Fiamma Nirenstein Blog

La guerra antisemita contro l'Occidente

7 ottobre 2023 Israele brucia

Jewish Lives Matter

Informazione Corretta, il nuovo video di Fiamma Nirenstein

Museo del popolo ebraico

VIDEO La storia di Ron Arad

lunedì 11 ottobre 2021 Generico 0 commenti
 
 
La scomparsa del giovane soldato israeliano Ron Arad (nella foto) 35 anni fa in Libano è una ferita ancora aperta di cui ha parlato ancora recentemente il Premier Naftali Bennett. Fiamma Nirenstein racconta la sua storia in esclusiva per Informazione Corretta
 
 
Ecco il video:

 

"Jewish Lives Matter" il mio nuovo libro

giovedì 7 ottobre 2021 Generico 0 commenti
 

Potrebbe essere un'immagine raffigurante Fiamma Nirenstein, libro e il seguente testo

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Miei cari,

esce oggi "Jewish Lives Matter. Diritti umani e antisemitismo", pubblicato da Giuntina. Spero che questo mio nuovo libro riesca a interrompere la catena di pregiudizi che oggi corrompe il pensiero divenuto la religione del nostro tempo, quello che pone al centro i diritti umani. Il biasimo, di fatto antisemita, dello Stato d’Israele trasformato nel discorso pubblico in Stato di apartheid,colonialista, imperialista, persecutore di minoranze, non ha nulla a che vedere con i diritti umani, al contrario interrompe il circolo del pensiero democratico e lo travolge come ha sempre fatto ogni movimento antisemita, mettendo a rischio tutti.

Questi attacchi non sono certo un esempio di “legittima critica”, che invece ci piace sempre, e nel libro spiego perché. Chi mi legge sa che sono tanti anni che rifletto sulla persecuzione ideologica degli ebrei e dello Stato degli Ebrei, ma adesso, dopo la miniguerra con Gaza, ho dovuto scrivere di getto questo libro, e rispondere anche a dei miei tormenti interiori, che immagino siano anche i vostri: perché l’antisemitismo si è annidato nel pensiero “intersezionale”?

E che cosa dobbiamo fare contro questo guaio, che capita proprio a noi, persone sempre impegnate per i diritti e la democrazia?

Lo trovate in libreria e qui: 

 

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Il Medio Oriente visto da Gerusalemme

venerdì 1 ottobre 2021 Generico 0 commenti
Cari amici,
 
cliccando qui potrete riascoltare e leggere la trascrizione della rubrica di questa settimana Il Medio Oriente visto da Gerusalemme condotta da Giovanna Reanda

Firenze: cerimonia d’intitolazione Giardino Borgo Allegri ad Alberto Nirenstein e a Wanda Lattes

lunedì 20 settembre 2021 Video 0 commenti

Lungo il novecento di Wanda e Alberto

sabato 18 settembre 2021 Generico 0 commenti

Corriere Fiorentino, 18 settembre 2021

di Franco Camarlinghi

Una coppia che rispecchia in maniera esemplare il secolo scorso Il giardino di Wanda e Alberto Vissero la Storia che lascia il segno, quella della ferocia nazista, e toccò loro fare i conti anche con il comunismo, come se non fosse bastato quello che avevano passato fino ad allora Lungo il Novecento Le tragedie del popolo ebraico, la lotta per la libertà, la separazione forzata. Poi un tempo diverso, protagonisti a Firenze di Franco CamartInghl Ifiorentini sono dei criticoni per carattere. Soprattutto quelli, quasi tutti, che non hanno un grande avvenire dietro le spalle (come definì il suo passato Vittorio Gassman): quando invecchiano si lamentano in particolare della loro città e delle delusioni che ha dato loro. Anche il sottoscritto fa parte della categoria di quelli che il grande avvenire alle spalle se lo sognano e che, se capita, non si risparmiano nell'esercitare il mestiere della critica alla Firenze attuale e a quella di un tempo trascorso. Questi giorni, però, inducono a un po' di ottimismo: si tratta della memoria di Alberto Nirenstein e di Wanda Lattes, ai quali viene dedicato un giardino, un angolo prezioso della vecchia Firenze a due passi da Santa Croce: uniti prima nella vita e ora nel ricordo. Le vite di Wanda e Alberto rispecchiano in maniera esemplare il secolo scorso, le aspirazioni, le conquiste di vita e di cultura, ma in primo luogo le tragedie a cui l'Europa fu sottoposta con innanzi a ogni altra quella del popolo ebraico, dell'Olocausto. Wanda, fiorentina di nascita, visse il destino terribile delle famiglie ebraiche distrutte dalla ferocia nazista, ma non si arrese mai e giovanissima combatté nella resistenza fiorentina contro l'occupazione tedesca e la ferocia fascista. Alberto era riuscito appena in tempo, prima dell'invasione della Polonia da parte di Hitler, a rientrare in Palestina dove era emigrato. La sua famiglia rimasta in Polonia fu distrutta e lui venne, con la Brigata ebraica, a combattere per la nostra libertà: a Firenze incontrò Wanda e a Firenze rimase, divenendone poi un cittadino illustre. Di storia, di quella che lascia il segno, Alberto e Wanda ne avevano vissuto e fatta abbastanza già alla fine della guerra e partecipavano alla ricostruzione dell'Italia e dell'Europa.

