Fiamma Nirenstein Blog

La guerra antisemita contro l'Occidente

7 ottobre 2023 Israele brucia

Jewish Lives Matter

Informazione Corretta, il nuovo video di Fiamma Nirenstein

Museo del popolo ebraico

Stupri, la guerra di Israele si sposta all'ONU

mercoledì 6 marzo 2024 Il Giornale 0 commenti

Il Giornale, 06 marzo 2024

Il “wrestling” fra l’ONU e Israele ieri ha conosciuto una svolta, forse perché stavolta l’argomento era il più doloroso, il più urticante della tragedia del 7 di ottobre, e Israele, dopo che per cinque mesi aveva aspettato una parola di sincerità, avendone ricevuto solo mezza.., non ha potuto sopportarlo. Si tratta di violenza mai vista, dello stupro di massa usato come arma di guerra. Tutto il mondo avrebbe dovuto porgere la mano ai kibbutz, alle famiglie investiti questa tragedia, e invece ha rifiutato fino a ora di riconoscere l’orrore solo perché compiuto contro le donne (e anche i ragazzi) israeliane. Adesso, la rappresentante speciale dell’ONU per la violenza sessuale,  Pramila Pattern, ha concluso la sua lunghissima ricerca esaminando per cinque mesi decine di persone e migliaia di documenti per stabilire che “informazioni chiare e convincenti dimostrano che sono state compiute violenze sessuali inclusi stupri, torture sessuali,  e trattamenti crudeli disumani e degradanti contro gli ostaggi”, e molto altro (facile trovare e leggere le illeggibili nequizie elencate) e ha denunciato la possibilità che gli ostaggi seguitino a subire oggi torture sessuali.

Giusto. Ma il ministro degli esteri Israel Katz, invece di annuire, ha richiamato per consultazioni l’ambasciatore all’ONU Gilad Erdan, e ha spiegato che il rapporto stabilisce i crimini, ma non individua i criminali, gettando la colpa a destra e a manca. A fronte di così immensi crimini contro l’umanità, dice Katz, Gutierrez doveva convocare il Consiglio di Sicurezza e proporre che Hamas fosse dichiarata “organizzazione terrorista” con le relative conseguenze. “I crimini sessuali commessi da Hamas sono la cosa più seria portata dinanzi all’ONU durante tutta la storia dello Stato d’Israele -ha spiegato- Non c’è niente di comparabile, e quindi lo Stato deve agire per la dignità delle vittime abusate e uccise e i cui corpi sono stati desacrati anche dopo la morte, e per il bene degli altri ostaggi”.

L’abitudine alla malevolenza dell’ONU è una consuetudine, Israele è un bersaglio fisso della maggioranza automatica.

A dicembre del 2023 l’ONU ha messo sotto accusa Israele con tre diverse risoluzioni, concludendo l’anno con un totale di 14 risoluzioni a fronte di sette per tutto il resto del mondo, compresi Corea del Nord, Russia, Iran, Cina, Turchia…Il paradosso si accoppia con tre volte risoluzioni del Consiglio di Sicurezza per fermare la guerra contro Hamas, che gli USA hanno bloccato col veto. Gutierrez, all’indomani dell’attacco disse che certo Hamas era riprovevole, ma che l’attacco non avveniva “nel vuoto”: citò poi 56 di anni di occupazione, anche se Gaza è stata del tutto sgomberata dal 2005.

Allo scontro perenne, da quando la maggioranza terzomondista dell’ONU identificò Israele col potere “imperialista, colonialista, bianco, genocida” legato agli USA, si è sommata la scoperta, presentata dallo spokesman dell’esercito Daniel Hagari, del colloquio da incubo del 7 ottobre fra un certo Mamdouh al-Qali, maestro dell’UNRWA e un suo amico. Ridono, gli dice che è coi terroristi “dentro”, e gli comunica che porta a casa una “cavalla”, cioè una ragazza israeliana; la chiama anche “sabaja”, la parola araba con cui l’Isis chiamava le schiave sessuali iazide. Hagari ha dato altri quattro nomi di terroristi dell’UNRWA che si uniscono ai 450 parte anche di Hamas.

