Fiamma Nirenstein Blog

La guerra antisemita contro l'Occidente

7 ottobre 2023 Israele brucia

Jewish Lives Matter

Informazione Corretta, il nuovo video di Fiamma Nirenstein

Museo del popolo ebraico

Hamas straccia le intese. Separa le famiglie e prova a logorare Israele. Doppia tortura per i piccoli

martedì 28 novembre 2023 Il Giornale 0 commenti

Il Giornale, 28 novembre 2023

Palloncini, sorrisi, discorsi di tenerezza e benvenuto. Israele è un Paese che da quando è nato non fa altro che festeggiare commosso la sua resurrezione da guerre, il superamento dei suoi terribili lutti, la sua gioia di essere vivo e l’incredibile resistenza dei suoi cittadini e soldati. La gioia di chi ritorna e di chi lo accoglie dopo il timore di una separazione definitiva è in questi giorni fonte di grande fiducia. Così è in questi giorni: si cerca di risorgere un po' nei ritorni quotidiani degli ostaggi. Ma è difficile ripararsi dalle immense contraddizioni che la gioia contiene, i soldati aspettano sulla sabbia di Gaza, è un confronto perdente col sadismo di Hamas: anche ieri la restituzione è contestata ritardata, alla fine arriva dopo la rottura del sempre ritardati, sempre contestati nel buio di gaza dal sadismo di Hamas.

Hamas rompe i patti, divide madri e bambini a suo piacimento in modo da allungare i tempi e avere tregue più lunghe, offre ostaggi ottenendo un sì per i prossimi due giorni senza promettere i bambini di cui anzi lascia intendere di aver perso le tracce per il bel numero di 18 creature. Non a caso ieri su 9 bambini c'erano solo due mamme; e ancora, i due bambini Bibas dai capelli color carota che tutto il mondo ormai conosce, uno dei quali ha dieci mesi, non sono fra i restituiti. Un altro gesto di odio e ripicca.

Hamas cerca anche di confondere la testa del mondo suggerendo una sindrome di Stoccolma con finti saluti gentili dei mostri e delle loro vittime. Ma poi è chiaro: Elma Avraham 84 anni, appena giunta in Israele è crollata in una sorta di coma finale con cui i dottori lottano, tutti sono denutriti, Adina Shoshani di 72 anni, il cui marito era stato appena assassinati quando i terroristi l’hanno caricata sulla moto, scendendo dalla macchina ha respinto con la mano il braccio del terrorista. La gente d’Israele seguita a combattere con tutte le sue forze per l’ossigeno del ritorno dei propri cari.

 Ma se sono una bandiera le foto di Avigail, 4 anni, restituita dopo 50 giorni di prigionia, è difficile ignorare che questa bambina non ha più casa, la sua mamma e il suo babbo sono stati assassinati a Kfar Aza, le restano i nonni e i due fratellini Michael di 9 anni e Amalia di 6 che si sono salvati restando zitti chiusi un armadio per sei ore mentre i mostri cercavano altre vittime nella casa. Avranno di che pensare e parlare nel futuro. E se tutta Israele tesse una tela di positività indispensabile, di generosità unica, pure la tragedia del 7 di ottobre è immanente, onnipresente finché Hamas non sarà sconfitto. Hila, 13 anni, accolta nelle braccia dello zio, è tornata senza mamma: Raya Rotem era con la figlia fino a poche ore prima del rilascio e Hamas dice invece che ne ha perso le tracce. Manipolazioni. Anche Maya Regev è stata restituita mentre Itay suo fratello di 18 anni, è sempre nelle mani dei terroristi. Chi ha visto la foto di Chen Goldstein che finalmente riceve fra le sue braccia Agam di 17 anni, Gal di 11 e Tal di 9 sente un grande dolcezza e consolazione: ma forse i bambini ignorano che sono orfani del padre e orbati della sorella diciannovenne Yam, rimasta col papà, uccisi. Ella Elyakim di 8 anni e la sorella Dafna di 14  che finalmente abbiamo potuto vedere nelle braccia della mamma, hanno visto assassinare il padre, la sua compagna, il loro bambino Tomer. Le storie che accompagnano queste e tutte le altre vicende sono complicate una ad una, con nascondigli, bruciati vivi, tagliati a pezzi… sono peggiori di qualsiasi film dell’orrore, sono storie di caccia alle donne ai bambini. L’amore della gente di Israele, generoso, consistente, accompagna uno ad uno chi ritorna; anche chi li accoglie è orfano, vedovo, scioccato.

