In Afghanistan la vergogna di un'America che si ritira dalla Storia
Il Giornale, 31 dicembre 2021
Fu sull'onda della debilitazione sofferta dall'Impero Britannico con la Seconda Guerra Mondiale che gli USA ereditarono la leadership mondiale e l'impegno per una "grand strategy". Dopo "Britannia rules the waves", gli Stati Uniti regnarono, forti della vittoria sul nazifascismo. E vi portarono la forza morale e pratica dei vincitori, la loro musica, i cowboys, Hollywood e i marines. La guerra contro i dittatori di ogni genere e contro il terrorismo, la vivacità democratica più viva sono appannaggio americano, pur sullo sfondo della Guerra Fredda durata sette decadi, e poi della svolta dell'11 settembre. Ma nel 2021 due scene hanno travolto l'immaginario collettivo insieme alla rassicurazione che ci davano gli USA di essere la nostra salvaguardia dalla prepotenza e dal terrorismo. Perchè certo l'imperialismo è stato vituperato da molti, ma Bob Dylan e Clint Eastwood hanno protetto i giovani di tutto l'Occidente. [...]
Abu Mazen in Israele da Gantz. Hamas: 'Tradisce l'Intifada'
Il Giornale, 30 gennaio 2021
È vecchia di dieci anni l'ultima visita amichevole di Abu Mazen in Israele: l'indirizzo quella volta era la residenza di Benjamin Netanyahu, in Rehov Balfour, e i sorrisi di Sarah a Mahmoud Abbas di nuovo invadono i teleschermi, in memoria. Invece, non esistono immagini dell'incontro nella casa di Rosh HaAyin del Ministro della Difesa israeliano Benny Gantz col presidente palestinese Mahmoud Abbas, al secolo Abu Mazen. Gantz lo ha ricevuto alle otto e mezzo di sera martedì per due ore, con pochi intimi politici e tecnici. [...]
Golan: indispensabile per la difesa del Paese intero
Il Giornale, 27 dicembre 2021
In Israele il Golan, neppure a sinistra della mappa politica, è immaginato come un "insediamento", o si pensa ai suoi abitanti come "coloni" o "settler": neanche chi pensa che il futuro del Paese preveda la separazione dai "territori occupati" immagina quell'angolo lassù come una zona straniera. É una terrazza di basalto e erba indispensabile per la difesa del Paese intero, senza il Golan ogni invasione dal nord, dove molti nemici, fino all'Iraq e all'Iran risiedono oltre la Siria, sarebbe molto più facile. E infatti di là sono passati diverse volte. Ed è anche ormai, quell'altipiano ventoso dove le mucche e le capre girano libere, un amatissimo spazio naturale da cui si ammira il lago di Tiberiade e su cui si visitano resti talmudici e si va per un assaggio dell'ormai famoso e perfezionato vino locale.
Dunque, il primo ministro Naftali Bennett (da ieri in isolamento perché sua figlia è stata trovata affetta da Covid) ha potuto tranquillamente presentare come una scelta collettiva dei tanti partiti che compongono il suo governo, dalla sua destra sionista fino al partito arabo di Ram, il piano da 317 milioni di dollari per il Golan, con cui si invita la popolazione a venire a vivere nella natura, promettendo case e infrastrutture migliori oltre che possibilità di lavoro. Sarà una pioggia di iniziative e di denaro che beneficerà anche i 23mila drusi che vivono secondo la loro religione, le loro abilità e il loro cibo su quelle alture, in parte sono affezionati a Israele mentre in parte mantengono fedeltà al mondo arabo.
