Fiamma Nirenstein Blog

La guerra antisemita contro l'Occidente

7 ottobre 2023 Israele brucia

Jewish Lives Matter

Informazione Corretta, il nuovo video di Fiamma Nirenstein

Museo del popolo ebraico

Così l' attacco di Israele annichilisce Nasrallah e spaventa l'Iran: colpo all'asse del terrorismo

martedì 24 settembre 2024 Il Giornale 0 commenti

Il Giornale, 24 settembre 2024

È il fronte del nord che cambierà la situazione mediorientale, l’attacco plurimo contro gli Hezbollah trasformerà anche la guerra di Gaza, e soprattutto potrebbe finalmente modificare, forse perfino neutralizzare temporaneamente il disegno strategico dell’Iran di “unire il fronte” per i suoi scopi. Secondo molti analisti sono tre: un grande fronte islamico sciita guidato dai suoi uomini, comandanti di lungo corso, per la conquista del Medioriente e del mondo, incorporando anche una parte sunnita; distruggere Israele; distruggere il potere occidentale, prima di tutto gli Stati Uniti. Una tappa strategica fondamentale è stata il 7 di ottobre, quando Sinwar ha scatenato Hamas; avrebbe dovuto chiamare alle armi prima di tutto i sodali più vicini, gli Hezbollah, che infatti dal giorno dopo sono scesi sul campo. Ma debolmente. Sinwar si era figurato un’invasione territoriale del sud con svariate roccaforti occupate dai suoi uomini, e lo stesso era stato prefigurato, a breve, per una vasta invasione a nord, identica nella sua sanguinosità, da parte degli Hezbollah. Era programmato, ma non è avvenuto. Hamas è stato ricacciato dentro Gaza, dove ha poi subito decimazione e distruzione. E per Hezbollah, la scena è in pieno movimento, e non gli va bene: ieri, di nuovo con un’operazione di abilità e precisione classiche della tradizione dell’Israele pre7 di ottobre, l’IDF ha bombardato gli edifici che Hezbollah aveva trasformato in depositi di armi, le case che nascondevano i missili iraniani pronti al lancio, e prima ha chiesto alla popolazione di allontanarsi.

Adesso Nasrallah, che nel corso degli anni era stato dotato dall’Iran di centinaia di migliaia di missili, non può più contarci a pieno, e anche i lanciamissili sono stati distrutti sabato. E questo, dopo che i capi più importanti e stagionati come Ibrahim Aqil e oltre, erano stati eliminati venerdì, riuniti per disegnare la grande vendetta all’altra operazione stupefacente, quella dei cercapersone. Dall’inizio del grande esperimento dell’eliminazione di Israele lo Stato Ebraico dopo la sorpresa ha risposto con tutte le sue forze. Hezbollah all’inizio non ha bombardato anche il Golan, non è arrivato a Haifa, a Safed, a Naharya, voleva cacciare la popolazione israeliana, fare il deserto e preparare l’invasione: ha pagato con il prezzo delle sue armi e dei suoi uomini, e del disonore degli attacchi a sorpresa alle une e agli altri. Anche gli altri proxy iraniani, che avrebbero secondo le fantasie della “resistenza” stretto i ranghi per distruggere Israele, gli Houty, le milizie sciite in Iraq, non hanno che colpito sporadicamente. E l’Iran che il 13 di aprile ha addirittura sfoderato i gioielli della corona, i missili balistici, se li è visti respingere tutti da una coalizione cui hanno partecipato anche due l’Arabia Saudita e la Giordania.

Ieri un membro della Commissione per la sicurezza e la politica estera del Majlis, Ahmad Bakhshayesh Ardestani ha persino ipotizzato che il defunto presidente Ebraihim Raisi forse era stato sorpreso da una esplosione del suo beeper in elicottero; il corpo d’Elite della Guardie Rivoluzionarie ha ordinato a tutti i membri di non usare dispositivi di comunicazione. L’arma migliore del regime, Hezbollah, è rimasta senza leader, senza armi, e il suo ruolo di inutile incendiario nella società libanese ora risulta sempre più chiaro. Israele non ha deciso per una guerra in profondità. Vuole che Nasrallah ordini di cessare dagli attacchi al nord e i suoi cittadini possano tornare; è simile alla richiesta a Sinwar: restituisci tutti i rapiti e parliamo. L’ONU che si riunisce in queste ore, il suo tema, le guerre ormai tante, in corso. Intanto il giornale iraniano ufficiale, Jomhouri-e Eslami ha pubblicato questo avviso: “Nella corrente situazione, bisognerebbe considerare il passaggio a altri metodi nella guerra contro il regime sionista… non vuol dire fermarla, ma cambiare… ci sono elementi che provano a trascinare l’Iran in una guerra diretta col regime sionista, e portare gli USA al coinvolgimento nella guerra. Adesso l’Iran teme che Israele farà agli Hezbollah quello che ha fatto ad Hamas a Gaza e si perderà così un importante e potente braccio nell’asse dei proxy nel Medo Oriente e in tutto il mondo? Così sembra”. Si chiama deterrenza, e forse ricomincia a funzionare.