Gli ultimi ostaggi, quasi tutti bambini, sono stati scortati con boria militare dai gruppi di terroristi che Sinwar ha usato nelle operazioni di sterminio, e persino con le stesse macchine pickup bianche. Dentro il nord di Gaza, dove specie a Sajaia sembra essere viva la forza di Sinwar, i soldati aspettano il segnale. Ci vorrà ancora del tempo, lo scambio durerà altri due giorni almeno. Molti calcoli dicono che anche dopo queste manovre, Hamas si terrà ancora 18 bambini in mano. Ma alla fine, è escluso che Israele non riprenda la battaglia per tornare a dare ai suoi, a tutti quanti, una casa.  

 

Questo femminismo cieco non riconosce la mattanza delle donne israeliane

lunedì 27 novembre 2023 Il Giornale 2 commenti

Il Giornale, 27 novembre 2023

Nessuna denuncia di violenza contro le donne ha senso se non misurata su quella del 7 di ottobre contro le donne israeliane. Oppure, si è antisemiti. Non solo chi l’ha vista nei film girati dai terroristi stessi lo sa, come me, ma anche chiunque veda la tv o abbia un po' di buon senso. Oppure, si è antisemiti. I terroristi di Hamas si sono autofilmati mentre violentano, strappano le vesti, trascinano per i capelli, caricano sulle macchine vive e morte donne spogliate nella parte inferiore del corpo sanguinante.

Alla morgue dove i resti delle donne uccise venivano ricomposti a centinaia spesso solo per parti recuperabili dalle mutilazioni e dal rogo, spesso le gambe erano fratturate e irrecuperabili a causa delle violenze. Bambine, vecchie e anche bambini piccolissimi sono stati violentati, hanno verificato i dottori: dopo tentativi difficili per raccogliere le prove dei fatti, anche i DNA dei violentatori sono stati ricuperati. Una sopravvissuta dalla festa dove sono state uccise più di trecento giovani che ballavano, ha testimoniato di una sua amica brutalizzata da diversi, tenuta ferma per i capelli; l’ultimo le ha sparata in testa e dopo ha continuato fino a che ha finito il suo atto sessuale. Una ragazza è stata mutilata dei seni coi quali i terroristi hanno giocato. Il footage che abbiamo visto mostra molte ragazze morte, svestite, sanguinante. Ma che razza di esseri umani sono le donne che non protestano?

Il femminismo ha sempre albergato una tarantola nel suo guscio, fin da quando negli anni settanta con un gruppo di amiche fondammo la rivista “Rosa”, sofisticata, intelligente, certo di sinistra. Io ero stata comunista, avevo perfino scritto un libretto sulla storia delle donne comuniste: il mio femminismo, molto primigenio, istintivo, di famiglia, pure non poteva fare a meno della catena della rivoluzione, di Rosa Luxemburg, del diritto al lavoro. Poi venne il corpo, l’aborto, il divorzio, l’autocoscienza: eppure restava l’indispensabile intersezione con le grandi radunate internazionali, terzomondiste, sovietiche! Che già sbattevano le donne israeliane fuori dai loro incontri.  Donne meravigliose, che avevano affrontato come eroine la maternità e la guerra, la zappa, la scienza, la poesia. La libertà! Donne senza soggezione verso gli uomini nel loro valoroso ritorno a casa, Israele, un simbolo non certo di colonizzazione, ma di decolonizzazione dalle grandi potenze. Per saperlo, bisogno studiare un po' dio storia.

Ma il femminismo già soffriva allora dell’enorme soggezione al movimento comunista, aveva bisogno della sua approvazione e delle sue bandiere. Quindi una volta che esso ha sanzionato lo Stato d’Israele, l’unico che garantisse l’uguaglianza dei sessi in tutto il Medio Oriente, il femminismo si è associato nella gran parte appiccicando etichette fasulle, coloniale, imperiale, capitalista, apartheid… il femminismo si è allineato. Adesso la femminista si è evoluta, è intersezionale, woke, pronta a sacrificarsi alla violenza di Hamas, perché gli “oppressori” sono bianchi, cristiani o ebrei: non importa se proprio loro salvano gli lgbtq dagli “oppressi” che li appendono ai lampioni; e non importa se Hamas, da loro difeso, impone alle bambine matrimoni con adulti pedofili, protegge e anzi ordina gli stupri, le botte, i rapimenti. È provato dalle loro stesse testimonianze dopo la strage. Il divorzio fra il femminismo e i diritti umani si è concluso da tempo: dopo quello che hanno patito le donne in Iran all’ ONU gli Ayatollah presiedono la commissione per i diritti umani e non risulta che il movimento abbia sussurrato.