Ma nonostante lo scandalo mondiale, Gutierrez preferisce aspettare, soppesare, prima di accettare la prova che l’organizzazione dell’ONU è marcia.  Avigdor Lieberman, ex ministro degli esteri, propone che sia definito “persona non grata”, anche se lui adesso garantisce la massima pubblicità al documento della signora Pattern. Troppo audace? Oppure finalmente un suggerimento all’ONU perché cambi strada?     

 

Il gioco sadico di Hamas. “Non dà i nomi dei rapiti”

lunedì 4 marzo 2024 Il Giornale 0 commenti

Il Giornale, 04 marzo 2024

Giocare a mosca cieca con degli assassini seriali può star bene in un film dell’orrore; nella realtà è un pericoloso paradosso. È quello cui si assiste in queste ore sulla pelle dei 134 ostaggi nelle mani di Hamas. Le delegazioni intorno al tavolo del Cairo, quelle di Stati Uniti, Qatar, Egitto, pendono dalle labbra dei rappresentanti dei mostri che hanno fatto a pezzi i neonati e violentato e ucciso le donne di Israele il 7 di ottobre. Tutti aspettano che Hamas dica la sua parola definitiva sullo scambio. Israele, che ha accettato tutte le condizioni raggiunte con la seconda riunione di Parigi, aspetta a casa: Gerusalemme non ha ritenuto utile e dignitoso farlo in un lussuoso albergo cairota. Serviti riveriti e incravattati fanno aspettare il loro verdetto Ismail Haniyeh (che non si vede in foto, per ora), e Khalil al-Hayya, che si pregia di essere il numero due dell’organizzazione, così dicono.

Le condizioni cui si era giunti per un accordo alla riunione di Parigi dovevano essere: circa sei settimane di cessate il fuoco per quarantina di ostaggi sulla bancarella dei boia, in cambio circa dieci prigionieri di sicurezza per ciascun ostaggio restituito, terroristi, dalle carceri d’Israele; dovrebbero anche essere permessi passaggi dal sud al nord di profughi di Gaza, mentre si disegnerebbe una “buffer zone” anche a sud, con l’accordo dell’Egitto… bene, ma lo scambio in che cosa consiste? Chi sono i poveri innocenti che dopo cinque mesi di prigionia, di violenze fisiche, di fame e di malattie non curate deve essere scambiati con i delinquenti (giudicati secondo tutte le norme della severissima legge della democrazia israeliana)? Sono vivi o morti? Uomini, donne, bambini? C’è la famiglia Bibas? Non si sa. Hamas non è pronto a presentare una lista. Ed è un guaio perché senza uno straccio di impegno, ogni accordo rischia ancora di più di finire nel nulla.

Quello precedente è stato interrotto per decisione incontrollata dei terroristi. Hamas dice che per fare la lista, deve prima avere un cessate il fuoco che le consentirebbe un libero “shopping” qua e là, per verificare le vittime. L’ultimo sadismo consiste in questo: non si dice di chi si sta parlando. Potrebbero essere bambini, vecchi malati, o le ragazze di cui si sa solo da chi fosse imprigionato con loro nelle gallerie che subiscono quotidiane violenze sessuali. Si tratta, per Hamas, solo di corpi senza vita? Bisogna comprare a scatola chiusa, ed è notevole che tutto il mondo, compreso Joe Biden, si immagini che, se Israele insiste nel prendere un atteggiamento supplice, compiacente, questo aiuterà a liberare gli infelici. La storia insegna che Sinwar cede solo quando si sente stretto alla gola: così ha fatto liberando gli altri ostaggi.