 

Israele, il passo implacabile contro i profeti del terrore

sabato 21 settembre 2024 Il Giornale 3 commenti

Il Giornale, 21 settembre 2024

Dopo la giornata dei beeper e il seguito dei walkietalkie, dopo la distruzione di cento rampe di lancio pronte per una parte dei missili che l’Iran ha fornito agli Hezbollah, ieri pomeriggio nel centro di Beirut è stato eliminato un capo terrorista ricercato da anni, Ibrahim Aqil. Di nuovo un colpo strategico fondamentale contro il maggiore proxy degli Ayatollah, un gruppo terrorista che ha trascinato il Libano in una guerra a fianco di Hamas di cui gli altri cittadini libanesi si rammaricano. Essi per primi sperano che questa situazione crei le condizioni per il tramonto di Nasrallah. Non così il resto del mondo. Per ora al nord, sul Golan, in Galilea, verso Tiberiade, le sirene non hanno smesso di chiamare i cittadini israeliani a correre nei rifugi. Ma i bombardamenti degli Hezbollah dal 7 di ottobre, quando Nasrallah intraprese dal Nord la guerra di attrizione a fianco di Hamas, sono un fatto normale, e per ora non cessa. Ma Nasrallah, durante il suo discorso di giovedì (niente bandiere sullo sfondo, tono incerto, rating gigantesco nell’attesa dell’annuncio, che non è venuto, della sua vendetta) ha solo confermato che non smetterà di combattere finché Hamas lo farà, che Israele semmai è il responsabile della guerra e ha confessato di non avere mai ricevuto un colpo così duro come mercoledì. E oggi un altro colpo nel cuore di Beirut: un’altra sonora umiliazione. È vero, i suoi missili partono ancora, i boschi bruciano, le case ebraiche del nord ancora sono deserti, due soldati sono stati uccisi Nael Fwarsy e Tomer Keren, ma solo domenica scorsa Netanyahu annunciò che fra gli obiettivi strategici, oltre alla sconfitta di Hamas c’era anche il ritorno a casa dei 65mila sfollati cacciati dalle loro case dalla ferocia degli Hezbollah.

Hezbollah solo per solidarietà coi peggiori assassini del secolo li ha aggrediti e cacciati via: donne, bambini, famiglie. Così, finalmente Israele mercoledì ha azionata una macchina di attacco inusitata, stupefacente, ad personam, con poche perdite civili rispetto all’obiettivo, i terroristi di Nasrallah. Un congegno super complesso, preparato con un lavoro di sicurezza e tecnologico da Netflix: dimostra che Israele è ancora sé stesso, e che dopo il fallimento del 7 ottobre ha ripreso la via dell’invenzione inaspettata per vincere i propri più terribili nemici. La spiegazione della lunga preparazione a fronte invece dell’ignoranza colpevole su Hamas, è legata probabilmente alla maggiore attenzione per il fronte iraniano. Grave errore. Adesso, lo scopo è chiaro: Israele vuole riportare la sua gente sfollata a casa, riprendere possesso del suo territorio, delle sue case, delle sue scuole; non ha nessun interesse al territorio libanese se non per quella parte che viene usata come rampa di lancio per i missili iraniani, pronti per il prossimo sterminio degli ebrei programmato dall’Iran da anni, e costruito con la sua schiera di proxy che non hanno niente a che fare l’uno con l’altro se non la passione estatica jihadista, il sogno di eliminare gli ebrei. Qui non valgono le leggende sull’occupazione, la sofferenza: è puro odio. Come quello dei missili lanciati da 2000 chilometri di distanza dagli Houty per capire quanto è folle l’aggressione antisemita. Eppure anche la semplice decisione di Israele di cercare di riportare a casa i suoi, al nord, è coperta di insulti, di disapprovazione, di timore dell’“escalation”. Ma l’escalation c’era già stata, quella che ha portato a fianco di Hamas l’Iran e i suoi. Mai condannata. Chi ha intimato agli Hezbollah di smettere di fiancheggiare Hamas? Nessuno.

L’Occidente biasima solo Israele, non ammira affatto, la brillante impresa dei beeper, non chiede di lasciar tornare a casa gli sfollati israeliani per por fine al conflitto. Che Blinken abbia insistito diverse volte sul fatto che “gli Stati Uniti non sapevano, non sono coinvolti…” e che si preoccupa per una “escalation” non stupisce. Israele è solo mentre l’Inghilterra laburista gli taglia le armi, mentre, su un altro proscenio, lo scontro con il terrorismo allarga il suo fronte anche nelle nostre città e l’ONU intanto vota una risoluzione che sembra scritta da Krusciov usando la politica delle maggioranze automatiche dell’ONU e nega a Israele il diritto alla difesa. Normale. Fa solo impressione anche che l’Italia si sia astenuta.

La paura dell’escalation e la richiesta di cessate il fuoco-regalo sono aiuti alle organizzazioni terroristiche; e gli Hezbollah sono fra le peggiori, un’organizzazione fascista, criminale, antisemita, che punta alla liquidazione di Israele, come Hamas. Israele però viene condannata perché cerca di difendersi pena la sua stessa vita. Se la logica con cui viene ideologicamente perseguitata fosse stata la stessa ai tempi della Seconda guerra mondiale, gli Stati Uniti di Roosevelt e Truman, come l’Inghilterra di Churchill sarebbero tutti stati condannati per crimini di guerra.    

