Gli eroi di Be'eri: "Noi vivi tra i cadaveri"
Il Giornale, 29 ottobre 2023
Tutti gli amici di Hamas all'assalto
Il Giornale, 27 ottobre 2023
Il discorso di Gutierrez all’ONU è stato il “liberitutti” per dare fuoco alle polveri antisraeliane e antisemite insieme alla ripetuta imposizione russa nel Consiglio di Sicurezza di non condannare Hamas. Ieri per chiarire bene le alleanze, una delegazione di Hamas è atterrata a Mosca con una delegazione dall’ Iran e una dalla Siria: ormai la definizione dell’asse antidemocratico prende una decisa forma internazionale belligerante. Pochi giorni prima, Hamas e la Jihad Islamica hanno incontrato Nasrallah a Beirut, scopo esplicito come continuare la guerra di Hamas. La copertura internazionale ha fornito uno scenario all’esplosione antisemita del premier turco Tayyip Erdogan che in Parlamento, fra applausi entusiasti, ha accusato Israele di sistematica eliminazione dei bambini palestinesi, l’ha accusato di attaccare “ospedali, scuole, moschee, e chiese… con operazioni che confinano col genocidio”.
Erdogan fa parte di una compagnia in cui il Qatar splende, più cauto ma più abile e l’accompagnano schierati, gli Egiziani e i Giordani, in cui un’azione di continuo “petting” con l’Occidente lascia uno spazio improvviso all’odio di cui sono intrisi i popoli di questi Paesi. Appare così chiaro il senso politico della dichiarazione della regina Rania di Giordania, di origine palestinese, che, certo col permesso del marito re Abdullah, ha attaccato durante un’intervista alla CNN il presidente Biden per aver detto che Hamas ha decapitato dei bambini, sostenendo che non ce ne sono prove. Cauto invece Mohammed Bin Salman dall’Arabia Saudita mentre sorprende il vecchio alleato di Israele Abdel Fattah al Sisi. Erdogan, invece, ha sempre odiato Israele, con intervalli strategici: ma ora che ha rifiutato di proseguire nelle sanzioni a Putin, che ha incontrato, stavolta ha deciso di collocarsi nella posizione che ritiene forte: quella di leader della Fratellanza Mussulmana, cui anche Hamas appartiene, anche per contrastare l’abilità e il doppio registro dell’altro importante leader sunnita, di Mohammed bin Abdulrahaman Al Thani visitato sei giorni fa anche dal segretario di Stato Antony Blinken.
È di ieri la notizia che adesso, nel bel mezzo della trattativa per gli ostaggi, evidentemente per elevare la credibilità del mediatore che dovrebbe riuscire nella difficile trattativa sugli ostaggi, Blinken, secondo il Washington Post, ha ottenuto dal Qatar di rivedere i rapporti con Hamas, anche se non si parla esplicitamente di chiudere l’ufficio di Hamas a Doha, suo centro fisso di elaborazione e centro comunicazioni, e di cacciare via Ismail Haniyeh. Il Qatar, che insieme riesce a finanziare al-Jazeera, think tank mondiali, squadre sportive, la Formula Uno, e il più sanguinario gruppo terrorista del mondo Hamas, sembra adesso essere il plenipotenziario vero, non smentito da Israele, della liberazione di “buona parte”, si dice degli ostaggi. Sono 220 persone fra cui molti 30-40 infanti e bambini, donne, vecchi, e molti con passaporto straniero (tailandesi, americani nel numero maggiore, e altri). Si parla del rilascio di donne e bambini, le famiglie disperate premono perché si risponda alle richieste di cibo, medicine, acqua e altri beni essenziali. La trattativa però verte, sembra, sulla benzina. Gli ospedali se ne servono per la loro attività, dice il Qatar, ma è chiaro che si tratta di un bene indispensabile alla guerra. E comunque ogni aiuto finisce nelle mani di Hamas, specie se se ne occupa il Qatar. La discussione implica capziose distinzioni su chi deve essere considerato bambino (fino a 16? A 17 anni?). I soldati aspettano sul confine, ma agiscono con operazioni mirate in cui si raccolgono soprattutto molte informazioni per lo scopo basilare: distruggere Hamas. Né la Turchia né il Qatar persino con l’aiuto di Gutierrez hanno per ora spostato la decisione. Intanto all’ONU al ministro degli esteri iraniano che di nuovo minacciava dal podio e esaltava gli shahid islamici, Dani Danon, rappresentante di Israele, ha risposto mostrando all’assemblea di un bambino decapitato da Hamas.
