Il Giornale
Immigrazione, l'Europa ritrova l'orgoglio
Il discorso della Cancelliera tedesca Angela Merkel sul modello multiculturale fallito, non è una resa, ma una sfida. Una bella sfida nella forma non di uno squillo di tromba, ma di un pacato richiamo al buon senso. Di certo la Cancelliera, per come la si conosce, liberale e moderata, non intende con la sua uscita tentare di chiudere le porte della Germania o dell'Europa; né sarebbe possibile bloccare d'un tratto l'immigrazione e più in generale quei processi di globalizzazione che sono parte del mondo attuale, del nostro mondo. Ma proprio la sua faccia tondeggiante eppure dura, i suoi modi di usuale cortesia che ci propongono la questione in maniera urbana, il suo mettere avanti la preoccupazione dei giovani da qualificare per un degno lavoro, i nostri ragazzi che non sanno che fare di se stessi; il parlare del disagio biblico della babele di un mondo in cui i tuoi vicini di casa non hanno idea della tua lingua; il disegnare ghetti alieni e totalmente diversi l'uno dall'altro, nazionalità per nazionalità, dove quasi non ci si pone affatto il problema di integrarsi, ma solo quello della sopravvivenza e della chiusa conservazione di se stessi, identificata con quella della propria cultura... tutto questo riesce a focalizzare il problema meglio di tante analisi sociologiche. [Continua...]
Immigration: Europe regains its pride
Il Giornale, October 18, 2010
The speech by German Chancellor Angela Merkel on the failure of the multi-cultural model, is not a defeat. It is a challenge. A momentous challenge, not in the form of a trumpet fanfare, but a quiet call to common sense. As the Chancellor is known to be a liberal and moderate, she certainly did not intend through her intervention to attempt to close the doors of Germany or Europe. Nor would it be possible to suddenly halt immigration and, more generally, the processes of globalization that are part of today's world, our world. But it was precisely her round, yet stern face and her common courtesy that pose the question to us in such a civilized way: her expressing the worry of young people to be trained for a decent job; our children who don't know what to do with themselves; speaking of the unease of a biblical Babel in a world in which your neighbors have no concept of your language; the creation of ghettos, all alien and totally diverse from each other, each nationality unto itself, where the question of integration does not even arise, only the survival and closed preservation of one’s self identified by one’s own culture… all this brings the problem into focus better than sheaves of sociological analyses. [Keep on reading...]
Ahmadinejad come Hitler. Marcia choc sul Libano
Il presidente iraniano: "I sionisti non dureranno a lungo". E i leader di Beirut si prostrano davanti a lui, ricordando l’Austria dell’Anschluss
Shimon Biton guarda sconsolato nella sera, che in Medio Oriente arriva prima, le luci rutilanti che il villaggio di Maroun a Ras spara per fare onore a Ahmadinejad in visita sul confine del Libano con Israele. Il villaggio è a pochi centinaia di metri, dalla guerra del 2006 gli agricoltori libanesi ostaggio degli Hezbollah, non sono più venuti, spiega Biton. Shimon con la sua maglietta a striscia insieme ai suoi compagni del moshav (una specie di kibbutz) di Revivim cerca di lanciare nel vento qualche pallone bianco e blu: ha beccato sulla testa insieme alla sua famiglia e i suoi compagni, con morti e feriti, le aggressioni missilistiche degli Hezbollah per decenni. Adesso guarda da lontano le luci, e non può credere che esse stiano illuminando proprio colui che progetta e proclama ogni giorno la distruzione di Israele, lo sterminio degli ebrei, che nega lo shoah; è stupefatto che sia venuto quasi in casa sua di fatto a ispezionare l’avamposto meglio armato dell’Iran, il Libano di Nasrallah, con i suoi 40mila missili: «Io non l’ho visto, se lo vedessi gli direi complimenti, qui ormai le bandiere del Libano non si vedono più da nessuna parte, ci sono solo le tue insieme a quelle gialle degli Hezbollah. Hai ucciso il Libano». [...]
Ahmadinejad a Beirut per dire al mondo che il Libano è suo
Il Giornale, 13 ottobre 2010
Il presidente omaggiato da Hezbollah. Parte la corsa dell’Iran alla conquista di tutto il Medio Oriente
Atterriti, parecchi cittadini libanesi in questi giorni comprano armi. Lo ha raccontato piuttosto soddisfatto un commerciante di Beirut sul suo blog: i libanesi si aspettano che le strade del loro povero Paese, l’unico nella regione teoricamente pluralista e di fatto strangolato dagli sciiti di Hezbollah, tornino a essere scena di carneficina. I giornali sauditi come Al Watan o Al Jazirah scrivono: gli Hezbollah stanno per rovesciare il potere libanese in nome dell’Iran. I cittadini si armano perché si aspettano che accada l’inevitabile: non serviranno più gli infingimenti del governo di coalizione formato nel 2009 da Saad Hariri, figlio di Rafik, assassinato nel 2005, e sempre ricattato con le armi di Hezbollah. [...]