 

Colpito e vulnerabile umiliato il partito di Dio. Nasrallah prende tempo

giovedì 19 settembre 2024 Il Giornale 0 commenti

Il Giornale, 19 settembre 2024

Mai, da quando nel 1981 Hezbollah con la sua nascita segnava il disastro innanzitutto della sua stessa patria, il Libano aveva conosciuto un evento così enorme nella sua stranissima accuratezza e abilità tecnologica, una vicenda strana e cinematografica, quasi incredibile. Negli anni gli Hezbollah oltre alla dominazione iraniana su un Paese che altrimenti avrebbe scelto una strada di pluralismo religioso, hanno portato a una dittatura delle armi travestita da democrazia, a esplosioni con molte centinaia di morti francesi, americani, israeliani, ad assassini giganteschi come quelli di Rafik Hariri, a incendi come quello devastante del porto di Beirut, 4 agosto 2020, 2750 chili di nitrato d’ammonio. Adesso l’evento di lunedì, l’esplosione contemporanea di tutti i beeper degli Hezbollah, ha ferito, sembra 4000 operativi e forse ha fatto 10 morti. Tutti erano parte dell’organizzazione più qualche amico intimo, come l’ambasciatore iraniano in Libano. Gli scoppi sono continuati ancora tutta la giornata e adesso, sembra da notizie di fonte saudita, investono membri della Guardia Rivoluzionaria in Siria.

I beeper e altri attrezzi per comunicazione sono esplosi non soltanto a Beirut. Dall’ONU naturalmente sulla scorta delle proteste libanesi e iraniane vengono parole di rammarico per i morti civili dell’attacco, ma una delle caratteristiche dell’attacco è proprio il fatto che, esso è stato compiuto ad personam, fra tutti quelli che a causa della loro affiliazione agli Hezbollah o ai loro rapporti stretti con l’organizzazione avevano un beeper, cioè gli alti o i medi gradi, tutti quelli che avevano una ragione di stare in contatto per i motivi militari tipici del gruppo. Le scene inenarrabili, sanguinose, larghissime, sono state subito oscurate sulle televisioni fra cui al Jazeera, che invece manda spesso in onda da Gaza o da Jenin scene molto esplicite di sangue. Qui, si è seguito l’ordine che è subito arrivato di mostrare il meno possibile per non favorire il nemico. Israele naturalmente non ha rivendicato l’attacco, e Blinken ha subito dichiarato che gli Stati Uniti non erano stati avvertiti e che comunque si oppongono a qualsiasi gesto che possa prefigurare l’aborrita escalation.

Adesso l’escalation sembra inevitabile, è stato un evento maggiore, si aspetta il discorso di Nasrallah per domani pomeriggio: la milizia terrorista ha perduto letteralmente le mani e gli occhi degli uomini addetti alle operazioni di guerra, ai suoi missili e droni. Una notizia di Axios racconta che il tempo prescelto è stato casuale, legato alla scoperta prematura da parte di un Hezbollah della trappola, con la sua conseguente eliminazione. E si sa, le scelte del Mossad, e questo è stato vero mille volte sono quelle di non perdere un’occasione importante se si può agire, anche se è problematico. Qui si trattava di un evento preparato da mesi, manomettendo i prodotti di una compagnia (sembra) di Taiwan che si dichiara completamente ignara, con una quantità di lavoro tecnologico, di spionaggio, di rapporti, di cyber ultramoderno. Hezbollah non è mai stato debole come adesso, Netanyahu due giorni fa ha dichiarato che fra gli obiettivi di guerra c’è quello di riportare a casa gli sfollati sotto le bombe, e nelle ultime ore è stata spostata a nord la grande unità 138 di paracadutisti e altri gruppi specializzati, uno spostamento notevole delle non infinite forze in campo. Questo mentre ancora Gaza resta problematica, come si vede dai quattro soldati uccisi ieri in azione a Rafah, fra cui il 23enne capitano Daniel Toaff, pronipote del fratello del famoso rabbino romano: per lui e per gli altri tre giovani, fra cui una ragazza, la prima soldatessa uccisa in guerra, tutta Israele piange, mentre si prepara forse un’altra guerra ancora più difficile di quella attuale.

Il rumore di altre esplosioni ha seguitato a punteggiare la giornata del nord di Israele e anche in Libano e a Beirut durante i funerali a Dahia, il quartiere degli Hezbollah. Per ora gli Hezbollah non si sbilanciano, aspettano il discorso di Nasrallah che avrà comunque molta difficoltà a curare la ferita intollerabile in lingua mediorientale: al momento è umiliato, battuto, sorpreso e stravolto, mentre una parte del suo Paese che vorrebbe liberarsi dalla dominazione degli hezbollah spera che arrivi quel giorno, ha persino distribuito baclawa per la strada. Alcuni ospedali cristiani non hanno voluto ricevere gli Hezbollah feriti.  Ma gli hezbollah sono abituati, a braccetto con l’Iran, a terrorizzare il Medio Oriente,85 a essere considerati più pericolosi di Hamas, ne va anche della concorrenza fra sciiti e sunniti. L’Iran è certo furioso anche con loro che si sono lasciati giocare. Israele, sempre secondo una logica mediorientale, dovrebbe sapere utilizzare questo momento per realizzare la sua necessità primaria di riconquistare il terreno del nord, Galilea, Golan, lago di Tiberiade, rubatogli, desertificato e bruciato, dagli attacchi che hanno accompagnato e sostenuto il 7 di ottobre. Gli restituirebbe forza anche rispetto alla sofferenza del 7 di ottobre.

Certo il gabinetto di guerra valuta l’ipotesi di agire adesso: la gente lo chiede, vuole tornare a casa. Ma gli americani, al solito, frenano, mentre Nasrallah ragiona sulla possibilità di compiere a sua volta un passo sorprendente.    

