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La guerra antisemita contro l'Occidente

7 ottobre 2023 Israele brucia

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Museo del popolo ebraico

Israeliani (ed ebrei) «non graditi» alla fiera francese su difesa e sicurezza

lunedì 17 giugno 2024 Il Giornale 0 commenti

Il Giornale, 17 giugno 2024

Forse al prestigioso evento di difesa e sicurezza Eurosatory, una mostra- mercato intitolata alla “Guerra contro il terrorismo” verrà risparmiato il capitolo in cui domani, aprendo, deve esporre al suo ingresso un cartello in cui proibisce agli israeliani, tutti gli israeliani e anche alla fine agli ebrei, ovvero chiunque possa essere un mallevadore per Israele, di entrare. Con risveglio tardivo, rendendosi conto che qui si stava esagerando davvero e che nella storia altri cartelli con scritto “ingresso vietato agli ebrei” hanno avuto significati e conseguenze repugnanti, gli organizzatori della mostra hanno presentato un appello perché riveda la decisione della Corte di Giustizia di sbarrare l’ingresso alle compagnie di armi di Israele, o almeno l’ulteriore decisione della Corte di Bobigny che estende il divieto d’ingresso ai possibili intermediari, i quali, non essendo  identificabili, possono essere gli israeliani o persino gli ebrei di qualsiasi nazionalità. La mostra doveva ospitare 74 su 2000 espositori, i biglietti erano fatti, gli alberghi prenotati, come le complesse operazioni che il trasporto di oggetti delicati richiede: ma circa due settimane fa, dopo che Macron aveva richiesto con toni persino più aspri di Biden di non entrare a Rafah. La critica, con quella di tutta Europa, è divenuta accusa quando un’esplosione ha fatto alcune decine di morti palestinesi in un incendio.

L’indagine ha dimostrato che Israele aveva mirato su due capi terroristi, ma che l’esplosivo di Hamas nelle tende aveva causato il disastro. Il clima dell’accusa si è infuocato, le folle l’hanno applaudito, il ministro della difesa Sebastien Lecornu è stato accusato di favorire l’esportazione di armi a Israele, il governo francese ha deciso di boicottarne la presenza con i famosi sistemi di difesa e di armi di precisione. Subito dopo, eccitate, le ONG come l’Associazione di Solidarietà Franco palestinese (AFPS) e Al Haq, organizzazione filopalestinese “per i diritti umani”, hanno chiesto di bloccare l’ingresso di tutti gli israeliani e gli ebrei: il cartello che lo annuncia, se il ricorso di Eurosatory non verrà accolto, costituirà una bella soddisfazione per Hamas, una bandiera per gli antisemiti e un segnale sulle guerre giuste e su quelle da odiare, un tema che occupa l’ Europa non poco alla vigila del nuovo Parlamento. Lo stand vuoto perché era stato affittato da Israele, diverrà un sito di pellegrinaggio per gli antisemiti francesi; l’organizzatore dell’evento Coges, non sembra affatto soddisfatto che la sua mostra diventi un’esibizione di antisemitismo. Israele è già stata esclusa dalla mostra aerea in Cile, dove governa l’antisraeliano Gabriel Boric. Ma a Parigi, si può prevedere che le grandi compagnie israeliane non soffriranno: Elbit, che ha ordinato ai suoi di astenersi da ogni visita, ha una lista di ordini per 20.4 miliardi di dollari, IAI, ha ordini per 19.1 miliardi, Rafael dai suoi 15.1 miliardi è cresciuta di 250 milioni nei primi tre mesi del 2024. Compagnie svedesi come Elbit Svezia, così come tedesche (German Unite Dynamite Noble Defence) miste, faranno parte della mostra, come anche le Syngapore Technologies Engeineering collegata alla Proteus israeliana che ha sviluppato il missile di difesa navale Blue Spear.

Le piccole compagnie, piuttosto, temono una ricaduta dall’esclusione. Macron ha un accordo altalenante con Israele: ha dichiarato guerra all’antisemitismo in un discorso molto appassionato; ha alzato i suoi aerei in volo ad aprile contro i missili iraniani, sostiene le sanzioni all’Iran. E di questi giorni una controversa proposta per una soluzione diplomatica col Libano che auspica una triade America Israele USA, di cui il ministro della difesa Gallant non vuole sentir parlare, mentre il ministro degli esteri Katz sostiene che Francia e Israele hanno a volte opinioni diverse, ma non c’è inimicizia. Macron come dal tempo di De Gaulle la Francia, che ebbe vaste responsabilità mediorientali dopo la fine dell’Impero Ottomano, a volte pretende un ruolo che la guerra del 7 di ottobre ha sconquassato. A causa della sua vasta popolazione islamica che è tutta aggressivamente filopalestinese, l’antisemitismo sale vertiginosamente: la Francia vede la sua antichissima comunità perseguitata e sofferente. La cura e la difesa degli ebrei e di Israele, non il pacifismo, aiuteranno Macron e la sua credibilità internazionale.  

 

Rafah, esplode un blindato di Israele. Otto soldati morti. Netanyahu: "Andiamo avanti"

domenica 16 giugno 2024 Il Giornale 1 commento

Il Giornale, 16 giugno 2024

Dopo otto mesi di duro scontro, Hamas sporge la testa dalle rovine di Rafah. Ieri mattina alle cinque un “Nagmash” un mezzo corazzato con dentro otto soldati tornava, parte di un corteo di alcuni autoveicoli simili, da un’operazione durata tutta la nottata, uno scontro molto duro con Hamas, di cui Rafah è la maggiore base. Quale sia stata la causa dell’esplosione non è del tutto chiaro, ma il risultato sono otto morti, fra cui il comandante druso Wassim Mahmoud: nel suo villaggio di Beit Jann, la sua famiglia, di generazione in generazione fedele al Paese e all’esercito, ha dovuto piangere l’addio al proprio figlio proprio durante la Festa del Sacrificio, il “Korban”. Hamas, mentre tutta Israele studia l’evento nel dolore e nella discussione, ha subito orgogliosamente rivendicato l’evento: forse un missile o una carica agganciata da Hamas al veicolo ha causato lo scoppio fatale dell’esplosivo trasportato dal “Namer” ovvero la “Tigre”.