I palestinesi non hanno a che fare con questa vicenda, ma la parola "insediamenti" già mostra il suo potere ipnotico sull'opinione pubblica, mentre il consesso internazionale comincia già a essere investito dalle proteste del dittatore Bashar Assad che fida sul solito coro di biasimo anti-israeliano, per cui l'Unione Europea non poté fare a meno di protestare quando nel 1981 le alture furono annesse e poi gli USA ne riconobbero l'identità israeliana nel 2019. Fu Trump a compiere questa scelta, citando una "minilezione di storia" prima della decisione: di certo riguardava il fatto che tutti i Paesi mediorientali, compresa la Siria era state attribuite a varie dinastie, alcune dei quali recentissime, con un tratto di penna che toglieva alla meglio i vecchi coloni d'impiccio. Ma come non vedere che ha ragione Bennett quando dice, come ha fatto ieri, che per tutto il mondo è molto più tranquillizzante pensare alle alture civilizzate, produttive e verdeggianti che Israele garantisce piuttosto che a una aggressiva propagine rocciosa siriana: là non c'è alcun dubbio, senza la presenza israeliana troverebbero subito posto avamposti armati degli hezbollah e missili iraniani. Il Golan è stato occupato da Israele dal 1967, quando rispondendo all'attacco siriano per fiancheggiare l'Egitto coi carri armati e i bombardamenti aerei, Israele riuscì a salire sulle alture. Esse erano la rampa di un'aggressione continua, anche prima della guerra. Posso raccontarlo in prima persona, da ragazza nel kibbutz Neot Mordechai ai piedi del Golan dove mi trovavo, le incursioni erano quotidiane, gli aerei Mig spuntavano all'improvviso dalle alture, e durante la guerra del '67 lo scontro si svolse metro quadro per metro quadro. Se l'Iran fosse stato sulle alture, si può immaginare cosa sarebbe successo. Oggi, sul Golan sono previste due cittadine nuove, Assif e Matar, mentre a Katzrin, centro archeologico romano e ebraico si prevede impegno edilizio e di lavoro. Poco lontano a Gamla, che dà oggi il nome a un vino rinomato e dove nelle rocce circostanti nidificano, protetti dalle associazioni naturalistiche, aquile, falchi e avvoltoi si vedono i resti impressionanti di una città ebraica, grigi, interi, su una punta di montagna. Dalle mura si gettarono gli israeliti quando i romani stavano per conquistare la città. Oggi, questo non succederebbe più.
Il Medio Oriente visto da Gerusalemme
Informazione Corretta, il nuovo video di Fiamma Nirenstein: Israele, la Siria di Assad e i media
Cari amici,
oggi, il sito web Informazione Corretta pubblica in esclusiva un mio nuovo video: Israele, la Siria di Assad e i media
Clicca qui per vedere il video
ADEI WIZO: presentazione del mio nuovo libro Jewish Lives Matter
Il sangue degli ebrei svenduto
Iran a un passo dal nucleare
Le cronache riportano un grande scoppio nel sito nucleare di Natanz, uno dei maggiori, sabato notte, l'evacuazione dei paesi vicini. Dice il governo iraniano era prevista e dovuta a esercitazioni... ma chi ci crede. L'eco dello scoppio si sente fino a Vienna. I colloqui là in corso fra i P5 più uno e l'Iran sono uno spettacolo di restyling fra la repubblica islamica e il mondo, con l'occulta presenza di Israele: gli USA, nonostante l'inviato Robert Malley non desideri altro che un accordo, hanno dichiarato venerdì una pausa perchè gli iraniani seguitano a dettare legge, vogliono caduta delle sanzioni e mano libera verso l'atomica. Malley è seduto fuori della sala dei colloqui, l'Iran non vuole il Grande Satana, gli europei arzigogolano sorridenti l'impossibile soluzione di un problema geopolitico e religioso: il confronto fra il potere islamico e il mondo giudaico cristiano.
Gli europei come Ermes con le ali ai calzari, recapitano messaggi per Biden, e indietro. Ma l'Iran vuole enormi incentivi economici per accettare il bacio della pantofola, e, nonostante l'acquiescenza di Malley, chiede ancora. E' danaro che alimenterà la sua guerra di dominio; il Mahdi, il profeta sciita, salverà il mondo per grazia degli Ayatollah e delle Guardie della Rivoluzione. Si riporta che 90 miliardi di dollari siano stati scongelati in transazioni e conti bancari bloccati. E molto è per strada: lo sblocco delle sanzioni è il prezzo per cui gli ayatollah sono tornati a parlare dopo cinque mesi di fermo durante i quali le centrifughe di Fordow hanno girato veloce per accumulare uranio arricchito; tanto che ormai tutti gli osservatori non possono fare a meno di capire che il 20 per cento di purezza non può servire altro che a scopi militari.