Un massacro mai visto
Il Giornale, 26 ottobre 2023
Si sta rimuovendo il 7 ottobre: è troppo difficile interrompere il bel sogno pacifista del dopoguerra per capire che abbiamo assistito all’apertura inguardabile, inaspettata, di una guerra mai vista prima a tutto il mondo civile. Un massacro di bambini ha bisogno di strumenti particolari per essere compreso. Bisogna prima di tutto guardarlo, sapere resistere alle immagini delle creature piccole che dicono «voglio la mamma» mentre li si tortura e uccide. Poi, bisogna sapersi chiedere come è accaduto; guardare proprio in faccia i massacratori, ascoltare cosa dicono. Infine, scacciare la paura per domandarsi come evitare che arrivi fino a te.
Nessuna di queste operazioni è stata fatta da Guterres, il segretario dell’Onu, né dalle piazze che inneggiano alla distruzione dello Stato d’Israele che blaterano del conflitto israelo-palestinese. Vorrei costringerli a sedersi al buio come ha fatto la cronista ieri e a guardare per 45 minuti le riprese fatte con le loro telecamere dagli uomini di Hamas mentre massacravano le loro 1.500 vittime innocenti, le famiglie stupefatte dell’aggressione e poi immerse nel loro sangue, gli stralci di video dei telefonini delle vittime ritrovati fra le rovine dei kibbutz.
Come sono davvero i terroristi? Sono allegri e disciplinati, affollati sui pickup per compiere il massacro e cominciano a ammazzare tutti i guidatori delle auto: così è previsto. Una volta entrati nei kibbutz avevano una missione precisa. Svelata da un biglietto scritto a mano, trovato sul corpo di uno dei miliziani uccisi e diffuso dall’esercito israeliano: «Sappi che questo tuo nemico è una malattia che non ha cura, se non la decapitazione e l’estrazione di cuore e fegato!». Li vediamo agire secondo un copione collettivo, con grandi roncole fanno a pezzi tutti quanti... «Allah akbar», ripetono senza smettere un attimo, ogni colpo per staccare una testa, ogni gruppo che si butta in massa addosso a una ragazza ormai tutta sanguinante e semi spogliata ripete e ripete che Allah è grande, si incitano felici l’un l’altro. Una pletora di corpi bruciati vivi rende evidente che la soddisfazione va di pari passo con l’organizzazione, il programma procede.
Hanno una gerarchia precisa, rispondono a capi, eseguono ordini: lo fanno quando si scatenano dietro a un gruppo di bambine ammucchiate sotto un tendone per la mutilazione, la morte, lo stupro da vive e da morte, come si vede nei video. Agiscono in gruppi organizzati, sono del tutto atoni al pianto infantile, alla parola «innocenti» o «madre», la parola «bambino» non ha più ruolo semantico: hanno istruzioni come quelle delle SS quando buttano addosso a un padre con due bambini piccoli in fuga una bomba a mano, uccidono il padre, buttano i bambini in una stanza. Il più grande zitto accarezza il secondo che grida «babbo, babbo, è morto davvero, non è un film, voglio la mia mamma», e l’altro gli chiede «ci vedi da quell’occhio», il piccolo dice di no, e finisce là; sono solo due dei bambini la cui sorte è ignota.
Questa vicenda non finisce qui, è diversa da tutte, mai si è sperimentato l’ordine di spopolare con mezzi estremi, famiglia per famiglia, tutto il territorio, con una strategia che suggerisca la fine del mondo. Cos’è tutto quest’odio? Chiedo al generale Micky Edelstein che presenta il film: «Non è odio - dice - è un programma». Come rivela la Cnn sono durati due anni i preparativi di Hamas, i terroristi sono riusciti a eludere la sorveglianza delle più potenti agenzie di intelligence del pianeta con uno stratagemma, un «controspionaggio vecchio stile». Privilegiati incontri di persona e telefoni fissi nei tunnel di Gaza. E solo una piccola cellula di Hamas era al corrente dei piani per l’assalto simulato - come rivela il Wall Street Journal - a settembre in Iran, poi è stato allertato un gruppo più ampio di combattenti, pronti ad agire, solo quando ormai era tutto deciso.
Harold Rhode, già consigliere speciale del Pentagono per la cultura islamica, spiega così la filosofia: «È la cultura nomadica araba, dettata da leggi di sopravvivenza selvagge: una terra un tempo musulmana deve tornare all’Islam a qualsiasi costo. Non c’è limite ai mezzi per farlo, di generazione in generazione».