Costruivano una grande famiglia che, alla fine, con le tre loro figlie sarebbe stata-come una mano con le sue cinque dita (è il titolo di un bellissimo libro che tutti insieme scrissero qualche anno fa): ma la storia non si fermò. Alla fine degli anni '40 Alberto tornò a Varsavia per recuperare i documenti che un gruppo di intellettuali e altri cittadini rinchiusi nel ghetto di Varsavia avevano raccolto e poi nascosto sotto le macerie e che raccontavano la vita quotidiana di 450.000 ebrei, di cui sopravvissero solo poche diecine.

Doveva restare pochi giorni e rientrare a Firenze: tornò dopo quattro anni e la sua famiglia non seppe niente di lui in tutto quel tempo. Così, tanto per ricordare ai più giovani che cosa è stato il mondo non molto tempo fa: ad Alberto, a Wanda tocco fare i conti anche con il comunismo, come se non gli fosse bastato quello che avevano vissuto fino ad allora. Poi, finalmente, venne un tempo diverso, quello di diventare protagonisti della vita culturale e sociale di Firenze. Conobbi la famiglia Nirenstein alla fine degli anni '6o, in ogni senso una famiglia che dava l'idea di essere speciale e infatti lo era e tale appariva a tutti quelli che avevano la fortuna di frequentarla. Wanda era la giornalista più nota della città e anche se a quel tempo molti di noi giovani di sinistra eravamo avversi alla Nazione, giudicavamo l'importanza di un avvenimento dalla sua presenza o assenza. Aveva fatto una grande *** scuola di giornalismo soprattutto con Romano Bilenchi al Nuovo Corriere e per lei il suo mestiere era una missione, come si sarebbe visto poi con la collaborazione al Corriere della Sera. II modo veramente speciale con cui partecipò alla fondazione e alla crescita del Corriere Fiorentino, dimostrano che quella missione lei la vedeva in particolare legata a Firenze, alla sua storia artistica e culturale, a quello che ancora, in età avanzata, poteva fare per la sua città. Di Alberto sapevamo meno, ma una cosa sapevamo e sarebbe bastato quello a riconoscerlo come cittadino illustre della città dove era arrivato in armi e in cui era restato come intellettuale e scrittore in stretto e quotidiano rapporto con Israele. Alberto era riuscito a trovare e a poter lavorare sui documenti del ghetto di Varsavia: gli erano costati quattro anni nella Polonia stalinista, ma Einaudi nel 1958 pubblicò Ricorda cosa ti ha fatto Amalek, un libro che ancora oggi non dovrebbe mancare in ogni casa dove si voglia capire il passato per vivere nel presente. Amalek, feroce persecutore degli ebrei in fuga dall'Egitto, gliene aveva fatte abbastanza anche ad Alberto e a Wanda, ma infine dette il titolo ad un volume che si ristampa ancora oggi. Torno indietro nei decenni di consuetudine con l'ultimo piano di via Cocchi 45 e mi rendo conto di quanto significativa era l'atmosfera che si respirava in quella casa. C'era la dedizione alle questioni che riguardavano Firenze da parte di Wanda che non avevano mai, però, quel sapore di provincialismo e di retorica che opprime ancora oggi Firenze. Alberto rappresentava come pochi altri un'apertura verso una vicenda europea che pochi altri popoli come gli ebrei polacchi possono far capire; rappresentava poi un legame con Israele e con la tradizione socialista di quel paese così centrale negli equilibri del mondo. Insomma, entrare in via Cocchi significava abbandonare il conformismo fiorentino, ritrovare la radice cosmopolita di Firenze, capire la ricchezza culturale dell'ebraismo, imparare ad amare Israele.