Se ne è molto lamentata l'IAEA, l'agenzia atomica internazionale, ed è proprio perchè Rafael Grossi, il suo capo, ha denunciato i divieti iraniani ai controlli che l'Iran alla fine ha accettato di tornare a Vienna, così da evitare nuove sanzioni. L'Europa, nodo passibile di sviluppi, contrasta sull'IAEA con gli Stati Uniti, vedremo gli sviluppi. Robert Malley, il plenipotenziario americano, è fiducioso del ripristino del vecchio patto, il JCPOA del 2015 cancellato nel 2018: ma l'Iran bullizza la situazione, le sue guardie rivoluzionarie e i suoi "proxy" valvassori, come si vantano loro stessi, dominano con la forza quattro Paesi, Iraq, Siria, Libano, Yemen, controllano Gaza, influenzano Ramallah. Se Israele si sentirà minacciata da un trattato che consenta l'atomica, ha detto il capo del Mossad, non avrà scelta, e si difenderà; i missili che l'Iran ha distribuito ovunque possono cominciare a piovere tutti insieme, la minaccia atomica coprirebbe i droni teleguidati e i missili destinati ai Paesi sunniti, a Israele, al Mediterraneo. Gli USA sono intanto stati obiettivo di molteplici attacchi terroristi e come conferma una lettera del capo della Cia Gina Haspel, hanno ricevuto da Israele aiuto per salvare dozzine di americani in Medio Oriente e del Golfo.
Gli USA ripetono che se un accordo risulterà impossibile, troverà altre strade. Così ripete anche Israele. Ebrahim Raisi, il presidente attuale,è un duro nazionalreligioso, e i segnali di arroganza sono tanti. Il brigadiere generale Abolfazl Shakarchi, portavoce militare, intervistato dall'ISNA (Iran Studies Neews Agency) ha annunciato a 48 ore dalla Conferenza che "la distruzione di Israele è il nostro maggior ideale. il maggior obiettivo che perseguiamo"; a ruota, "il ritiro di tutti gli americani dalla regione". Ha anche aggiunto che USA e Israele non possono affrontare l'Iran, e si piegheranno. Poi ha aggiunto che i Sauditi, il Bahrain, gli Emirati sono alleati di un' occupazione da cui "le nazioni oppresse sono stati rese schiave..mentre viene inoculata una nuova ignoranza dal mondo infedele sotto il termine "civilizzazione". L'Iran, quanto a "civilizzazione", ha recentemente condannato a morte una coppia per adulterio; gli omosessuali, i dissidenti, subiscono la stessa sorte; i suoi missili inquinano il mondo. Quale trattativa può avere senso con chi ubbidisce a questa logica? Vienna è di nuovo fatale nella storia del mondo.
Firenze, assegnato il Premio Pinocchio di Carlo Lorenzini
La Nazione, 24 novembre 2021
Si è svolta questa mattina, 24 novembre, nella Sala Borsi della Basilica di San Lorenzo, la cerimonia di consegna del tradizionale riconoscimento promosso dall'Associazione Culturale “Pinocchio di Carlo Lorenzini”.
«Questo premio è una tradizione che dura da 10 anni -commenta Anna Iacobacci, presidente dell'Associazione Pinocchio di Carlo Lorenzini-, attraverso la quale intendiamo celebrare la ricorrenza della nascita del celebre autore delle avventure del burattino più amato al mondo. Come da tradizione, a ricevere il riconoscimento sono persone che abbiano saputo distinguersi in ambito professionale, artistico, sociale, alle quali conferiamo un premio specifico che porta il nome di uno dei personaggi del romanzo. Dopo un importante lavoro da parte dei giurati, sono stati scelti nomi di indubbio prestigio e siamo riusciti a tornare ad organizzare una cerimonia di consegna in presenza che riunisce i premiati delle due edizioni 2020 e 2021, dopo l'anno di stop imposto dalla pandemia».