Spiega ancora Rhode che mentre conquisti, devi terrorizzare, donne e bambini sono solo la carne da macello che deve sanguinare per disegnare il tuo dominio. Chi non lo fa, è una pecora: i nemici vanno divorati vivi. Il piano del sabato nero era questo, e l’Iran è il suo profeta.
Un carosello di equivoci internazionali, e Israele farà ciò che vuole
Il Giornale, 25 ottobre 2023
Il Capo di Stato Maggiore Herzi Halevi, mentre si discute sempre più intensamente del destino degli ostaggi e degli aiuti umanitari, ha dato la sua risposta alla domanda che tutto il mondo si fa: l’esercito di Israele sta per entrare “stivali sul terreno” a Gaza? È pronto a combattere strada a strada, vicolo a vicolo, porta a porta, alla ricerca dei capi di Hamas, fino alla distruzione dell’organizzazione terrorista? Quali sono le intenzioni dell’esercito a fronte della pressione internazionale, al suo caleidoscopio di opinioni di cautela, di pacifismo, a volte di distacco rispetto alla tragedia del 7 ottobre? Su uno sfondo di ragazzi in divisa sul confine, “Siamo pronti”, ha detto Herzi Halevi con la sua faccia grave e composta. Un annuncio significativo: vuol dire che l’esercito in 17 giorni ha portato a termine una quantità di preparativi logicistici e tecnici; il terreno su cui si dovrà marciare è stato esaminato; la speranza di minimizzare le perdite è forte; si ritiene soddisfacente al momento il numero di comandanti di Hamas colpiti con gli aerei; quanto ai rapiti, si pensa di poter agire per la loro liberazione. Una dozzina sono state le eliminazioni, molti edifici, nidi di missili, depositi di armi nascoste sono state colpiti. Si potrebbe continuare dall’aria, ma Halevi senza discutere questa possibilità ha detto “ora possiamo entrare”.
Ieri pomeriggio persino Tel Aviv è stata di nuovo pesantemente bombardata, e a Sikim, al sud, è stato fermato un gruppo di terroristi. Halevi aspetta. L’ordine però è sospeso, si sa solo che il triunvirato Netanyahu-Gallant-Halevi ripete di essere sulla stessa linea, ma mentre c’è la concordia sulla decisione di distruggere Hamas occorre anche la solidarietà internazionale. Ieri però il ministro degli esteri Eli Cohen, ha dovuto ascoltare una stupefacente relazione del segretario generale dell’ONU, Antonio Gutierrez, che dopo una frettolosa dichiarazione di solidarietà incurante dell’entità e della qualità delle barbarie di Hamas, ha perfino giustificato le mostruosità del 7 di ottobre dicendo che “non è accaduta nel vuoto”, con una sua versione della storia in cui anche Gaza soffrirebbe di un’occupazione, finita invece nel 2006. Il ministro Eli Cohen ha cancellato un incontro con Gutierrez e Benny Gantz ha definito “buio” il tempo in cui si sostiene così il terrorismo. Il segretario di Stato Blinken è intervenuto però per sostenere la guerra di Israele, anche se Biden insiste per l’ingresso di medicinali, cibo, acqua, e aiuti in denaro. La confusione fra intervento umanitario e cessate il fuoco è dell’ONU e dell’Unione Europea. Gli Usa, semmai, come ha raccontato il New York Times frenano l’attacco di terra, il Segretario alla Difesa Lloyd Austin, suggerisce di stare cauti, pena una nuova Falluja: deve esservi chiaro, ha argomentato, l’esito finale, dice il NYT.
Tuttavia gli americani ripetono che spetta a Israele ogni scelta. Tortuosa e ambigua è invece la proposta europea di una “tregua umanitaria” che somiglia a un cessate il fuoco: è quella di Joseph Borrell, che a Lussemburgo ha detto che occorre una pausa perché “ora la cosa più importante è che l’aiuto umanitario entri a Gaza”. Francia, Spagna, Olanda, Irlanda, Slovenia l’hanno sostenuto, mentre la ministra degli esteri tedesca Annalena Baerbock ha risposto che occorre aiutare, ma “il terrorismo va fermato”. Borrell vuole ora un documento al summit UE questa settimana, ma la consapevolezza degli orrori sta crescendo: le visite da Sunnak, a Macron, a Sholtz, a Mitzotakis, a Giorgia Meloni... tutti portano solidarietà, fanno obiezioni umanitarie, danno consigli. Alla fine, le decisioni di Israele saranno solo sue, come ha detto oggi Halevi.