Contro la delegittimazione di Israele e l'appeasement sull'Iran

Parla Fiamma Nirenstein, promotrice di “Per la verità, per Israele”. "Gerusalemme è il dono morale del monoteismo"
Intervista al Foglio, 25 settembre 2010
Roma. Una manifestazione “Per la verità, per Israele”. Nel momento in cui all’Onu aumenta il tentativo di delegittimazione dello stato ebraico e nuove spedizioni “umanitarie” sono pronte a rompere l’isolamento di Hamas. La maratona oratoria si terrà il prossimo 7 ottobre presso il Tempio di Adriano a Roma, dalle 18:30. Hanno aderito politici, intellettuali e artisti, italiani e stranieri, fra cui il direttore del Foglio Giuliano Ferrara e Paolo Mieli, Roberto Saviano e Walter Veltroni, Shmuel Trigano e Farid Ghadry. Ad aprire la manifestazione sarà José Marìa Aznar, ex primo ministro spagnolo e presidente dell’associazione Friends of Israel.
Promotrice dell’iniziativa è la deputata del Pdl e giornalista Fiamma Nirenstein. “Vogliamo sollevare l’allarme più potente rispetto all’esistenza d’Israele, cioè la minaccia armata dell’Iran e dei suoi amici Hamas ed Hezbollah”, ci dice Nirenstein. “Lo sfondo fattuale alla delegittimazione d’Israele è la strategia dell’Iran. Ahmadinejad ha sottomesso l’Onu, così la più alta istanza mondiale è diventata una cassa di risonanza di vaneggiamenti pericolosi. Gli Stati Uniti hanno reagito con appeasement, aumentando l’eccitazione islamista. Gli armamenti di Hezbollah sono cresciuti a dismisura, Hamas può colpire Tel Aviv, Ahmadinejad può annunciare la fine d’Israele nelle sedi globali e noi gli stringiamo la mano. Qui stanno distruggendo pezzo dopo pezzo la struttura universalista e giusnaturalista uscita dalla Seconda guerra mondiale”.
L’Obama pallido che rinforza l’Iran
Il Giornale, 24 settembre 2010
Per costare 20 miliardi di dollari l’anno, l’Onu è produttivo: riesce infatti a rappresentare veridicamente la pericolosa confusione in cui versa oggi la politica mondiale. A ogni Assemblea Generale, la cui maggioranza è costituita da Stati non democratici, gli Stati Uniti rappresentano sempre agli Stati membri i loro buoni sentimenti, e ieri una quantità enorme di buona volontà è stata disegnata nel discorso di Obama. Il presidente è apparso ispirato da grandi cause umane e civili in maniera un po’ esagerata e astratta: ha dedicato un terzo del suo tempo alla certezza che entro un anno si possa raggiungere la soluzione del conflitto medio orientale, non si capisce se per irresponsabilità dei suoi consiglieri o per un suo sogno di onnipotenza. Ha opinato “accountability” delle classi dirigenti, società civile al potere, diritti umani, condizione femminile, inizio dello sgombero dell’Afghanistan... E poi ancora; sconfiggeremo Al Qaida; mano tesa con l’Iran, mentre «abbiamo intrapreso una nuova politica mondiale e quindi nessuno si aspetti che gli Usa agiscano autonomamente, solo il rapporto multilaterale col mondo emergente disegnerà la nostra politica». [...]
L'Occidente reagisca alle minacce prima che sia tardi
Il Giornale, 18 settembre 2010
Il presunto piano per uccidere il Papa significa quello che si sospettava, ma che troppi cercavano di ignorare: l’islam radicale vuole colpire al cuore la nostra civiltà, puntando sui suoi emblemi. Gli arresti dei sei algerini arrivano dopo settimane di tensione e di segnali trascurati. L’islamismo violento parla attraverso fatti, più che con le parole: mirare al Papa vuol dire essere determinati a cancellare i pilastri dell’Occidente. Il pastore Terry Jones è un stolto che voleva bruciare il Corano. E dall’altra parte sono arrivati gli incidenti nel Kashmir con 15 morti e le chiese assaltate, e adesso ecco il progetto - almeno così sembra - di uccidere Ratzinger. L’islam più fondamentalista non vuole parlare, vuole solo comandare, colonizzando l’Europa, e gli Stati Uniti, vuole l’annientamento di Israele. È un’invasione potenziale e reale che sottovalutiamo troppo spesso. I posteri si ricorderebbero di noi non per la nostra tolleranza, ma per la nostra colpevole arrendevolezza. [...]