Tutto questo era del resto visibile nella vita sociale che Wanda sapeva organizzare in maniera semplice ed elegante Cerimonia • Lunedl 20 settembre alle 1111 Comune dl Firenze intitolerà il Giardino dl Borgo Allegri a Wanda Lattes (1922-2018), partigiana combattente, una delle prime giomallste della storia italiana, sempre in prima fila nella difesa della cultura e Alberto Nirenstein (1916-2007), tra i primissimi storici della Shoah. .Presenti: il sindaco Dario Nardella, le figlie Fiamma, Susanna e Simona insieme ai nipoti; Ernesto Galli della Loggia, Daniel Vogelmann in rappresentanza della Comunità Ebraica Fiorentina, Paolo Ermini, Franco Camarlinghi e Maurizio Degl'Innocenti, presidente della Fondazione Turati dove sono state depositate le carte LattesNirenstein con la corrispondenza dei primi anni 50 nella sua casa: il meglio della cultura fiorentina e non solo si riuniva nel suo soggiorno e non per passare il tempo e basta. Non sarebbe possibile far intendere le cose dette se non si parlasse di ciò che inoltre faceva così ricca di intelligenza e di fascino la famiglia di Wanda e Alberto- Fiamma, Susanna e Simona che tutte, del resto, hanno continuato e continuano a essere, come i loro genitori, colte, influenti, internazionali e alla fine ancora fiorentine. Conviene concludere questo ricordo con la scelta felice del Comune di Firenze di dedicare ad Alberto e a Wanda il giardino di Borgo Allegri, perché si tratta di un luogo che meglio di tanti altri può rappresentare un omaggio di popolo a due persone che lo meritano per tanti motivi oltre quelli che ho cercato di descrivere. Per chi è nato e vissuto da quelle parti, ma anche per Wanda e Alberto che amavano quella parte di Firenze, «Borgallegri» era la via più popolare di Santa Croce ed è bello pensare che uno spazio di quella via carica di storia, i fiorentini l'abbiano dedicato a due loro concittadini ebrei che la storia l'hanno vissuta e fatta.

La sinistra cieca con i terroristi

domenica 12 settembre 2021 Il Giornale 1 commento
Il Giornale, 12 settembre 2021
 
Forse Massimo D'Alema ignora che la lista dei terroristi del Consiglio di Sicurezza dell'ONU  mette il testa il Primo ministro talebano Mohammed Hassan Ahud  e poi molti altri dei suoi: l'ex primo ministro ed ex ministro degli esteri italiano  schivando questo dato di fatto elimina l'ONU, che pure dovrebbe essere un suo punto di riferimento e fa dei Talebani nella sua intervista a "Domani" un'organizzazione fondamentalista, con cui si può, anzi, si deve trattare. E' un punto di vista costruito sulla presuntuosa illusione etnocentrica, che anche il jihadismo islamico dichiarato si possa dribblare con la scelta tutta occidentale dell'appeasement praticata senza successo sin dall'inizio del 20esimo secolo dopo le carneficine della prima guerra mondiale, e poi nutrito nei decenni dall'orrore post Seconda Guerra Mondiale, e fomentato dalla Guerra Fredda. E' molto pericoloso adottare l'idea tipica di questo modo di pensare del primato pacifista, pensare che l'aiuto economico possa tarpare la guerra, che la legge internazionale sia l'antidoto al genocidio e che la negoziazione crei un "processo di pace". 
 
Nasconde la paura di mostrarsi islamofobi, e D'Alema in modo tipico cancella la verità che mentre non tutto il mondo musulmano combatte per il califfato, pure questa idea è radicata nei testi religiosi e nella scelta di realizzare la Sharia. La scelta bellicosa dei Talebani, di Hamas, degli Hezbollah e dell'Iran che li nutre, e non solo dell'ISIS e di Al Qaeda. D'Alema, che ritiene che anche Hezbollah e Hamas non facciano parte della compagine terrorista, crede che anche questi gruppi di assassini seriali di civili siano malleabili,e questa è una cieca perversione come in quella di rimpiangere che la Fratellanza Musulmana non sieda alla guida dell'Egitto. E' nella forza della Jihad stesa e non nei tentativi a volte goffi e sbagliati dell'Occidente di tamponarla che risiede il rischio per tutti noi, qui la battaglia contro la sofferenza inferta alla nostra civiltà dal terrorismo. D'Alema ha fornito un mattone alla cultura islamista per cui il debole nemico in fuga, soffre anche di una crisi confusionale e sarà sconfitto.
 
Diceva lo storico Walter Laqueur che decenni di discussione sul terrorismo non hanno condotto a una definizione valida per tutti. È vero: il tuo terrorista può essere il mio freedom fighter. È un senso di perdita e di incertezza quello che si ricava dalla lettura dell'intervista. L'intervista è pervasa da un senso di colpa per cui è la nostra incapacità di pacificazione che crea il rischio. Non è così: il rischio consiste nell'utopia post moderna di poter giocare al "negoziato" con una cultura che legge il rapporto con noi solo in termini di vittoria o sconfitta, forza e debolezza.
 