Oltre l'orrore la shoah di Hamas
Il Giornale, 24 ottobre 2023
Ieri, la cronista che credeva di aver capito la storia del terrorismo e dell’antisemitismo ha dovuto girare pagina: niente è come era, il male ha una sua nuova incarnazione, che si è rivelata sabato 7 ottobre. Siamo fino al collo dentro una guerra nuova, inusitata, e se non ci difendiamo ne saremo travolti come da uno tsunami. Sull’onda infuocata dell’antisemitismo Hitler distrusse quasi tutto il mondo. Ma durante la Shoah i nazisti nascondevano lo sterminio degli ebrei, ci sono voluti anni per individuarne la dimensione e la crudeltà. I pervertiti terroristi di Hamas si sono messi sulla fronte le telecamere, hanno filmato il loro genocidio gestito con fantasia ad personam, yehud yehud, bambino per bambino, ragazza per ragazza, per poi postarlo su Tik Tok, Instagram, Facebook. Hanno documentato come davano fuoco ai bambini davanti agli occhi della madre e viceversa, come violentavano le ragazze e poi le ammazzavano, come stupravano le bambine e le vecchie in pigiama e sventravano le donne incinte, come hanno tagliato la testa a centinaia di persone e non contenti poi hanno usato le armi più taglienti per farle a pezzi e strappargli gli occhi.
Ieri, la nostra visita di vari gironi dell’inferno ha avuto la sua voragine più profonda prima di scendere al sud, nella base militare di Shura, una struttura rudimentale, all’aria aperta, in cui quello che si scorge arrivando sono file di container bianchi numerati, e alcune tende semichiuse in cui si lavora in silenzio. Entrano ed escono militari indaffarati e uno di loro, sotto il container ALLU 17024, denominato anche mecolà 10, ci spiega: “In tutti questi frigoriferi sono accumulati centinaia e centinaia di corpi ancora non identificati a causa dei roghi, delle torture, delle mutilazioni cui sono state sottoposte. Parlate piano, non fate tanto rumore”, chiede il colonnello Chaim Wisberg anche al gruppo di parlamentari europei guidati da Elmet, l’organizzazione che guida la loro missione di solidarietà e che mi ha aiutato nella visita: “Abbiamo tre modi di identificare per portare le persone a degna sepoltura riconsegnando i corpi alle famiglie disperate. Ancora tanti cercano, senza trovarli, i loro cari. Il primo modo è quello diretto, il secondo con l’esame della dentatura, il terzo col DNA. Purtroppo, il primo sistema, dato quello che i terroristi hanno fatto, non si può quasi mai praticare. I resti sono stati trovati nei posti più disparati, è stata una semina infinita di corpi ovunque, e poi amorosamente suddivisi in sacchi con numeri. Si cerca di rimettere insieme parti che Hamas ha tagliato: oltre alle teste, anche genitali, braccia, piedi, mani. I cadaveri delle donne violentate arrivano pieni di fratture ovunque. Prima di capire che un troncone era di una donna e del suo bambino insieme bruciati e seviziati, c’è voluto molto studio”. Vediamo nei container, da cui aprendoli esce il gelo a nuvole e l’odore della morte perché ormai i giorni sono passati e non si riesce a identificare tante creature, sacchi a centinaia, di tutte le dimensioni, tutti sistemati per grandezza. I volontari sono quieti e gentili, tutti in divisa. Sheryl spiega: “Cerchiamo la dignità, la memoria umana di quei poveri resti, in un orecchino da restituire alla famiglia, nelle bellissime unghie curate di qualche ragazza di cui non rimane quasi nient’altro… sistemiamo piano piano piano quel che c’è, con amore. Con ordine. I parenti che vogliono almeno seppellire i loro cari, qui entrano solo coi risultati certi del DNA”.
