazionale; e a causa della Russia, il testo ri­chiamerà l’articolo 41 che met­te fuori gioco ogni misura che richieda l’uso di forze armate o di interposizione. [...]

L'Iran a Suez: ecco il dopo Mubarak

mercoledì 23 febbraio 2011 Il Giornale 6 commenti

Il Giornale, 23 febbraio 2011

Guardiamole bene quelle due navi iraniane che sono entrate alle quattro del pomeriggio nel nostro Mediterraneo. E’ uno spettacolo del tutto nuovo, ed è tutto dedicato a noi europei, israeliani, americani, è stato messo in scena per farci digrignare i denti: dal 1979 l’Egitto non lasciava passare dal suo prezioso corridoio le navi dell’Iran khomeinista, il Paese della rivoluzione sciita integralista e nemica acerrima del potere sunnita, se non di quello estremista di Hamas, dei Fratelli Musulmani e di Al Qaeda e altri compagni del genere. Adesso, invece, ecco il primo gesto dell’Egitto post-rivoluzionario: visto che l’alleato americano, il più fedele amico, si è scansato appena la folla si è messa in marcia, il nuovo-vecchio potere militare immagina prudentemente nuove alleanze, meglio non litigare con Ahmadinejad che riempie infatti di lodi la rivoluzione egiziana. Anche i Sauditi, anch’essi leader del mondo sunnita anti-sciita, non hanno mai avuto simpatia per l’Iran khomeinista, al contrario. Anzi, ultimamente si sono battuti per difendere Mubarak: il re Abdullah ha fatto una telefonata durissima a Obama per dirgli di non umiliare il suo amico. Ma il presidente americano invece l’ha abbandonato, ed ecco che anche i sauditi tastano nuove possibilità strategiche: le navi iraniane hanno fatto scalo, sembra, dal porto saudita di Jedda. [...]

La sinistra cavalca la piazza pure se è fondamentalista

lunedì 21 febbraio 2011 Il Giornale 6 commenti

Il Giornale, 21 febbraio 2011

Se ci affacciamo sull’affresco delle rivoluzioni nel mondo islamico, in mezzo al sangue, ai messaggi su Google, ai cortei e all’orrore dei centinaia di morti in Libia, vediamo un panorama grande dal Marocco, all’Egitto, allo Yemen, al Bahrein e via ancora... e per fortuna risorge ieri l’Iran. Quanto nutrimento indigesto per la mente, quante pulsioni anche antagoniste. E qui fa specie che un osservatore esperto come l’ex primo ministro Massimo d’Alema nella sua intervista al Sole 24 ore ricalchi schemi cancellati dal tempo, in cui elezioni vogliono dire democrazia, democrazia vuole dire folla in marcia, folla in marcia vuol dire magnifico spettacolo. È un vizio tipico di una mentalità del genere «Stati generali» che viene condivisa da parecchia parte della sinistra e che porta a trovarsi spesso in compagnie scomode perché sovente una volta scesi dalle barricate i rivoluzionari si dimostrano pericolosi estremisti e persino terroristi. [...]

Quella giornalista stuprata ci ricorda che cos’è la rivolta d’Egitto

sabato 19 febbraio 2011 Il Giornale 7 commenti

Il Giornale, 19 febbraio 2011

In Piazza Tahrir, che come un grande teatro a più scene ci ha rappresentato per giorni scene di rivoluzione, di gioia e di morte, commedie e tragedie, un’inviata della CBS News è stata brutalizzata sessualmente per mezz’ora da una folla di uomini eccitati. Grandi rivoluzionari, decine di grandi combattenti della libertà che il mondo intero stava esaltando; bastava guardare la CNN e la BBC. Il cameraman di Lara Logan, una bella donna di 39 anni, veterana dell’Iraq e dell’Afghanistan, è stato trascinato via e picchiato; la giornalista è stata infine salvata da una folla che le cronache definiscono di «donne e soldati», ma chissà se è una narrativa mirata a ricomporre un’icona. Negli altri angoli della piazza la storia seguiva il copione: si gridavano slogan, si resisteva all’attacco degli uomini cammellati di Mubarak, si marciava, si filmavano giovani blogger, donne con e senza velo, la loro sete di libertà, il loro coraggio… Intanto, in quell’angolo si stava svolgendo una scena che non poteva, non doveva dire nulla sulla rivoluzione che piace alle telecamere, che nutre gli stereotipi più cari all’informazione liberal. Questa informazione per giorni ha nascosto che non pochi fra i giornalisti occidentali, tutti favorevoli alla rivoluzione, venivano in realtà strattonati e minacciati, talora portati via dalle forze dell’ordine… [...]

L’Iran esalta le rivolte, ma non a casa propria

martedì 15 febbraio 2011 Il Giornale 3 commenti

Il Giornale, 15 febbraio 2011

Gli ayatollah avevano aizzato le proteste in Egitto e Tunisia. Ieri però la rabbia popolare è esplosa contro di loro e la risposta è stata la dura repressione. Dopo aver scaricato Mubarak, ora Obama non potrà negare sostegno a chi chiede libertà a Teheran

Magari il popolo iraniano fosse davvero giunto ieri, con le sue manifestazioni che già costano feriti e morti, nella grande rivoluzione del mondo islamico. Magari queste ore di scontri nel centro di Teheran e a Isfahan preparassero un improvviso e fortunoso balzo persiano nella democrazia, contro un governo che ha il record di violazioni dei diritti umani con le sue pubbliche impiccagioni di omosessuali, dissidenti, donne, un regime che prepara la bomba atomica per distruggere Israele e l’Occidente.
Se così fosse, questo evento avrebbe due caratteristiche straordinarie: l’ironia e un totale rivolgimento strategico rispetto a tutte le rivoluzioni in atto nel mondo musulmano. [...]