Adesso siamo all’antisemitismo: peggiore, disperante direi, è che non si sia levata dalle manifestazioni italiane una voce sullo stupro di massa unito al femminicidio seriale che il 7 di ottobre ha travolto donne, bambine, anziane, mentre i loro cari, 1400, venivano uno ad uno trucidati. Perché avete rapito i bambini e le bambine, ha chiesto la polizia ai terroristi catturati. “per violentarli” hanno risposto. Maschilismo? Violenza? No, caccia alle ebree imperialiste e coloniali. Uccidiamole. 

 

Ultima tortura jihadista per logorare Israele. Ma Gerusalemme è pronta a riprendere la guerra

domenica 26 novembre 2023 Il Giornale 0 commenti

Il Giornale, 26 novembre 2023

Uno scambio di ostaggi con Hamas non è un pranzo di gala. Hamas ieri ha inventato una nuova tortura, e ne inventerà una al giorno per mettere Israele in ginocchio con l’unica arma che gli è rimasta e cercare di tornare a regnare su Gaza. Una serie di false accuse hanno bloccato al valico di Rafiah gli ostaggi israeliani. Sinwar è ormai a un punto di rottura il goffo tentativo di ieri di sollevare problemi tecnici su una questione vitale come il ritorno di 13 rapiti, mostra solo la perversione di Hamas. Il suo terreno di gioco è l’impegno di Israele a non abbandonare nessuno, tantomeno donne e bambini, costi quel che costi. Il ritardo nella consegna fissata per le 4 suggerisce un perverso disegno di dominio della psiche israeliana.

Durante tutto il giorno una vaga lista di proteste è uscita tramite pettegolezzi, la benzina promessa non è nella quantità prevista, i camion con l’aiuto umanitario non sono in numero giusto, i detenuti palestinesi non corrispondono al patto (peraltro sono rimasti fermi negli autobus fino come pattuito alla liberazione degli israeliani), Israele ha violato la tregua quando ha bloccato il passaggio a nord (richiesto da Hamas) degli sfollati al sud… Intanto, probabilmente terrorizzati, i bambini israeliani con le loro mamme aspettavano di salire sulle ambulanze della Croce Rossa. Una dichiarazione dei gruppi al-Qassam di Hamas ha sancito la decisione di Hamas. Al-Jazeera ha detto che i rapiti non sarebbero stati consegnati fino al completamento del patto. In questo tragico teatro le famiglie e gli amici dei rapiti che secondo le previsioni, appartengono al kibbutz Be’eri che ha visto gli orrori più indicibili della strage, hanno aspettato all’Hotel David sul mar Morto, dove le abbiamo visitate: nell’attesa, sono nel più profondo stato di shock, ma la forza della gente dei Kibbutz di Israele di sopportare il lutto e la trepidazione è sorprendente.

Non c’è invidia per le famiglie delle persone già liberate. C’è ottimismo nell’aspettare il proprio turno. La menzogna, dato che Israele non oserebbe mai violare un accordo che mette a rischio donne e bambini, vuole schiacciare la gente, i soldati, renderli sconvolti e incerti. Hamas vuole allungare i tempi per rimettersi in sesto: e suggerisce che gli scambi possano continuare altri giorni, forse fino a 10 giorni in cui si restituirebbero altri ostaggi. Per creare uno sfondo credibile si è avuta ieri la discesa sui cieli di Tel Aviv di un inviato speciale dal Qatar, e a Gaza la presenza dell’ufficiale sempre incaricato di portare le famose valige verdi col denaro coi miliardi per Hamas. Sinwar spera che con l’aiuto del Qatar e dell’Egitto, e dato l’interesse di Biden alla tregua, può spingere avanti col terrore l’interruzione della guerra, e farla diventare una tregua. Ma Israele sa bene che anche la restituzione dei rapiti è una conseguenza della sconfitta militare, e certo non dei motivi umanitari. Per questo, nel bel mezzo del momento di più intensa tensione, il Capo di Stato Maggiore Herzi Ha Levi ha detto a tutto il Paese in attesa: “Appena conclusa la restituzione dei rapiti, continuiamo”.

Ovvero, è solo questione di tempo. La salvezza di Israele non è nei patti con un’organizzazione di zombie che bruciano, stuprano, uccidono decapitano, anche se il Qatar e l’Egitto fanno di tutto per farlo credere. È nel batterne l’organizzazione una volta per tutte, cancellarla dal confine lungo il quale sorgono i kibbutz e le città la cui devastazione ha cambiato Israele per sempre. Herzi Ha Levi ha dichiarato la determinazione dell’esercito a andare avanti. Quando ha parlato non aveva ancora come confine la mezzanotte. Ma è quella l’ora in cui la tregua scade, e l’esercito deve prendere le sue decisioni in caso i patti sugli ostaggi siano stati violati.   

