I dubbi dei progressisti Usa: bombardare o no Gheddafi
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Il Giornale, 2 marzo 2011
Chi prima contrastava l'uso della forza per esportare la democrazia ora è in imbarazzo. Obama incluso: arma la flotta, ma esita a usarla. Intanto l'ex dissidente anti Saddam chiede agli Usa di andare in fondo e cacciare il Colonnello
«If you have to shoot, shoot, don’t talk» dice Eli Wallach in "Il buono, il brutto e il cattivo", mentre fa fuori l’assassino che era venuto per accopparlo e invece si è perso in inutili minacce. La parabola non ha niente di feroce, è solo realistica: noi parliamo e parliamo e intanto i destini si compiono. Anche i destini di giovani, donne, bambini innocenti, se non viene fermato il tiranno determinato a sedersi sul cumulo delle loro vite. Anche adesso che, dopo un biennio di tentennamenti obamiani, gli Usa cercano di mostrarsi decisi di fronte alla rivolta del mondo arabo, Hillary Clinton ha cercato tuttavia di esorcizzare la memoria recente di un’America troppo interventista dicendo e negando, volendo e rifiutando. Intervenire sì, ma con juicio, fermare Gheddafi, ma senza armi. La Clinton sa bene che uno dei motivi principali dell’elezione stessa di Obama è sempre stata la sua violenta contrapposizione alla figura di George W. Bush e il rifiuto del tema dell’esportazione della democrazia sulla punta della lancia.
Adesso Clinton è in imbarazzo: mentre da una parte sostiene con determinazione e a ragione che Gheddafi deve lasciare il potere, anzi, che deve andarsene dalla Libia, anzi, che per gli Usa «tutte le opzioni sono sul tavolo», torna sulla necessità di evitare l’uso della forza militare. Lo dice però mentre il Pentagono muove verso la Libia le proprie forze militari, con la nave d’assalto anfibio Kearsarge, che ha a bordo elicotteri e 1.800 marines, che si avvicina alla costa, mentre la Nato deve mettere in atto la no fly zone e abbattere eventualmente i Mig libici che si levassero in volo. Non lo si può fare mandando un mazzo di rose.
L’Inghilterra ha già inviato i suoi aerei C130 per far allontanare i suoi connazionali dal deserto: ci è riuscita, ed è un miracolo che non ci siano stati scontri. Anche noi adesso che il trattato è sospeso abbiamo i nostri porti in condizioni di servire da eventuali basi per azioni militari. Intanto Gheddafi, lo ripete e lo dimostra, non ha nessuna intenzione di andarsene: è indebolito, ma non vinto. I suoi nemici non riescono a penetrare a Tripoli la sua fortezza fatta di intimidazioni spietate, di potere, di armi puntate, di cieca fedeltà. In secondo luogo, ci sono molte ragioni di pensare che il raìs voglia ancora combattere. È di ieri la notizia apparsa sul Telegraph che nel deserto gli inglesi hanno trovato depositi di 14 tonnellate di gas mostarda, un’arma non convenzionale uguale a quella che usò Saddam Hussein contro i curdi facendone immensa strage. E ancora ieri, inoltre, le torri di controllo degli aeroporti controllati dal rais registravano il decollo e l’atterraggio di aerei di Gheddafi. Alla giornalista Christiane Amanpour, dopo averle fatto una gran risata sul muso quando gli ha chiesto se intendeva mollare, Gheddafi ha detto che si era autobombardato dall’aria due depositi di armi a Bengasi per dimostrare la sua antipatia per la violenza armata. Figuriamoci.
Fatto sta che due depositi sono stati bombardati davvero, così come qualcuno già si aggira probabilmente fra i ribelli di Bengasi per dar loro manforte. E si sa benissimo che la Nato starebbe mettendo a punto una forza aerea per mandare armi ai ribelli. Insomma, l’ipotesi di fermare il ben rintanato Gheddafi con la forza pare realistica. Gheddafi, come una stella che si spenge lanciando altissimi e distruttivi getti di materiale infuocato, può ancora uccidere molto, impazzire ulteriormente, fare molto male.