Per la strada, verso sud, ogni cespuglio parla, racconta la mostruosa sorpresa del sabato 7, L’esercito è ormai schierato lungo il confine sud, ci avvertono mentre siamo diretti a Kfar Aza che l’esercito ha proibito quell’obiettivo perché c’è una sospetta incursione terrorista; facciamo un giro largo per arrivare a Be’eri, la maggiore vittima della mattanza, che confina con Re’im, il kibbutz a fianco del quale si è svolta la festa dell’eccidio, quella in cui sono stati ammazzati almeno 260 ragazzi che ballavano, e da cui ne sono stati rapiti una buona parte dei 222 rapiti, e alla cui folla appartengono un gruppo degli scomparsi, fra i 100 e i 200. Numeri enormi. A Re’im, la grande tenda bianca stracciata, le masserizie, gli stracci, il nero dell’erba bruciata dagli spari e dalle battaglie è una belva in agguato: i fossi erano, ci dicono i militari, pieni di ragazzi uccisi. L’erba su cui sono fuggiti invano ha il colore del tradimento, e il giallo è più giallo, il nero del bruciato definitivo. A Be’eri il comandante Golan, un campione di umanità che in Turchia ha salvato 19 persone dopo l’ultimo terremoto, un esempio tipico dell’umanità di quei kibbutz tutti umanitari, liberali, amici degli arabi, ci mostra con parole ancora stupefatte, interrogative, le case bruciate con le famiglie intere chiuse dentro, esplose fino a mandare in briciole i tetti stessi, racconta che ha trovato il corpo carbonizzato di un suo poliziotto d ha raccolto il telefono anche contro la prassi perché la scritta sullo schermo diceva “amore mio”, e ha detto alla moglie dell’ucciso che il suo caro non c’era più. “Non volevo che aspettasse settimane l’identificazione”.
L'amore della sinistra per la causa palestinese? Da quelle lezioni di Arafat coi Vietcong e Ceausescu
Il Giornale, 23 ottobre2023
Comincia più di cinquant’anni fa la storia del coinvolgimento attivo della sinistra in difesa della “causa palestinese”, la sua decisione del tutto arbitraria che essa sia parte della “lotta degli oppressi, dello scontro antimperialista, anticolonialista, per la pace, per l’autodeterminazione, per l’eguaglianza dei diritti”, e persino un grande protagonista, il cemento di molte le battaglie “intersezionali”, come si dice oggi, che portano folle di giovani, donne, neri, lgbtq, e vecchi delle associazioni partigiane e di sinistra in piazza a sostenere, dopo le barbarie di Hamas, la suddetta “causa” accusando Israele e prendendosela con tutti gli ebrei. Bisogna, perché si presenti nei termini attuali, tornare agli anni sessanta, con le visite di Yasser Arafat a Hanoi, una meta per lui familiare in quegli anni, e con la frequentazione della Romania di Ceausescu. Dal generale Vo Nguyen Giap, capo militare della resistenza “antimperialista” vietnamita, Arafat di abbevera: il leader dei vietcong gli spiega che per vincere deve fare uscire la sua battaglia dallo scontro regionale, e renderlo una battaglia morale antimperialista, come quella dei vietcong, capace di incantare, mobilitare, unificare le masse antiamericane in tutto il mondo.
Ceausescu gli insegna in un famoso dialogo, cosa sia il marxismo, gli fa lezione di egemonia, gli spiega come la guerra terrorista, peraltro indispensabile, deve accompagnarsi con la pretesa ripetuta fino allo sfinimento di volere una soluzione pacifica. Negli anni ‘80 e ‘90, con la disintegrazione dell’URSS suo maggiore partner e finanziatore, e anche con la fine di Ceausescu, il suo istruttore politico, quando l’esilio di Tunisi lo umilia e lo tiene lontano dalla politica, l’offerta di Israele di tornare a Ramallah con gli accordi di Oslo, gli fornisce una magnifica occasione per usare un nuovo cavallo di troia molto popolare: la pace, cuore della propaganda a sinistra! Arafat non ha nessuna intenzione di riconoscere Israele o di rinunciare al terrorismo, ma la sinistra mondiale lo segue: i palestinesi compiono l’innesto fra la “causa palestinese” col suo messaggio terzomondista e l’antisemitismo che fiorisce nel campo comunista sin dal tempo di Stalin. Accantoniamo il solido odio per gli ebrei di Proudhon e Marx. Dopo un breve periodo di sostegno alla nascita di Israele data la sua ispirazione socialista, l’ideologia sovietica torna all’antisemitismo originario. [...]