 

Armi mute dopo 50 giorni. Ma la guerra non si ferma

sabato 25 novembre 2023 Il Giornale 0 commenti

Il Giornale, 25 novembre 2023

Non sono stati sonni tranquilli quelli nella Striscia: nel buio profondo del silenzio delle armi, dopo la liberazione dei primi ostaggi, i soldati di Israele e i terroristi di Hamas seguitano a fronteggiarsi. È un intervallo in cui tutto può succedere, i soldati avvertiti di conservare la massima allerta, sono rimasti tutti ai loro posti dentro il nord e sud di Gaza; i terroristi preparano in segreto le loro prossime mosse, qualsiasi gesto cinico e perverso è possibile. È sempre la guerra fatale nata da una strage mai vista dal popolo ebraico dal tempo della Shoah, e adesso giocata sulla pelle dei sopravvissuti, specie i bimbi piccoli, la carta preferita di Sinwar. Inutile illudersi: la tregua non è in vista, solo un ‘ intervallo legato agli ostaggi, non si sa per quanti giorni oltre i quattro fissati. L’interruzione delle operazioni di guerra è per Hamas un guadagno che però segnala una sconfitta strategica: contro le aspettative di Sinwar, che si aspettava un’operazione limitata negli scopi e nel tempo come per le guerre precedenti, Israele ha cambiato volto.

La decisione è stata quella di combattere una guerra di sopravvivenza che non consenta mai più a Hamas di conservare il suo potere sul territorio e la gente di Gaza. Fino ad ora il nord, centro decisionale strategico, è stato circondato, Sheik Jilin, Shati, Beit Hanun, Rimal e parte di Zeitun e Jabalia sono state conquistate. Le unità che le dominavano sono state eliminate, e così buona parte della leadership intermedia. I dieci battaglioni nel nord non esistono più. È difficile contare quanti dei membri delle 140 compagnie composte ciascuna da 100 armati sono stati cancellati, ma il panorama urbano è un incredibile spettacolo di devastazione, i rifugi, le abitazioni e le armi sono a pezzi. La ragnatela di tunnel sotto gli ospedali così da garantire la protezione di scudi umani, la grande invenzione di Hamas è stata in gran parte scoperta, e sgomberati di armi e di uomini. Prima del cessate il fuoco l’esercito ha fatto saltare gli ingressi per impedire che gli uomini di Sinwar tentino di tornare a prendere possesso del nord e dei loro covi.

Hamas ha chiesto di tornare a nord alla massa sfollata a sud dopo che Tzahal aveva chiesto di lasciare le zone di guerra; ci sono stati dei tentativi di tornare a nord fermati dall’esercito che ha fatto due morti. Sinwar ha dunque accettato lo scambio costretto da una clamorosa sconfitta sul campo, costretto anche a vedere indietreggiare gli amici che si aspettava intervenissero, dall’Iran agli Hezbollah a Assad fino agli iracheni che insistono solo nel bombardare le basi americane. Adesso Hamas cercherà di prolungare il silenzio e  il divieto di sorveglianza aerea manipolando con la vita degli ostaggi il calendario e l’opinione pubblica israeliana e mondiale. Spera di riorganizzarsi e di spingere l’opinione pubblica internazionale sulla strada della tregua che consentirebbe all’organizzazione jihadista più pericolosa del mondo di restare in possesso di Gaza. Sinwar giocherà qualsiasi carta che serva a legittimare l’idea che occorre una tregua: ci saranno pesanti provocazioni per esporre Israele alla disapprovazione pacifista, azioni cosmetiche come quella di liberare 12 tailandesi, un regalo agli egiziani che sponsorizzano l’evento. Ma Israele, pure nell’indicibile emozione del successo, per niente scontato, nel mettere i cittadini al primo posto, specie i bambini sa che la maggioranza deve ancora tornare, e che i soldati restano per ora sulla sabbia di Gaza, finché Hamas non sia sconfitto.     