Iran celebrates revolutions, but not at home

Il Giornale, 15 February 2011

The ayatollahs spurred on protests in Egypt and Tunisia, but people’s anger erupted against them, facing a brutal repression. After ditching Mubarak, Obama cannot now deny support to those calling for freedom in Teheran.

If only the Iranian demonstrations, which have already notched up casualties and deaths, really had achieved the great revolution of the Islamic world yesterday. If only these hours of clashes in the centre of Teheran and at Isfahan really were preparing Iranians for a sudden and fortuitous leap towards democracy, against a government that holds the record for human rights abuses with its public hangings of homosexuals, dissidents and women, against a regime preparing an atomic bomb to destroy Israel and the West. If it were the case, such an event would have two outstanding features: a certain irony, and a turning point for all the revolutions underway in the Muslim world. [...]

Attenti, copiare la Turchia non significa democrazia

venerdì 11 febbraio 2011 Il Giornale 9 commenti

Il Giornale, 11 febbraio 2011

Dovremmo davvero smetterla di raffigurarci schemi che ci garantiscano dove va a parare l’Egitto, meglio andare dallo psicanalista a calmare le nostre paure, specialmente ora che Mubarak vacilla sempre di più. Meglio smettere di immaginarsi una magnifica rivoluzione sociale di giovani e di donne che prepara la democrazia nel mondo arabo. C’è chi dipinge piazza Tahrir come una raffigurazione in termini arabi delle rivoluzioni liberali e anticomuniste dell’Europa dell’Est: lo faccia pure, si prenderà una solenne legnata. L’unico elemento di somiglianza l’ha individuato Sharansky: ogni uomo vessato dalla miseria e dalla prepotenza anela alla libertà. Tutti, senza distinzione. Fare il dittatore è rischioso.
C’è chi si immagina che la Fratellanza Musulmana abbia aderito a un processo democratico, e anche Obama se ne accorgerà. Ogni affermazione di gradualismo di Mohammed Badie, il capo, è puro tatticismo, e se ne trova la conferma in altre sue terribili affermazioni contro la civiltà non musulmana: lo scopo è il califfato universale e, prima di tutto, in Egitto. Infine, ci sono quelli che si calmano pensando che l’Egitto adotterà un modello turco, islamico ma secolare, in pace con l’Occidente. [...]

Obama elefante nella cristalleria mediorientale

martedì 1 febbraio 2011 Il Giornale 12 commenti

Il Giornale, 1 febbraio 2011

Il presidente americano Obama dovrebbe smetterla di pasticciare col Medio Oriente, di cambiare posizione due volte in due giorni sulla più grave delle situazioni sul tappeto della pace mondiale, il futuro dell’Egitto. Dovrebbe smetterla di mettersi in relazione con il bene assoluto invece che con quello della sua nazione e di tutto il mondo che, dietro agli Usa, crede nella libertà, nel libero mercato, nella monogamia, nei diritti delle donne. Che frivolezza è mai questa? Che razza di informazioni ha la signora Clinton quando ci dice che «Non importa chi detiene il potere (comunque, non si sa mai, magari Mubarak la sfanga, sembra sottintendere questa frase ndr), il punto è come risponderemo ai legittimi bisogni e alle lagnanze del popolo egiziano». Ottimo, ma Obama, che ha dato questa linea mollando il suo alleato di sempre, il suo punto di riferimento nel mondo arabo dopo parecchie ore di incertezza, lo sa che fra le “lagnanze” le più dure (ormai comuni in piazza) oltre che contro Mubarak, inveiscono contro gli Usa e Israele, e contro il mondo occidentale in generale? Lo sa che questa grande rivoluzione di piazza, che nella nostra visione ha soprattutto connotati sociali, deve invece essere misurata su connotati culturali islamici completamente diversi? O dobbiamo seguitare a fingere che si parli solo di pane e di lavoro, elementi senz’altro rilevanti? [...]


Obama: bull in the Mideast china shop
Il Giornale, 1 February 2011

US president Obama should stop making a mess in the Middle East and changing his position twice in two days around the most serious situation facing world peace—the future of Egypt. He should stop using Absolute Good as his point of reference, instead of the good of his country and of the rest of the world which, behind the US, believes in freedom, free market, monogamy and rights of women. What does he think he’s playing with? What kind of information has Mrs. Clinton when she tells us, “It doesn’t matter who's in power [however, who knows, maybe Mubarak will pull through, she seems to be hinting—ed.], the point is how we respond to the legitimate needs and complaints of the Egyptian people". Fine, but does Obama—who in offering this line after a number of hours of uncertainty, dumped his long-time ally, his point-of-reference in the Arab world —know that among the “complaints”, the toughest ones (commonly seen in the streets) are not only against Mubarak, but against the US and Israel, and the Western world in general? Does he know that this great revolution in the streets, that according to our cultural parameters has something to do above all with social issues, must instead be evaluated in terms of a completely different Islamic and Arab culture? Or must we continue to pretend that the crowd in the squares is only talking about bread and job? [...]

Per offrirti un servizio migliore fiammanirenstein.com utilizza cookies. Continuando la navigazione nel sito autorizzi l'uso dei cookies.