Ci sono volute ore e altri spari per raggiungere il Namer e recuperare i corpi dei soldati dal mezzo esploso nella parte nord-occidentale di Rafah nel quartiere elegante di Tel Sultan, dove nella battaglia una cinquantina di uomini di Hamas erano stati uccisi. La soddisfazione di Hamas è un’affermazione di sopravvivenza, di dominio, della volontà di seguitare a sfidare Israele, è un segnalare agli alleati russi, iraniani, agli Hezbollah che vale la pena di puntare ancora sulla leadership di Sinwar. Da quando Israele ha mosso i suoi tank dentro Rafah, roccaforte di Hamas, l’organizzazione terrorista ha inaugurato una strategia “mordi e fuggi”, in cui usa tutte le risorse locali, i tunnel, le riserve di armi, sfodera da sottoterra i terroristi preparati appositamente alla guerra. Insomma, mobilita tutta la preparazione approntata prima del 7 ottobre per una guerra di lungo termine. Vuole dimostrare che l’obiettivo di Netanyahu di distruggere il mostro che ha compiuto il pogrom del sette ottobre non può realizzarsi, tantomeno in tempi brevi. Probabilmente senza i soldati che sono andati a combattere per riportare a casa i corpi dei soldati uccisi ieri, Hamas avrebbe rapito anche i corpi dei soldati uccisi, come già ha fatto per esempio nel 2014 coi corpi Oron Shaul e Hadar Goldin, aggiungendo così altri elementi orrifici al suo giuoco. Sempre ieri Hamas ha sparato missili dentro Israele, a Sufa, a Sdei Avraham, a Holit e altrove al sud, e l’ha fatto dalla zona umanitaria, che dovrebbe essere demilitarizzata, per creata una nuova provocazione.

Secondo Sinwar stesso, creando una indispensabile reazione di Israele (non può lasciare che missili piovano da Gaza sui cittadini dentro il confine Israele) lo si attrae nella trappola bellica che mette a rischio la gente dentro Gaza, e costringe Israele in un assedio in cui il mondo le richiede il cessate il fuoco. È un cerchio che si chiude sulla tragedia dei rapiti: Hamas, anche per Biden e Blinken, rifiuta ogni accordo, i rapiti restano per Sinwar uno strumento di guerra, di ricatto supremo per ottenere alla fine il controllo della striscia col ritiro di Israele. E qui in Israele ieri sera si sono riaperte le pressioni su Netanyahu perché disegni un futuro per Gaza dopo la guerra, come vorrebbe Biden, ovvero una compagine araba di cui faccia parte l’Autorità nazionale palestinese che metta Hamas da parte. Ma come è possibile quando nell’AP la popolazione concordemente è tutta favorevole a Hamas? Qui, chi sollecita due stati per due popoli non ha ancora fornito una risposta.

Per ora Israele non ha la possibilità di cedere, a meno di non consegnare a Hamas una vittoria. Quindi i suoi soldati, che ormai entrano ed escono nel servizio di riserva in modo che tortura la vita del Paese, si fanno coraggio: seguiteranno a combattere fino a che, in qualche modo, non si disegni una sconfitta di Hamas. Un nobile obiettivo per il mondo intero, che può portare all’unica vera pace.  

 

Altra condanna per Israele. Continua la persecuzione dell'Onu

giovedì 13 giugno 2024 Il Giornale 1 commento

Il Giornale, 13 giugno 2024

Avanti un altro. La caccia dell’Onu a Israele continua. Una commissione dell’Onu ieri, dopo un esame alquanto soggettivo (ha dichiaro “crimini sessuali” gli stupri omicidi del 7 ottobre e il fatto che i palestinesi prigionieri avevano dovuto spogliarsi per prevenire aggressioni armate) ha deciso che Israele ha compiuto azioni che includono “crimini contro l’umanità” che includono “atti di sterminio”. L’Onu ha il suo vocabolario per Israele: crimini contro l’umanità, razzismo, apartheid, genocidio, stragi, attacchi sproporzionati, e ora il capitolo speciale sull’uccisione di bambini, che ricalca il blood libel classico, per cui gli ebrei uccidono gli infanti per utilizzarne il sangue. Il blood libel è un classico di tutti i tempi: Ariel Sharon fu immortalato in una vignetta che vinse un premio internazionale mentre, col petto nudo lordo di sangue, sgranocchia teste di bambini. Solo pochi giorni fa su suggerimento di un’impiegata dell’Onu che purtroppo è italiana, Israele è messo nella “lista nera” di chi uccide i bambini. Niente è più estraneo al popolo ebraico, trascinato in una guerra indispensabile di difesa dalla peggiore organizzazione terrorista del mondo. Ma l’UNHRC, la Commissione per i Diritti Umani creata nel 2006 può vantarsi che il numero delle risoluzioni contro Israele è pari a quelle comminate a tutto il resto del mondo intero. La Commissione mette sullo stesso piano i crimini compiuti da Hamas e da Israele. Per Israele si tratta “di un largo e sistematico attacco diretto alla popolazione civile di Gaza… con crimini di sterminio, delitto, persecuzione di genere contro uomini e ragazzi palestinesi, trasferimento forzato, torture e crudeli trattamenti”.