 

 

Posticipi, rilanci e dubbi. È l'ultima tortura jihadista

venerdì 24 novembre 2023 Il Giornale 0 commenti

Il Giornale, 24 novembre 2023

In arabo, dice Harold Rhode che ha lavorato molti anni al Pentagono come esperto del mondo islamico, si chiama “shamatah”, un concetto che esprime lo speciale piacere che deriva dal vedere un altro essere umano soffrire. Hamas ne sa qualcosa, il suo gioco non conosce limiti: dopo il pogrom del 7 di ottobre che aveva lo scopo preciso di gettare in uno stato di shock e lutto mai conosciuto prima lo Stato Ebraico, adesso pizzica con sadismo tutte le corde di una società occidentale che è forte militarmente, ma molto fragile nella sua concezione degli affetti e nella sua aspirazione alla pace. Ama la vita quanto Hamas ama la morte, come dicono loro stessi. Il gioco psicologico è durissimo. Israele in queste ore vive un’altra fase di attesa come quella che nelle ore della sera di mercoledì, a tarda notte ha portato alle lacrime ogni famiglia in agonica attesa degli ostaggi, da quelle dei bambini di pochi mesi a quelle dei vecchi nonni. Adesso, mentre l’ironia della storia lo travestiva da diplomatico dai modi cortesi, il portavoce del Qatar, mallevadore dell’accordo e migliore amico di Hamas, di fronte alle famiglie che aspettano i loro cari e a tutta Israele, ha disegnato il nuovo momento della liberazione di 13 dei suoi, donne e bambini, dice Hamas, contro lo stesso numero moltiplicato per tre di detenuti palestinesi, per quattro giorni. Il vecchio accordo, si è detto, forse è saltato perché Hamas ha rifiutato a Israele che la Croce Rossa possa visitare tutti gli ostaggi.

Ma l’uomo con la Kefia ben stirata ha anche consegnato un messaggio molto chiaro: dopo i 4 giorni stabiliti, ha detto, se vorrete andremo avanti fino a un cessate il fuoco definitivo. Il sottinteso: così Hamas resterà a Gaza, e non verrà distrutto. Queste alternative disegnano per Israele grandi difficoltà, drammatiche scelte. Su oggi, Israele è cauta, contratta: alle 7 col cessate il fuoco, dopo i camion pieni di benzina e di generi vari al nord e al sud della Striscia, si aspettano i bambini a Rafiah. Ma sarà poi vero? Tutto andrà come stabilito? Alle 4 verranno consegnati i cittadini?  I loro nomi, noti da molte ore, pure per prudenza restano segreti. Qualcuno teme addirittura che Hamas abbia dato una lista fasulla e che il precedente stop sia stato programmato. Potrebbe esserci un nuovo inciampo fatale in programma. Tutte le famiglie, anche quelle non in lista, hanno ricevuto un messaggio che dice quale sia la loro sorte, e prega di non credere alle fake news. Il gioco dei nomi ha tormentato il paese con sussurri e grida. Dopo i 50 prigionieri, forse gli scambi continueranno: ma la guerra non verrà fermata, solo interrotta, ripete la leadership israeliana.

Nessuno desidera fermare l’esercito: tuttavia i soldati adesso resteranno nella Striscia per un tempo imprevisto, potranno rompere la tregua solo in immediato pericolo di vita, e saranno molto più fragili di fronte alla possibilità, che come ha fatto durante altre tregue, Hamas approfitti per tentare di colpire, rapire, fare esplodere la situazione se gli conviene, sempre fidando sugli ostaggi nelle sue mani come elemento di deterrenza. Da una parte quindi Israele è preoccupato di dovere contenere le trappole di Hamas, e dall’altra di non cadere in una tregua indefinita. Israele sa che deve concludere la guerra con l’eliminazione di Hamas. Sa che anche Biden spingerà per ottenere una situazione di pace. Sa che l’Europa lo farà. Non capiscono che sono in pericolo se, dall’Iran a Hamas, agli Houthi agli Hezbollah, non si ristabilisce una situazione di deterrenza contro il terrorismo che parte da Gaza.

 

The Rome-Jerusalem Summit's 10 Principles for Combating Global Antisemitism

venerdì 24 novembre 2023 Generico 0 commenti

Potrebbe essere un'immagine raffigurante testo

Potrebbe essere un'immagine raffigurante testo

SAVE THE DATE Convegno "Rome-Jerusalem Emergency Summit on Global Antisemitism"

