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La guerra antisemita contro l'Occidente

7 ottobre 2023 Israele brucia

Jewish Lives Matter

Informazione Corretta, il nuovo video di Fiamma Nirenstein

Museo del popolo ebraico

Egitto, un summit cinico e fallito

domenica 22 ottobre 2023 Il Giornale 0 commenti

Il Giornale, 22 ottobre 2023

Il “summit per la pace” de Il Cairo ieri, 31 pomposi inviti in tutto il mondo, ha di fatto celebrato l’apertura da parte dell’Egitto del passaggio di Rafah per introdurre alcuni camion di aiuti per i palestinesi, ma ha anche lavorato in maniera autolesionista per tutto il mondo a rafforzare i nemici di Israele, dedicandogli i monologhi soprattutto arabi di esecrazione e di intimidazione politica a fronte di una guerra che lo Stato Ebraico deve sostenere per seguitare a vivere. L’intento politico immediato è quello di ritardare la battaglia di terra che Israele sta per affrontare perché Hamas non resti il dittatore terrorista di Gaza. Un obiettivo bizzarro da parte di al Sisi, interessato com’è a porre fine al regno di quella forte sezione della Fratellanza Musulmana, la sua principale nemica, che è Hamas. Il tono è stato ambiguo e antisraeliano, nonostante lo sforzo politico di alcuni partecipanti di fra cui dobbiamo lodare Giorgia Meloni per denunciare la crudeltà di Hamas e stabilire il diritto di Israele a vivere. [...]

 

I palestinesi devono cambiare strada

sabato 21 ottobre 2023 Il Giornale 0 commenti

Il Giornale, 21 ottobre 2023

Khaled Abu Toameh è un giornalista e analista palestinese unico, da anni fronteggia i pericoli che il suo mondo diviso fra il regime religioso-fascista di Hamas e quello autoritario della Autorità nazionale palestinese di Mahmoud Abbas riservano a chi dice la verità. Gli articoli di Khaled sul Jerusalem Post sono una fonte di conoscenza spietata, senza rivali delle dinamiche politiche e ideologiche palestinesi.
Khaled lei oggi scrive sul Jerusalem Post che, anche in base a accordi presi nei mesi scorsi, Hamas aspetta con ansia che Hezbollah entri in guerra a suo fianco.

Accadrà?

“La fratellanza strategica e ideologica delle due organizzazioni è fuori di dubbio, anche recentemente a Beirut sia Hamas che la Jihad Islamica hanno fatto svariate visite a Nasrallah… Non importa se una è sciita e l’altra sunnita”.
 

Con la supervisione dell’Iran…

“Hezbollah non farebbe nessuna mossa senza il nulla osta dei suoi patron. Per ora quello si vogliono fare vivi senza troppo impegno, i colpi di artiglieria sono intensi, ma alla vigilia dell’ingresso a Gaza non vogliono farne, per ora, un casus belli… però in queste situazioni la situazione può sfuggire di mano. Se un colpo di mortaio colpisce un gruppo di israeliani, è fatta. Hamas nel 2006 non si aspettava che Israele dopo il rapimento dei soldati arrivasse a Beirut: Nasrallah disse poi che era pentito. Ma il suo legame con Gaza, con l’Iran, possono determinare sviluppi; è una guerra ideologica. In Hamas l’aggressività è cresciuta nel tempo col coordinamento su base regolare”.
 

Biden ha ripetuto che la bestialità dell’attacco è tipico solo di Hamas, che i palestinesi sono un’altra cosa. Lei ha parlato con la sua gente, è stupefatta? Disgustata? O invece soddisfatta, approva?

“Lo stupore c’è eccome, ma si manifesta poco e in segreto sulla strage orribile: si ha paura di essere creduti sostenitori di Israele. Semmai in pubblico si esclama sulla dimensione dell’attacco, non si pensava che Hamas fosse in grado di agire su vasta scala. Ma di rifiuto morale, e io sono certo che ce ne sia, non si trova espressione”.
 

Anche perché Abu Mazen non ha mai condannato

“All’inizio uscì un post in cui si dissociava, e poi però l’ha cancellato. Eppure Abu Mazen desidera che Hamas scompaia, ne ha subito svariate sconfitte e non solo alle elezioni del 2007. Nell’Autorità Palestinese stessa, nelle Istituzioni, Università, unioni degli insegnanti, unioni dei lavoratori… Hamas vince sempre!”.
 

Eppure anche Abu Mazen conta cercando il consenso sull’antisemitismo, sull’odio per Israele, sulla copertura del terrorismo

“Ma Hamas è forte perché la leadership di Abu Mazen è vecchia, corrotta, incapace, non porta a casa nessun risultato pensa solo a sé stessa. Ma anche a Gaza ci sono state proteste subito stroncate. E pochi vi hanno partecipato. La maggioranza sostiene dei leaders feroci, fanatici, che non le ha portato che guerre, distruzione, che coi finanziamenti ha costruito missili e terrorismo”.
 

