La guerra antisemita contro l'Occidente
7 ottobre 2023 Israele brucia
Informazione Corretta, il nuovo video di Fiamma Nirenstein
Il Giornale, 14 maggio 2023
Sono elezioni fatali quelle che coinvolgono 75 milioni di turchi oggi. Per loro e per il mondo. Ma può cambiare tutto e nulla se Erdogan come ripetono gli esperti, perderà le elezioni: perché la realtà non è solo nella cruda evidenza degli eventi, ma negli occhi e negli interessi di chi guarda. E così, se questo dittatore che fa di tutto per riportare il mondo al tempo dell’Impero Ottomano (per convinzione patriottica, per religione, per carattere sopraffattore, per grandi interessi) dovesse cadere oggi, forse gli Stati Uniti e l’Europa che l’hanno sostanziale nemico e, dall’altra parte, la Russia, l’Iran, le organizzazioni integraliste che lo hanno amico, cercheranno una strategia cauta, perché ormai la grande Turchia è legata da mille lacci. Intanto, tutto il mondo ripete che il suo antagonista Kemal Kilicdaroglu è un uomo grigio: proprio questo, però, forse libererà il mondo da un boss che si vede come il restauratore del sultanato. Le ragioni del rischio elettorale sono mille: l’ombra recente, immensa, dei 51mila morti del terremoto per la colpevole fragilità edilizia e i cattivi soccorsi; e negli anni lo stile di dittatore onnipotente. Nel 2010 e nel 2017 ha espanso il potere esecutivo della presidenza a spese del giudiziario e del parlamento; sempre di più, ha represso la stampa e ogni critica; l’inflazione ha creato un effetto che aveva già prodotto rivolte soffocate nella violenza (a Gezi Park nel 2013; poi la caccia ai “cospiratori” di Fetullah Gulen nel 2016). L’uomo ha creato una dura testuggine di potere anche all’estero. Le varianti sono il suo rapporto con la Nato, con l’Europa, con gli USA, con la Russia, con stati e organizzazioni terroriste come Hamas o la siriana Hayat Tehrir al Shams. [...]
Il Giornale, 10 maggio 2023
Si chiama “Scudo e freccia” l’operazione intrapresa alle due della notte di domenica con tre eliminazioni mirate, contornate da una decina di morti e feriti, e proseguita nella giornata di ieri con altri due morti. Anche questi terroristi della Jihad Islamica, presi di mira nella loro auto mentre stavano per sparare un missili teleguidato. Tutti gli obiettivi sono membri dell’organizzazione che dopo la morte in carcere di un jihadista, Khaled Arnan, di sciopero della fame, ha lanciato il 2 maggio 104 missili sul sud di Israele. I due eliminati ieri tentavano una delle possibili vendette per la morte tre capi islamisti: Khalil al Bahtini, responsabile del lancio dei missili contro le cittadine israeliane; Tarek Izeldin, capo del terrore contro il West Bank; e Jihad Ghannam, capo del consiglio militare della Jihad. Fra i membri delle loro famiglie uccisi nell’attacco, anche purtroppo due bambini. Bahtini aveva nel suo curriculum l’organizzazione di innumerevoli attacchi suicidi, lanci di missili, bombe. Coordinava gli attacchi della fazione terrorista. Izerdin era il responsabile degli attacchi nell’West Bank, era lo stratega del terrore che usciva da Gaza. Condannato a vita, era stato rilasciato nello scambio per Gilad Shalit nel 2011. [...]
