Fiamma Nirenstein Blog

La guerra antisemita contro l'Occidente

7 ottobre 2023 Israele brucia

Jewish Lives Matter

Informazione Corretta, il nuovo video di Fiamma Nirenstein

Museo del popolo ebraico

Informazione Corretta, il nuovo video di Fiamma Nirenstein: "I Protocolli dei Savi anziani di Sion e il nuovo Presidente iraniano Raisi: che cosa li lega? L'antisemitismo violento del regime di Teheran"

domenica 4 luglio 2021 Generico 0 commenti
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Il Medio Oriente visto da Gerusalemme

venerdì 2 luglio 2021 Generico 0 commenti
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Roma e Madrid, per la pace in Israele basta Abramo

mercoledì 30 giugno 2021 Il Giornale 0 commenti
Il Giornale, 30 giugno 2021

Sono passati 30 anni di fallimenti dalla Conferenza di Pace di Madrid, e ancora l'Europa non l'ha capita. Io c'ero a quella Conferenza, piena di speranza che il conflitto israelo-palestinese trovasse se non una soluzione almeno un capo e una coda, e con esso si placasse l'odio anti-israeliano e venisse a compimento l'idea di due Stati per due popoli. Ma uno dei due, non voleva: quello palestinese. Quello che vedemmo già allora era il farsi di giorno di una tela di Penelope di chiacchiere che di notte, quando Hana Ashrawi, Saeb Erekat e altri membri della delegazione andavano in volo a riportare gli eventi ad Arafat a Tunisi, veniva disfatta. Essi tornavano alle riunioni carichi di odio, sicuri che Israele doveva essere distrutto: spargevano questo odio in dichiarazioni univoche, Israele era un odioso occupante colonialista, uno Stato razzista, di apartheid…  Intanto Farouk al Shaara ministro degli Esteri siriano convocava noi giornalisti per dirci con rinnovato livore che il Primo ministro israeliano Ytzchak Shamir là presente, che ascoltava sconsolato e impotente, era lui un terrorista. Adesso Madrid e Roma ripropongono una conferenza di pace israelo-palestinese. Sanno benissimo ambedue, che da trent'anni a questa parte i tentativi sono stati molti.

La sottoscritta, da giornalista,purtroppo non ne ha mancato uno, e sono andati tutti nello stesso modo. Il decantato accordo di Oslo firmato da Rabin, chi meglio di lui, e Arafat, e finito nel bagno di sangue della Seconda Intifada. Arafat rientrò trionfalmente, le città palestinesi furono sgomberate fino all'ultima consentendo al 98 per cento dei palestinesi di vivere sotto la giurisdizione del loro Governo, fino ad oggi. Niente di significativo per chi desiderava la morte del nemico. Anche Gaza nel 2005 è stata sgomberata fino all'ultimo uomo, e ancora i palestinesi amano parlarne come di terra occupata. Nel frattempo ci sono state parecchie altre Conferenze di Pace alla fine delle quali a fronte delle molteplici vantaggiosissime offerte di terra da parte di Israele e dai Primi ministri Peres, Barak, Olmert Netayahu etc… I palestinesi hanno sempre risposto con dei "no"e con ondate di terrore. Del resto che la loro convinzione sia quella che Israele non debba esistere è ben chiara dalla rete di accuse intessute dalla loro propaganda: genocidio, apartheid... Tutte cretinate che una mente lucida e informata non può accettare, ma che stanno alla base del nuovo antisemitismo che impedisce la pace non solo di Israele, ma del popolo ebraico. Qui viene un punto che l'Europa forse dovrebbe finalmente capire se veramente desidera la pace e l'equilibrio dell'Area mediorientale in cui, inoltre, adesso l'Iran e gli Hezbollah pesano con finanziamenti e armi a Gaza e non solo.