 

Lo strazio di Israele per i suoi ostaggi. Ma il salvacondotto a Sinwar non risolve

giovedì 12 settembre 2024 Il Giornale 0 commenti

Il Giornale, 12 settembre 2024

La ricerca delle soluzioni per salvare i rapiti tramite un corridoio speciale per Sinwar probabilmente suscita nel capo di Hamas una buona dose di ironia e di ottimo umore, anche se è davvero improbabile: secondo quanto riportato da Bloomberg, su un “passaggio sicuro”, con la sua famiglia a fianco, potrebbe lasciare la Striscia di Gaza mentre tutti gli ostaggi vengono liberati. Irrealistico, ma sintomatico che si parli di questa possibilità. Ma Sinwar vuole, restando da comandante a Gaza, riuscire a battere Israele costringendolo a uscire dal suo territorio a ogni costo. Quindi l’idea irrealistica riportata da Gal Hirsh, il responsabile del governo per i rapiti, dice solo che Israele è pronta a tutto per salvare gli ostaggi, i chatufim, la parola più usata in Israele su tutti i media. Ci si adopra per sfondare la diabolica trappola che dal primo giorno attanaglia Israele: in cambio di un’ipotesi fantasma, mai confermata, e anzi spesso negata da Hamas, si seguita a ripetere che Israele deve andare a un accordo; ma questa logica, che un largo pubblico dà per scontata e addossa al governo, è del tutto sconveniente per Sinwar, che appena fosse privo della sua corona di carne umana diventerebbe il generale di un esercito sconfitto ormai da tempo. Un bersaglio. Esiste, e anch’essa senza la promessa sicura di lasciare andare i rapiti, e senza sapere chi sono i vivi e chi gli uccisi, soltanto la richiesta di Hamas di una totale fuoriuscita di Israele, quella che in slang pacifista viene chiamato “cessate il fuoco”, ma potrebbe chiamarsi resa; ovvero l’idea che lasciandogli la Striscia di Gaza nelle mani con in più la consegna di un numero spropositato (cresciuto, sembra anche ieri) di prigionieri palestinesi “col sangue sulle mani” anche condannati a più ergastoli, Hamas accetterebbe intanto una prima fase in cui si consegnano i prigionieri detti “umanitari”.

Netanyahu, rispetto alla famosa questione dello “tzir Filadelfi” che secondo la leggenda corrente non cederebbe a nessun costo, ha invece già fatto sapere che dopo la buona soluzione della prima fase, potrebbe con accorgimenti e suddivisioni di responsabilità fra alleati, essere lasciata. Ma chi lo ascolta: in questi giorni il rimo Ministro è l’obiettivo numero uno della disperazione e della rabbia per i rapiti, strumentalizzata spesso dai nemici politici di Bibi. Il premier passa da una visita di parenti orbati all’altro, si piega agli attacchi personali e agli insulti più duri, pallido e affaticato, senza mai tuttavia abbandonare il punto che non può consegnare a Hamas dieci milioni di cittadini israeliani; viene ormai visto, e lui lo sa bene e lo accetta senza strepitare, come un crudele politicante preda dei suoi disegni di sopravvivenza.

I suoi accusatori a volte sembrano dimenticare che non è Netanyahu a tenere rinchiusi i rapiti, ma Sinwar; non è lui a ucciderli, né lui a torturarli, ma la mostruosa crudeltà dei terroristi. Hamas, come il suo documento strategico pubblicato su Bildt rivela, traccia la sua linea di vittoria nella spaccatura della società israeliana: le disperate grida di rabbia contro il Primo Ministro, rischiano di aiutare Hamas. La strada dell’incrudelimento, dell’assassinio, dei video e delle notizie terrificanti, paga. Israele si sta battendo su tutti i fronti, a Gaza dove ieri un incidente di elicottero ha ucciso tre soldati, come nell’West bank, dove si moltiplicano gli attentati. Un passante è stato investito da un grosso camion, un altro è stato ucciso a pugnalate, mentre al nord la popolazione cacciata di casa vuole che finalmente Israele cessi di temporeggiare e affronti gli hezbollah a fondo.

I soldati e i cittadini, che combattono, vivono una vita di resistenza quotidiana straordinaria, tengono in maggioranza per non cedere a Hamas; tuttavia vivono una situazione di scontro quotidiano: sono in molti a rovesciare sul Paese tutta la disperazione, tutto lo stupore di un popolo che ha sempre pensato la democrazia avesse da tempo collocato il male assoluto nel passato e invece è costretto a viverlo senza sosta di nuovo quasi da un anno, dal 7 di ottobre quando Hamas lo ha aggredito.

Adesso come era logico dopo il ritrovamento dei corpi di sei rapiti due giorni fa, la società è in preda una crisi di nervi, gridano nelle piazze e alla tv con le famiglie che chiedono di fare qualsiasi cosa per liberare i loro cari. Il portavoce dell’esercito Daniel Hagari si è calato nel buco orrendo in cui sono stati detenuti e poi ammazzati a colpi di fucile Hersh Goldberg Polin, Eden Yerushalmi, Carmel Gat, Ori Danino, Almog Sarusi, Alex Lobanov. Da là, sceso dalla bocca del tunnel posto in una stanza per bambini decorata con Mickey Mouse, è disceso nel ventre profondo della terra lungo tre lunghe scale a pioli, e poi ha trasmesso da un lungo corridoio senz’aria senza luce, in cui è impossibile stare eretti, con bottiglie di urina e un secchio per i bisogni, qualche bottiglia d’acqua per bere e lavarsi, la stessa acqua, un po' di cibo secco, panni da donna a terra, un corano, una scacchiera, armi e sangue, sangue dei sei giovani.