L’Onu, di nuovo mette sullo stesso piano i terroristi che fanno una dottrina professata e conclamata dell’uccisione degli ebrei, e che hanno con compiacimento esibizionista compiuto i più inenarrabili crimini e proseguono, detenendo ostaggi innocenti, e Israele, costretto a difendersi. Sinwar teorizza il sacrificio delle vite dei suoi stipati con i lanciamissili, i mitra, i terroristi della Nukba nelle scuole dell’UNRWA (sempre dell’Onu!) negli ospedali, nelle case, nelle gallerie piene di tritolo e di missili insieme ai rapiti del 7 ottobre, così da rendere la guerra un carnaio inevitabile. “Abbiamo gli Israeliani esattamente dove li vogliamo” ha detto Sinwar per spiegare il successo della teoria della carneficina dei suoi. E avrebbe dovuto aggiungere: abbiamo l’Onu esattamente dove ci serve, con le maggioranze automatiche dal tempo dell’URSS, col più esplicito odio antisemita: nel ’75 la risoluzione “sionismo uguale razzismo”, via via fino al 2001 con la conferenza di Durban che con Arafat, Mugabe, Fidel Castro, che raccoglie tutto l’odio razzista antioccidentale e anti Israele. Poi, la relazione Goldstone, nel 2009, sempre a cura del Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite, che Goldstone amaramente rinnegò spiegandone i meccanismi di menzogna. Guterres dal primo momento dopo il 7 di ottobre ha impegnato la sua grossa macchina con sede a New York, nata per combattere l’antisemitismo, a promuoverlo in tutto il mondo, quando ha detto che la strage “non nasceva nel vuoto” ma che doveva essere colpa degli ebrei. E poi la Corte internazionale di giustizia, con la condanna per genocidio, la Corte penale internazionale che mette Sinwar e Netanyahu sullo stesso piano, anzi, nella stessa cella.

 Non è facile sapere se il mondo si sveglierà dalla completa obliterazione di ogni criterio di buon senso, a partire dall’elementare punto di non prendere i numeri dei morti forniti dal “Ministero della Salute” di Hamas per buoni, come poi tante volte è stato dimostrato.  New York dovrebbe recuperare il suo grande edificio imbandierato per dedicarlo a una vera coalizione di Paesi desiderosi di verità e di buon senso. Essi, dopo il minuto di silenzio dedicato dal Consiglio di Sicurezza al Primo Ministro iraniano Raisi, un silenzio dimentico delle stragi delle donne “mal velate” e dei gay impiccati in cui risuonavano le risate di Sinwar, dovrebbero decidere che l’ONU non ha più diritto di parlare a loro nome.    

 

La commedia degli errori che favorisce Sinwar

martedì 11 giugno 2024 Il Giornale 2 commenti

Il Giornale, 11 giugno 2024

E se adesso scoppia la guerra vera dopo gli ultimi missili degli Hezbollah? Gantz che farà? Tornerà nel governo dicendo “scusate ho sbagliato”? Chiederà di aspettare le elezioni? O seguiterà anche allora a chiedere a Netanyahu di andare alle urne, cercando di mettere insieme una “vera coalizione” come la chiama, che si ispiri di nuovo, come prima del 7 ottobre allo slogan “tutti fuorché Bibi”? Ma anche allora Netanyahu vinse, non ha scelto il momento più sbagliato anche perché Hamas e l’Iran interpretano la defezione come uno smembramento di Israele stesso? Adesso che Gallant, evidentemente più consapevole del suo ruolo e del momento, mostra di non voler rispondere alla chiamata ritenendo, da bravo ministro della Difesa, che la guerra sia il fronte maggiore, Gantz non ne subirà una prima seria botta politica? Ha detto nel suo discorso di dimissioni che la guerra non si può vincere perché Netanyahu non lo consente… E allora come spiega che Gallant che certo non lo ama, tuttavia resti al suo fianco? Gli Usa in questa commedia degli errori che inventa ostacoli e divieti (Rafah!) di ogni genere e ad ogni istante e così impedisce la conclusione della guerra hanno un ruolo ondivago e confuso: eleggono Gantz a interlocutore privilegiato, anzi quasi unico al posto di Bibi, e poi lo spingono, rendendolo di fatto il loro punto di riferimento politico, a uscire dal Governo alla ricerca di un nuovo Governo, ma quello attuale ora, in un momento denso di decisioni fatali, resta vuoto della sua presenza, e la Ben Gvir e a Smotrich si allargano quanto mai.

Intanto, l’ennesima discesa dalla scaletta dell’aereo di Blinken chiede di nuovo il cessate il fuoco, in nome della restituzione degli ostaggi. Arrivato ieri dal Cairo per inoltrarsi in incontri con Bibi e anche con Gantz, ha ripetuto che bisogna soprattutto spingere su Hamas perché accetti il piano presentato da Biden dieci giorni fa, “il piano Netanyahu” più o meno fedele all’originale. Bene, se fosse questa la chiave per ritrovare la pace gli USA dovrebbero spiegare come si fa a convincere Hamas a lasciare andare gli ostaggi. Nemmeno le più generose offerte convincono Sinwar, sono la sua orribile ricchezza, il prezzo del potere trasformato in esseri umani. 

Ieri è uscita la notizia, smentita, che gli USA abbiano addirittura avviato una trattativa da soli per cinque rapiti americani in cima alla lista. Cinico? Certo, ma soprattutto impossibile. Che cosa ha in mano Biden per spingere Hamas ad accettare? Sinwar non vuole cedere nessun ostaggio se non in cambio della sopravvivenza del suo regime, e della sua vita. Israele, non solo Netanyahu, non andrà oltre la già generosissima ipotesi in tre stadi presentata da Biden. Rischia un fallimento storico: dovrebbe finalmente fidarsi dei mediorientalisti che spiegano che coi terroristi non c’è patto possibile, non c’è che combatterli e vincerli prima che vincano loro. E non solo gli USA fingono di non saperlo, ma di fatto con la prossima risoluzione del Consiglio di Sicurezza che imporrà il cessate il fuoco per imporre a Israele, di nuovo, di fermarsi, mentre l’unica strada, anche per salvare i prigionieri americani, è mostrare forza e coraggio. 