Israele, la «serra» dei terroristi suicidi che l'Occidente non ha voluto vedere E la lezione più vera: la jihad non tratta

sabato 11 settembre 2021 Il Giornale 0 commenti

Il Giornale, 11 settembre 2021

Nel settembre del 2001, mentre gli jihadisti di al Qaeda sequestravano gli aerei dell'American Airlines e dell'United Airlines che alle 7,59 dell'11 di settembre avrebbero dato fuoco al mondo sfracellando le Twin Towers, Israele era già in un bagno di sangue terrorista. Nessuno voleva elaborare la questione, pallide spiegazioni territoriali fornivano facili parametri al pensiero strategico occidentale.  A Gilo, dove io vivevo e lavoravo, le giornate erano ritmate dagli scoppi dei missili che l'Intifada sparava da Betlemme su Gerusalemme. Intorno alla mezzanotte dell'11, due poliziotti furono uccisi a colpi di pistola in faccia; nei due giorni precedenti una decina di civili di ogni genere e età, da uno studente di 19 anni, a una maestra d'asilo di 24 anni a un medico di 47, più un centinaio di feriti, si unirono al parterre di vittime che avrebbero raggiunto il numero di circa 1500, più o meno la metà delle vittime delle Twin Towers.

Israele fu una sorta di serra sperimentale del terrorismo suicida: questo rimase incompreso, mal interpretato e quindi ignorato dall'Occidente, e oggi, dopo il penoso e stravolto ritiro americano dall'Afghanistan, è ancora più evidente che questo rifiuto a capire sopravvive come un pericoloso fantasma. L'equivoco sul terrorismo anti-israeliano potrebbe risultare mortale per il mondo intero.

L'undici di settembre si compì a seguito dell'incomprensione e nella disattenzione del mondo per tutta una serie di evidenti episodi che ne segnavano la preparazione, sia in Medio Oriente che in Europa che negli USA; i suoi frutti e il suo seguito fino alla presa del potere dell'Afghanistan da parte dei talebani seguitano ad essere coperti dalla patina dell'equivoco.  Appare davvero strano, ma è vero: dopo l'11 di settembre, si discusse dicendo anche che era colpa degli americani; che era possibile parlare coi terroristi; che le loro aspirazioni religiose e sociali sono trattabili, la loro visione della donna, dei dissidenti, degli infedeli... parte di una cultura diversa ma legittima. Lo si ripete oggi sui talebani, e su Hamas lo si è detto un milione di volte. Israele  che prima negli anni della fondazione, poi via via attraverso gli anni, aveva subito attentati a migliaia come quello delle Olimpiadi di Monaco del 1972, assalti ai bambini nelle scuole, eccidi di vecchi sugli autobus, era già da tempo e resta una lampada accesa sulla necessità di capire, studiare per combattere il terrorismo, pena il conseguente pericolo per il mondo intero. Bibi Netanyahu nel 1995 in un suo libro sul terrorismo diceva agli USA: se non vi accorgete di quello che vi sta accadendo, presto vi ritroverete il World Trade Center spianato dal terrorismo. Una profezia? No, solo, una visione chiara della natura ideologica e politica, e non territoriale o sociale, del terrore.

La storia di Israele prima e dopo l'11 di settembre, fa piazza pulita dell'idea che si possa placare l'appetito della Jihad proponendo scambi territoriali, finanziamenti e miglioramenti sociali appetibili, accesso alla tecnologia, e, (obiettivo cui Bush guardò come alla soluzione di tutti i mali) che la democrazia, la libertà, siano il nascosto obiettivo di ogni uomo. E che una volta realizzati lo redimeranno. Ma l'Uomo è differenziato e specifico, spesso tribale. Non è che le culture fondamentaliste islamiche abbiano delle difficoltà ad apprezzare la libertà. La disprezzano. Esiste un bene superiore che viene realizzato tramite la sharia, e le leadership hanno il compito supremo, quindi, di farla osservare. Gli uomini non devono essere felici, devono applicare la legge divina e la democrazia non è la strada. Il costante ritorno all'Intifada, al terrorismo capillare, al rifiuto di riconoscere Israele o di rispondere finalmente positivamente alle profferte di pace, ripetute fino alla nausea, dalla leadership israeliana di destra o di sinistra è una risposta ideologico-religiosa all'imperativo di cacciare gli infedeli da terre islamiche. La Sharia, come deve affermare la sua preponderanza rispetto all'Occidente distruggendo le Twin Towers, così ha necessità per affermarsi di combattere il nemico che proditoriamente occupa la Ummah, la comunità islamica.