Hagari ha detto che i prigionieri era non ridotti a un peso minimale, sui trenta chili come un prigioniero ad Auschwitz e che dalle tracce ritrovate si può pensare che fossero stati tenuti prigionieri in quella galleria, senz’aria, senza luce, senza cibo. Da come sono stati ritrovati, Hagari ha detto che si poteva dedurre che da eroi hanno cercato negli ultimi momenti della loro vita di difendersi gli uni con gli altri. Erano sopravvissuti undici mesi oltre ogni immaginabile sofferenza, Adesso il seguito della vicenda oltre al proseguo della guerra dei soldati valorosi che a Khan Yunis hanno rischiato la vita per recuperare i corpi, è quella che senza veli mostra quanto Israele sia ancorata a un passato in cui il nemico era un fattore secondario, e lo sforzo per la pace e il benessere era destinato a vincere su tutto. Il sette ottobre ha insegnato una lezione che ancora non si è appresa del tutto. 

 

Informazione Corretta, il nuovo VIDEO di Fiamma Nirenstein: "Mai dimenticare chi è l'aggressore e il criminale in questa guerra: Hamas"

lunedì 9 settembre 2024 Generico 2 commenti

Mai dimenticare chi è l'aggressore e il criminale in questa guerra: Hamas


Video di Fiamma Nirenstein a cura di Giorgio Pavoncello in esclusiva per Informazione Corretta 

 

L'uccisione a sangue freddo di sei ostaggi israeliani da parte di Hamas ha lasciato tutti gli israeliani sconvolti. E il dolore spinge la gente in piazza, contro Netanyahu, per chiedere la liberazione di tutti gli ostaggi, costi quel che costi. Ma non bisogna mai dimenticare le responsabilità delle parti: Hamas è il criminale che prende ostaggi e li uccide, Netanyahu ha tutto l'interesse a liberare gli israeliani e sta agendo per conseguire questo obiettivo. 

 

 Clicca qui per vedere il video

La strategia della barbarie: Hamas vuole spaccare Israele

lunedì 2 settembre 2024 Il Giornale 0 commenti

Il Giornale, 02 settembre 2024

Fra quelle sei creature giovani e innocenti, di cui tutti qui conoscono i nomi e i volti uno a uno, Hersh Goldberg Polin era tuttavia il cuore di ciascuno, il più tenero fra i ragazzi assassinati da Hamas nella dimostrazione di ulteriore barbarie che segna la continuazione del 7 di ottobre a quasi un anno di distanza. Hersh era anche il ragazzo rapito al concerto Nova per cui genitori americani erano andati con immensa dignità a chiedere aiuto alla convenzione democratica di Biden e Harris. Nello scegliere chi uccidere, Hamas, come uno zombie che faccia anche politica, un mostro assetato di sangue che si aggira fra le sue vittime nel suo cimitero sotterraneo e sceglie le vittime, come Caron dimonio che avvolge la coda, ha cercato anche l’utilità maggiore, la strada pratica per ottenere quello che vuole. Hamas ha scelto le vittime più adatte, giovani e in parte già nell’eventuale lista umanitaria per un accordo che non è mai venuto, per spingere la gente d’Israele a infuriarsi contro Netanyahu, magari col supporto dell’amico americano che cerca il cessate il fuoco da tempo, e a potenziare la richiesta di accettare tutte le clausole di Hamas specie quella principe di uscire con tutte le truppe e per sempre dal suo regno Gaza, così da poter tornare a dominarla, a organizzarsi, a preparare il prossimo Sette di Ottobre.

Il meccanismo è chiaro: quanto più Hamas colpisce con crudeltà, tanto più il mondo israeliano spinge sui sensi di colpa di Netanyahu verso l’accettazione delle condizioni di Hamas. Sei giovani uccisi spingono in piazza migliaia di persone che biasimano la decisione del governo di non lasciare lo Tzir Philadeplhi, quel confine traforato di gallerie che portano dentro Israele armi e uomini per Hamas dall’Egitto, e che potrebbe persino far sparire verso lidi ignoti, per esempio l’Iran, i rapiti, come accadde con Ron Arad.  Hersh, il tenero ventitreenne californiano che in un video diffuso da Sinwar pregava di aiutarlo e biasimava Netanyahu, spezza il cuore e il popolo di Israele. Le parole del primo ministro che si è scusato con le famiglie, che ha detto di sentirsi personalmente responsabile per future trattative, sono un successo politico di Hamas, come il fatto che il Ministro della Difesa Gallant abbia richiesto al governo di ritornare sulla sua decisione di non lasciare il confine con l’Egitto. Ma davvero, se poi Bibi cedesse tutto, Sinwar sarebbe pronto a cedere la collana di ostaggi che si tiene sempre intorno come scudi umani? Hamas da tempo non da nessun segnale di voler trattare. L’interlocutore è uno zombie dominato dalla determinazione di uccidere e distruggere, che schiocca le dita per uccidere ancora e ancora, stavolta sei giovani innocenti. Ma la maggioranza di Israele lo sa bene, e anche fra le lacrime ne tiene conto.   

 

«Colpire per primi». La lezione di Bibi: mai più in letargo come il 7 ottobre

lunedì 26 agosto 2024 Il Giornale 1 commento

Il Giornale, 26 agosto 2024

Dov’è l’aviazione? Questa fu la tragica domanda che ieri non si è dovuta ripetere: chi ricorda minuto per minuto, come la cronista, il 7 di ottobre, non può dimenticare che dall’attimo in cui i missili di Hamas cominciarono ad avventarsi in misura molto superiore al solito sul sud di Israele, lo sguardo disperato di tutti, mentre crescevano le notizie di morte, rimase puntato verso il cielo in attesa dei caccia israeliani. Si aspettava che stanassero, che distruggessero finalmente i lanciamissili, che bombardassero le migliaia di invasori e le loro retrovie e coprissero l’ingresso dell’esercito. Non accadde. La desolazione del cielo silente contro il rimbombo dei missili di Hamas fu lo sfondo della rovina.