L'UE sappia che non tutto il mondo arabo è contro la pace, e che il veto e la criminalizzazione palestinesi non impediscono la pace: lo dimostrano i Patti di Abramo. Se i palestinesi capiranno che una vera amicizia può fiorire, pace contro pace, tolleranza contro tolleranza, vantaggi contro vantaggi, fra chi lo desidera veramente forse usciranno dal loro desiderio di distruzione razzista. Emirati Arabi Uniti, Bahrain, Marocco, Sudan oltre all'Egitto e alla Giordania sono in pace con Israele. Hanno capito che gli Ebrei appartengono a quella terra, là sono nati, là sono tornati dopo secoli di sofferenze con la loro autodeterminazione a un Paese democratico, La pace è un obiettivo che porta davvero frutti e non parole, speranza per i bambini, salute, acqua, agricoltura, tecnologia... Israele sa darla, i Paesi arabi sanno lavorare insieme. I palestinesi, se l'Europa avesse davvero voluto coinvolgerli in un Processo di Pace, avrebbero dovuto essere invitati a Bruxelles nell'ambito della pace di Abramo, perché è quello l'involucro positivo, quello del reciproco apprezzamento, cortesia, business. Non il solito disprezzo per cui a Israele ci si rivolge come a un suprematista invasore, negando i suoi diritti a essere lo Stato del Popolo Ebraico. La questione dell'occupazione, che è l'unica parola che l'UE sa compitare accusando Israele di illegalità internazionale, deve recuperare il suo significato storico: qui siamo a fronte di terre disputate, questione di suprema sicurezza, e di reciproca accettazione. Non è fatta certo solo di terra la pace, essa è stata offerta mille volte, è fatta di pregiudizio religioso e ideologico da parte palestinese, ma non più arabo.

L'Europa certamente ama la pace, quindi deve capire che il ponte per avvicinarvisi sono gli Accordi di Abramo sono quei Paesi arabi cui un tempo sembrava affezionata, e che oggi ignorano a favore di chi? Del loro peggior nemico: l'Iran! Ma non vi sembra che prima di rimettervi a progettare altre Conferenze di Pace, che il paradigma europeo vada riletto completamente? Quanto ad Abu Mazen, non vi siete accorti che è un dittatore i cui oppositori vengono uccisi? Che i denari che gli donate spariscono in vortici incontrollati? Che ha appena cancellato le elezioni dopo 17 anni di inutile e dannoso potere?
Non solo la proposta di un ennesimo Vertice di pace non è di pace, esso è di guerra al popolo palestinese stesso, che forse desidera la pace proprio come quello dei Patti di Abramo ma non può dirlo.


Tra esecuzioni di massa e elezioni farsa ora sarà corsa senza freni all'atomica

domenica 20 giugno 2021 Il Giornale 1 commento
Il Giornale, 20 giugno 2021

Dunque l'Iran ha da ieri il suo nuovo presidente dopo aver vissuto ancora la farsa che ogni quattro anni mette in scena di fronte al mondo: una cosa che il regime chiama «elezioni» e che la gente schiva per la grande maggioranza. Ebrahim Raisi era sin dall'inizio «il presidente eletto», dato che così aveva deciso Ali Khamenei, il leader supremo. Dei 500 candidati che si erano presentati per la selezione, incluse 40 donne, ne erano rimasti nel setaccio del comitato che scelgono i personaggi possibili solo 7, di cui solo 4 realmente eleggibili. Si dice di lui che è un «ultraconservatore»: ma è una definizione che lascia spazio all'idea che altrove dei riformatori aspettino il loro turno. Non è così. Solo la gente sarebbe la grande riformatrice del Paese, ed è messa a tacere con la forza a regolari puntate. Cerca di dimostrare il suo scontento non venendo a votare per quel che può, e così ha fatto anche stavolta. Il pane in Iran costa 40 dollari al chilo, il salario minimo è di 215 dollari al mese. Spesso i lavoratori non vengono pagati per mesi, l'obbedienza al regime è un obbligo che si paga con la vita, la libertà di opinione e di manifestazione è una barzelletta che finisce sempre in lacrime. Ebrahim Raisi, 60 anni, nei suoi vari ruoli determinanti nel sistema giudiziario iraniano è il diretto responsabile di migliaia di condanne a morte per i più svariati crimini di violazione delle sacre leggi del regime degli Ayatollah, quindi di violatore seriale di diritti umani. Questo dovrebbe creare un serio imbarazzo internazionale, anche adesso durante le trattative di Vienna cui gli Stati Uniti sembrano tenere tanto per il rinnovo del Jcpoa, l'accordo nucleare del 2015 per cercare, del tutto inutilmente di bloccare il progetto della bomba iraniana. Illusione. L'Iran infatti, dopo aver firmato l'accordo che poi il presidente Trump ha cancellato, ha seguitato a perseguire il suo piano di diventare una potenza atomica devota prima di tutto alla distruzione fisica di Israele e poi di tutto l'Occidente, secondo le prove asportate in faldoni originali di migliaia di pagine dal Mossad e anche secondo le difficoltose verifiche dell'Aiea, l'agenzia atomica internazionale sempre impedita nei movimenti dal regime. Intanto, al comando del generale Qasem Soleimani guerreggiava ovunque, Libano, Siria, Iraq, Yemen, Gaza nel grande disegno imperialista di occupazione del Medio Oriente. Ora che è stato eliminato, il regime prosegue nel suo disegno. Così farà Raisi. [...]