Il Giornale, 09 maggio 2023
È tempo di festa per l’aggressione verbale internazionale a Israele, per la disapprovazione, l’indice levato, e anche l’antisemitismo sempre in crescita. Lo scontro interno ha solleticato la vivace creatività di chi non può soffrire gli ebrei specie nella loro più importante espressione, lo Stato Ebraico. Di chi dice che ne critica le politiche, ma vorrebbe in realtà vederlo sparire dalla mappa. Adesso, si ritiene logico pensare che debba svanire: è a pezzi come un piatto rotto, dicono contenti i cronisti e i teorici dello scontro attuale. Guai a dirgli che sono antisemiti, anche se alla prova delle tre D non reggono: delegittimazione, demonizzazione, doppio standard. Adesso, è l’era della delegittimazione. L’ antisemitismo anti Stato Ebraico è ormai codificato anche dall’IHRA, comitato internazionale formato da 35 Stati che ha definito l’odierno sviluppo dell’odio più antico: la tipologia passata risiede nella famosa vignetta in cui Ariel Sharon mangia bambini addentandoli per la testa in stile Goya, mentre il sangue gli gocciola sul petto nudo. Questa vignetta è stata ripubblicata recentemente dal Guardian. È una forma di criminalizzazione: Israele è moralmente indegno di esistere. Torna a affacciarsi la giornalista della CNN Christiane Amanpour, molto antisraeliana, sempre: il 3 di maggio parlando della giornalista palestinese Shireen Abu Akleh ha affermato di nuovo che i soldati israeliani l’hanno ammazzata intenzionalmente dopo che l’inchiesta ha escluso questa ipotesi.
È un blood libel come quello di Mohammed al-Dura, il bambino (forse) ucciso nel 2000 in uno scontro a fuoco: la demonizzazione ne attribuì a Israele l’omicidio, e non era vero; ma suscitò la seconda Intifada, 2000 morti per terrorismo. Stavolta la tempesta dei media nasce dalla nota frattura politica dello Stato Ebraico sulla riforma giudiziaria. Scontro verticale fra destra e sinistra, uno dei tanti dal tempo dell’Altalena fino allo sgombero di Gaza, o alla sostituzione del governo nel 1977, o agli accordi di Oslo. Ma adesso le piazze, molto più che dalla riforma (se chiedi a un dimostrante sa solo che è minacciata la democrazia, ma prova a chiedergli perché) sono state mobilitate dalla vittoria della destra nel novembre 2022 e alla conseguente formazione di una coalizione guidata da Netanyahu, con la partecipazione di due partitini nazional religiosi guidati da Itamar Ben Gvir e Betzalel Smotrich, leader molto esibizionisti e vocali, ma di cui non si conosce nessuna tendenza fascista; la loro sola vista, il loro eloquio, le kippà sono insopportabili all’opinione pubblica laica di Tel Aviv che riflette la cultura laica e globalista. Ma non fino al punto di abbandonare il sionismo. [...]
venerdì 5 maggio 2023
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Cari amici,
cliccando qui potrete riascoltare e leggere la trascrizione della rubrica di questa settimana Il Medio Oriente visto da Gerusalemme condotta da Giovanna Reanda
venerdì 28 aprile 2023
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Il Giornale, 26 aprile 2023
Oggi è la festa del 75esimo compleanno dello Stato d’Israele. I giorni in Israele si contano da tramonto a tramonto, le feste ebraiche hanno questa scansione: ma mai un intero paese ne aveva fatto una norma. Adesso, proprio come in Europa la domenica è festa e come lo sono il Natale e la Pasqua, feste religiose e nazionali insieme, così al mondo c’è un piccolo Paese, lo Stato Ebraico, che parla la lingua della Bibbia, e chiude scuole e uffici, dalla sera alla sera, lo Shabbat, Yom Kippur, Pesach… Un Paese di un popolo che per due millenni ha dovuto vivere in un angolo, spesso nascosto, e discriminato nei ruoli e nella società, chiedendo il piacere di essere accolto e mai ricevendolo davvero. Oggi questo popolo può difendersi mentre fino a 75 anni fa era inerme di fronte a roghi, pogrom, di fronte alla Shoah. La schiuma rabbiosa dell’ “odio più antico” come l’ha chiamata Robert Wistrich non è finita, ma attacca oggi con l’antisemitismo le solide mura di uno Stato. I suoi cittadini sono al quarto posto nella scala della felicità mondiale, le sue leggi li rendono tutti eguali, proprio in contrario di quello che è accaduto con le svariate, molte discriminazioni cui sono stati sottoposti fino alle leggi razziali. Questa è la novità che ha oggi 75 anni. Ma negli eventi che viviamo ci sono significati contingenti: da settimane i media sottolineano il duro scontro fra il governo e l’opposizione in piazza contro, la riforma giudiziaria, individuandovi, spesso con soddisfazione, una crisi profonda. I nemici di Israele, dall’Iran a Hamas, hanno anche letto nelle manifestazioni che hanno bloccato strade e attività, per altro pacificamente scortate dalla polizia di Stato, un segno di debolezza definitiva, persino la fine imminente dello Stato Ebraico. [...]