Stavolta, invece, Israele ha levato in volo i suoi caccia, in numero elevato, impressionante, si dice cento, prima del disastro, in un’azione preventiva. Alle cinque Israele si è svegliata con quel continuo ronzare nel cielo. Già il 14 di aprile di fronte all’attacco iraniano i missili di Teheran erano stati bloccati oltre che da “Kipat Barzel”, dagli F35; il 19 luglio all’attacco dei Houty si è risposto levando in volo gli aerei che ne hanno bombardato Hodeida a 1800 chilometri di distanza. Due risposte agli attacchi nemici, un risveglio evidente dal letargo mortale del 7 ottobre. Ma stavolta Israele ha fatto di meglio, l’attacco è stato preventivo, ed è seguito a una formidabile quantità di informazioni del Mossad: dove erano i missili (3000, mai alzatisi in volo), quando avrebbero sparato, cosa intendevano colpire, tutto da dentro le mura di Nasrallah e la sua operazione di vendetta per il suo capo di stato maggiore, Fuad Shukra, un fratello per lui.

Forse solo ieri Nasrallah, che com’era ovvio ha vantato la riuscita della sua operazione fallita, si è reso conto accorto di quanto gli serviva davvero quel suo vice esperto di armi, di terrorismo ben mirato, di strategia per distruggere Israele, il capo della tortura post 7 ottobre contro il Nord di Israele. Netanyahu ha bloccato la vendetta e il duplice obiettivo principe di Hezbollah nella guerra continua a fianco di Hamas: il centro di Tel Aviv, addirittura al sancta sanctorum della guerra, la Kirya, la bocca del sotterraneo in cui in guerra si riunisce il gabinetto di Netanyahu; e, si dice, la base del Mossad di Glilot. Niente di tutto questo è stato realizzato: Israele invece di lasciarsi attaccare e poi rispondere, come ha fatto fino ad ora, ha innovato e quindi attaccato.

Niente più 7 di ottobre, che i nemici smettano di sognare la sorpresa che può avviare la distruzione dello Stato Ebraico: questo è il messaggio. Non si tratta di una mossa strategica definitiva, Netanyahu mentre ha deciso di muoversi con baldanzosità e decisione, proprio come nella vicenda di Rafah ha fatto solo quello che era indispensabile, senza dimenticare che giorno dopo giorno dai Boeing 744 seguitano a venir scaricati equipaggiamenti e armi indispensabili, e che in Florida nel comitato centrale del Centcom egli siede con gli USA, ma anche col Kuwait e i Sauditi. “Non è la fine del capitolo” ha detto però Netanyahu. Sa che la calma è momentanea, e che non è certo pace quella di un nord tutto sgombro dai suoi cittadini, con città come Kiriat Shmona e i kibbutz vuoti; i bambini non andranno a scuola il primo di settembre, le famiglie sono sparse per gli alberghi di tutta Israele non hanno più casa ne lavoro.

Ma Israele fa i conti con il problema di tutti i problemi, quello che affronta ancora combattendo da dieci mesi a Gaza mentre Sinwar preferisce la distruzione definitiva alla restituzione dei rapiti: l’odio, l’antisemitismo con radici religiose che è diventato l’ordine dell’Iran ai suoi di distruggere comunque Israele, e di attaccare l’Occidente. In qualsiasi situazione, che sia o non sia conveniente. L’Iran cova il suo progetto di bomba atomica e profitta della protezione russa e cinese, lo Yemen si prepara, Nasrallah li ha chiamati a agire quanto prima: ma la grande coalizione inventata da Qassem Soleimani adesso almeno sa che gli aerei di Israele si alzano in volo, e che Netanyahu darà l’ordine.     

 

Attacco antisemita di sinistra pericoloso per tutti

sabato 24 agosto 2024 Il Giornale 3 commenti

Il Giornale, 24 agosto 2024

È un lavorone la lista che il Nuovo Partito Comunista ha preparato per indicare come obiettivi da colpire gli “agenti sionisti”, le “retrovie di cui gode nei Paesi imperialisti l’entità sionista”. Un gruppo di giovani violenti e antisemiti deve aver lavorato sodo per preparare le liste, e un nostalgico bolscevico sbiancato dalla lunga camminata attraverso i fallimenti e le nefandezze della sinistra estrema ha messo insieme i dati inzuppandoli di frasi ridicole, e obsolete. Il documento è lungo e suddiviso in capitoli molto specifici, c’è una specie di confusione intenzionale per cui i nomi indicati sono mescolati con altri di personaggi e istituzioni che non si sono particolarmente esposti sul tema, e invece manca poi palesemente qualche nome in vista… è una tecnica in stile sovietico, si cerca di complicare le cose in modo che la difesa si frastagli.

Ma attenzione, sotto c’è una determinata e specifica intenzione violenta che cerca di intimidire mentre chiama a colpire la sua vasta schiera di antisemiti consapevoli o ignari, ideologici, etnici, religiosi, politici; ci si appella ai movimenti che insozzano le università, le scuole, i luoghi della cultura con settimane dell’apartheid o del genocidio, con bugie insolenti, ripetute, ossessive su Israele, gli ebrei e chi gli è amico. Si chiama il pubblico tv agli stereotipi bugiardi dei dibattiti (cifre sballate, genocidio, apartheid…), a dimenticare gli orrori del 7 ottobre. Il linguaggio è da Minculpop e BR, la sua pretesa fredda oggettività è ubriaca e isterica, si radica nella storia nazicomunista che ha fatto degli ebrei un difetto dell’umanità, e che oggi ha una sponda decisa in Iran e nel mondo islamico che qui viene chiamato sottotraccia a raccolta; evoca una storia che passa per i campi di sterminio, arriva ai gulag, si avventa sugli ebrei di nuovo col 7 di ottobre, e sempre si ammanta di qualche causa che coinvolge i poveri, gli sfruttati. Coinvolge concetti come nazione e identità, ne ricava l’infamia degli ebrei e quindi la necessità di sterminarli.