Ogni centimetro di terra un tempo occupata da quest'ultima, è sua perr sempre. Quella terra che gli è stata data dal Cielo, si deve ascoltare la promessa, non c'è trattativa che tenga. L'assassinio di Anwar Sadat nell'81 è parte di quella vicenda: Sadat aveva osato accettare l'esistenza di Israele e stringerci una pace. Abdel Rahman, compagno di Ayman al Zawahiri, è lo sceicco dell'attacco al World Trade Center, lo stesso che dal  carcere stilò la fatwa di assassinio, e lo stesso che l'ha stilata per l'attacco delle Twin Tower. Aveva combattuto in Afghanistan, e morì in carcere nel 2017. Bin Laden, succedendogli, porta con sé tutta la rabbia dei palestinesi anti-accordo di pace, tutta la vittoria Afghana contro i sovietici, tutta la grandiosa speranza dell'attacco agli USA. E il nesso indelebile, tipico del suo dottorato in teologia, della parola jihad, che vuol dire lotta, e che nonostante tutti gli sforzi nostrani di trattativa, è pur sempre stabilita secondo la legge santa. I jihadisti attaccano per riprendersi territori o per allargare la forza della Sharia, e niente può costringerli a cambiare la santità della loro scelta. Bernard Lewis ha avvertito di questo molte volte.

Hamas è stata la prima a congratularsi con i Talebani per il riconquistato potere in Afghanistan. I palestinesi, hanno festeggiato. Ismail Haniyeh il 17 agosto ha detto che questo segna "un nuovo standard per la resistenza contro Israele", ovvero dimostra chiaramente che la pazienza paga e che la "resistenza" di lunga durata può smantellare lo Stato d'Israele. Osama bin Laden a suo tempo disegnava la vittoriosa operazione delle Twin Towers come guerra contro "i Sionisti e i Crociati". Dopo quell'attacco, nelle città palestinesi dell'Autonomia, non solo a Gaza i palestinesi scesi in strada, festeggiavano con mortaretti e dolci. Yasser Arafat, comprendendo che questo avrebbe gettato nel caos i suoi rapporti con gli Stati Uniti, frenò i moti di piazza e dichiarò con grande disinvoltura, dato che l'Intifada era in pieno svolgimento, di condannare il terrorismo. Restò tuttavia solido e ripetuto il rifiuto di modificare l'aspirazione jihadista fondamentale dei palestinesi. Quando Israele ha lasciato il Libano nel 2000, mentre gli Hezbollah dichiaravano vittoria perchè "Israele è debole come una tela di ragno", Abu Ala, famoso leader palestinese, spiegava che "Tutti, qui, hanno visto il ritiro come una sconfitta strategica di Israele". Ovvero, come disse lui stesso, come un' esortazione a "uccidere gli israeliani, e a conquistare territorio".  Si tratta di jihad, e questo è il punto:questa guerra, inclusa quella palestinese, non ha niente a che fare con circostanze politiche. E figlia di un'aspirazione ideologica fondamentale, e quindi irrinunciabile, ampiamente maggioritaria, certificata dalla ininterrotta vittoria di Hamas dal 2006 nell'opinione pubblica palestinese. Per questo Abu Mazen rimane lontano dalle elezioni che non si svolgono da allora. I palestinesi hanno sempre potuto contare sul senso di colpa che ha impedito all'Europa e anche agli USA di identificare la componente jihadista nel conflitto israelo-palestinese, di vedere che Hamas, nonostante il suo comportamento totalitario e razzista con le donne, i cristiani, i dissidenti, e anche l'Autonomia Palestinese, col suo sostegno per il terrore e il suo rifiuto di ogni accordo possibile,fanno parte dell'esercito jihadista.

Per la jihad, i cui protagonisti sono sia sunniti che sciiti, solo la mukawama, o resistenza, può smantellare l'alleanza occidentale che domina il mondo e occupa le terre islamiche, incluso lo Stato d'Israele. "I talibani" -ha detto Musa Abu Marzuk membro importante della direzione di Hamas- "hanno rifiutato le mezze soluzioni proposte dall'America. Essi non sono stati ingannati dagli slogan di democrazia o elezioni o false promesse. E' una lezione per tutti i popoli oppressi". E anche l'Autorità Palestinese, come cita il giornalista palestinese Khaled Abu Toameh dice sul ritorno talebano che "Israele deve assorbire la lezione, la protezione esterna non porta pace e sicurezza. L'occupazione israeliana di terra palestinese non durerà e finirà".