Il Medio Oriente visto da Gerusalemme

venerdì 18 giugno 2021 Generico 0 commenti
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VIDEO Webinar The Abraham Accords: Sharing the Abraham Vision with Europe

martedì 15 giugno 2021 English 0 commenti


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Netanyahu dice addio. Così ha reso grande Israele - Congiurati pronti a giurare alla Knesset. Ma Bibi ha reso Israele indispensabile

domenica 13 giugno 2021 Il Giornale 1 commento
Il Giornale, 13 giugno 2021

"Il nobile Bruto dice che Cesare era ambizioso", e che si dica, dice Ottaviano secondo Shakespeare. E poi si avventura nelle lodi di Cesare il cui corpo giace sul selciato di Roma, e suscita l'amore della folla. La storia ha parlato di Cesare come si meritava, protagonista della storia romana. E così sia per Netanyahu, che per fortuna, sia chiaro, sta benissimo di salute e magari tornerà ad essere Primo Ministro. Ma oggi i nobili nuovi membri del governo non solo dicono che la loro è una santa impresa di salvataggio della nazione, ma di compimento di un'opera storica indispensabile. Portano di questo una quantità di ragioni che sovrasta di gran lunga la loro non chiara prospettiva di governo: dicono che per quanto un leader possa essere prezioso in democrazia dodici anni al potere sono un'anomalia che (oltre a suscitare invidia) risulta in una diminuzione della democrazia stessa. E aggiungono proditoriamente che questo era nelle intenzioni di Netanyahu. La seconda ripetuta motivazione  è che Cesare, ovvero Netanyahu, ha un carattere difficile, superbo, che non conosce remissione né scusa e non fa crescere virgulti: ed è per questo che i personaggi che oggi sono al Governo, a partire da Naftali Bennet a Yair Lapid a Yvette Lieberman a Gideon Sa ar possono tutti dire di essere stati trattati con poca giustizia e con spocchia. Ma anche Churchill non aveva un buon carattere. Questo non lo ha limitato nel salvare l'Europa da Hitler. Così sia per Cesare. Sono divenuti parte dell'insofferenza verso il leader la  famiglia di Netanyahu, il carattere di sua moglie Sara e gli interventi di suo figlio Yair, ma non risulta che abbiano mai influito sulle chiara, elaborata strategia sionista del Primo Ministro.

E naturalmente si usa per lui ad abundantiam  l'aggettivo "corrotto" rispetto alle tre accuse per cui oggi siede in tribunale indiziato di reato: ma si tratta secondo molti giuristi di accuse fasulle e pretestuose, come quella di aver parlato ai giornali cercando coperture positive che non ha mai ottenuto, o quella di aver ricevuto ridicoli regali in champagne contro aiuti secondari. Tuttavia Bruto è uomo d'onore.