Ahmad Chalabi, il leader sciita che fu fra i primi coraggiosi dissidenti iracheni, racconta come nel 1991 alla fine della prima guerra del Golfo Saddam Hussein avesse perduto 14 delle 18 province irachene e si trovasse con l’esercito in stato comatoso e la sua fanatica guardia personale, molto simile a quella di Gheddafi, a pezzi. Ma Colin Powell (allora capo di Stato maggiore) e Brent Scowcroft convinsero Bush a dare a Saddam la possibilità di far volare i suoi aerei militari per calmare i rivoltosi. Si temeva l’incontrollabilità di una situazione irachena impazzita. Il risultato fu una strage spaventosa di circa 330mila iracheni, mentre gli americani stavano a guardare. Dice Chalabi che non è un caso che Gheddafi abbia menzionato l’Iraq nelle sue folli tirate, è una minaccia di usare la forza bruta. È uno sberleffo alla paura dell’Occidente, un ammiccamento a mantenere una qualunque stabilità. Chalabi ricorda come si ritrovarono 313 enormi fosse comuni e ricorda come ne visitò orripilato lui stesso una appena scoperta: vi erano stati gettati 12mila uccisi, macellati perché ribelli.
Il mondo, dopo che ciò che Gheddafi ha fatto in queste settimane, sa che cosa egli possa ancora fare al suo popolo. Ma poiché un personaggio come questo, responsabile dell’attentato di Berlino e di quello di Lockerbie e di un continuo sostegno al terrorismo, con uno straordinario record di violazioni di diritti umani ha presieduto il Consiglio per i diritti umani dell’Onu fino a oggi, tutto è possibile. Per esempio, che per amore della «stabilità», lo si lasci resistere ancora a lungo nel bunker di Tripoli a preparare il secondo round.
The dangerous doubts of the U.S. administration
Il Giornale, March 2, 2011
“If you have to shoot, shoot, don't talk,” said Eli Wallach in "The Good, the Bad and the Ugly", as he guns down the murder who had come to bump him off and who instead, lost himself in unnecessary threats. The parable is not fierce, it's just realistic: we talk and talk and meanwhile, destinies are fulfilled. And also those of young people, women and innocent children, if the tyrant who is determined to sacrifice their lives is not stopped. Even now that, after two years of Obamian hesitations, the U.S. has been trying to appear determined in the face of the revolts in the Arab world, still Secretary of State Hillary Clinton has sought meanwhile to exorcise the recent memory of a too interventionist America, by saying one thing and denying another, wanting one outcome and rejecting the other: to intervene yes, but with good judgment, to stop Qaddafi, but without weapons. Clinton knows well that one of the principle reasons of Obama's election was his violent opposition of George W. Bush's figure and the refusal of the idea of the exporting democracy on the tip of the spear.
Now Clinton is embarrassed. While on one hand she maintains with determination, and with good reason, that Qaddafi must relinquish power and leave Libya, or rather, that for the U.S. “all options are on the table,” she stresses the need of avoiding the use of military force. As Clinton says the latter, the Pentagon is moving its military forces towards Libya with the amphibious assault ship Kearsarge, which has helicopters and 1,800 marines on board, and as it moves near to its coast, NATO is implementing the no-fly zone and preparing to eventually shoot down Libyan MIG's that could take flight. It cannot be done by sending a bouquet of roses.
Britain has already sent its C130 aircraft to remove its countrymen from the desert: it has succeeded, and it is a miracle that there were no clashes. Italy too, now that our 2008's treaty of friendship with Libya has been suspended, can have its ports serve as a basis for eventual military actions. Meanwhile, Qaddafi repeats and demonstrates that he has no intention of leaving: he is weakened but not defeated and he even uses his aircrafts against his population, while trying to recover some cities lost to the rebels. His enemies haven't succeeded in penetrating Tripoli and his stronghold of ruthless intimidation, of power, of aimed weapons and of blind loyalty.
Secondly, there are many reasons to think that the dictator wants to continue to fight. On Tuesday, an article in The Telegraph reported that the British have found in the Libyan desert as much as 14 tons of chemicals required to create mustard gas, an unconventional weapon similar to that which Saddam Hussein used against the Kurds. And also on Tuesday, moreover, the control towers at the airports monitored by the dictator, recorded the take off and landing of aircraft by Qaddafi. The Libyan dictator laughed outright when Christiane Amanpour of ABC News asked him earlier last week if he would leave his country. He went on during that interview to deny using his air force to attack protesters, stating instead, that he had used planes to bomb two military sites in Bengasi in order to demonstrate his dislike for armed violence. Fancy that!