Quando Netanyahu descriveva  come letale la spirale terroristica, aveva ben presente la carta geografica del medio oriente e del terrorismo islamico che scaturiva sia dall'Iran sciita con gli hezbollah e da svariati gruppi sunniti,fra cui quello salafita dell'Arabia Saudita, da cui si originò Bin laden. La scia di sangue  è lunga, fra i più agghiaccianti attentati quelli dei terroristi suicidi in Libano alle baracche dei soldati americani, 241 morti e a quella ai soldati francesi, 58 morti. Era il 23 ottobre dell'83. Si disse che avevano come sfondo la guerra con Israele, ma la scelta strategica è quella della Sharia che proibisce all'infedele di permanere sulle terre islamiche. Prima e dopo, fino a quelli di New York, di Gerusalemme, di Londra, di Parigi, fino alle stragi antisemite in Francia e in America gli attentati sono tutti illuminati dal lampo gelido del 9-11. Il mondo cambiò, come tutti dicono e scrivono, la "lunga guerra" al terrore formò una grande coalizione intorno agli americani, i talebani vennero cacciati, al Qaeda fu semidistrutta, e Bin Laden fu ucciso, Obama dichiarò vittoria, la gente cantava per le strade. Ma il bandolo della matassa non era stato afferrato. Il terrore dell'Isis, gli attentati nel mondo, i talebani, l'odio per l'Occidente e Israele non si sono modificati. Non potevano modificarsi perché la trama jihadista è paziente. Per smontarla  va vista per quello che è, un progetto ideologico-religioso mondiale. Israele combatte bene la sua battaglia, e cerca la sua via di pace con gli Accordi di Abramo: un riconoscimento rispettoso delle altrui culture, per altro sostenute da prospettive vantaggiose. La via d'uscita è, almeno in parte, qui. Per il resto, la jihad iraniana sciita e quella sunnita lavorano sott'acqua e non impallidisce il loro sogno.

L'assenza al summit antisemita? Grande vittoria

giovedì 9 settembre 2021 Il Giornale 0 commenti

Il Giornale, 09 settembre 2021

La decisione dell'Italia di non partecipare a quella che era stata inappropriatamente chiamata "Conferenza mondiale contro il razzismo" è molto importante. Il nostro giornale è felice e fiero che la sua richiesta sia stata accolta. Si tratta, come abbiamo scritto,  della quarta edizione di una delle maggiori conferenze delle Nazioni Unite che si svolgerà il 22 settembre; gli USA, il Canada, l'Inghilterra, la Germania, la Francia, la Repubblica Ceca, l'Olanda e altri che già avevano boicottato l'iniziativa nelle versioni precedenti sono partner dell'Italia nella decisione.

Si tratta di una scelta molto importante non solo per il popolo ebraico e per Israele che hanno sofferto direttamente l'ondata di antisemitismo inaugurata nel 2001 in Sud Africa, proprio approfittando del valore simbolico della patria dell'apartheid e cercando di infettarne Israele, gli ebrei e, di conseguenza, l'Occidente ritenuto corresponsabile delle sue scelte. Durban è stato un disastro morale per il mondo intero, la patente internazionale per consentire che la cultura, la mentalità vittimista e aggressiva che sta alla base della follia del 2001 rovesciasse i canoni stessi dei diritti umani, usasse come una scura rovesciata l'idea di perseguitati e persecutori, di oppressi e di oppressori. Durban alimenta fino al giorno d'oggi la cultura del vittimismo che rende nemico l'uomo all'uomo sulla base del concetto fantasticato, estremizzato, falsificato di cultura, di religione, di genere, di razza. I terroristi diventano combattenti della libertà, le folle infuriate parametri di giustizia, le accuse pregiudiziali prove provate,  le regole pastoie.

A Durban nel 2001, nel clima entusiasta post apartheid, per le ONG che avrebbero dovuto affiancare la conferenza contro il razzismo, cui io ero presente come corrispondente, gli ebrei diventarono oggetto di caccia addirittura fisica; si distribuivano "I protocolli dei savi di Sion"; folle "antirazziste"marciavano sotto i ritratti di Bin Laden pochi giorni prima del disastro delle Twin Towers; la sala risuonava dei discorsi in cui Arafat, che da poco aveva firmato gli accordi di Oslo, dichiarava Israele e gli ebrei "genocidi" e "colonialisti", dittatori come Fidel Castro, Ahmadinejad, Mugabe, incitavano all'odio antisemita e li correlavano alla storia imperialista dell'Occidente, alla sua smania di dominio e di potere. Si fondava sotto l'egida dell'ONU una teoria rovesciata dei diritti umani, che purtroppo seguita a conquistare maggioranze automatiche in molte istituzioni internazionali; si macchiava per sempre la capacità di combattere la sacrosanta battaglia contro il razzismo nei suoi termini reali, per cui diventi un razzista inconscio se non ti metti in ginocchio ad esclamare la tua colpevolezza nei secoli. La conferenza fu programmata per trasferire su Israele i crimini dello Stato di Apartheid, con cui non aveva niente a che fare; il termine Olocausto fu usato a destra e a manca  includendovi i palestinesi; la stessa impropria vittimizzazione viene usatadai novax che si travestono da prigionieri di Auschwitz. È la vittimizzazione che libera dalla responsabilità, ignora il contesto storico, vede le istituzioni come mezzi per realizzare i propri fini. Per esempio, il Consiglio per i Diritti Umani che si occupa quasi solo di Israele,fidando sull'ignoranza e l'indifferenza di fronte a terrorismo, dittatura, corruzione.