E le masse dei civili sofferenti di Gaza vedono la situazione in cui Hamas li ha messi?

“Non so. Spero solo che, se Israele è serio è porta al rovesciamento di Hamas, nasca una nuova leadership palestinese che renda chiara la sua rottura col passato. Per ora è difficile sostenere che i palestinesi di Gaza non siano legati a Hamas”.
 
Cosa vuol dire “se Israele è serio”?
 
“Vuol dire che deve avere la forza d’animo e la pazienza di distruggere tutte le complesse istallazioni belliche che Hamas con molti uomini, molti soldi, su grandi spazi, ha costruito. Ci vorrà molto tempo”.
 

Sta parlando di occupazione?

“La chiami come vuole. Sto parlando di restare disponibili per molto tempo a non lasciare un territorio inquinato dalla guerra e dall’odio. La presenza dell’Autorità palestinese di Abu Mazen, dovrà nel caso contribuire con un lavoro di mesi e di anni”.


Lo può fare la leadership che lei descriveva poco fa?

“Mahmoud Abbas, ma anche al-Sisi, non sognano altro che di veder scomparire Hamas. Devono prendere una posizione coraggiosa e decidere di cambiare il futuro del popolo palestinese”.
 

Biden ha parlato di “due Stati per due popoli”

“Una formula consumata; se Israele si ritirasse dal West Bank, in un attimo Hamas prenderebbe il sopravvento. E sarebbe un bagno di sangue. Basta con le formulette: i palestinesi devono dedicarsi a una profonda riflessione andare oltre le dittature e la corruzione che li domina, oltre la disastrosa pulsione islamista che ha preso il sopravvento. Basta. Chiediamoci what went wrong, “che cosa è andato male?”.     

I burattinai della guerra

venerdì 20 ottobre 2023 Il Giornale 0 commenti

Il Giornale, 20 ottobre 2023

 
Hezbollah attacca il nord di Israele, ha lanciato ieri decine di missile e colpito la città di Qiriat Shmone, ancora in modo sporadico, mentre a sud Hamas seguita a sparare i suoi razzi e l’esercito temporeggia: il gabinetto di guerra si è riunito durante la notte. Beirut viene evacuata in alcune zone, e così anche alcune zone del nord d’Israele. La domanda fatale nell’aria è quale guerra Israele deve affrontare, entrerà solo a Gaza, e quando, e quale altro scontro il mondo deve ancora vedere, di quale dimensione, di quanta crudeltà. Biden, a fianco della guerra di Israele contro i massacratori di Hamas, ci ha messo tutta l’energia possibile: don’t, don’t, don’t. Tre volte ha chiesto a “chiunque” intenda aggregarsi alla guerra contro Israele di tirarsi indietro, pena trovarsi di fronte gli Stati Uniti. L’avvertimento all’Iran e ai suoi vassalli è chiarissimo. Molto meno chiaro se funzionerà. Se non accadrà, le portaerei, i velivoli, i proiettili che vengono in queste fornite a Israele, persino i 900 americani di stanza nella zona, potrebbero diventare parte di un conflitto i cui limiti sono quelli della fantasia messianica dell’Iran: immensi. La cui crudeltà, è quella di Hamas. Per l’Iran la distruzione di Israele rappresenta la gloria escatologica, il tappeto rosso per la venuta del Mahdi, il profeta sciita che condurrà l’Islam alla vittoria definitiva e alla redenzione del mondo. Anche gli Stati Uniti sono il nemico naturale per l’Iran, cristiani, moderni, liberali, ma ben armati di tecnologia e di strutture belliche. Con le stragi, la continua diffamazione, l’assedio e la delegittimazione internazionale, l’Iran prepara la sua guerra definitiva, e aspetta il momento giusto. Israele è il segnale di guerra globale, Hamas è la sua carta di credito presso il mondo sunnita. Solo due anni fa la televisione di stato di Teheran mise in onda un video in cui un missile colpiva Capitol Hill, e lo consumava nelle fiamme. Il video era accompagnato da un canto in cui gli Usa erano “il palazzo dell’oppressione” e Gerusalemme veniva liberata. Di nuovo un video mostra Khamenei che in prima persona accusa gli USA di essere il burattinaio responsabile di tutti gli ultimi eventi, e dice che tutto il mondo mussulmano e non, “è arrabbiato, molto arrabbiato”.
 
 Ieri, la “Resistenza Islamica irachena” ha rivendicato la responsabilità del lancio di droni sulla base aerea di Ain al-Asad, che ospita forze statunitensi nella parte occidentale dell' Iraq e in Siria ha preso di mira la base di Al Tanf, vicino ai confini con l’Iraq e il giacimento Conco Gas, nella regione settentrionale di Deir al-Zor, definendolo “occupato dalle forze americane”. Tutte forze iraniane: il gruppo Kataib Hezbollah minaccia di colpire le basi americane in Iraq per “sostenere Gaza”. Mentre un cacciatorpediniere statunitense operante nel Mar Rosso settentrionale ha abbattuto tre missili terra-superficie e diversi droni lanciati dai ribelli Houthi in Yemen e secondo il Pentagono "potenzialmente diretti verso obiettivi in Israele".
 