E’ evidente che la speranza di Biden a fronte di un’opinione pubblica democratica che in parte disapprova il suo sostegno a Israele è che l’ingresso in uno scambio consentirà un susseguirsi di tregue che portino a un cessate il fuoco. Così certo vedono lo scambio anche il Qatar e l’Egitto. Hamas conserva le sue carte vicine al petto, e forse chiedere uno stop prima di dare la lista. Israele, che soffre l’emozione intensa e giustificata delle famiglie, però ha chiare due cose: la prima che non vuole invano infilarsi in una trappola che sembra fatta per scatenare un fuoco nelle giornate di Ramadan anche nell’West Bank. E che, quando si dice scambio, anche se è ingiusto e persino folle dare criminali in quantità contro un pugno di innocenti, almeno di questo si deve trattare: persone che di certo tornano a casa. Non un lasciapassare a Hamas per raggrupparsi e rigerminare il mostro. Hamas vuole sospendere la decisione di entrare a Rafah, dove è probabile che si nasconda la leadership di Hamas e stanno i battaglioni residui dai 25 che aveva. Israele non pare volerla inseguire con la benda sugli occhi.   

 

La verità ignorata sulla strage del pane

domenica 3 marzo 2024 Il Giornale 2 commenti

Il Giornale, 03 marzo 2024

Smettiamo di dire sciocchezze. È vero che Israele ieri ha mal spiegare quello che era successo, e solo la sera tardi, ma la voluttà, l’uso della parola “massacro” associata senza ombra di dubbio all’espressione “soldati israeliani” (Il Fatto: “Gaza il massacro del pane… soldati israeliani sparano sulla folla… dagli USA all’Europa sanzioni unanimi”; Il Domani: “A Gaza spari sulla folla...”; sotto: “…L’esercito israeliano ha ammesso di aver colpito persone in coda per gli aiuti…”) con cui si è strillata la fantasia che Israele avesse aggredito a cannonate la folla intorno ai camion di aiuti, la prosopopea politica con cui si è chiesto piamente il cessate il fuoco (Avvenire: “Giù le armi” e sotto: “All’indomani della strage degli affamati”; La Stampa “Netanyahu ha affamato Gaza”, Manifesto: “Strage del pane, il silenzio di Israele”) è delegittimazione di Israele, odio per lo Stato Ebraico, antisemitismo inconscio, forse, ora molto di moda. I teleschermi di tutto il mondo si sono sbilanciati, immemori delle bugie sull’ospedale di Gaza colpito da un missile di Hamas, e non israeliano, che fece qualche decina di morti (e non centinaia, come disse la BBC pensando che fosse israeliano).

La risposta a queste critiche, spiega che la responsabilità è del democratico stato d’ Israele: a chi se non a Israele ci si dovrebbe rivolgere per chiedere più umanità per la gente di Gaza migliori? È inutile certo, chiedere a Hamas di arrendersi per restituire la pace al Medio Oriente e alla sua popolazione, e quindi nessuno fa la cosa logica: arrenditi Sinwar, e poni fine alla guerra. Invece, è Israele che deve smettere di combattere lasciando in vita un’organizzazione che ha come unico scopo quello di uccidere i suoi cittadini, che dal 2005 si è dedicata a preparare il territorio con le armi iraniane e le gallerie, solo per questo, che insegna a scuola ai bambini come assassinare gli ebrei. Israele deve restare preda dei peggiori criminali del mondo, di un’organizzazione terrorista peggio dell’Isis e di al-Qaeda, le sue zone di confine possono rimanere vuote delle centinaia di migliaia di persone che non possono più vivere (voi ci vivreste?) attaccati a Gaza.