 

La prima festa dal 7 ottobre per fiducia e unità ritrovate. L’eroico sacrificio di Smora

domenica 9 giugno 2024 Il Giornale 1 commento
Il Giornale, 09 giugno 2024
 
Noah sulla motocicletta, trascinata via dai mostri mentre il suo compagno resta nelle loro mani, Noah che urla mentre le gettano uno straccio sul bellissimo volto orientale e la schiacciano fra due assassini nella corsa verso una prigionia che ieri aveva raggiunto i 246 giorni, era il simbolo della sciagura invincibile, della vittoria del male. Sua madre, in fin di vita aveva espresso di rivederla ancora una volta, e ormai Israele piangeva la sua tragedia. Fino a ieri: quando, ha raccontato, qualcuno ha picchiato sulla porta e ha detto “è l’Esercito, siamo venuti a salvarti”. Israele ha pianto di commozione per strada, nelle case, davanti alla tv, Noah sorrideva, abbracciava Bibi, andava dalla mamma all’ospedale. In canottiera nera Almog appena liberato piangeva al telefono coi ragazzi amici suoi, tutti impazziti di gioia, Shlomo urlava amore mio alla moglie mentre lei correva all’ospedale. Famiglie, ragazzi con la bandiera per strada, bambini felici.. Israele dopo il 7 ottobre per la prima volta in festa, festa non solo del ritorno degli ostaggi, come fu per 116 liberati con lo scambio, o degli altri tre liberati poi. È la festa del rinnovamento della propria fiducia. La spirale della depressione in questa guerra è potente e ripete ossessivamente: gli ostaggi sono tutti morti, oppure sono in condizioni irrecuperabili, l’Esercito israeliano non ha la capacità di salvarli, la loro sorte è nella mani di Sinwar, solo sua la decisione per la vita o la morte, balle che l’Esercito possa aiutarne la liberazione con la pressione militare, non c’è che piegarsi al volere di Hamas: “Cessate il fuoco” per restare al potere. Dunque, recita il breviario dei luoghi comuni, Netanyahu che deve fermare la guerra con un accordo a tutti i costi, invece sacrifica i rapiti alle sue ambizioni politiche, anzi, non gliene importa di loro. 
 
E poi anche: ormai la frattura interna separa l’esercito e i reparti speciali dal Governo, il Governo stesso è a pezzi, Gantz sta per abbandonarlo. Questa costruzione ieri è crollata sotto il peso di una valanga di emozione, di lacrime e sorrisi, di abbracci e di congratulazioni quando Noah, Shlomi, Almog e Andrei che sono stati salvati a Nuseirat, in una zona fra le più affollate e impossibili da penetrare, da un commando dell’Esercito, ieri sono stati stretti fra le braccia di un Bibi commosso come non si era visto: il recupero degli ostaggi, dato che Joni, suo fratello, cadde a Entebbe, è palesemente vicino al suo cuore. Per Israele è stato importante riconoscere ieri il suo leader, vittorioso. È stato sensibile, è stato capace, ha lavorato in segreto e nell’accordo generale. Israele per un attimo non soffre delle solite divisioni. L’operazione di svolta si è disegnata giovedì sera con una riunione segreta in cui il Primo Ministro ha dato il suo placet all’operazione: c’erano il ministro della difesa Gallant, il Capo di Stato maggiore Herzi Halevi, e i capi delle unità di sicurezza. In particolare, la mitica Yamam, unità antiterrorismo, ha di fatto, sulla base di intricatissime informazioni raccolte in mesi dallo Shabback, ha compiuto un’operazione impossibile, che resterà, come Entebbe, nella storia delle liberazioni di ostaggi. Anche qui un eroe è caduto, come a Entebbe cadde Joni Netanyahu, il 36 enne Arnon Smora che lascia due bambini piccoli: una pallottola lo ha colpito alla testa mentre combatteva al terzo piano in uno dei due appartamenti in cui erano rinchiusi gli ostaggi, quello dei tre maschi. Noah era in un appartamento a 200 metri di distanza. Se le due operazioni non fossero state compiute con perfetto sincronismo, i prigionieri su cui ci fosse stato ritardo sarebbero stati quasi di sicuro eliminati. 
 
Solo sabato mattina a un’ultima verifica, Netanyahu ha dato il placet: una scelta in cui, come lui stesso ha detto, fra fallimento e successo “c’era un capello di distanza”. “Non ci ho pensato un minuto” ha detto a Andrei abbracciandolo “vi riporteremo tutti a casa, in un modo o nell’altro”. Sarebbe stato per lui un disastro politico e militare molto profondo non riuscire, forse definitivo, e l’ha fatto lo stesso. Hic Rodhus: arrivare al doppio obiettivo, fare irruzione mentre intorno ormai Hamas chiamava rinforzi, combattere una battaglia durissima coi guardiani e i loro alleati, secondo la consueta tecnica di uso della gente peraltro chiusa sul suo segreto e consenziente con lo scopo criminale. Gantz naturalmente, peraltro avvertito da giovedì sera, ha rimandato l’uscita prevista per ieri sera. Cosa stia ora rimuginando Hamas, può andare sia verso l’accettazione dell’accordo sul tavolo dalla presentazione di Biden, visto che l’attacco ha dimostrato la forza di Israele; oppure spingerà Sinwar a giocare il tutto per tutto sadicamente sui 116 poverini nelle sue mani. Quello che è certo è che in Israele, col dolore per Smora, con la promessa di restare saldi nel recupero dei rapiti, si respira aria di unità, di bravura... E forse anche di fortuna, finalmente.   
 