Questi i premiati del 2020: Mastro Geppetto, Piante Mati; Grillo Parlante, Zubin Mehta; Mangiafoco, Enio Drovandi; Gatto e Volpe, Stefano Grifoni; Albero degli Zecchini, Enrique Baron Crespo; Fata Turchina, Agnese Pini; premio speciale Grillo Parlante, Anna Pompei Rudeberg; Osteria Gambero Rosso, Cosimo Ceccuti; Paese dei Balocchi, Pier Francesco Bernacchi; Pesce-cane, Fabio Fanfani; Colombo, Monsignor Marco Viola. Premio 2021, Mastro Geppetto, Peruzzi; Grillo Parlante, Fiamma Nirenstein; Albero degli Zecchini, Eugenio Giani; Fata Turchina, Cristina Acidini; Paese dei Balocchi, Maurizio Giani. Prima dell'inizio della cerimonia, i premiati sono stati invitati a partecipare ad uno speciale tour all'Archivio della Basilica di San Lorenzo, accompagnati dal Reverendo Monsignor Marco Viola.
“Collodi e Pinocchio rappresentano un patrimonio straordinario da tramandare, una storia incredibile da far conoscere e valorizzare come merita, per questo il nostro grazie va all’associazione Pinocchio per il suo lavoro importante. - ha detto la vicesindaca Alessia Bettini -. Compito della politica è anche diffondere valori, divulgare una coscienza per creare conoscenza, coltivare la nostra memoria, la nostra storia e la nostra identità e vogliamo lavorare anche con le giovani generazioni con questo obiettivo. Ed è fondamentale la collaborazione con la cittadinanza attiva come in questo caso. Bello il momento di oggi con la consegna di questo riconoscimento a persone impegnate nei più vari settori nella nostra città”. “I miei complimenti per i premiati e i premi scelti, una rappresentanza di donne e uomini che nella nostra città ognuno nel proprio ambito danno un contributo importante. - ha detto l’assessora a Istruzione e Welfare Sara Funaro- Vogliamo coinvolgere l’associazione Pinocchio in un progetto dedicato al contrasto alle fake news, attraverso questa figura simbolo possiamo focalizzarci in maniera concreta su questo problema, per insegnare ai giovani a riconoscere informazioni false”.
L’evento si è aperto con i saluti della Presidente dell’Associazione Culturale Pinocchio di Carlo Lorenzini Anna Iacobacci, della Vicesindaca Alessia Bettini, dell'assessore Sara Funaro e della Presidente di giuria Grand Uff. onorevole Monica Baldi. A seguire un momento musicale con il Maestro George Georgescu e, in chiusura, il brindisi per festeggiare il compleanno di Carlo Lorenzini. La giuria del premio è composta da: Monica Baldi (presidente), Rossana Capitani, Sandro Benucci, Lionardo Lorenzo Ginori, Niccolò Pandolfini, Paolo Padoin, Virginia Gori, Anna Maria Iacobacci, Lucia Livatino, Roberto Giacinti.
Il ritorno del sangue di Hamas. Attacco al cuore di Gerusalemme
Il Giornale, 22 novembre 2021
È bellissima la Città Vecchia alle 9 di mattina vicino al Muro del Pianto, i negozi chiusi, le stradine vuote. Vuote, fuorché per il terrorista che cerca la preda, Fadi Abu Shkahydem, di mestiere educatore religioso, un fanatico colto conosciuto dalla polizia, un imam di Shuafat nella periferia di Gerusalemme. Il video di un telefonino mostra tutto: i colpi dell'arma automatica risuonano sulle pietre antiche, un ferito chiama disperato aiuto, gente per terra, fuga. Girano di già le foto che lo rappresentano in cattedra, mentre insegna a file di studenti concentrati e attenti, e altre riprese che lo mostrano furioso contro gli ebrei, sbraitante. E, già impaginata e pronta nel santino con la bandiera verde sulla Moschea di Al Aqsa, la faccia barbuta dell'assassino ispirato dal piacere di essere uno shahid, un martire di Hamas. Tutto nerovestito è uscito col mitra e i coltelli, e alle 9 ha sparato, uccidendo un ragazzo israeliano, una guida, e ferendone almeno altre tre, uno è grave. Poi due poliziotte lo hanno fermato, e le forze dell'ordine sono riuscitea sparargli fermando la strage. È la seconda volta in una settimana che Hamas colpisce a Gerusalemme, la volta precedente un attacco col coltello, sempre in Città Vecchia, dove il continuo traffico a piedi rende più difficile la selezione dei malintenzionati, e offre ai terroristi, d'altra parte, una quantità di occasioni di caccia.