I suoi capi nascosti nelle gallerie agiscono a spintoni di decine e centinaia di morti fra i loro criminalizzando Israele, esibendo a fronte dei cadaveri dei bambini ebrei decapitati quelli degli scudi umani loro vittime che muoiono quando li usa, prigionieri delle armi di Hamas anche loro, nonostante gli inviti (a milioni) all’evacuazione di edifici civili strabordanti lanciamissili, missili, armi. Fatevi dunque avanti voi, poveri cittadini di Gaza, che ieri affollandovi intorno ai camion avete visto piombare sul cibo gli uomini di Hamas che con altri gruppi criminali armati vi calpestavano e vi sparavano, che siete stati schiacciati dai camion, che vi siete anche presi delle pallottole israeliane quando i soldati si sono visti minacciati dalla folla eccitata. Voi sapete fin dal primo giorno dove sono nascosti gli ostaggi, aiutate a ritrovarli, segnalate che esiste una Gaza non nazificata. Per ora non ce n’è traccia: sappiamo solo di cittadini che si sono uniti ai mostri della nukba, di maestri di scuola che hanno fatto da custodi ai rapiti, di ladri e violentatori di conserva fra la gente. Adesso, siate voi a segnalare il cambiamento: denunciate i mostri come Sinwar che ha scelto di portarvi alla situazione che vivete. La guerra può chiudersi solo con la cattura o la resa di Hamas, con la restituzione dei rapiti: non c’è in Israele, né a destra né a sinistra, e questo anche è oggetto di equivoco, nessuna altra posizione che questa.

È una guerra di necessità, del bene contro il male, insensato, pensare che la guerra possa chiudersi con la sopravvivenza di mostri che hanno decapitato neonati e violentato, ucciso, smembrato e seguitano a progettare di farlo. Netanyahu, Gantz, tutti, sono dell’idea che uno Stato palestinese dovrà essere costruito come una soluzione per la pace, due stati per due popoli, e non uno Stato da cui condurre una migliore guerra di distruzione contro Israele. Puntare il dito su Netanyahu è disinformazione, è un altro vizio che non ha base politica, se non quella, robusta, di chi immagina che tutto ciò che non è di sinistra, puzzi di zolfo.  

 

Gaza, il piano post Hamas mentre si tratta per la tregua

sabato 24 febbraio 2024 Il Giornale 1 commento
Il Giornale, 24 febbraio 2024
 
Con una bozza di documento presentato al gabinetto di sicurezza israeliano, Netanyahu ha provato a immaginare un “piano per dopo Hamas”. Il tentativo quasi impossibile di disegnare un futuro per Gaza dopo che è diventata prima il “backstage” della strage più crudele che il mondo abbia visto dopo la seconda guerra mondiale, e poi il teatro della guerra più difficile del  mondo, giocata da Hamas su scudi umani e battaglioni di terroristi che spuntano da sotto terra, ieri si è accompagnata con un’altra missione impossibile all’orizzonte: quella che porta anche Israele a una riunione a Parigi per discutere di uno scambio degli ostaggi con tutti i soliti interlocutori. Mentre le famiglie dei rapiti bloccavano l’autostrada, sono partiti per la Francia, oltre a Israele, gli americani, protagonisti, il Qatar e l’Egitto: si respira una speranza vaga e cinica creata da Sinwar ricomparendo all’orizzonte nei rapporti coi suoi compari in Qatar; si spera nell’idea che Hamas si contenti di qualche settimana di tregua abbandonando la richiesta impossibile che Israele cessi il fuoco definitivamente. 
 