Sono scadute ieri le sanzioni all’Iran in base alle quali erano state sospesi i programmi balistici e nucleari: ora esso può importare e esportare missili e tecnologie, e avanzare le ambizioni nucleari. Dopo i droni a Putin, i mullah passano forse ora ai missili balistici e forniscono armi ai Hamas, la Jihad Islamica, Houthi, Hezbollah, ai i siriani di Assad, alle organizzazioni terroristiche con cui ha rapporti che spaventano tutto il mondo arabi. In queste ore, le tv iraniane in lingua araba, Al Alam e vari website, si rivolgono direttamente al pubblico, secondo una tecnica tipica, quella di scavalcare le leadership spesso nemiche del regime degli ayatollah che temono e di cui non si fidano, per rivolgersi direttamente al popolo, e nei Paesi del Golfo per esempio, accusano le leadership di debolezza. Dopo il missile della Jihad islamica palestinese sull’ospedale di Gaza attribuito a Israele, la piazza araba anche più contenuta nei confronti di Israele, è esplosa in un coro di odio: in Egitto, in Giordania, in Libano, in Turchia e anche nei Paesi degli accordi di Abramo i leader esplodono in un odio islamista e antisemita della vicenda. Anche in Europa e negli USA si allargano gli scontri. La guerra di Hamas è stata decisa e condotta secondo un piano di cui l’Iran è la testa: adesso si tratta di capire se il paese degli ayatollah intende procedere in un disegno che ovviamente cerca il momento migliore per esplodere. Se Teheran deciderà che il momento è questo, lo vedremo nelle prossime ore, dal comportamento degli Hezbollah. Molti ufficiali di Hamas, come Ahmed Abdulhadi o Ali Baraka, hanno raccontato ai media americani e russi, come il piano stia stato studiato per due anni con l’aiuto dell’Iran e con gli Hezbollah. Hamas ha potuto sempre contare su vari aiuti, come quello del Qatar e della Turchia, ma l’unico Paese che gli ha fornito assistenza e know-how è l’Iran. Col suo aiuto ha costruito la sua industria di missili. Data l’ampiezza del programma del 7 di ottobre, è chiaro, scrive Jonathan Spyer che tutto il training è stato preparato fuori dei confini. Il riferimento di missili Fajr e dei M302, è tutta roba iraniana come scrive Jonathan Spyer sul Jerusalem Post.
 
L’IRGC, la poliedrica costruzione militar-ideologica del regime iraniano che si occupa dalle donne che non indossano propriamente il velo fino alla strategia per conquistare il mondo ha disegnato la strategia attuale: bypassare la tecnologia e la forza militare attaccando a morte la società israeliana. Il Libano, Gaza, la Siria, l’Iraq, ormai parte del West bank, e adesso anche gli altri Paesi stravolti nell’opinione pubblica a causa della guerra, sono tutti territori utilizzabili. La questione atomica era in primo piano mentre l’Iran costruiva una quantità di cavalli di troia, servendosi anche delle sue amicizie politiche. La Russia nel consiglio di sicurezza tiene per Hamas, e in questo l’Iran ha certo un ruolo. Il coordinatore all’ONU del processo di pace, Tor Wennesland ha detto che la pericolosità dell’espansione di questo conflitto è “reale, molto reale”. La verità è che l’intero occidente si trova oggi, inconsapevole, di fronte al reame degli incubi: in queste ore si ritrovano altri corpi carbonizzati dei bambini bruciati vivi dai terroristi insieme alle loro mamme, nuovi video materiale mostrano i lanzichenecchi a caccia dei ragazzini alla festa, a frotte scendono dalle Subaru con in tasca i biglietti di istruzioni che dicono come ammazzare, torturare e rapire luogo per luogo. Su ciascuno di quei bigliettini, l’impronta ideologica dell’Iran che in queste ore può dare agli Hezbollah l’ordine di guerra. Don’t, suggerisce non solo Biden, ma la enorme determinazione di Israele a combattere e a vincere. Ma il mondo trema.

Biden abbraccia Netanyahu. "È come l'11 settembre, ma non rifate i nostri errori. Strage a Gaza? Non è vostra"