La Turchia s’avvicina all’Iran, non all’Europa
Il nominalismo dell’attuale percezione internazionale di ciò che è buono e giusto è davvero formidabile. Sembra un diritto umano al Consiglio d’Europa l’uso del burqa, appare indispensabile ai liberal americani, compreso il presidente, costruire una moschea a Ground Zero, appare quasi irrinunciabile iscrivere all’islam moderato personaggi palesemente intenti a stabile il califfato universale, come Tarik Ramadan. Adesso è la volta di lodare il risultato del referendum turco, come destinato a condurre per mano in Europa il Paese di Kemal Atatürk, ed è infatti l’Ue la più dedita ad applaudire la vittoria. Peccato che si possa dire che il referendum appena conclusosi segna la fine del kemalismo, e dà il benvenuto istituzionale non a una Turchia più laica e democratica, ma all’erdoganismo avanzante. [...]
Turkey moves closer to Iran, not to Europe
The nominalism of the international perception of what is good and right is truly dreadful. The use of the burqa seems like a human right to the Council of Europe. It seems indispensable to American liberals, including President Obama, to build a mosque at Ground Zero. It appears almost essential to include among the figures of moderate Islam a man like Tarik Ramadan, who is clearly intent on building a universal caliphate. Now the time has come to praise the results of the Turkish referendum as destined to guide in Europe by hand the country of Kemal Atatürk, and it is the EU, in fact, which is totally committed to applaud this victory. Too bad though, that you can say the recent Turkish referendum that just concluded marks the end of Kemalism and welcome institutionally not a more secular and democratic Turkey, but the advanced Edoganism. [...]
I colloqui fra israeliani e palestinesi devono puntare su sicurezza e accettazione
Il Giornale, 4 settembre 2010
Di fronte alla parola pace anche noi cercheremo di essere speranzosi, positivi. Di fatto, ce ne sono alcune ragioni: la determinazione dell’amministrazione Obama ad ottenere un risultato; l’evidente passaggio di Netanyahu dal ruolo del politico a quello dello statista che con sguardo ampio sul Medio Oriente agisce anche in base al pericolo iraniano; e per Abu Mazen l’idea che la debolezza interna causata da Hamas possa essere curata solo dall’enorme supporto internazionale che la partecipazione al processo di pace gli può fornire. [...]
Zitti, parla Teheran. Insulti alla Bruni e nessuno s’indigna
Il Giornale, 31 agosto 2010
I giornali iraniani danno della «prostituta» alla signora Sarkozy. La sua colpa: essersi schierata contro la lapidazione di Sakineh.
In altri tempi sarebbe stata una dichiarazione di guerra: non si è mai dato di prostituta alla moglie di un re, di un primo ministro o un presidente di un Paese straniero, e nemmeno all’anima gemella di un qualsiasi uomo di onore senza che, nella storia e nella letteratura, questo creasse reazioni di sdegno popolare, diplomatico, ritiro di ambasciatori, duelli, cazzotti…
Invece Carla Bruni, per aver difeso la vita di Sakineh Mohammadi Ashtian, la donna iraniana condannata alla lapidazione, dicendo che «la Francia non abbandonerà la signora Mohammadi Ashtiani madre di famiglia di 43 anni» si è vista trattare da «prostituta» prima da un giornale conservatore di Teheran, Kayhan, poi da un sito internet vicino al governo, e infine dalla televisione iraniana, senza nessuna reazione significativa, né diplomatica, né personale. [...]
Israele farà accordi soltanto quando l’odio avrà un freno
I negoziati inizieranno il 2 settembre, ma la storia insegna che in passato i ritiri territoriali non hanno portato sicurezza.
Ok, che inizino dunque il 2 settembre i negoziati fra israeliani e palestinesi che Obama e Hillary Clinton hanno annunciato: non si può che essere contenti di questa nuova speranza di accordo che secondo la Clinton dovrebbe essere raggiunto in un anno. Netanyahu e Abu Mazen non possono che preparare le valigie per Washington, verso questa nuovo photo-opportunity; il premier israeliano dovrà intanto accettare di bloccare di nuovo le costruzioni sia negli insediamenti sia a Gerusalemme; Abu Mazen dovrà accettare di pessimo umore un invito in cui non crede. Anche perché sa che un milione e mezzo di palestinesi non risponde al suo governo né al potere di Fatah. Pieni di paura o di fanatismo, sono i sudditi di Hamas a Gaza, e Hamas ha già dichiarato guerra ai nuovi colloqui. I palestinesi rispondono a due poteri, e fingere che Abu Mazen possa disporre di tutti quanti, ignora il nuovo ordine stabilito in medio oriente da una presenza iraniana che foraggia, esercita, arma l’organizzazione terroristica che domina Gaza proprio per lo scopo opposto di quello di Obama: fare la guerra, non la pace.