Anche Gantz ha ripetuto ieri che questo non è possibile. Ma si spera che Hamas libererebbe alcune decine di ostaggi contro un numero incerto di criminali pesanti in quello che chiama “scambio di prigionieri” (chissà se mette sullo stesso piano Kfir Bibas, il bambino coi capelli rossi di un anno, sempre che sia ancora in vita, con Marwan Barghouti cinque ergastoli, centinaia di morti innocenti sulla coscienza). Questo perché Ramadan è vicina: Hamas forse vuole arrivare alla grande festa religiosa di 40 giorni che comincia il 10 marzo da protagonista, evitare con lo scambio l’ingresso dell’esercito a Rafiah, ormai zona affollata oltre l’immaginazione, di cui tutto il mondo parla, essere il paladino dell’Islam e anche conservare il potere al sud, dove ancora ne detiene una parte a fronte di tutte le macerie del nord e del centro. Netanyahu, sostenuto da tutto il parlamento che aveva votato mercoledì, destra e sinistra insieme, il rifiuto di uno Stato palestinese imposto unilateralmente e da fuori, in violazione di tutte le risoluzioni dell’ONU e degli accordi di Oslo, oltre che del buon senso (nell’Autorità nazionale palestinese l’85 per cento dei palestinesi tiene per Hamas) adesso avanza un programma che si basa sul comune buon senso: sicurezza per Israele, prospettiva di potere locale, Stato palestinese quando sarà possibile. 
 
Netanyahu non lo esclude, e anzi invita alla necessaria presenza sul campo dei Paesi arabi non estremisti per sostenere un’ipotesi moderata. l programma ha tre caratteristiche. Prima di tutto, quella di rispondere direttamente alla richiesta di prospettiva posta spesso da Biden; si notano anche molti punti che ricalcano le sue richieste. In secondo luogo, disegna la partecipazione dei palestinesi alla gestione civile; infine, non si esclude l’Autorità nazionale palestinese dal futuro governo, lasciando la porta a un eventuale Stato palestinese. Ma si vedrà: certo il programma respinge le solite illazioni che su tutti i giornali e gli schermi disegnano un’Israele intransigente e desideroso di occupare terra. Nessuno vuole Gaza, nessuno l’ha mai voluta, Israele e l’Egitto per anni hanno cercato di addossarne la responsabilità l’uno all’altro. Netanyahu vuole concludere la guerra, garantire che Hamas non rinasca, disboscare l’odio islamista. Il programma prevede una prima fase di guerra fino alla distruzione di Hamas, e il ritorno degli ostaggi; successivamente, la prevenzione del pericolo che possa provenire da Gaza nel futuro, la sicurezza, che Israele non metterà in mano a nessuno la sua sicurezza nel periodo di mezzo, mantenendo libertà di operazioni per prevenire il ritorno del terrorismo; il confine con l’Egitto sarà chiuso contro infiltrazioni di terroristi e armi; la zona sarà demilitarizzata. 
 
Gli USA e l’Egitto saranno partecipi di questa scelta. Nella terza fase, “figure locali con esperienza amministrativa”, ovvero palestinesi, dirigeranno la vita civile. Ma “non dovranno identificarsi con stati e organizzazioni che sostengono il terrorismo e non riceveranno un salario da queste entità” (è chiara qui il riferimento all’UNRWA che il documento chiama a rimpiazzare con un’altra istituzione, e all’Autonomia Palestinese che paga salari ai terroristi). 
Non si parla del ruolo della PA, e non si dice una parola contro la possibilità che governi la Striscia; si sostiene la necessità di deradicalizzare le istituzioni religiose e educative. Si accenna anche a una futura collaborazione con l’Arabia Saudita e gli Emirati nella ricostruzione, e anche questo sembra farina americana. È chiaro che il documento è anche un gesto verso l’amministrazione americana, che non chiede a Israele di fermare la guerra, concordando con la costosa necessità di distruggere Hamas. Anche alla proposta algerina al Consiglio di Sicurezza dell’ONU quattro giorni fa per un cessate il fuoco, Biden ha di nuovo usato il veto.18 dei 24 battaglioni di Hamas sono stati distrutti: gli altri 6 aspettano di riorganizzarsi a Rafah.      
 