giovedì 19 ottobre 2023 Il Giornale 0 commenti

Il Giornale, 19 ottobre 2023

Non siete soli, ha ripetuto tutto il giorno il Presidente, ma a sera ha lasciato di nuovo Israele in preda della sua guerra, i soldati sul bordo di Gaza che aspettano l’ordine di entrare mentre le famiglie tremano, le decine di migliaia di persone private dei loro cari, dei vecchi e dei bambini, i kibbutz del sud bruciati, quelli del nord in fase di sgombero mentre gli hezbollah sparano. Con eloquio lento, un vecchio saggio che compie il suo dovere, ha fatto sentire compreso questo Paese disperato. Erano le 6,30, molto più tardi dell’ora stabilita dal protocollo, quando, illuminato, l’Air Force One si è levato nel cielo di Tel Aviv. La gente d’Israele l’ha salutato già in preda alla nostalgia. La visita di ieri ha avuto un grande merito, quello di ristabilire il significato reale del 7 di ottobre, e con esso l’importanza della patria degli Ebrei per tutto il mondo libero: a chi ha classificato la vicenda mostruosa come un episodio dello scontro israelo-palestinese, chi ne ha fatto addirittura una conseguenza della sofferenza della Striscia di Gaza, immaginata erroneamente come occupata, ha potuto sentire nelle parole di Biden l’ammirazione per il popolo ebraico, per la sua fatica di vivere, l’indispensabilità per il mondo libero a fronte di quello dell’oscurità terrorista. Biden ha recuperato il senso strategico e morale della vicenda: difendere Israele da una minaccia mostruosa, che, ha detto, minaccia anche gli USA. Con la strage è stata riproposto l’incredibile mostro della Shoah: l’attacco genocida, e Biden non ha risparmiato le parole, nei numeri e nella ferita alle famiglie d’Israele, è sovrapponibile alle peggiori persecuzioni, alla Shoah, e nella storia degli USA è simile all’attacco dell’11 di settembre. [...]

Gaza non basta

martedì 17 ottobre 2023 Il Giornale 0 commenti

Il Giornale, 17 ottobre 2023

David Wurmser aveva un biglietto per tornare a casa a Washington, tre giorni fa. Era in visita d’affari, subito cancellata con l’avvento della guerra. Ma l’ex consigliere strategico del vicepresidente Cheney e poi di John Bolton, che era allora consigliere del presidente per la sicurezza, ha deciso di perdere il volo. Adesso, essendo un grande esperto di strategia, risponde al telefono da Gerusalemme e da Tel Aviv ai molti giornalisti americani.

Come mai è ancora qui?

“Credo in Israele, ho sentito subito il bisogno di trovare una mia forma di solidarietà, resterò finché ci saranno di nuovo i voli per gli Stati Uniti”

Andiamo diritti al cuore del problema. Come deve svolgersi questa guerra, dove deve portare?

“Le confesso che ieri, quando lo scontro col Libano è sembrato vicino, ho pensato che prima di tutto si dovesse affrontare il problema degli Hezbollah e dopo, in maniera definitiva, Hamas”

Perché quest’idea? Sia il governo israeliano che il governo americano si sono pronunciati per tenere gli Hezbollah fuori. Questo significa anche allontanare la presenza dell’Iran.

“Il colpo che Israele ha subito lo scorso sabato fa nascere questioni molto serie fra tutti quelli che vogliono la pace sia fra gli arabi, che negli alleati come gli USA e l’Europa che ancorano il rapporto nella sicurezza e negli interessi. Un colpo all’idea che Israele sia forte e organizzata. La sconfitta è stata così terribile che ora lo sforzo deve essere posto nella riconferma della forza e della solidità”.

Perché suggerire lo scontro con gli Hezbollah?”

“Perché la vittoria di Israele adesso deve essere grande, geopolitica, straordinaria persino traumatica, tale da cancellare tutti I dubbi. Ora, se Israele sconfigge Hamas e rioccupa Gaza, questo non copre la profonda sconfitta”.

Che vuol dire la “profonda” sconfitta?

“Questa guerra e solo in parte con Hamas. L’Iran ha stretto Israele all’angolo, ora Israele deve stringere all’angolo l’Iran. Questa guerra deve avere un effetto geostrategico. Si deve andare oltre Gaza”.

Perché prima Hezbollah?

“Israele deve fronteggiare gli Hezbollah, essi sono Hamas all’ennesima potenza, anche nella crudeltà terrorista: meglio armati, più numerosi, i pupilli sciiti dell’Iran. La guerra esclusiva contro Hamas, li spingerà a saltare sul campo, indisturbati. Invece, se Hezbollah fosse affrontato e sconfitto, anche Damasco che dipende dal suo sostegno verrebbe scardinato, un colpo sulla scacchiera dell’Iran”.

Ma adesso la mobilitazione è tutta per Gaza.

“A Gaza, si tratta di sgonfiare l’eccitazione palestinese e di tutti gli estremisti: per farlo si deve scardinare Hamas, la sua sfrenatezza”.

E quindi lei vede necessaria un’occupazione?

“È necessario tutto quello che serve a porre fine al potere di Hamas. L’esercito dovrà restare sul campo finché Hamas sia cancellata. Israele deve controllare ogni area dove Hamas può ristabilirsi”.

Come vede i corridoi umanitari, per salvare i civili e per consentire una trattativa sugli ostaggi?

“Temo che Hamas li userebbe per consegnarli magari all’Iran, come è già successo, e allora non li vedremo mai più. E per ristabilire un potere che usa i suoi come scudi umani, i palestinesi, appunto”.

Dunque...