Netanyahu tuttavia, la cui storia conosce un intervallo ma che nessuno sa come continuerà, ne fa un uomo di svolte grandiose nella storia di Israele, l'ultima delle quali, la vittoria del Paese sul Covid, è testimone di un modo di lavorare, secondo tutti i testimoni, che non conosce tregua, che va diritta allo scopo avendone individuato il principio fondamentale che in questo caso, fin dal primo giorno, sono stati i vaccini. Vaccinare tutti è stato per Netanyahu sinonimo di salvare Israele, per questo l'ha fatto meglio di tutto il mondo, e questo è il suo drive: la sua percezione, affinatasi nel tempo, che Israele è un Paese da salvare, piccolo, dai confini insicuri, dai nemici decisi, il solo Paese che tiene saldi i valori dell'Occidente figli della storia dell'ebraismo e che per questo ha bisogno di una particolare dedizione e di una determinazione che non scherza e che capisce che non c'è compromesso possibile sulla sicurezza. La prima volta che Netanyahu fu Primo Ministro nel 1996 , battendo Shimon Peres, questa determinazione appariva dura e solenne, troppo per resistere: nel tempo quindi l'ha mollificata nel comportamento, ma solidificata nei contenuti. Durante un viaggio in Argentina spiegò dove stava andando: Israele deve potersi difendere da solo, la sua tecnologia, la sua scienza non devono conoscere rivali, deve avere le armi più moderne, devi sguinzagliare le migliori intelligenze. Per fare questo occorre molto denaro, devi liberare l'economia, ridurre la burocrazia, mercati aperti e grandi rapporti internazionali.


Qui Netanyahu individua la sua strada per quella che è sempre stata la maggiore ambizione di ogni Primo Ministro, da Begin a Rabin, di destra e di sinistra: la pace. Capisce che la pace coi palestinesi si merita dei tentativi seri, come quello del congelamento delle costruzioni nella West Bank, si merita il suo discorso che impegna il Paese a "due Stati per due popoli" ma capisce anche, al contrario di Obama che cerca di imporgli quello scivoloso, inconcludente terreno delle rinunce territoriali dopo Oslo, che i palestinesi non vanno da nessuna parte perché rifiutano, nei fatti l'esistenza dello Stato ebraico.


E allora cerca un allargamento effettivo, anche per i palestinesi nel futuro, nei Patti di Abramo: la sua conquista della simpatia oggettiva di una parte dei Paesi arabi al suo progetto è basato innanzitutto sulla sua coraggiosa determinazione di opporsi persino agli Stati Uniti, ovvero a Obama, quando l'Iran diventa per loro un  ingannevole interlocutore: Bibi sa che la sua scelta di parlare al congresso americano con sincerità sul pericolo iraniano è costoso e critico, ma di fatto quello gli aprirà la via verso un incredibile, fantastico allargamento di orizzonti ai Paesi islamici. Bibi facendo questo ha spinto Israele sulla strada della sua dottrina più larga, della sua prospettiva migliore: Israele è una piccola grande potenza benefica, che può aiutare il mondo dall'acqua alla lotta contro il terrorismo ai satelliti al vaccino all'high-tech alla medicina... Israele con Netanyahu è diventata indispensabile al mondo intero.


Informazione Corretta, il nuovo video di Fiamma Nirenstein: "Come sarà il prossimo governo israeliano?"

sabato 12 giugno 2021 Generico 0 commenti
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Un secolo negli occhi di cinque donne speciali

sabato 5 giugno 2021 Il Giornale 0 commenti
Il Giornale, 05 giugno2021

Il labirinto in cui Elisabetta Rasy ha deciso di avventurarsi con "Le indiscrete" (pubblicato da Mondadori), ovvero le prime avventurose fotografe, è ancora più complicato di quello della sua precedente fatica sulle pittrici donne: là c'era anima, avventura, epoche, ma ciascuna storicamente conchiusa nel proprio periodo figurativo, dai caraveggeschi a Charlotte Salomon travolta nella Shoah, con l'aggiunta della complessità e della specificità femminile. Qui con le fotografe di Elisabetta, Tina Modotti, Dorothea Lange, Lee Miller, Diane Arbus e Francesca Woodman, fra l'inizio e la metà del secolo scorso, ci si avventura in un groviglio temporalmente ristretto, in cui il gioco figurativo generale , compreso quello della pittura, si modifica proprio perché nuove possibilità si affacciano con le macchine fotografiche: è il mondo intero che cambia, la sua dimensione conoscitiva.