Dopo l'ultima guerra di Hamas, in cui era chiarissimo chi fosse l'aggressore e chi l'aggredito, e i missili dell'organizzazione terroristica grandinavano su Israele, si è invece avuto una ondata di odio antiebraico e anti-israeliano:a Londra convogli di auto falciavano le strade urlando "fuck the jews, fuck their daughters"; a New York, bastava avere una kippà in testa per essere aggrediti e così a Parigi, a Bruxelles... Degli ebrei si dice che sono parte del "suprematismo bianco", un altro modo di dichiararne il ruolo di oppressore. Ma anche gli italiani,e  gli inglesi, e i francesi sono suprematisti bianchi, e colonialisti, e razzisti. È la logica della cultura di Durban, ottimo che non ci andiamo.

L' atlantismo da recuperare nel disordine post ritiro

giovedì 2 settembre 2021 Il Giornale 1 commento

Il Giornale, 02 settembre 2021

La ritirata vergognosa da Kabul, non è l'America. É una mossa mal concepita, noncurante, anche crudele, dell'amministrazione Biden. Ogni parola sprezzante o ironica nei confronti della storia, della natura, del significato stesso  del gigante di là dall'Oceano si chiama antiamericanismo. Per noi europei è una malattia cronica e ricorrente, una febbre autolesionista di cui soffriamo seriamente, che mette in sottordine le essenziali caratteristiche degli Stati Uniti e di quanto esse ci siano state e ci siano preziose, il loro indubitabile peso nel mondo che vogliamo difendere; Alexis de Tocqueville, che aveva previsto che l'America e la Russia avrebbero dominato il mondo, spiegò che la prima l'avrebbe fatto con la bandiera della libertà, e la seconda con quella della repressione. Esatto. Il disprezzo o l'odio per gli USA criminalizzano il sistema liberaldemocratico in genere (in senso europeo, di destra e di sinistra) in nome di confuse istanze internazionali e sociali.

Purtroppo spesso lo si fa in nome dell'Europa, della nostra cultura che immaginiamo elegante e raffinata quanto la loro superficiale e brutale, anzi, un po’ stupida! Della nostra politica umanitaria e pacifista quanto la loro è imperialista e muscolare. Si tratta di un contrasto antico, che indossa panni sempre nuovi, e che molto spesso si è associato, nella storia, all'antisemitismo. Gli USA sono stati sempre l'antagonista culturale dell'Europa, il contendente morale e spirituale supremo. E quando si autobiasimano all'impazzata, come al tempo della guerra del Vietnam, o adesso coi movimenti wap nelle strade a dire che tutti sono razzisti e a buttare giù il movimento di George Washington, noi ci inzuppiamo il pane. Nel dolore, nella preoccupazione per gli afghani in massa vittime dei talebani, nel biasimo per la maniera inconsulta con cui l'amministrazione Biden ha realizzato lo sgombero, comincia a infastidire la cacofonia per cui gli americani "armarono loro i talebani ai tempi della Russia", "hanno sbagliato a condurre la guerra al terrorismo in quelle plaghe","non dovevano inseguire e poi uccidere Bin Laden","hanno ucciso volontariamente civili, sono assassini (come Hollywood ci ha insegnato) di donne e bambini".

Insomma, hanno in definitiva agito non per combattere il terrorismo ma per affermare la loro politica di potere imperialista. Oltretutto, seguita la poesiola che sentiamo alla tv e leggiamo sui giornali europei,  nei vent'anni che sono stati sul terreno, non hanno combinato niente. Non è vero. La realtà smentisce questi pregiudizi, anche se resta, giustamente, la rabbia per la politica di Biden, come per la fuga da Saigon, o per il disastro iraniano. Tuttavia l'antiamericanismo, come dice Paul Hollander, è sempre "un'incontenibile predisposizione all'ostilità". Adesso si discute molto della necessità di un esercito europeo, ed è giusto: l'Europa ha bisogno di difendersi dal pericolo terrorista-islamista, e gli USA non hanno saputo fermarlo. Ma gli scontri interni all'Europa sono tali e tanti, i protagonismi francese e tedesco inconciliabili, la comodità di buttare le spese militari sugli USA (mentre la si biasima) parte della storia.

Così, la giusta istanza diventa parte dell'"incontenibile predisposizione": prima era filocomunista; poi è costata poco, da quando con la caduta sovietica gli USA divennero l'obiettivo gigante di tutti gli strali. La guerra post 11 settembre, anche se sostenuta da alcuni, esaltò l'antiamericanismo dell'"appeasement" europeo, scritto nella stessa definizione di UE. Strano a chi non ha trascorso molto del suo tempo in Medio Oriente, ma l'odio terrorista per gli USA è stato una serra di antiamericanismo. Atlantismo è una bella parola: giustamente, la ama Mario Draghi. Può benissimo ispirare il nuovo impegno militare dell'Europa, se davvero lo cerca, tanto senza gli USA non farà nulla.