“Questa guerra che è cominciata come nel 1973, e continua come nel 1948, deve finire come quella del 1967. Una grande vittoria. O Israele è nei guai”.

 

 

Se Israele cede la gente qui sarà molto arrabbiata. La società israeliana non vuole rivivere di nuovo quello che è accaduto, ed Hezbollah è preparato anche peggio, e Hamas lo rifarà. Non lasciare al tuo nemico la forza di attaccarti.

“Rovesciare l’umiliazione è una vittoria tattica ma non una vittoria definitiva su un nemico che resta minaccioso. Il paradigma dell’Iran non è cambiato, lo vedono ancora come qualcuno con cui si può venire a termini per calmare la situazione in Medio Oriente. Pensano che dobbiamo andarci d’accordo per calmare Hamas e gli Hezbollah, ma è vero il contrario. Questa guerra deve finire con l’Iran spaventato e in ritiro. 

 

Ma non pensi che Israele combatterebbe meglio questa guerra con l’aiuto che gli USA sembrano davvero voler fornire? Hanno persino portato qui le loro portaerei!

“Sarebbe terribile se gli USA combattessero quando tutti pensano che Israele sia debole: se accettasse l’aiuto straniero confermerebbe il sospetto che non sa difendersi. Non ha chiesto aiuto nel ‘48, nel ‘56, nel ‘73, quando la situazione era molto peggio. Accettare un aiuto militare devasterebbe il morale la sua immagine negli Stati Uniti e farebbe a pezzi i progetti di chi ci vuol fare la pace in Medio Oriente, come i Paesi dei Patti di Abramo. L’imperativo è che l’umiliazione sia spazzato via. Sarebbe un danno all’idea dello Stato ebraico stessa: gli ebrei non devono cercare l’aiuto di nessuno per difendersi”.

 

 

 

 

Guerra su due fronti? Può diventare un rischio mondiale

lunedì 16 ottobre 2023 Il Giornale 0 commenti

Il Giornale, 16 ottobre 2023

Israele combatte sempre più attivamente, ogni ora, una guerra per la sua sopravvivenza e anche per evitare una guerra mondiale; Hassan Nasrallah a Nord e Yehie Sinwar a sud sono le due punte di diamante del complesso e sofisticato progetto di distruzione dello Stato Ebraico previsto dall’Iran coi suoi proxy. In queste ore il protagonista libanese si affaccia sulla scena. Hezbollah ha sparato varie volte su Israele e Israele ha risposto. Ma per ora ci si studia a vicenda, rimandando una decisione definitiva. Il vertice del progetto siede a Teheran. Il portavoce di Khamenei ha detto ieri pomeriggio alla tv iraniana: “La mano della resistenza è sul grilletto, dall’Iraq allo Yemen... se la guerra comincia nel sud del Libano e sul Golan (ovvero sul fronte siriano ndr) l’esercito Israeliano sarà distrutto”. Su Gaza, l’Iran si era già pronunciata col pieno sostegno alle barbarie del sabato dell’orrore e sull’assicurazione di essere vicino a Hamas, ma senza rivendicare il suo ruolo. Adesso minaccia uno scontro generale. A Beirut il ministro degli esteri iraniano si incontrava con gli Hezbollah e i leader di Hamas, le loro forze sul campo, proprio nei giorni della mattanza di ebrei. [...]

Chi tiene per pace e civiltà oggi deve imparare

sabato 14 ottobre 2023 Il Giornale 2 commenti

Il Giornale, 14 ottobre 2023

Chi tiene per la pace e per la civiltà, oggi deve imparare: ci sarà solo guerra e morte per la popolazione innocente, in Israele e altrove, se non si ristabilisce una fortissima deterrenza, in tutto il mondo, nei confronti del terrorismo e delle sue carneficine. Se l’Occidente sarà debole, Hamas, la Jihad, gli Hezbollah, l’Iran, i loro sostenitori ripeteranno, estenderanno la guerra, punteranno alla vittoria. Il Medio Oriente riprenderà la via della pace solo se Hamas sarà spazzata via e i suoi alleati messi al bando. Il ministro degli esteri iraniano giovedì è andato a Beirut, a trovare gli Hezbollah, incerti se attaccare. Forse funziona la minaccia di Biden che gliel’ha esplicitamente sconsigliato. Le piazze Giordane e Egiziane sono inquiete, Erdogan di nuovo si esibisce da capo della Fratellanza Musulmana, Putin tace. Ma la sua tv intervista un leader di Hamas che sembra Göring, fiero delle repellenti azioni di pulizia etnica degli ebrei, senza replica. Questo fronte deve vedere Hamas in ginocchio, o l’attacco genocida che Israele ha fronteggiato da sola per prima, diventerà un ripetuto 11 di settembre per tutto il mondo giudaico cristiano.  Di fronte al coro umanitario che cresce via via che i riservisti israeliani e i soldati di leva prendono posizione sul confine pronti a rischiare la vita entrando, è bene sia chiaro che il mondo chiede a Israele di vincere. Non ci sono trattative possibili. Non c’è futuro, non c’è vita altrimenti, e questo lo capisce anche un bambino. Se ci fosse bisogno di una conferma, le sirene hanno seguitato a urlare a Tel Aviv, a Rehovot e a Sderot facendo anche ieri distruzioni e feriti. [...]