Putin sceglie: asse del male con Hamas

sabato 8 giugno 2024 Il Giornale 0 commenti

Il Giornale, 07 giugno 2024

Il compleanno di Vladimir Putin cade il 7 ottobre. Settantuno anni compiva quel giorno. Sarà stato perché era tutto preso in festeggiamenti che quando in Israele si è consumata la maggiore strage di ebrei dai tempi della Shoah, ha aspettato tre giorni prima di dire un paio di cose senza peso sugli eventi, dando subito la colpa agli USA del fatto che in Medioriente le cose non vadano bene; poi, ha invitato subito dopo a Mosca i rappresentanti di Hamas e anche quelli iraniani. La strada era scelta, e l’ha perseguita in modo intensivo. Spiegava Sergei Markov, ex consigliere del Cremlino nel suo blog: “La Russia sa che gli USA e l’UE hanno sostenuto sempre Israele, ma oggi (per Putin) esse incarnano il male… La Russia non sarà in nessun caso nello stesso campo. Il maggiore alleato di Israele sono gli USA, oggi il peggior nemico della Russia. E l’alleato della Russia è l’Iran”… e i suoi proxy. Hamas e Hezbollah, Houty, altri gruppi terroristi. Putin ha visto nella data storica del 7 ottobre un’occasione per fare grandi pasi avanti verso l’obiettivo fondamentale, porre fine, conquistando il mondo al dominio della Russia ,al sistema che vive secondo i principi di libertà di diritti umani, per sostituirlo con un sistema di dominio, un mondo autocratico in cui forse ancora non capisce quanto gli costerà la spartizione con l’Islam. Sarà il mondo di Putin e Hamas. 

Putin odia essere ritenuto un antisemita, questo disturba il suo vezzo di chiamare nazisti gli Ucraini: quindi per esempio ha anche dato un discorso in cui lodava la comunità ebraica russa. Ma ieri si è finalmente presentato al mondo come il capo dei nemici di Israele fino alla distruzione, come un vero sostenitore di Hamas. Ha osservato bene come le maggioranze automatiche dell’ONU, le sue istituzioni antisemite e corrotte rovesciano la storia facendo di Netanyahu Sinwar, e attribuendo a Israele assurdi intenti genocidi che invece sono palesemente di Hamas che con l’Iran e gli Hezbollah li dichiarano senza veli ogni giorno. Putin sente che la debolezza di Biden non dona all’alleanza occidentale in generale, e che proprio gli USA masochisticamente mettono in bilico la giusta guerra di Israele. E ha dunque parlato come un libro stampato da Hamas: la guerra di Israele è “una distruzione totale della popolazione civile”, la situazione è frutto “di un fallimento totale degli Stati Uniti”.

La risposta la troverà Putin, perché “la Russia cerca sempre la pace” ma il ruolo centrale spetta a un Paese mediorientale, dice Putin, e lo assegna al leader che ha dichiarato Netanyahu uguale a Hitler: Erdogan. Il compito risolutorio è l’istituzione di uno Stato Palestinese: ricorda con orgoglio Putin che già ai tempi dell’Unione Sovietica era stata quella la scelta Russa. E qui Putin allarga di fatto l’arco delle sue alleanze: per esempio la Spagna che proprio in queste ore si è unita al Sud Africa nell’accusare Israele di genocidio all’ICC, con l’Irlanda e la Norvegia ha avuto l’idea geniale di istituire un suo misterioso stato palestinese, forse con in testa Sinwar, che sarebbe il primo eletto in caso di votazioni. Certo adesso è pronta a unirsi a Putin nella sua amicizia con Hamas, anche se non era mai stata putiniana, forse si può credergli quando afferma che “bandisce ogni attacco contro i civili, in qualsiasi posto, in qualsiasi Paese”. Intanto Hamas non accetta nessun accordo in cambio dei poveri ostaggi: anche questo in nome della pace, ma dove, ma quando? In qualsiasi posto, in qualunque Paese.

 

Hezbollah e Hamas, due teste dello stesso mostro. La guerra al Libano si sventa annientando Sinwar

giovedì 6 giugno 2024 Il Giornale 0 commenti

Il Giornale, 06 giugno 2024

Quel fuoco che da lunedì ha reso neri e spellati il Golan e la Galilea al confine col Libano, ha trasformato in una collezione di miseri stecchi in fila quella miracolosa foresta che Israele con tanta fatica cresce dalla sua nascita, ha distrutto case, ha messo in fuga gli ultimi coraggiosi agricoltori, da Kiriat Shmone alla zona del Kibbutz Manara dove vive la novantottenne sorella di Rabin… non merita tutto questo una guerra? Nessun Paese del mondo avrebbe sopportato, da otto mesi a questa parte, che giorno dopo giorno, gli Hezbollah che hanno dichiarato sin dalla Nukba, il carnaio del 7 di ottobre, di condividere la guerra di Hamas, mettessero in fuga tutta la popolazione, uccidessero, incendiassero, minacciassero. Israele certo non è stato a guardare, ha schierato i Golani anche sul Nord e ha sparato senza risparmio sulle spavalde postazioni di confine e sui lanciamissili degli Hezbollah. Ieri Netanyahu ha dichiarato, dopo che aveva etto la stessa cosa il Capo di Stato maggiore Herzi Halevi, che Israele è pronta a combattere una vera guerra. È la struttura stessa del Paese, che ieri ha cercato con la grande manifestazione in onore dell’unificazione di Gerusalemme nel ‘67, che è in giuoco, e gli ostacoli non sono solo legati alla difficoltà, quanto a uomini e ad armi, di reggere un conflitto su due fronti. Ma l’esercizio quotidiano di distruzione di Israele per cui a nord vivi fra i lanci dei Kornet, i Burkan, i droni suicidi, forse anche i missili iraniani di terza generazione perseguitano Israele stringendola in un angolo.