The fact is that two ammunition depots were really bombed, just as someone probably already lurks among the rebels in Bengasi in order to give them support. And we all know very well that NATO would be developing an air force to send weapons to the rebels. In short, the idea of stopping the well holed up Qaddafi with force seem realistic. Qaddafi, like a shooting star that extinguishes before launching high and destructive fiery red-hot jets of material, can become ever more crazy, killing many and doing a lot of harm.
Ahmad Chalabi, the Shiite leader who was among the first brave Iraqi dissidents, recounts how in 1991, at the end of the first Gulf War, Saddam Hussein had lost 14 of Iraq's 18 provinces and found himself with an army in a state of coma and with his fanatical personal guards, very similar to Qaddafi's today, in pieces. But Colin Powell, then Chief of Staff, and Brent Scowcroft convinced George H. W. Bush to give Saddam the possibility of flying his military aircraft in order to calm the rioters. They feared that they could not control this crazy situation in Iraq. The result was a frightful massacre of about 330thousand Iraqis, while the Americans looked on. Chalabi says that it is no coincidence that Qaddafi has mentioned Iraq in his mad tirades, because it is his implicit threat to use brute force. It is a mockery to fear the West, a wink to maintain any kind of stability.
Chalabi remembers when they found 313 enormous mass graves and when he saw one of them with his own eyes, which horrified him: in that mass grave 12 thousands bodies had been thrown, slaughtered simply because they were rebels.
The world, after what Qaddafi has done in recent weeks, knows what he can still do to his people. But from figure like this, responsible for the 1986's attack in Berlin and for that of Lockerbie and who has continuously supported terrorism, with an extraordinary record of human rights violations - despite the fact that he is a member of the UN Human Rights Council until today - anything is possible.
For example, for the sake of “stability”, leave him to resist for a long time more in his bunker in Tripoli, so that he may prepare for a second round, that has actually already started.
Translated by Amy K. Rosenthal
E' di oggi l'articolo sul Sole 24 ore per il quale Obama avrebbeivendicato il diritto degli Stati Uniti e della comunità internazionale «ad agire rapidamente se la situazione dovesse deteriorarsi». L'analisi politica contenuta nella Sua pagina è, alla luce di questa notizia, di una straordinaria lucidità. Grazie per il Suo lavoro.
Slowhand , Roma
Non è Lee Van Cleef, è Eli Wallach, Tuco, dalla vasca da bagno. Sempre controllare le fonti... :-)
Massimo , Roma
E si ora gli ex-pacifisti vogliono la guerra, l'ONU (quella dove siedino Cina, Iran, Cuba, Siria...) che ha aspettato mesi, anni a muovere un dito contro dittatori ben peggiori di Gheddafi, adesso scalpita, l'Aja vorrebbe processarlo per crimini di guerra, l' UE minaccia, Obama straparla.Qualcosa non quadra, ho aveva ragione Bush, oppure i cortei pacifisti e arcobaleno li finanziavano i petrolieri....
ADRIANO ROMALDI , FALCONARA M. (AN) ITALIA
L'uso della forza contro la Libia aprirà un altro fronte contro i fondamentalisti ed alla fine la terapia risulterà deleteria se non peggiorerà la situazione.Ci vuole coraggio e non la forza per ottenere la democrazia che, poi, basta vedere come e cosa ha fatto Komeinì con l'Iran.Che vadano ognuno per la propria strada e non preoccupiamoci più di tanto con questi arabi ché infine sono dei poveri diavoli come noi.Con stima Adriano Romaldi
michele lascaro , matera
Ci fu una grande occasione in passato di eliminare questa peste autentica. Purtroppo Craxi avvisò "il colonnello" del raid USA. Gheddafi si ritirò nel deserto e gli aerei bombardarono invano il palazzo presidenziale. Ora esiste l'incognita che la scomparsa del tiranno non faccia posto a criminali peggiori. Chi sa trovare una soluzione?
Stefano Isidori , Roma
Ho letto questa pagina con grande interesse.E' un pezzo che traspira dell'orgoglio della civiltà occidentale. Della nostra civiltà, che è libertà e riconoscimento delle qualità del singolo.Quanto ci sarebbe bisogno di questo coraggio e di questa lucidità, contro tutte le ipocrisie che ogni giorno certa (la più gran parte dell') informazione immette nel circuito mediatico.Grazie Fiamma per la Sua chiarezza ed il Suo coraggio. Continui sempre così.