La verità contro la menzogna che dilaga

venerdì 13 ottobre 2023 Il Giornale 4 commenti

Il Giornale, 13 ottobre 2023

È l’ora di accorgersi che i palestinesi non sono vittime altro che di sé stessi. Se potranno continuare sulla loro strada, proseguiranno come al-Qaeda e Isis fino nel cuore dell’Occidente. È l’ora di cambiare: si svolge in queste ore una guerra fondamentale che deve battere il terrorismo. Esso può invadere il mondo se non viene fermato in Israele. Deve finire l’illusione pietistica che i palestinesi siano le vittime di Israele: è vero il contrario. Israele è l’aggredito, e con esso la democrazia e l’Occidente. Ogni offerta di pace è stata rifiutata. Occorre ristabilire la verità storica contro le bugie che inondano l’opinione pubblica. Il pensiero pietistico che rifiuta di conoscere la storia costruisce solo disastri. Chi descrive i palestinesi, specie quelli di Gaza come vittime esasperate dall’oppressione, nega la prima di tutte le verità storiche: Gaza vive sotto il tallone di Hamas indisturbata dal 2005, non è occupata, il livello di vita della sua popolazione, che si è moltiplicata fino a 2 milioni da poche centinaia di migliaia (quindi, è stupida l’accusa di genocidio!), è pari a quello medio alta del mondo arabo. La reclusione che lamenta è solo dovuta a motivi evidenti di sicurezza. La povertà, al cinismo e alla corruzione della sua leadership. Anche il West Bank è stato liberato dalla presenza ebraica negli anni 90, il 98 per cento della sua popolazione vive governata solo dall’Autorità palestinese, lo stato definitivo per l’istituzionalizzazione del governo di Abu Mazen attende un accordo che i palestinesi hanno sempre rifiutato. Così stabiliscono anche le risoluzioni dell’ONU: è falso che esista una “occupazione illegale”. Non c’era nessuno Stato nei territori che Israele dovette occupare con la Guerra del ‘67 e che erano illegalmente occupati dalla Giordania. Nessuno Stato palestinese, mai esistito. Gaza è una storia a parte, passata dalle mani degli egiziani a Israele suo malgrado. Ma nei secoli, dal 140 d.C. hanno lottato per vivervi tranquille le comunità ebraiche poi espulse nel 1919 dagli ottomani, e definitivamente eliminate dagli arabi negli Anni 20. Oggi lamenta di essere una prigione a cielo aperto: ma i movimenti limitati sono dovuti alle aggressioni terroristiche di cui inonda incessantemente Israele. Pure, Israele ha sempre lasciato che Gaza venisse rifornita, finanziata, curata. Le molte guerre di aggressione di Hamas sono state sottovalutate, e lo sgombero del 2005 è stato un errore, si dice. Ma adesso dopo le mostruosità, le mutilazioni, gli omicidi di massa, dopo il pazzesco numero di 1300 creature inermi uccise bestialmente, Israele deve riaffermare il diritto alla vita della popolazione, spaventata e stupefatta, che vive ai margini della Striscia.

L’accusa più corrente è quella di colpire per vendetta i civili di Gaza. Non è vero. Hamas disloca i suoi nidi di missili e i centri di comando in aeree densamente popolate, in moschee, ospedali, scuole. Ogni civile colpito è per Hamas uno strumento di propaganda. Israele cerca di contenere il numero di innocenti colpiti, usa gli avvertimenti preventivi col telefonino e volantini. Ma se non destruttura Hamas, con quelle armi, quegli uomini si produrranno continue ripetizioni del lancio di missili e delle atrocità vissute. Questo non è possibile, è un rischio esistenziale. Israele ha spesso fermato operazioni perché erano stati individuati bambini nell’area. Invece, Hamas vede nei bambini un punto debole con cui fiaccare il nemico: per esempio, tutta la famiglia Vogel fu trucidata dentro casa a coltellate nel 2011, compresi i neonati; nel 2001 due bambini che giocavano furono lapidati; solo due mesi fa due fratellini di 6 e 8 anni sono stati fucilati per la strada… stavolta tanti bambini sono tati rapiti. E Anche decapitati. Non c’è confronto nel cercare di annichilire la leadership che fa della sua popolazione lo scudo umano del terrore, e il sistematico sgozzamento di civili. Nel 2009 dopo una delle guerre di Gaza il giudice Goldstone compilò, incaricato dall’ONU, un’inchiesta sui crimini compiuti: preso dalla comprensibile pena verso i civili accusò Israele, per poi tornare sui suoi passi denunciando quanto Hamas approfitta dei suoi cittadini facendone scudi umani. Gaza non è una gabbia a cielo scoperto, in cui Israele tiene rinchiusa una popolazione affamata di due milioni di persone. È schiava solo dei dittatori di Hamas che la sacrificano ai scopi sanguinari. La base teorica dell’odio palestinese è generale: la espresse bene Abu Mazen quando ha detto che gli Ebrei non appartengono al Medio Oriente, ma sono colonizzatori europei, e che Hitler li ha perseguitati per la loro ignominia. Si chiama antisemitismo, delegittimazione. L’intera storia della presenza ebraica in Israele, a volte viene vista erroneamente come una presenza coloniale nella “Palestina” occupata: ma sono i palestinesi i recenti immigrati provenienti soprattutto dalla Siria e dall’Egitto.