Perché la sinistra non reagisce duramente rifiutando ogni paternità storica dell’appello antisemita travestito da filopalestinese? Stalin sin dall’inizio della sua carriera spiegava che gli ebrei, anzi, i sionisti, non potevano esistere nell’Unione Sovietica che si fondava su unità storica e di popolo, e che erano uno strumento dell’imperialismo internazionale: così, ne deportò e ne uccise un paio di milioni finché nel 1953 per fortuna morì alla vigilia dello sterminio per la “congiura dei medici ebrei”. La terminologia del documento è questo: piana, chiara, parte dall’appoggio alla resistenza palestinese, dalla “Festa della Riscossa Popolare” fino allo sviluppo della lotta contro il sistema politico delle “larghe intese”. Attacca cioè la democrazia, e la vede come bastione della cospirazione sionista nel mondo. E quanto più sembra idiota, tanto più è pericolosa, proprio come i documenti delle Brigate Rosse.

La “colonizzazione sionista” per loro sta invadendo il mondo: una schiera di attori della società democratica sono elencati come agenti segreti, e ci si può sentire sinceramente onorati di farne parte. Ma attenzione: questa gente è armata, e il ministro Piantedosi ha dato lodevoli segni di sapere che “organismi e agenti sionisti in Italia” sono davvero minacciati. Esiste oggi una massa incontrollata che crede nella violenza, ormai negli USA è costume fisso la distruzione e l’attacco armato, è questa la nuova storia dell’antisemitismo. La criminalizzazione di Israele si è disseminata nel mondo intero, ed è in gran parte responsabilità delle istituzioni come l’ONU che avrebbero dovuto essere il guardiano dei diritti umani.

Forse il documento dei neocomunisti dice alla rovescia una grande verità, cioè il suo uso è ormai la bandiera della guerra woke contro la cultura democratica, dunque contro i diritti umani. Dalle Nazioni Unite, all’Unione Europea, alle ONG più varie, l’antisemitismo della criminalizzazione e della delegittimazione di Israele, ha aggredito con Israele la libertà di parola, di religione, di sessualità, difendendo invece società dove le donne, i bambini, i gay sono condannati alla schiavitù e alla morte. Parole come genocidio non valgono all’ONU per lo Yemen, per il Sudan, per la Siria, occupazione non funziona per la Turchia o l Russia, la Cina… Il significato del 7 ottobre, i bruciati, i decapitati, è cancellato. Resta l’antisemitismo, l’odio più antico, rispolverato da una miserabile congrega di neocomunisti, che spiega con le minacce agli ebrei e agli amici degli ebrei quanto la vita di Israele sia essenziale per tutti.   

 

Il gioco letale delle pretese degli ayatollah

mercoledì 14 agosto 2024 Il Giornale 0 commenti

Il Giornale, 14 agosto 2024

È veramente una bella cosa che l’Iran abbia fatto sapere che è pronta a mandare dei suoi inviati ai colloqui di Doha (o del Cairo) di domani sulla liberazione dei rapiti. Che carini, che interesse umanitario senza confini. E soprattutto che abbia comunicato che nel caso si arrivi a quello che viene chiamato “un accordo” cioè a un cessate il fuoco, cioè alla capitolazione di Israele di fronte a tutte le richieste che consentano la sopravvivenza di Hamas, allora potrebbe anche decidere di non attaccare Israele. Oppure rimandare. Cosa c’entra? È proprio qui il punto: c’entra sin dal 7 di ottobre. Se c’era bisogno di una prova di quanto Hamas sia un dipendente prezzolato degli Ayatollah, ecco che qui essi dimostrano di volere gestire tutta la commedia, dal primo giorno alla caduta del sipario. Naturalmente sulla loro vittoria. Hamas fa i suoi giuochi pesanti anche in queste ore: ha detto che i colloqui non gli interessano, eppure lascia uno spiraglio; mette in bilico ma vellica l’ultima grande speranza degli Stati Uniti di portare a casa almeno la liberazione di almeno una parte dei rapiti con la pacificazione della Striscia.

Così strano che non importi a Biden che il prezzo è il perpetuarsi della Nukba, il trionfo della rete del male iraniana. Adesso dunque con le sue improvvise uscite, mentre tutto il mondo aspetta i suoi missili su Israele e le navi da guerra americane muovono verso il fronte di guerra, l’Iran prende tutte le carte in mano, diventa il joker appropriandosi della vicenda dei rapiti. E mostra in che cosa consiste il giuoco veramente: cioè fa capire agli USA che se obbligano Israele a firmare la propria sconfitta, non trascinerà il fronte democratico, Biden e la Kamala Harris in una guerra grande, lunga, che metta in giuoco il futuro politico americano. Ma se Hamas vince col sostegno iraniano, completa un disegno in cui con il 7 ottobre ha ucciso e ferito migliaia di israeliani, creato profughi a centinaia di migliaia, distrutto terra e case.