Stavolta il terrorista aveva 42 anni, non era parte delle milizie armate, ma era noto alla polizia. Poiché anche a Giaffa poco più tardi un palestinese di Jenin, probabilmente anche lui di Hamas, è stato bloccato dopo aver assalito e ferito un uomo, si comincia a pensare a una qualche ondata terrorista. Che Shkhaidem avesse progettato l'attacco sembra evidente dal fatto che aveva fatto partire la moglie da Israele.
Quella dell'aggressione terroristica palestinese è una vicenda che si rinnova portando lutto e tragedia con ritmo implacabile: Hamas è probabilmente alla ricerca di consensi nel suo conflitto interno con Abu Mazen e cerca di rafforzarsi ulteriormente dopo che il Presidente americano Joe Biden, oltre all'Egitto e altre forze mediorientali, hanno di nuovo spinto un rinnovato sforzo di unità fra Hamas e Abu Mazen. L'ultimo conflitto con Gaza è stato generato in gran parte proprio dalla decisione di Hamas di prendere la leadership palestinese sparando i suoi missili su Gerusalemme.
Adesso, poi, la mossa prende un sapore internazionale, perché (dopo che di nuovo il mondo intero con l'operazione di Gaza era caduto preda del solito rovesciamento di responsabilità e quindi aveva lanciato le solite accuse contro Israele dettate da ignoranza e pregiudizio) la ministra degli Interni inglese Priti Patel ha messo nella lista delle organizzazioni terroriste Hamas, per intero, non solo per la parte armata. E ha anche spiegato che lo ha fatto an che in virtù del fatto che si tratta di una "rabbiosa organizzazione antisemita" che mette a rischio al vita di tutti, e che tollerare l'antisemitismo crea delle pessime condizioni per la sicurezza del popolo ebraico e di ciascuno, dando la possibilità di spargere, come legittimo e addirittura segno di libertà religiosa e culturale, il veleno della violenza in tutti i Paesi occidentali, oltre che in Israele. Priti Patel segnala una lungimirante visione strategica quando aggiunge che bisogna combattere senza risparmio di forze dato che Hamas "ha significative capacità terroriste, incluso l'accesso a quantità estesa di armi sofisticate e a strutture di training terrorista". Ovviamente qui il riferimento è ai rapporti internazionali di Hamas, sia quando si parla di Fratellanza Musulmana, incluso il rapporto con Erdogan e col Qatar, che dell'Iran della Guardia Rivoluzionaria, che sostiene e guida Gaza.
Spesso si riconosce solo la parte militare di Hamas come terrorista, anche se gli USA e l'UE invece la definiscono tale nel suo insieme. Hamas ha reagito dicendo che l'Inghilterra "di nuovo invece di scusarsi per la Dichiarazione Balfour (che promette al popolo ebraico un focolare nazionale ndr) o il Mandato Britannico che consegnò ai sionisti terra palestinese, sostiene gli aggressori invece delle vittime". Quello che qui Hamas intende, e stavolta, secondo tutti i documenti, risulta d'accordo con Abu Mazen, e la completa delegittimazione e criminalizzazione del fondamento stesso dello Stato d'Israele, e quindi la determinazione a cancellarlo. Una risoluzione di morte, cui manca qualsiasi spazio per una politica di pace e soprattutto di miglioramento della condizione palestinese, destinata alla predicazione d'odio che gli viene somministrata dalla parole e dai gesti di gente come Shkahydem.