È una rivoluzione immensa, che ancora stiamo esplorando al giorno d'oggi, la rivoluzione dell'immagine. E ognuno di queste biografie quindi è un fuoco d'artificio di nomi, ambienti artistici e culturali, avventure sociali e politiche, storie d'amore. Rasy supera se stessa nel condurci per mano in un'esplosione di temi che ognuna delle protagoniste modula diversamente, ma sempre sul leitmotiv della ricerca di una se stessa nuova e rivoluzionaria tramite l'obiettivo. Rivelatrice, ideologica, oggettiva, grandiosa, microscopica: l'immagine consente a ciascuna la moltiplicazione della capacità umana di guardare, e quella al femminile lo fa partendo da un'ottica fino ad allora relegata in secondo piano, e quindi tutta da scoprire. Essa apre lo sguardo del mondo su vicende, espressioni, caratteri, angoli delle città stesse in cui viviamo, esseri umani che incontriamo ogni giorno. Le cinque donne di Elisabetta impugnano la macchina fotografica come Sherlock Holmes la lente di ingrandimento, e scoprono di tutto mentre diventano protagoniste della vicenda dell'immagine che prende possesso della realtà e la trasforma. Le donne sono per natura portate a questa scoperta perché vivendo una condizione particolare, guardando dall'angolo della loro specifica sociale e sentimentale,della loro oppressione storica, sono portate a guardare oltre la realtà evidente, quella delle convenzioni, delle apparenze, del sorriso stereotipato, per scoprire, e in questo caso far scoprire, quello che c'è dietro. E inoltre la scatola magica, pensa Rasy, è fatta per le donne: la Korona, la Graflex, all'inizio sono quasi nascoste, compagne discrete, anche per chi, come Tina Modotti, dapprima modella bellissima, può avvicinarsi a quell'oggetto prima conoscendolo solo passivamente, e poi passare all'azione.

Anche Lee Miller è una bellissima adorata che si scansa e diventa fotografa e non fotografata. Si cambia posizione con la capriola storica che è tipica delle donne all'inizio e via via lungo il secolo scorso, passando dallo stato di oggetto osservato a quello di soggetto, primo attore, e, definitivamente: artista.  Le fotografe prescelte dalla Rasy sono ormai delle icone di fama e di valore mondiale: ma tutte quante, persino quando la loro vita si è disegnata nell'agio come quella della Garbus, devono percorre per arrivare a usare l'obiettivo come una lancia di luce un percorso di incertezza, sofferenza, confusione, dipendenza... insomma devono pagare per intero il prezzo di essere donna, e per due di loro nemmeno la moneta della sofferenza basterà. Diane Arbus e Francesca Woodman vengono consumate dalla loro confusione fino al suicidio dopo per altro aver raggiunto un grande successo tramite avventure mirabolanti, specie nel caso della Arbus, e si ha la stessa sensazione anche per Tina Modotti, che muore giovane in un taxy senza ragioni evidenti, come consumata da troppe avventure, troppa rivoluzione, il Messico, il comunismo, l'assassinio, i pittori muralisti come Diego Rivera, l'amore divorante e poliedrico. Anche per le altre l'apprendimento del mestiere è una questione di passione divorante, uomini, nudità, moda, e chi in un modo chi in un altro, chi nella New York più elegante, chi nella San Francisco stravagante, chi nella Parigi più chic vivono sia il sesso che la mondanità intellettuale sfrenatamente: ambedue sono elementi travolgenti nelle vite che la Rasy esplora con un affetto sconfinato fin dentro il salotto di Gertrude Stein o nello studio di man Ray, e persino con Fizgerlad e Hemingway. Il mondo si agita in attesa di ciò che verrà. Vediamo come l'immigrata sofferente e poi super emancipata Dorothea Lange affonda lo strazio del suo piede martoriato dalla polio nella camera oscura e si lancia all'avventura, gioca a una vita intensiva e stravagante di cow boy e indiani col marito western Maynard Dixon e due figli maschi nella wilderness americana, per poi finalmente imboccare la strada dell'affresco di "an american exodus" la depressione americana che il suo amore  e nuovo sposo Paul Taylor classifica e nota e lei fotografa, affondando nel mondo della immensa miseria degli americani poveri e spossessati, immigrati nella loro stessa terra. Gli elettori di Trump di un tempo.