Il Giornale, 25 aprile 2023
Vasilij Grossman entra nel 1941 con l’Armata Rossa nei villaggi della riva sinistra Ucraina; e persino le oche che “nelle aie si staccano da terra sbattendo le loro enormi ali bianche” hanno qualcosa di “strano”, che “turba”, e “urlano”, e “esortano” i soldati dell’Armata Rossa a “non perdersi le scene tristi e tremende della vita”“ e sembrano felici che i soldati siano lì…” ma intanto “piangono e gemono e gridano per le disgrazie tremende…”. Rotto il patto fra URSS e Germania di Hitler, la guerra nazista contro il bolscevismo diventa subito sterminio degli ebrei. Cominciano quelle che Leon Poliakov in “Il nazismo e lo sterminio degli ebrei” chiama “le eliminazioni caotiche”. Eichmann valuta a due milioni gli ebrei fatti a pezzi nel 1942 durante l’avanzata tedesca verso Stalingrado e il Caucaso. Nel 1941 mancano dati complessivi, proprio per la confusione in cui gli ebrei si rastrellavano, si ammassavano, si fucilavano a strati in fosse scavate sotto la minaccia delle armi da loro stessi, si bruciavano, si sterminavano a botte, si gasavano nei camion: però dati locali ce ne sono a bizzeffe, e tutti terribili. Per esempio, restando in Ucraina, si sa di 33771 ammazzati solo a BabijYar vicino a Kiev tra il 29 e il 30 settembre, 34mila a Ponary, 175mila ebrei lituani, per non parlare della Polonia. Sono gocce nel mare di come gli ebrei uno a uno venivano cacciati, inquadrati, macellati in tutta l’Unione Sovietica non solo dalle SS, ma da tutti i corpi dell’esercito tedesco più i volenterosi carnefici antisemiti dei Paesi occupati. L’ispettore degli armamenti tedeschi in Ucraina in un rapporto confidenziale racconta che “la milizia ucraina partecipava alle fucilazioni sistematiche in modo ufficiale… si raggiunse facilmente il numero di 150mila, 200mila arresti di ebrei nella zona occupata dell’Ucraina…”cui seguiva la “soppressione”. Dove arrivavano i tedeschi, con l’aiuto qui degli ucraini, là dei polacchi, gli ebrei furono eliminati, uccisi uno a uno e tutti insieme. Si fa fatica a staccarsi dalle prime pagine del volumetto dell’Adelphi “Ucraina senza ebrei” scoperto da Elisabetta Zevi, e adesso in libreria. È una lettura ipnotica. La scrittura di Grossman è un dono metafisico. Parola dopo parola i suoi scritti, quando era comunista per amore e per forza e quando finalmente approda al sé stesso più onesto con “Vita e Destino” e con “Tutto scorre”, ci spalancano davanti l’abisso in cui l’uomo può sprofondare. Lui, il Vassilij trentaseienne che entra nella sua natale Ucraina devastata, cerca insieme alla verità anche la madre EkaterinaSavel’evna, lasciata nel paese natale di Berdicev, dove 25 SS e una torma di ucraini uccisero d’un fiato 30mila ebrei. La cerca, e non la ritroverà mai più. Saprà con certezza che è morta solo nel 1944. [...]
sabato 22 aprile 2023
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Formiche.net, 22 aprile 2023
In occasione del 75° anniversario della nascita dello Stato di Israele, Formiche.net pubblica un saggio di Fiamma Nirenstein, diviso in due parti. La prima, scritta per questo sito, racconta e analizza questi ultimi mesi turbolenti, segnati dalle proteste per la riforma giudiziaria e dagli scossoni governativi. La seconda, apparsa nell’antologia “75 volti dello Stato Ebraico”, ripercorre questi 75 anni, le contrapposizioni politiche che sono anima e linfa del popolo ebraico, il valore del sionismo, la forza di un Paese che – in barba alla minaccia esistenziale con cui vive ogni giorno – guarda avanti e corre verso il futuro. Il volume è stato pubblicato a cura del Jewish People Policy Institute e contiene 75 saggi, un progetto curato dai proff. Aharon Barak, Jehuda Reinharz, Yedidia Stern e ha tra gli autori Brett Stephens, Michael Waltzer, Howard Kohr, Fania Oz Saltzberg, Donniel Hartman.