Percy D'Elia , Roma
Gentilissima On.le Nirenstein,la storia ci ha insegnato che con i dittatori non c'è dialogo. Togliere Gheddafi assolutamente di mezzo, con gente del genere NON si può trattare. Abbiamo visto cosa è stato capace di fare al proprio popolo. Speriamo che stessa sorte sia prossima per un'altro dittatore di lusso, Ahmadinejad, che fa del tutto perrendere il M.O. sempre più incandescente.La prevenzione è assolutamente essenzialeanche in questi casi. Fare in modo che altridittatori non siano in grado di comportarsiin modo simile.Fece benissimo Reagan quando mise a tacere Gheddafi attaccando il Golfo della Sirte.Cordiali saluti.
Ilaria Arri , Rivoli (To)
comunque andrà, sarà sempre una strage, lo so perché conosco il soggetto. Mi fa orrore quello che Gheddafi ha fatto in tutto questo tempo alla sua gente, e continua a dire che la gente lo ama. Ma come fai a dirlo? Sta zitto!!Ma sopra tutto questo, c'é una strategia. Che vergogna, baciargli anche la mano, però!!
Eliahu Gal-Or , Israele/Italia
I recommend to those who may have missed it the excellent NYT piece “From Oklahoma to Tobruk” http://www.nytimes.com/2011/02/25/opinion/25iht-edcohen25.html?_r=1&scp=1&sq=From Oklahoma to Tobruk&st=cse and ask when will the US wake up, or will it simply die asleep? If it was really awake the Wheelus Field base would be already up and running as of this morning and the chain-reaction which is now threatening the whole civilized world be snuffed like a cigarette lit at the wrong end, at the first whiff of poisoned taste, instead of smoking the whole coffin nail because of fear of prompt decisions. Biofuel is here to stay, there are better ways about it to be learned along the path but it will be impossible to learn them while standing still, and in the meantime, let’s go USMC!!! Get your feet wet like we Jews did when it was time to cross the Red Sea. The game is not over yet…
Sergio Olper , Carimate
Cara Fiamma, tu, sul dopo Gheddafi, che idea ti sei fatta?
Marco Piantoni , Italia
Effettuare o meno bombardamenti aerei sul territorio libico potrebbe essere una novità gustosa. Quanto meno, il giornalismo povero di iniziativa avrebbe qualcosa con cui trastullarsi fino alla prossima novità. Il vero problema, purtroppo, è proprio quello della res nova: non ce n’è mai abbastanza ed ogni giorno che passa ne occorre subito un’altra. Molti se ne sono già accorti e diversi hanno pure proposto vario genere di risoluzioni, tutte debitamente anch’esse proiettate in avanti, verso l’alba dell’improbabile radioso futuro. Nessuno, invece, se non pochissimi, che si sia dedicato al problema come fa un medico verso una malattia. I primi sintomi, cioè, le avvisaglie, i sentori. Che in realtà affatto non mancano e sono reperibili su qualsiasi libro di storia o, volendo, di semplice fisica meccanica. Chi trae guadagno dalle attuazioni e perché ne trae; chi ne ricava una perdita e perché; chi detiene il controllo di un territorio e per quale ragione; chi da quel territorio è stato espulso e per quale motivo. Domande, tutte, che si possono condensare in: a cosa serve tutto questo e perché serve che sia così.
berton gaetano , arquata scrivia italia
ricordo benissimo quello che successe venti anni fa gli USA si fermarono quando ormai Saddam era finito ufficialmente per non creare altre vittime ricevendo l'applauso di tutti i democratici e di tutta la sinistra incluso quello che allora si chiamava ancora PCI poi quando Saddam massacro i Curdi e gli Sciiti che si erano ribellati spinti anche dalla propaganda americana nessuno mosse un dito a mio avviso fu una pagina vergognosa che non andrebbe dimenticata Saddam rimase al potere ancora per 12 anni facendo ulteriori vittime sembra che da questo episodio comincio a nascere il rancore sopratutto degli sciiti nei confronti degli USA e di tutto l occidente potrebbe succedere la stessa cosa anche con Gheddafi Tripoli doveva cadere venerdi scorso e sono passati sei giorni oggi non solo le sue truppe hanno attaccato le citta intorno a Tripoli in mano agli insorti ma hanno cominciato ad attaccare anche in Cirenaica che si diceva ormai saldamente in mano ai ribelli e mentre loro muiono noi parliamo