Il libro di Elisabetta Rasy ci racconta anche come le nostre fotografe siano immerse nel mondo ribollente della cultura di quegli anni, narcisistica, ribelle, spiritosa, inconsapevole dei disastri che alla fine, come nelle foto di Lee Miller, dalla moda vanno a  finire nell'esperienza della tragedia ebraica, mentre la sua vita irriverente passa con stravaganza per un matrimonio in Egitto e balugina nuda nella vasca da bagno di Hitler, unica inviato donna a lato dell'esercito americano in Europa: leggere per credere. Le nostre fotografe sono una girandola di avventure, in cui alla fine si affaccia però sempre la convinzione di dover comunicare una realtà misteriosa che nessuno vede, e a cui invece è l'ora che il mondo si svegli. È per questo che Diane Arbussi avventura, nelle sue famosissime foto quadrate, ad esporre la estrema stravaganza dei diversi, tema nuovo che diventerà dominante, dai travestiti ai nani alla donna barbuta ma anche agli aspetti inaspettati dei suoi amici newyorkesi  divi d'attualità come Germaine Greer o Andy Warhol, nessuno particolarmente contento di come lei li vede.

Norman Mailer ha detto che una macchina fotografica nelle mani di Diane era una bomba nelle mani di un bambino. Un complimento straordinario su quanto l'immagine possa diventare dirompente se usata da questa fotografa. Così accadde per la fotografia nelle mani delle grandi fotografe donne: una bomba di verità. A volte, difficile da sopportare.


Lapid, Bennett e Abbas: nuovo governo d'Israele Senza Bibi, con gli arabi

giovedì 3 giugno 2021 Il Giornale 0 commenti
Il Giornale, 03 giugno 2021

Gerusalemme Ce l’ha fatta proprio in zona Cesarini, meno di un'ora prima che scadesse l'incarico: Yair Lapid, "C'è un futuro" 13 seggi, dopo frenetiche trattative e mille giravolte ha potuto dichiarare (così recita la formula) che la possibilità di formare un Governo è nelle sue mani.  Alla fine la formula "chiunque fuorchè Netanyahu" ha partorito il Governo più composito del mondo, otto Partiti che hanno combattuto già in queste ore fino all'ultimo sgabello; partiti tutti caratterizzati da piccole dimensioni e distanze politiche lunari. La sudata per arrivare a un accordo è stata ammirevole, l'angoscia palpabile, il nuovo Primo Ministro è un bravo soldato della Sayeret Matkal, l'Unità di elite, religioso, capo del Partito chiamato "la Destra" e capeggia un Governo in cui più della metà dei Partiti sono molto lontani dalle sue idee, anti-West Bank, anti-religiosi, filo-palestinesi, oltre che arabi che durante l'ultima guerra si sono sbilanciati verso Hamas.

Ma tutti alla fine hanno firmato l'accordo. La febbre altissima si è un po’ placata con l'aspirina dell'elezione nel pomeriggio alla Knesset del nuovo presidente della Repubblica. E' Isaac Herzog, 61 anni, detto Boogy, capo dell'Agenzia Ebraica, colto, di natura gentile e molto politica, di aspetto mite ma dai pensieri netti, socialista in origine ma certo oggi molto meno propenso alle ideologie. Ha preso 87 voti contro i 26 che la Knesset ha dato come un mazzo di fiori di campo alla candidata donna, Miriam Peretz, una straordinaria eroina d'Israele immigrata dal Marocco, simbolo della storia che nasce nelle maabarot, le misere capanne in cui i pionieri sionisti si ammassavano nel deserto per lavorare la terra o imbracciare i fucili contro gli assalti arabi, Madre Coraggio di due figli uccisi in guerra. Un personaggio del cui sorriso e della cui forza Israele è sempre andata orgogliosa:ma non è bastato di fronte all'esperienza, al savoir faire politico, alla dinastia di Herzog, figlio di Chaim sesto presidente di Israele, nipote di Yitzchak rabbino capo irlandese del Mandato Britannico di Palestina...