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Il saggio si può scaricare in formato Pdf cliccando qui
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Del saggio discuteranno l’autrice, Fiamma Nirenstein, con il direttore di Formiche.net, Giorgio Rutelli, nel giorno dell’anniversario, il 26 aprile, alle 16:00, in un live talk che sarà trasmesso su questa pagina, sulla homepage di Formiche.net e sulla pagina Facebook di Formiche.

Il Giornale, 18 aprile 2023
É triste, proprio nel giorno della memoria della Shoah, che l’Università Ca’ Foscari di Venezia pubblicizzi, con foto civettuola e compiacimento mediatico, un incontro con la “Special rapporteur on the occupied palestinian territories” Francesca Albanese. Dispiace che sia italiana questa notoria collezionista di luoghi comuni. La base ideologica della politica che ha portato allo sterminio degli Ebrei, proprio ieri ha certo risuonato alla Ca’ Foscari: la delegittimazione e la criminalizzazione degli ebrei oggi è infatti travestita dalla più banale “damnatio” dello Stato d’Israele. Non spenderò parole su questa ultima incarnazione dell’antisemitismo: bastano i testi del professor Robert Wistrich. Antisemitismo oggi è la criminalizzazione di Israele, il ridurlo nei panni di uno Stato colonizzatore, di apartheid, indegno di vivere… la Albanese ne è campione. E non conosce remora, e questo fa vergogna, all’ONU, al suo paese d’origine. Ne ha fatto anche oggetto in una interrogazione il senatore Giulio Terzi di Sant’Agata, con i documenti di 4000 avvocati dell’International Legal Forum impegnato nel contrasto all’antisemitismo e nella promozione dei diritti umani, e di un gruppo bipartisan del congresso USA. Essi chiedono all’Alto commissario per i diritti umani Volker Turk di licenziare la fomentatrice di odio che si sono messi in casa. [...]
Il Giornale, 09 aprile 2023
L’intrigante mistero del terrorismo è lo stesso che in queste ore riempie di stupore gli alunni della scuola di Kiriat Ono dove lavorava come bidello il terrorista Yussef Abu Jaber che si è lanciato con la macchina su Alessandro Farini e il piccolo gruppo che camminava con lui: un giovane sorridente tranquillo, disponibile mentre qualcuno lo filma durante il suo umile lavoro. Alle prime indagini non ha profilo e storia da terrorista. La domanda sul terrorismo è quella sulla inconoscibile storia della crudeltà umana: proprio quel quarantenne sorridente, ha spinto al massimo sul gas e si è lanciato per uccidere su un gruppo di esseri umani che passeggiava spensierata in vacanza sull’erba davanti al mare di Tel Aviv. La stessa decisione di uccidere a caso degli innocenti, che appare da lontano folle e incomprensibile, la mattina dello stesso giorno ha portato un altro terrorista, per ora in fuga, a sparare da un’auto in agguato ventidue colpi su due ragazzine di 15 e di 20 anni riducendo in fin di vita la madre che era al volante e che ora lotta per sopravvivere senza sapere che le sue due figlie sono morte. L’elenco in Israele è infinito: è del Guardian la valutazione che nel 2022 gli israeliani siano stati colpiti da 5000 attacchi terroristici. Solo per rinfrescarsi la memoria: un anno fa, il 7 di aprile, vicino al luogo dell’attacco, tre uccisi; sette morti e tre feriti a Gerusalemme mentre uscivano dal tempio a gennaio; due fratellini di sei e otto anni a febbraio; a marzo l’attacco armato a un caffè di Tel Aviv, un morto, due feriti.. inutile avventurarsi l’elenco è infinito, 18 morti in meno di tre mesi,200 attacchi armati sventati. Ma da ovunque provenisse il terrorista, dall’Autonomia Palestinese come dai centri arabo-israeliani, come l’ultimo, la stessa conclusione: rivendicazione dell’eroico shahid da parte di Hamas e di altre organizzazioni; distribuzione nelle strade del’Autorità palestinese, di Gaza di dolci e lodi dell’attacco; e una autentica pensione a vita alla famiglia per scelta di Mahmoud Abbas. [...]