giovedì 23 novembre 2023 Generico 0 commenti

Potrebbe essere un'illustrazione raffigurante testo

Oggi lo scambio fatale. L'angoscia e la speranza

giovedì 23 novembre 2023 Il Giornale 0 commenti

Il Giornale, 23 novembre 2023

Hai caldo? Hai freddo? Hai sete? Vieni da me, tranquillo, sei in mano sicure, sono israeliano, ti posso prendere in braccio? Posso abbracciarti? Queste frasi, con altre istruzioni, sono scritte su un foglio da imparare a mente, consegnate ai soldati che oggi riceveranno i bambini e le donne dopo 48 giorni di prigionia nelle mani di Hamas. Ambulanze, assistenti sociali, ospedali, psicologi, elicotteri, macchine della croce rossa, soldati sul campo che dovranno accogliendo la tregua badare a che non serva per ulteriori agguati, tutto si prepara all’evento. Fino al porto sicuro dell’incontro con la famiglia. È un’agonia illuminata dalla speranza per chi torna e per chi li accoglie. Ma quanta ansia. I parenti del gruppo che verrà liberato sono stati avvisati un’ora prima del pubblico. Ma è anche per loro, i fortunati, la domanda se davvero Hamas ha intenzione e persino, come ha avvertito furbescamente, la possibilità di consegnare le persone in lista.

E poi: in che condizioni arriveranno i prigionieri, i bambini piccolissimi? Saranno malati, scheletriti come lo era Gilad Shalit? Vorranno subito la mamma benché la mamma sia stata uccisa, ed essi lo ignorano? Quanto può esser concesso a un’organizzazione terrorista come Hamas di torturare il popolo di Israele? Eppure nelle ore in cui si preparava per oggi lo scambio della prima tranche dei 50 ostaggi, bambini e donne nelle mani di Hamas con tre volte tanti terroristi, donne e giovani, si è assistito all’ennesima tortura contro Israele, stavolta non fisica come il 7 di ottobre, ma psicologica: i genitori in piazza a Tel Aviv, negli alberghi dove vivono oggi i profughi della strage, hanno aspettato insieme per vedere se il nome dei loro cari è nella lista degli ebrei destinati allo scambio.

Verso le 5,30 dal Qatar è arrivato l’annuncio che Hamas avrebbe fornito la lista di tutti e 50 gli ostaggi da restituire tramite corridoi sicuri, trasportati dalla Croce Rossa. Una mamma disperata intervistata ha espresso quello che passava per la mente dei parenti in queste ore: “Mio figlio ha 25 anni, di certo verrà escluso dalla lista, ma credetemi, mio figlio è ancora un bambino anche lui, è il mio bambino”. La tragedia biblica della scelta di questi primi esseri umani che oggi saranno scambiati mentre si svolgono i quattro giorni di tregua previsti, è piena di imprevisti: Sinwar può tendere trappole di ogni genere pur di fare una strage di soldati, sarebbe la sua gloria. Ma in queste ore Israele si prepara a fare uscire dalle due carceri maschili per terroristi, Megiddo e Ofer, e da quello femminile, Ramon, tre prigionieri per ogni liberato israeliano, fino nella prima tranche di 150, divisi in quattro giorni. Sono 300 terroristi che hanno le caratteristiche richieste: non hanno ucciso, sono una ottantina almeno, ma hanno tentato di uccidere; molti saranno liberati non a Gaza, ma a casa loro, nel West Bank, a pochi metri dalle persone cui hanno sparato.

Ma Israele ha dato la sua parola: non li arresterà finché non violeranno di nuovo la legge. Tutti tuttavia ricordano che fra i più di mille liberati in cambio di Gilad Shalit, c’era anche Sinwar: giurò che avrebbe liberato tutti i terroristi nelle prigioni. Sinwar qui ottiene anche il tempo di cui ha bisogno per le armi, gli uomini, i nascondigli sotterranei; per sei ore al giorno i droni non potranno volare. L’intenzione di Sinwar è allungare la tregua con altri ostaggi a prezzo più alto via via quando si tratterà dei soldati. Israele ha adesso il compito che Netanyahu ha chiarito nell’annunciare che il carattere democratico e umanitario di Israele impone di non lasciare indietro nessun cittadino, per un bambino poi si paga qualsiasi prezzo: e tuttavia, appena concluso lo scambio tornerà alla guerra, alla distruzione di Hamas. La decisione è quella di passare dal nord della Striscia al sud, dove la rete delle gallerie e la fuga della gente dal nord ha assemblato la prossima sfida.  