Egitto, un summit cinico e fallito
Il Giornale, 22 ottobre 2023
Il “summit per la pace” de Il Cairo ieri, 31 pomposi inviti in tutto il mondo, ha di fatto celebrato l’apertura da parte dell’Egitto del passaggio di Rafah per introdurre alcuni camion di aiuti per i palestinesi, ma ha anche lavorato in maniera autolesionista per tutto il mondo a rafforzare i nemici di Israele, dedicandogli i monologhi soprattutto arabi di esecrazione e di intimidazione politica a fronte di una guerra che lo Stato Ebraico deve sostenere per seguitare a vivere. L’intento politico immediato è quello di ritardare la battaglia di terra che Israele sta per affrontare perché Hamas non resti il dittatore terrorista di Gaza. Un obiettivo bizzarro da parte di al Sisi, interessato com’è a porre fine al regno di quella forte sezione della Fratellanza Musulmana, la sua principale nemica, che è Hamas. Il tono è stato ambiguo e antisraeliano, nonostante lo sforzo politico di alcuni partecipanti di fra cui dobbiamo lodare Giorgia Meloni per denunciare la crudeltà di Hamas e stabilire il diritto di Israele a vivere. [...]
I palestinesi devono cambiare strada
Il Giornale, 21 ottobre 2023
Khaled Abu Toameh è un giornalista e analista palestinese unico, da anni fronteggia i pericoli che il suo mondo diviso fra il regime religioso-fascista di Hamas e quello autoritario della Autorità nazionale palestinese di Mahmoud Abbas riservano a chi dice la verità. Gli articoli di Khaled sul Jerusalem Post sono una fonte di conoscenza spietata, senza rivali delle dinamiche politiche e ideologiche palestinesi.
Khaled lei oggi scrive sul Jerusalem Post che, anche in base a accordi presi nei mesi scorsi, Hamas aspetta con ansia che Hezbollah entri in guerra a suo fianco.
Accadrà?
Con la supervisione dell’Iran…
Biden ha ripetuto che la bestialità dell’attacco è tipico solo di Hamas, che i palestinesi sono un’altra cosa. Lei ha parlato con la sua gente, è stupefatta? Disgustata? O invece soddisfatta, approva?
Anche perché Abu Mazen non ha mai condannato
Eppure anche Abu Mazen conta cercando il consenso sull’antisemitismo, sull’odio per Israele, sulla copertura del terrorismo
E le masse dei civili sofferenti di Gaza vedono la situazione in cui Hamas li ha messi?
Sta parlando di occupazione?
“La chiami come vuole. Sto parlando di restare disponibili per molto tempo a non lasciare un territorio inquinato dalla guerra e dall’odio. La presenza dell’Autorità palestinese di Abu Mazen, dovrà nel caso contribuire con un lavoro di mesi e di anni”.
Lo può fare la leadership che lei descriveva poco fa?
Biden ha parlato di “due Stati per due popoli”
I burattinai della guerra
Il Giornale, 20 ottobre 2023
Biden abbraccia Netanyahu. "È come l'11 settembre, ma non rifate i nostri errori. Strage a Gaza? Non è vostra"
Il Giornale, 19 ottobre 2023
Non siete soli, ha ripetuto tutto il giorno il Presidente, ma a sera ha lasciato di nuovo Israele in preda della sua guerra, i soldati sul bordo di Gaza che aspettano l’ordine di entrare mentre le famiglie tremano, le decine di migliaia di persone private dei loro cari, dei vecchi e dei bambini, i kibbutz del sud bruciati, quelli del nord in fase di sgombero mentre gli hezbollah sparano. Con eloquio lento, un vecchio saggio che compie il suo dovere, ha fatto sentire compreso questo Paese disperato. Erano le 6,30, molto più tardi dell’ora stabilita dal protocollo, quando, illuminato, l’Air Force One si è levato nel cielo di Tel Aviv. La gente d’Israele l’ha salutato già in preda alla nostalgia. La visita di ieri ha avuto un grande merito, quello di ristabilire il significato reale del 7 di ottobre, e con esso l’importanza della patria degli Ebrei per tutto il mondo libero: a chi ha classificato la vicenda mostruosa come un episodio dello scontro israelo-palestinese, chi ne ha fatto addirittura una conseguenza della sofferenza della Striscia di Gaza, immaginata erroneamente come occupata, ha potuto sentire nelle parole di Biden l’ammirazione per il popolo ebraico, per la sua fatica di vivere, l’indispensabilità per il mondo libero a fronte di quello dell’oscurità terrorista. Biden ha recuperato il senso strategico e morale della vicenda: difendere Israele da una minaccia mostruosa, che, ha detto, minaccia anche gli USA. Con la strage è stata riproposto l’incredibile mostro della Shoah: l’attacco genocida, e Biden non ha risparmiato le parole, nei numeri e nella ferita alle famiglie d’Israele, è sovrapponibile alle peggiori persecuzioni, alla Shoah, e nella storia degli USA è simile all’attacco dell’11 di settembre. [...]