Il rapporto fra Unione Europea e Stati Uniti è ancora l'unico che può garantire benessere e sicurezza. Adesso, alla luce della nuova situazione internazionale, la punta di diamante della difesa antiterrorista e palesemente la più importante,  mentre gli USA hanno un presidente debole. Sono tutti dati di fatto: si può pensare a dare più forza all'Europa proprio perchè l'America è debole, e quindi impegnarsi in una scelta atlantica che la rafforzi. Quanto a noi europei, mi è capitato entrando a visitare la tomba di Napoleone a Les Invalides che la poliziotta di guardia al santuario mi abbia risposto che lei, a chi chiede in inglese dov'è la tomba non avrebbe risposto. 

Israele, il ministro Gantz incontra Abu Mazen. È un regalo del premier Bennett a Biden

martedì 31 agosto 2021 Il Giornale 0 commenti

Il Giornale, 31 agosto 2021

L'incontro fra Benny Gantz, ministro della Difesa israeliano e Abu Mazen, è una specie di raro mazzo di fiori a Biden in un momento in cui, a causa della crisi afghana, così pochi, nel mondo, gli vogliono bene o si fidano di lui. Gli Stati Uniti hanno una predilezione per il Processo di pace, l'incontro del Primo ministro Naftali Bennett col Presidente americano alla Casa Bianca è stata, tre giorni or sono, tutta una dimostrazione del legame "indistruttibile" fra USA e Israele. Tanto che Biden ha detto che se non riuscirà a ottenere dagli iraniani con la trattativa per lo stop alla bomba atomica, allora lo otterrà in altro modo. Come? Quando? L'accordo con l'Iran ci sarà lo stesso sul margine dell'assemblamento dei pezzi della bomba islamica? Non si sa. Però Israele, mentre sa che deve salvaguardarsi da sola, da una parte tende a qualificare ancora di più il rapporto che a Biden oggi sta più a cuore di ieri dato che Israele è il suo unico vero amico in Medio Oriente anche col guaio in cui lo ha cacciato, e, anche, capisce che tutti i suoi nemici islamisti fondamentalisti, Hamas fra i sunniti, gli hezbollah sciiti, tutti alimentati dall'Iran, oggi sono eccitati e hanno voglia di menare le mani. Israele ha interesse a cercare di calmare le acque, e la valutazione di Gantz è stata quella di cercare di rafforzare Abu Mazen a fronte di Hamas.

Non importa se è in crisi di consenso già da molti anni, se è dal 2005 seduto su una sedia di Presidente che ormai non mantiene se non con forza autarchica, che ha 85 anni e una salute malferma. Gantz ha ottenuto da Bennett il permesso di incontrarlo dopo 21 anni che i palestinesi non si siedevano con gli israeliani, e ne ricava molta pubblicità personale e consenso a sinistra. Gli mancava da tempo. Ma è un evento accolto in maniere difformi, Hamas al solito dice di Abu Mazen che tradisce la causa, la destra israeliana fuori da Governo protesta; Bennett, che quando Abu Mazen venne al funerale di Shimon Peres twittò frasi definitive contro chi "stipendia i terroristi", ha detto che nell'incontro non c'è cambio di politica, né sgomberi né due Stati, solo accordi di sicurezza, dato che Gantz è ministro della Difesa. Ma dalla Difesa si è fatto sapere che si è parlato di argomenti economici, civili, di sicurezza etc... L'economia palestinese, si sa, è un disastro, il Covid picchia duro. I palestinesi però sono opposti a un ritorno a negoziati di pace sotto la leadership degli USA, ha dichiarato Azzam al Ahmed, incaricato ufficiale: i palestinesi vogliono una conferenza precotta, organizzata da Guterrez sotto l'egida iperamichevole dell'ONU. Per ora, Biden ha chiesto a Bennett di provare la disponibilità del governo post-Netanyahu, e post-Trump, misurandolo sulla disponibilità verso i palestinesi. Ed ecco un piccolo passo. Piccolo, perchè non potrà andare avanti finchè Abu Mazen subisce la pressione di Hamas e anche ne invidia l'influenza maggiore della sua.

Ora minaccia Ramallah mentre l'esempio talebano balena in lontananza. ma non tanto: due campi estivi per bambini tenuti dall'OLP e da Fatah sono stati intitolati alla terrorista Dalal Mughrabi, che guidò l'assassinio di 37 civili fra cui 12 bambini nel 1978. La difficoltà per un dialogo coi palestinesi è tutta dentro queste scelte, che costruiscono il rifiuto di Israele e disegnano nuovi terroristi. Biden dovrebbe cominciare da Abu Mazen e non da Israele a chiedere simpatia per la sua linea.

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