 

Israele accetta lo scambio che strappa i bambini a Hamas

mercoledì 22 novembre 2023 Il Giornale 0 commenti

Il Giornale, 22 novembre 2023

Il popolo d’Israele adesso può finalmente aspettare a casa la piccola Avigail Idan, tre anni e mezzo: la vede già, nell’immaginazione, con gli altri bambini, fuori delle rovine di Gaza. Cammina verso ciò che le è rimasto in questo mondo ma non sono i suoi genitori: davanti ai suoi occhi, quel sette di ottobre sono stati trucidati da Hamas. Tuttavia forse verrà a casa, e sarà abbracciata. Donne e bambini, secondo l’accordo, saranno 50 contro 150 palestinesi: gli israeliani saranno in gruppi di dieci-dodici distribuiti su 4 giorni di tregua, in cui Hamas riceverà in cambio i suoi donne e ragazzi in prigione (giovani terroristi, in sostanza), benzina, cibo, e soprattutto tempo per riorganizzarsi, fuggire, sistemare i missili e gli esplosivi. Gli ostaggi saranno l’ombra di ciò che erano, stupefatti, malati, stanchi, forse per sempre feriti nel corpo e nella mente, specie i più piccini. Non è chiaro se i figli e le mamme saranno insieme quando escono dalle mani di Hamas, 210 dicono loro, e 30 in quelle della Jihad Islam. Già Sinwar intorbida le acque fa sapere che di alcuni non si sa dove siano, chissà dove sono andarti a finire. Nel buio delle gallerie? Presso qualche banda di criminali complici della strage per divertimento e proventi?

Affidati a famiglie adesso al sud? Ogni possibilità sarà una buona ragione per rimandare, imbrogliare, approfittare, Sinwar costruisce qui una storia infinita di promesse e imbrogli, per spezzare il morale di Israele e guadagnare tempo. Mentre Israele pensa uno ad uno ai volti dei propri cari, e già si contorce su chi sì e chi no, Sinwar già fa circolare un altro numero, 80 ostaggi, e quindi altri da scambiare dopo i 50 previsti per prolungare la tregua di giorno in giorno. Il suo calcolo prevede che lo scontro fra le famiglie dei rapiti su cui si tratta e quelli, come i soldati, che Hamas terrà fuori, metta Israele in uno stato di rottura e di pena fino a una crisi interna, capace di investire anche l’esercito, i ragazzi che combattono fianco a fianco sulla sabbia di Gaza. Il loro lavoro quotidiano è già costato 70 vite del fior fiore della gioventù israeliana, dopo la strage di più di 300 soldati nell’ambito dei 1400 uccisi il 7 ottobre: ma la loro determinazione a vincere insieme, ha travolto Hamas molto oltre le aspettative di Sinwar.

Il piano era infliggere a Israele un colpo letale e riceverne in cambio soltanto una delle consuete sventole, un’operazione come quelle precedenti che avrebbe lasciato in piedi il regime dell’organizzazione terrorista peggiore dell’Isis. Non è andata così: la decisione strategica di Israele è stata quella di combattere fino in fondo una guerra indispensabile a sopravvivere. La comprensione dell’aut aut che un vicino come Hamas pone allo Stato Ebraico, la minaccia letale ha portato a occupare il nord della Striscia, scoperchiando e distruggendo il cuore della forza di Hamas, le gallerie sotto gli ospedali, gestendo con capacità la delicata operazione anche di fronte alle proteste internazionali, mentre Hamas faceva della gente un gigantesco scudo umano e Israele dimostrava che gli Ospedali erano la fortezza di Hamas. Hamas non se l’aspettava: l’Iran, il suo patron, ha dichiarato che con quella guerra non ha niente a che fare scioccato dall’accerchiamento degli amici in cui ha investito buona parte del suo sogno di distruggere Israele. Adesso, se Hamas immagina che dopo l’interruzione eventualmente prolungata fino a che ci saranno altri ostaggi da scambiare col tempo per rimettere in sesto i lanciamissili, Israele mollerà la presa e magari si avvierà a un cessate il fuoco definitivo. Non avverrà. Hamas non capisce Israele, lo immagina occidentale, morbido, spaccato.

Dice che è innamorato della vita quanto gli shahid amano la morte: è vero. Ma sottovaluta la nuova unità, nata con lo Stato d’Israele e molto forte dopo il 7 di ottobre: la determinazione a combattere per la vita del popolo ebraico tante volte messa in forse dalle persecuzioni e dall’antisemitismo è totale. La guerra si interromperà forse giovedì per far tornare Avigail, ma durerà fino a quando SInwar non sarà sconfitto.   

 

Ore drammatiche per la sorte degli ostaggi

sabato 18 novembre 2023 Il Giornale 0 commenti

Il Giornale, 18 novembre 2023

Ancora non c’è una decisione sullo scambio, il gabinetto di guerra in Israele si interroga sulla sua realtà, sui rischi e i vantaggi: un patto con Hamas non è una stretta di mano fra gentiluomini, specie se garantito dal Qatar. Ma l’esasperazione è alle stelle. “Voi chiedete pazienza, dopo 42 giorni noi non ne abbiamo più! Viviamo in un incubo, avete la responsabilità del ritorno dei nostri cari. Decidete per una parte, per tutti, decidete qualcosa che ci riporti a casa i nostri cari!”. È stata una delle esclamazioni furiose raccolte ieri dal ministro Miki Zoar in visita ai parenti degli ostaggi nelle mani di Hamas.