La storia. Il popolo ebraico ha la sua origine, la sua terra e la incredibile cultura della Bibbia, poi donata a tutto il mondo, dal 1600 avanti Cristo. Gerusalemme è diventata capitale del regno di Israele nel 1000 a.C. Il Tempio di Gerusalemme, è stato distrutto prima dai babilonesi, poi dai Romani nel 70 d.C. Sulle sue rovine si costruì prima una basilica, poi la Moschea. Ma nonostante i tentativi di cancellarla, c’è una massiccia evidenza storica, letteraria, archeologica dei secoli in cui gli ebrei sono rimasti attaccati moralmente e fisicamente a Gerusalemme nonostante le dominazioni greche, romane, dei mamelucchi, degli ottomani, e poi degli inglesi che sostituirono i turchi con il mandato britannico stabilito dalla Lega delle Nazioni. È proprio la decolonizzazione dell’area che riconsegna agli ebrei la loro terra, mentre cresce il movimento sionista, con la dichiarazione Balfour del 1917 che disegna “una casa nazionale” molto maggiore del territorio che Israele riceverà dall’ONU del 1948, e poi gli accordi di San Remo, che nella legalità internazionale mandano avanti la creazione dello Stato ebraico. Il terrorismo arabo filonazista era già molto fiorente mentre nessuno stato palestinese è mai esistito. I leader arabi stessi includono quest’area nella Grande Siria e i palestinesi aumentarono di numero solo quando gli ebrei si misero al lavoro in una terra abbandonata e incolta. Più del 90 per cento di quelli che si dichiarano oggi palestinesi giunsero con le immigrazioni ebraiche. L’intenzione di Israele di condividere l’area con il mondo arabo è stata furiosamente rifiutata: ma la Giudea e la Samaria, il West bank, non sono mai state parte di nessuna “Palestina”, termine coniato dai Romani per cancellare la presenza ebraica. Esse erano illegalmente occupate dalla Giordania sin dal 1950, e nessuno ha mai protestato. Dal ‘67 sono l’epicentro di una rivendicazione che parla di un’illegalità inesistente. La loro conquista è dovuta a una risposta a un attacco da parte Giordana, e le risoluzioni dell’ONU non assumono affatto che esse siano lo Stato palestinese, ma asseriscono che la loro appartenenza è legata a una trattativa. La trattativa, sin dagli accordi di Oslo, si è sempre conclusa con un nettissimo rifiuto da parte palestinese: Arafat a Camp David nel 2000, cui seguì l’Intifada, e poi Abu Mazen a Annapolis nel 2007. Lo scopo era e resta quello dell’obliterazione di Israele, che Hamas ha trasferito nel campo religioso ideologico. “Due Stati per due popoli” è stato anche per Fatah, tuttavia, un cavallo di Troia, specie quando lo strumento del terrorismo nel 2000 diviene uno strumento di sterminio di massa: durante la seconda Intifada fra il 2000 e il 2003 quasi duemila ebrei furono uccisi sugli autobus, per strada. La politica dell’Autorità palestinese è quella di non condannare mai il terrorismo, anzi di fornire ai terroristi uno stipendio vitalizio ogni volta che vengano catturati da Israele, o alle loro famiglie se muoiono. Stavolta, la solidarietà e la gioia per la strage sono stati palesi in tutto il campo palestinese. Il Primo Ministro Ariel Sharon si immaginò un futuro di amicizia dando a Gaza aiuti, strutture agricole e industriali. In realtà, la Jihad Islamica e Hamas ne hanno fatto la punta di diamante di una strategia di attacco contro Israele e contro l’Occidente. Nella carta di Hamas è scritto: “Israele continuerà ad esistere finché l’Islam non la spazzerà via” e “Il tempo del Giudizio verrà quando mussulmani combatteranno gli ebrei e li uccideranno”.