Fu a febbraio che Nasrallah spiegò che il danno che avrebbe potuto portare a Israele se si fosse avventurato troppo, sarebbe arrivato fini a Eilat, ovvero, si capì, fino alla centrale nucleare di Dimona. Non solo: i suoi missili coprirebbero Israele, i suoi giannizzeri sarebbero peggio di Hamas quanto a crudeltà e fanatismo. Con la visita ai soldati al confine del Libano, Bibi ha voluto segnalare che la pazienza sta finendo. Anche da Londra erano giunti avvertimenti a Nasrallah della decisione di bombardare Beirut, e gli hezbollah non vogliono giuocarsi il lato patriottico libanese. Israele qui segnale che vuol dire alla sua gente che prima o poi potrà tornare a casa.  Invece per ora quel fuoco è stato un simbolo inequivoco che la guerra barbarica è in pieno svolgimento, che non c’è accordo in vista come vorrebbe Biden, da sempre opposto alla guerra che gli scalda il fronte mondiale prima delle elezioni. Un racconto molto famoso di Aleph Beth Yehoshua racconta di un ragazzo israeliano che, da guardiaboschi, vede ogni giorno un arabo con una bambina per mano nella foresta: che egli diventa per lui un personaggio enigmatico ma non ostile, anzi, fantasticato come un possibile amico misterioso, finché il bosco andrà in fiamme perché l’uomo con la bambina ha deciso di distruggerlo.

 Bene, Israele oggi deve capire a che stadio siamo prima che l’incendio venga appiccato, stavolta fra la morte e distruzione dai 250mila missili che l’Iran ha regalato al suo proxy e però la potenza della risposta israeliana. Un rischio mondiale. Per ora i sotterranei tentativi di mediazione, che richiederebbero, per l’inevitabile compito d’Israele di far tornare alle loro case gli sfollati che insieme a quelli del confine di Gaza sono ormai quasi 250mila, uno spostamento di hezbollah dal confine non hanno trovato risposta. Amos Hochstein, l’inviato per il Libano di Biden, e Macron, da sempre un appassionato delle questioni di Beirut, si danno da fare. Ma più dei divieti (“Don’t” disse Biden, e Narsrallah sorrise) valgono le molte visite dei ministri iraniani nel bunker di Nasrallah. E il primo ostacolo è in mani molto temibili: come hanno detto tutti gli ufficiali del governo americano Sinwar ha la decisione sugli ostaggi. Finché non decide, continua la guerra; finché continua, Hezbollah segue l’impegno di spalleggiarlo. Se esagera, Israele dovrà per forza attaccare nel profondo: quanto si può sostenere l’espulsione della propria gente, la distruzione e la desertificazione, il bombardamento con morti e feriti? Forse l’unico modo per frenare l’escalation generale è spaventare Sinwar fino al punto che debba necessariamente accettare lo scambio. Allora, anche Nasrallah dovrebbe probabilmente a malincuore staccare il piede dall’acceleratore. Ma è un sogno. Siamo comunque nelle mani dei terroristi, a meno che Israele non trovi finalmente il sostegno internazionale fondamentale per combattere l’idra che minaccia tutti, con le sue varie teste: ma non sembra probabile. Anche questo è un sogno.   

 

Quei veti incrociati ancora sul tavolo e il gioco di Hamas per tenersi Gaza

martedì 4 giugno 2024 Il Giornale 1 commento

Il Giornale, 04 giugno 2024

Biden vuole il cessate il fuoco, Israele la sconfitta e l’estromissione assoluta di Hamas, Hamas vuole restare al potere a Gaza. Nel mezzo, un’eventuale accordo sui poveri ostaggi, carne da cannone.  Difficile puzzle. Se fosse un tavolo di poker, si potrebbe dire che Biden, trovandosi in mano un tris, ha giocato sperando di avere la coppia più alta. Ha un buon gioco, certo, ovvero la proposta di scambio partorita due settimane fa dal gabinetto israeliano. Ma lui l’ha un po' troppo aggiustata prima della sua uscita di venerdì sera, prima di Shabbat. Ha messo il cessate il fuoco al primo posto, questo piace a Hamas ma non a Israele. Tuttavia Netanyahu non dice di no, anche se avanza obiezioni molto decisive. Il fine è alto. Ma la sfida è rischiosa per Biden che ha osato perché sarebbe una memorabile mossa pacifista, le elezioni sono vicine, e inoltre agli occhi della sua constituency è interessante il tentativo di domare un personaggio scomodo come Benjamin Netanyahu. Israele è strappata all’interno: ieri la minaccia di Ben Gvir e di Smotrich si è subito fatta avanti, questo consentirebbe a Gantz spazi maggiori, e cambiamenti dannosi per Bibi piacerebbero ai democratici americani. Tuttavia ‘’appello di Biden al popolo di Israele perché spinga per la pace è un’intrusione politica che indebolisce e non rafforza il suo punto di vista: il dolore per i rapiti e immenso, ma la determinazione a battere Hamas vince nei sondaggi. Da parte di Netanyahu niente grandi discorsi, la sua posizione nei tweet e alla Commissione Esteri è minimalista. In sostanza: “L’obiettivo non solo mio ma di tutto il governo è battere e estromettere Hamas. I rapiti sono in cima ai miei pensieri, vogliamo uno scambio, ma senza fermare la guerra”. E la proposta, ci tiene a dire il Primo Ministro, non è solo mia ma di tutto il gabinetto di guerra. E aggiunge che le lacune cancellano la scelta di battere Hamas. Sinwar intanto fa sapere dal suo covo che gli importa poco di uno scambio se non comprende la restituzione della Striscia al suo potere; e addirittura uno dei suoi ha detto che mai cesserà di combattere prima che Israele sia distrutto. Tuttavia Sami Shukri, ministro degli Esteri egiziano, riferisce di una disponibilità positiva.