Chi lo conosce ha sempre sentito in lui la determinazione d'acciaio rivestita di velluto di diventare un tronco nell'albero genealogico, che comprende anche Abba Eban, ministro degli esteri di Golda Meir.  Herzog è stato tre volte ministro e capo del partito laburista, a volte amico a volte meno anche di Netanyahu. Ieri mentre posavano per la foto tradizionale ha detto "Sarò presidente con qualsiasi primo ministro…" e Bibi ridendo: "Magari rimandiamo questo argomento a un'altra volta". Giusto: persino Yair Lapid, che avrebbe dovuto ieri entro mezzogiorno presentare al Presidente Rivlin (ancora in carica fino a metà luglio) il nuovo Governo e ottenere così la possibilità di votarlo entro pochi giorni, ha dovuto rimandare l'annuncio. E' complicato il suo patto con ben altri 7 Partiti dalla sinistra estrema (Meretz)  a Naftali Bennett , capo della "Destra" dura. Bennet poichè si giuoca il tutto per tutto e il suo pubblico per il 61 per cento lo biasima, ha ottenuto il primo turno di due anni da Primo Ministro, seguito da Lapid: qualsiasi cosa pur di estromettere Netanyahu. In piccoli partiti hanno avuto praticamente un ministero a membro del parlamento.

La porta istituzionale per correre verso il nuovo Governo è stata aperta fino a mezzanotte, pena il passaggio alla Knesset oppure le temute quinte elezioni in due anni. Le ultime questioni, sulle quali naturalmente Netanyahu ha cercato di seguitare a condurre anche la sua partita, hanno riguardato due punti di fondo. Uno, è la richiesta di Mansour Abbas col suo partito arabo Raam di soddisfare i suoi elettori residenti soprattutto nel Negev di cancellare la "legge Kaminitz" che prevede che le costruzioni illegali vengano rimosse. E' una richiesta quasi impossibile, Israele ha un complesso e rispettato sistema legislativo, ma Abbas giuoca per sé. e  l'ha promesso ai suoi: non si sa se l'abbia ottenuto, ma certo ha sfondato molte barriere se ha firmato.
 
La seconda questione riguarda due prime donne diversissime fra di loro: la bellissima giurista della Destra Ayelet Shaked, silenziosa sulla scelta del suo partner politico Bennett, ma decisa a ottenere, oltre a un ministero, anche la presidenza della commissione per l'elezione dei giudici costituzionali, un pilastro che determina le scelte politiche del vertice giudiziario; e la segretaria del Partito laburista Meerav Michaeli, anche lei una superdonna, che lo vuole per sé. Le due si siano messe d'accordo per una rotazione, prima la Shaked ma un ministero in più alla Michaeli. Grandi premi anche a Gideon Saar, anche lui destra che abbandona la nave come Bennet, anche lui molti ministri che compensano lo strappo. Fortissimo anche Avigdor Lieberman, "Israele Casa nostra", che oltre che per  Netanyahu nutre una particolare avversione per il mondo religioso terrorizzato di vedersi chiudere tutti i fondi. Intanto un altro membro di Yemina, Nir Orbach, minaccia la defezione, evidentemente è troppo per lui. Si apre una terribile settimana di procedure in cui ancora sono possibili capriole e ripensamenti. Per ora,  è assente la politica, assente l'ideologia  assente il futuro di Israele, i pericoli, l'Iran, l'economia. Si sa solo che tutto è diverso nella mente di ciascuna componente. Israele sa benissimo invece che  alla fine per vivere deve restare unita.


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