Dalle ceneri rosse di sangue dei kibbutz, mentre il plotone 12 del battaglione Golani dentro Gaza occupava, dopo aver perduto dall’inizio della guerra 72 dei suoi, lo spiazzo da cui erano partiti l’8 ottobre i terroristi, sull’autostrada che porta da Tel Aviv a Gerusalemme si svolgeva un altro capitolo fondamentale, basilare, della guerra: quello per riavere a casa i 239 ostaggi rapiti da Hamas.

Seimila persone stanno da giorni compiendo una via dolorosa, una marcia che da un urlo per rivedere i nipotini, i figli, i coniugi e i nonni prigionieri diventa esasperazione politica e si concretizza nella richiesta dei partecipanti, di accogliere qualsiasi proposta, non importa se limitata, incerta, non interessa se riferita solo a un gruppo di età o di qualsiasi altro genere… l’importante è rompere il silenzio: dopo 42 giorni di agonia i parenti dei rapiti, e con loro tutto il Paese, vogliono che qualcosa di questa insopportabile situazione si muova.

Ma in questo abilmente Hamas ha posto un’altra enorme carica esplosiva per il futuro di Israele. La proposta di Hamas negli ultimi due giorni si è stabilizzata su 50 ostaggi, donne bambini e donne anziane (si dice) contro 150 prigionieri delle carceri israeliane, donne terroriste e cosiddetti bambini, che sono in realtà giovani terroristi. Punto centrale dello scambio anche la tregua, che Hamas vuole pari a cinque giorni, e per ora starebbe a tre giorni da parte israeliana. Inoltre un’altra richiesta vorrebbe che durante la riconsegna, non si sa in quante rate, e dove, e a chi, Israele rinunciasse a qualsiasi sorveglianza che scopra le postazioni di Hamas, i suoi nascondigli segreti.

Ci sono molti dilemmi nella proposta di Hamas, e Sinwar sa bene di stare semplicemente tentando di interrompere le operazioni militari che stanno distruggendo il suo potere. Per farlo chissà quante trappole ha messo sulla eventuale restituzione degli ostaggi, per esempio una rateizzazione infinita, gestita da lui. Ma per Israele il recupero degli ostaggi è una componente fondamentale della guerra in corso.

Non si sa quanto sia direttamente legato a questa situazione, ma ieri con decisione molto drammatica, si è deciso di consegnare a Gaza 1300 litri di gasolio. Il gabinetto non è concorde su questo. È tutta energia che lungi dall’essere utilizzata per i cittadini, dato che a Hamas della crisi umanitaria non importa niente, servirà per rimettere in sesto le gallerie tana di Hamas e altri strumenti strategici della sua organizzazione.

Il governo sostiene che si tratta di una decisione che non danneggerà le operazioni di guerra, dovuta alla necessità di non danneggiare i cittadini innocenti, di rispondere alle richieste internazionale. Il consigliere strategico di Netanyahu, Tzachi Hanegbi, dice che la guerra continua finché non siano eliminati tutti i responsabili dell’aggressione a Israele. L’ingresso della benzina è stato criticato anche da ministri molto vicini a Netanyahu, può danneggiare il morale dei soldati che combattono in condizioni difficili: ma Israele risponde incoraggiandoli a combattere e nega anche per ora ci sia un accordo. Aggiunge però che un eventuale interruzione del fuoco, sarebbe breve, molto breve.

Ma le famiglie sono disperate: insistono che un accordo ne porterà un altro. E una delle domande più drammatiche che lungo la strada sono state fatte a Zoar, è se le due rapite che sono state ritrovate morte, non siano state forse uccise da fuoco amico. Questo contraddirebbe quanto ha ripetuto anche ieri Tzachi Hanegbi a nome del governo: la guerra, portata ha detto, senza ledere i malati e i medici e agendo perché i cittadini sgomberino dalle zone di guerra verso il sud, aiuta a salvare i rapiti. Anzi quanto più è decisa tanto più possiamo sperare nella loro salvezza. Tutti punti di dubbio, di rottura, di angoscia, in un Paese che più di tutto in questo momento ha bisogno di unità, e i cui ragazzi combattono ogni giorno.   

 

Per offrirti un servizio migliore fiammanirenstein.com utilizza cookies. Continuando la navigazione nel sito autorizzi l'uso dei cookies.