 È l’opposto della posizione quando Israele aveva proposto lo stesso scambio. Ma adesso Biden stesso ha messo il giuoco nelle sue mani. L’Egitto, come il Qatar, citati da Biden come parte del futuro a salvaguardia della Striscia piacciono certo a Hamas ma non a Israele: chiamarli in causa non risolve i punti interrogativi nella versione Biden, anzi lascia Hamas in buona salute. Biden ha giocato sapendo, tuttavia, che Netanyahu lo ascolta, ha fornito tutti gli aiuti umanitari e ha rallentato l’ingresso a Rafah. Però poi ci è entrato, perché sulla conclusione del conflitto non transige, agisce secondo una strategia di sopravvivenza anche se fa parte dell’alleanza occidentale che fa capo agli USA. Hamas da parte sua conta a sua volta su un giuoco largo, e si batte per la vita e per la morte con a fianco Hezbollah, l’Iran, Russia e Cina. Biden lo sa, forse ha messo in moto un gioco troppo grande, e offre un tavolo traballante: i primi 42 giorni prevedono subito un cessate il fuoco che invece per Israele deve esser discusso mentre si riconsegnano 32 ostaggi. Durante quei giorni, mentre si liberano a centinaia i prigionieri palestinesi, si tratta per un lungo cessate il fuoco, ma se Hamas viola la tregua Israele può rispondere.

Dunque, quali sono le regole per cui la tregua si consideri violata? Un razzo della Jihad islamica dà diritto a sparare di nuovo? Per evitare che Hamas riprenda il controllo di Gaza, e necessario regolare il movimento della popolazione dal sud al nord lungo strade controllate dall’Esercito israeliano: ma Biden prevede liberi movimenti. Il ritiro delle forze di cui Biden ha parlato quando deve avvenire? e come, senza che Hamas si risistemi al potere e prepari un altro 7 ottobre? E dal primo al secondo stadio, quello definitivo, Hamas potrebbe tessere un tempo sconfinato in cui ricostruire tutta la sua rete. E come eviterà Israele, che Hamas si sbizzarrisca nella tortura e l’uccisione degli ostaggi? Biden vuole un accordo. Ma accordo è una parola senza senso per chi come Hamas, cammina sulla strada della violenza. Insieme alla taqyyia, la dissimulazione.

 

L'"ambiguità costruttiva" degli Usa. Ma sui terroristi Israele non può cedere

domenica 2 giugno 2024 Il Giornale 0 commenti

Il Giornale, 02 giugno 2024

Lo spirito di Kissinger si è librato ieri sul Medio Oriente, per cercare di imporre a Israele con “constructive ambiguity” ambiguità costruttiva, la posizione americana sulla pace, e suscitare un consenso mondiale, un abbraccio molto avvolgente. A ognuna delle due parti che si vogliono placare si cerca di dire qualcosa di vicino a quello che vuole sentire, e si cerca di indurlo a seguire la tua ricetta. In particolare, nel caso di Israele, cui sembra che Biden abbia fatto una vera sorpresa nel citare e reinterpretare la sua proposta, il presidente si muove su un cavo sospeso in prossimità delle elezioni: dalla sua parte, ma sempre in un ruolo di vecchio saggio e punitivo. Basta con la guerra, ha detto Biden, e come alla decisione di un direttore d’orchestra, tutti gli strumenti dalla Francia all’Inghilterra, hanno suonato. Macron ha persino scritto in Ebraico. Ma il fatto che Biden sia stanco della guerra, come tutti del resto, soprattutto gli israeliani che perdono i loro figli sul campo di battaglia, non rende la guerra più facile da concludere come per la Russia e l’Ucraina dove Putin non ha intenzione di lasciare il campo. Ci sono nemici irriducibili.

E Hamas farà di tutto per mantenere il potere, ha come suo scopo basilare distruggere Israele, e l’ha provato. Biden nell’assicurare, venerdì, che conviene la pace perché comunque “Hamas non è più capace di compiere un altro 7 ottobre” di fatto cancella la promessa degli USA di partnership nello sradicare Hamas. Netanyahu nel rispondere a Biden, non ha detto “no”, ha parlato di una proposta “non starter” a meno di “un’eliminazione delle capacità belliche e governative”, di cui Biden non ha parlato. Ma anche il linguaggio è più morbido, il PM non parla della solita “vittoria completa”. Le porte non sono chiuse. Biden ha ripreso la proposta israeliana che Hamas aveva respinto. Hamas fa una capriola poco credibile nel dichiararsi interessato. Bibi l’aveva recuperata dopo che una crisi con la squadra che gestisce la trattativa aveva scosso il governo: due mercoledì or sono il PM l’aveva accettata, ed era poi passata domenica ai mediatori. Hamas l’ha trovata pessima, niente da fare.

Ma ora riappare in mano di Biden. Ma perché Netanyahu gli ha risposto, persino di Shabbat, giorno (non scelto a caso, probabilmente, dagli USA) in cui Israele è fuori uso se non per questioni di vita o di morte? Perché Biden nella proposta, riveduta e corretta, chiude la guerra all’inizio del processo, mentre Hamas è ancora al potere, e questo non c’è nella proposta israeliana, che prevede sei settimane di stop al fuoco, senza chiudere la guerra: qui si riconsegnano i rapiti “umanitari”, e si verifica, avviando una trattativa per la seconda fase in cui tornano a casa tutti gli ostaggi. La guerra finisce quando Hamas lascia il potere. Impegnarsi a chiudere prima è un azzardo, e Biden sbaglia a chiamare il dissenso contro Netanyahu: la sua determinazione invece cresce nei consensi, perché Israele odia la guerra, vuole i rapiti, ma combatte Hamas per necessità. Bibi incarna la determinazione nel distruggere Hamas, e insieme nel recuperare i propri cari. Tre sono le fasi, lo stop alla guerra fin dall’inizio non funziona. Biden ha evitato di parlare dello Stato palestinese, preferendo indicare un futuro in cui balena la presenza dell’Arabia Saudita garante di un futuro sicuro e luminoso. Notevole anche che non dica una parola sullo Tzir Filadelfi e Rafah: Biden sa che da là Hamas trae l’ossigeno. È un messaggio a Bibi: l’America capisce perfino Rafah, ma concludi la guerra. Il PM in queste ore ci pensa su, ma per lui le tre fasi devono lasciare spazio alla distruzione di Hamas.  Non c’entra con l’eventuale dissenso di Ben Gvir e Smotrich.