Adesso alla guerra psicologica della minaccia e al continuo invito americano all’appeasement, alla richiesta di non agire in base al principio di autodifesa, di ritorno alla sicurezza dei suoi cittadini, si unisce il salto a piè pari di Iran nel giuoco: dai ad Hamas quel che chiede, o ti copro di missili. Mai è stato così evidente che quando Netanyahu afferma il punto indispensabile di una trattativa ragionevole e non disfattista che consenta la disfatta di Hamas difende non solo Israele, ma tutto il mondo dalla minaccia terrorista globale iraniana. Il resto è sconfitta. La proposta dell’Iran è in realtà un’ennesima minaccia di distruzione totale di Israele e oltre. 

 

Massima allerta in Israele nella ricorrenza simbolica. La distruzione del Tempio

martedì 13 agosto 2024 Il Giornale 0 commenti

Il Giornale, 13 agosto 2024

Come è silenziosa e tranquilla la giornata di massima allerta di Gerusalemme, su Tel Aviv… il sud vicino a Gaza è chiuso, al nord l’esercito in allerta estrema; il Fronte Interno non dice una parola di più, si sa già cosa fare in caso di attacco, ma i religiosi che cominciano il digiuno con cui per Tisha be Av, il 9 di Av, quando il grande Tempio fu distrutto dagli antichi romani, mettono la radio (che non si tocca durante certe feste religiose) su un canale di allarme predisposto, sempre acceso. Il simbolo, come si deve in Medioriente, prende il sopravvento sugli avvertimenti e sulla logica, sul “don’t” di Biden che rinnova all’Iran e agli Hezbollah la minaccia: è troppo mistica e estatica la loro ispirazione politica e religiosa, l’idea di riempire il cielo di Israele di messaggeri di morte nelle stesse ore in cui una distruzione storica fece crollare la meraviglia della civiltà bimillenaria della Bibbia e del re David. Una vendetta da non perdere, che susciti il desiderio del Mahdi di venire su questa Terra. Per Israele è di nuovo tempo di distruzione, lo ripete da giorni l’Ayatollah Khamenei che non valuta niente la polemica interna di Masoud Pezeshkian che suggerisce invece di colpire i traditori in Azerbaijan e in Kurdistan. Khamenei prima di morire deve lavare l’onta dell’ospite, Ismail Haniyeh, ucciso a casa sua. Lo vogliono le Guardie della Rivoluzione, il suo bastone di conquista e il nemico del popolo iraniano stesso che soffre sotto il suo giogo.

Tre fatti principali segnalano la tempesta all’orizzonte, mentre Netanyahu e Gallant ripetono frasi d’incoraggiamento ma sfogano il nervosismo attaccandosi a vicenda nel momento meno adatto: il Pentagono annuncia che è pronta la USS Georgia, un sottomarino caricato a missili balistici, mentre la grande portaerei Lincoln ha mosso i motori avanti tutta, e si unisce alla Theodore Roosevelt, con dodici altri navi americane da guerra. “Don’t”. Ma dopo giorni di segnali incerti la possibilità che le sirene suonino è realistica: Tomer Bar, il capo dell’aviazione, ha sospeso ogni viaggio all’estero dei suoi piloti, insieme ai magnifici sistemi di difesa gli aerei da combattimento sono la più utile risorsa. La guerra prossima ventura guarda in aria: e forse, e qui è il terzo avvertimento, guarda in su anche Hamas, che ha dichiarato che non parteciperà alla trattativa di giovedì per i rapiti. Potrebbe essere un via libera ai suoi alleati Iran e Hezbollah, che avevano dichiarato che avrebbero agito, ma con attenzione, senza distruggere la possibilità che dalle decisioni di America, Egitto, Qatar e Israel sui rapiti derivasse, con un accordo, il cessate il fuoco definitivo a Gaza. Può darsi che adesso Hamas col suo gesto segnali che col suo distacco dall’ipotesi di una pacificazione come quella proposta da Biden i suoi alleati sono liberi di agire a modo loro.

Gallant ripete in queste ore la promessa di restituire pan per focaccia a chi attaccasse, ma anche che siamo di fronte a una guerra molto diversa dal solito, sia nelle dimensioni che per il modo stesso in cui può essere combattuta: “I nemici ci minacciano in un modo che non ha precedenti; chiunque metta in atto queste minacce può aspettarsi da noi una risposta diversa da quelle precedenti”. Israele dal 30 luglio quando a Beirut è stato ucciso Fuad Shukr e poi Haniyeh a Teheran, avrebbe potuto attuare un attacco preventivo, per salvare la popolazione dal bombardamento che si prevede: ma i lacci internazionali legano il Paese e comunque Israele conta sulla difesa ermetica del suo cielo. Esso è 88 volte più piccolo di quello Iraniano, indifendibile; inoltre, l’aviazione israeliana non ha rivali, tantomeno in quella iraniana. Israele può anche contare sulla vasta alleanza (12 Paesi occidentali e arabi): le continue riunioni con Lloyd Austin e il Centcom superano gli screzi con l’amministrazione americana, che non sono spariti ma che sembrano poca cosa di fronte alle prossime ore.

La grande storia mette da parte ogni cosa di fronte alla possibile aggressione distruttiva del fronte islamista e autoritario. Anche la dovesse compiere per primo Nasrallah, adesso che a Beirut è stato evacuato il suo quartiere, Dahya, e all’aeroporto di Beirut si affolla la gente in fuga, saranno le armi dell’Iran, con dietro la Russia e la Cina, a disegnare una grande guerra. Quella dell’odio antioccidentale, col suo tipico nocciolo antisemita.

 

 

 

Per offrirti un servizio migliore fiammanirenstein.com utilizza cookies. Continuando la navigazione nel sito autorizzi l'uso dei cookies.