La dedizione all’annichilimento degli ebrei è identica a quella nazista, come quella dell’Isis. Oggi, non c’è modo di immaginare un futuro avendo vicino Hamas che viola tutti i diritti umani, uccide omosessuali, donne, dissidenti, e ordina di uccidere gli ebrei. Ogni giorno i terroristi agiscono sul territorio israeliano nonostante Israele abbia sempre preso cura dei suoi malati, dei bambini (io li ho visitati in ospedale), persino della moglie di Ismail Haniyeh. Non c’ è mai stato accanimento nel gestire la Striscia, i soldi degli aiuti, l’acqua, il gas, le medicine, la benzina, sono state forniti in quantità. L’Egitto, controlla i valichi da cui ragionevolmente, poiché danno su un Paese Arabo, i gazawi devono cercare libertà di movimento. E Israele deve poter contare sul consenso del mondo quando cerca di cancellare il mostro che minaccia tutti noi.

 

Missili, sirene, corse ai rifugi. Israele celebra i suoi eroi e lotta per la sopravvivenza

giovedì 12 ottobre 2023 Il Giornale 0 commenti

Il Giornale, 12 ottobre 2023

Da ieri Israele ha il suo nuovo governo di emergenza nazionale, creato per combattere e vincere questa guerra fatale contro il terrorismo. Ha la responsabilità terribile di riportare Israele a vivere, a essere se stessa e quindi di battere il nemico in nome di un popolo ferito in modo sostanziale e minaccioso per il futuro da un nemico terribile. Lo vota oggi la Knesset, ne sono al vertice Benjamin Netanyahu e Benny Gantz, che devono formare un ristretto gabinetto di guerra, insieme, se non ci saranno cambiamenti, con Gadi Eisenkot che entra insieme a Gantz, e con il ministro della difesa Gallant e Ron Dermer, oggi ministro degli affari strategici. Il capo dell’opposizione Yair Lapid per ora dice che, se restano nel governo i ministri di estrema destra, non vuole saperne. Ma non è detta l’ultima parola: la gente chiede qui di dimenticare la politica, il governo inventato nelle ultime ore ha uno scopo condiviso e ripetuto da tutto il popolo con determinazione: vincere per sopravvivere, stracciare Hamas. Mentre scriviamo, di nuovo tutta Israele è di nuovo nei rifugi; anche in Galilea Hezbollah bombarda: adesso si tratta di decidere come si deve muovere l’esercito per fronteggiare una situazione decisiva, se deve affrontare i meandri e le trappole di Gaza, se deve rispondere agli hezbollah o pazientare aspettando sviluppi, che cosa si deve fare a fronte di 200 scudi umani, bambini e vecchi in mano al nemico. E anche, come si deve affrontare il mondo che si dimenticherà rapidamente degli ebrei uccisi nei pogrom di questi giorni per recuperare subito l’ideologia che fa dei palestinesi una vittima dell’imperialismo. Ma Netanyahu l’ha detto chiaramente e il capo di Stato maggiore Aviv Kochavi ammettendo pubblicamente i suoi errori ha ripetuto: Israele non lascerà mai più che alcunché della struttura di Hamas, che ormai ha rivelato fino in fondo la sua natura, deve sopravvivere a questo, non i suoi uomini, non le sue armi. È un compito molto difficile, in queste ore si decide come condurre la guerra, sembra sempre più vicino quel costoso ingresso di terra che per le truppe dei giovani può costare un prezzo altissimo. [...]

Oltre l'estrema crudeltà umana. Ora sia guerra ai nuovi nazisti

mercoledì 11 ottobre 2023 Il Giornale 0 commenti

Il Giornale, 11 ottobre 2023

Pensavamo di aver visto l’estremo dell’umana crudeltà, al tempo dell’Isis, con le decapitazioni di Abu Bakr al-Baghdadi: i disperati in ginocchio di fronte al boia col cappuccio che taglia la testa con un coltellino, le file di cristiani in ginocchio sulla spiaggia decapitati uno dopo l’altro, (ne ricordo 28 in fila), Daniel Pearl il giornalista che prima della decapitazione ne denuncia la semplice ragione dicendo “io sono ebreo”. Sì, pensavamo di aver visto tutto. Non è così: Hamas dopo l’assalto, la strage di civili, gli assedi finiti in eliminazione di famiglie e rapimenti di vecchi e bambini, dopo l’eccidio dei ragazzi che ballavano a una festa… adesso ci costringe a scoprire uno scenario che nessuno nel mondo odierno poteva immaginare. Nelle rovine di Kfar Aza, il kibbutz dove vivevano giovani coppie di studenti lavoratori che coi loro bambini sono stati sterminati o rapiti, si è visto l’impensabile. Non si era vista in nessuna parte del mondo moderno, mai, la decapitazione di neonati, di bambini: adesso, c’è toccato vederne i corpi privati del loro capino, fra quelli di altri decapitati, ragazzi. Ci sono parole? Sì, ce ne sono, sono quelle che stabiliscono una volta per tutte che qui è in corso una battaglia che deve essere senza tregua con chi compie un gesto che chiamare bestiale farebbe torto agli animali. Questi terroristi sono una setta religiosa parte dell’Islam, è una cultura, una storia di cui già al-Qaeda ha dato rappresentazione prima dell’11 di settembre con le decapitazioni di Nicolas Berg, di Jack Hensley, di altri ancora. [...]

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