Ha pronto il ricambio per un nuovo Governo. Per lui Israele è pronto a compromessi, a soli 33 rapiti nella prima fase, alla scelta di Hamas dei prigionieri, anche pericolosi assassini. Ma non sulla possibilità che Hamas seguiti a regnare su Gaza. 

 

Netanyahu, il combattente chiede armi e non affetto (anche se ha tutti contro)

mercoledì 29 maggio 2024 Il Giornale 0 commenti

Il Giornale, 29 maggio 2024

Quando subito dopo il terribile incidente di Rafah, Benjamin Netanyahu ha parlato alla Knesset, i gesti decisi, la faccia smagrita dal 7 di ottobre, le sue parole hanno disegnato le intenzioni e la personalità del Primo Ministro. Dopo aver detto che si era trattato di “errore tragico” di cui si dispiaceva e su cui stava indagando, Netanyahu ha esclamato il suo “no” a chi gli ha chiesto di fermarsi, all’ONU, dall’UE, ai Tribunali Internazionali, alle proclamazioni unilaterali della Spagna, l’Irlanda e la Norvegia, alle condanne di Macron e tanti altri e alla gran baraonda dei media, tutti in gara a biasimarlo.

Là, alla Knesset, 50 dei 120 membri hanno votato per il suo discorso, mentre rigettava le accuse “abominevoli” di frenare le trattative per gli ostaggi, e si è rivolto ai suoi cittadini: “Se volete debolezza, sconforto, resa, ascoltate la tv. Ma se volete potere, spirito, vittoria, ascoltate i combattenti: i fini della guerra non sono cambiati, vincere Hamas, recuperare gli ostaggi, far tornare a casa i profughi. Se ci arrendiamo, daremo una grande vittoria al terrorismo, all’Iran, al suo asse del male, a tutti quelli che cercano distruzione”. Qui in nuce, c’è la spiegazione della guerra di necessità di Netanyahu: mettere Israele al sicuro nel mondo. Del resto, gli USA anche dopo l’incidente hanno fatto capire che gli spostamenti di popolazione richiesti erano stati operati, e anche l’intervento umanitario; la pressione è gestita da Europa e ONU. Netanyahu sa bene di essere il Primo Ministro sotto il quale Israele ha patito il maggiore disastro dal 1948: adesso combatte per restaurare i suoi fini e la sua storia. La sua è una battaglia vitale, il suo fine personale per lui vale ben di più dell’invito a andare a casa. È il recupero della sicurezza, se voglia poi restare come Primo Ministro nessuno lo sa.

Le più di 600 pagine dell’autobiografia disegnano il destino di un uomo di Stato che in due volte ha governato 16 anni. Coi fratelli Yoni e Iddo ha avuto un’educazione elevata, il padre lo storico Ben Tzion era sodale di Jabotinsky, la sua educazione è laica, tradizionale. Bibi definisce la sua missione: “Aiutare il mio antico popolo, che ha sofferto tano e tanto contribuito alla storia dell’umanità, a vivere un futuro sicuro”. Lui dopo la Guerra dei Sei Giorni entra nella Sayeret Matkal, la forza speciale, poi serve come ambasciatore all’ONU, viene eletto alla Knesset e dal ’76 vive pensando a Yoni, ucciso a Entebbe mentre liberava gli ostaggi. Da Primo Ministro affronta Obama svelando le intenzioni atomiche dell’Iran, rende Israele uno dei primi Paesi del mondo in economia, tecnologia, medicina…  oggi pensa che tutto questo può andare perduto se Hamas compirà un nuovo Sette Ottobre, se si perderanno i rapiti nelle gallerie di Rafah.

Bibi dunque resiste: vuole che la forza di Israele attragga i paesi arabi moderati nei Patti di Abramo. La contrapposizione a Obama sull’Iran gli portò la fiducia dell’UAE e degli altri: in Medioriente debolezza chiama terrore, la forza disegna alleanze. La storia stessa di Bibi esclude che Israele divenga un piccolo Paese che dipende dall’opinione degli altri (così lo rifiutò Golda Meyer nel ‘73).

Domani, dopo la guerra, si coalizzeranno forze disponibili a sostituire Hamas. Netanyahu ha detto “so di deludere i miei partner, io non intendo occupare Gaza”. Non è un duro ideologico: è un pragmatico laico, che però ha nel Governo piccoli partiti religiosi. Domani, avrà altri partner, sarà battuto, lascerà il potere, chi sa: di certo, non vuole che la sua biografia finisca col 7 ottobre, e farà di tutto per evitarlo. Bibi è un soldato. Zelensky disse agli americani che gli offrivano una fuoriuscita: “io ho bisogno d’armi, non di un viaggio”. Netanyahu ha bisogno di armi, non di affetto. È abituato: la gente qui è fifty fifty odio e amore; ma lui sente che essere Netanyahu è portare dentro lo Stato ebraico. Vive le contraddizioni moderne, il jet set, una famiglia controversa: ma al nocciolo, è un combattente la cui idea di Israele e identica a quella di Ben Gurion. Semplice. Il Popolo ebraico, come ogni altro, ha diritto a una patria.      

 

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