Quei calcoli sbagliati di Usa e Paesi arabi. Una follia regalare alla Palestina il suo Stato

sabato 17 febbraio 2024 Il Giornale 0 commenti

Il Giornale, 17 febbraio 2024

Ha scelto una strada molto centrale, venendo da Gerusalemme con la carta d’identità blu e il kalashnikov fino quasi ad Ashkelon all’incrocio di Reem per ammazzare alla fermata dell’autobus due persone e ferirne altre quattro fra cui un ragazzo di 16 anni in fin di vita: di fronte alla proposta americana, di nuovo, per uno Stato palestinese, questo è il biglietto da visita della “moderata” area oltre i confini di Gaza, quella di Abu Mazen, nell’Autorità palestinese, quella che era stata sgomberata dalla presenza militare israeliana salvo che nella zona C con gli accordi di Oslo. Si preparava così il terreno a “due Stati per due popoli”, ma Arafat mostrò che la scelta vera era distruggere Israele con la “seconda intifada” nel 2001 quando quasi duemila civili israeliani, donne e bambini, sono stati esplosi e fucilati per strada. Non si è mai tuttavia smesso di cercare, da parte di Israele, “due Stati per due popoli” collezionando i “no” di Arafat a Shamir, a Rabin, a Barak, e poi a Olmert di Abu Mazen e a Netanyahu. Adesso, eliminando l’elementare clausola del bilateralismo di Oslo, Joe Biden, fiancheggiato dall’Unione Europea e dall’ONU, ripropone a Israele la solita formula, con la cauta aggiunta (americana) di uno stato palestinese riformato, demilitarizzato.

Dovrebbe essere questa la conclusione della guerra seguita al pogrom organizzato da Hamas a Gaza, ma ammirato e approvato da tutti i palestinesi, se è vero che Abu Mazen non l’ha mai condannato, e che l’87 per cento dei palestinesi è d’accordo con l’orrore e la strage. Biden naturalmente fa i suoi calcoli, certo pieni di buona volontà; pensa anche che l’eventuale sponsorizzazione dell’accordo da parte dell’Arabia Saudita, di cui si parla insistentemente come di una forma di garanzia anti-iraniana per Israele, dovrebbe aprire un’era di pace fra arabi e israeliani. Ma non ha fatto i conti coi palestinesi di oggi: se si chiede a loro, per esempio Jibril Rajub, uno dei massimi leader dell’OLP, dice a Hamas, che il 7 ottobre “ha reso l’unità fra di noi non solo realizzabile, ma necessaria, la palla è nel vostro campo, decidete voi”. Jenin, Ramallah, Hebron, Betlemme… pullulano di armi, Hamas batterebbe in un soffio Fatah alle elezioni se solo Abu Mazen le inducesse. Netanyahu per rispondere alla proposta di Biden con cui per latro ieri notte ha parlato, amichevolmente, per 40 minuti ha detto: “Tutti parlano di “due Stati per due popoli. Ma io domando che cosa significhi: devono avere un esercito? Possono siglare un accordo militare con l’Iran? Possono importare missili dal Nord Corea e altre armi mortali? Possono continuare a educare i bambini al terrorismo e lo sterminio?

I palestinesi devono avere il potere di autogovernarsi, ma non nessun potere che consenta loro di minacciare Israele” e quindi aggiunge il primo ministro “il controllo di sicurezza deve rimanere nelle mani di Israele nelle aree a Gaza e nelle aree a ovest del Giordano, altrimenti la storia ha dimostrato che il terrorismo ritorna”. E un eventuale Stato palestinese invece sarebbe, per esempio a Gerusalemme, ma un po' per tutta la piccola Israele, un abbraccio mortale con bande armate e ostili “from the river to the sea”. Le conferma della determinazione palestinese è scritta in tutta la sua storia: e la inaspettata scelta di Biden di premiare i palestinesi per il 7 ottobre e il rigetto dell’esistenza di Israele abroga il bilateralismo degli accordi di Oslo, è davvero un messaggio disastroso all’Iran, all’Iraq, alla Siria, al Libano, alla Russia loro sponsor, alla Cina... e a tutte le organizzazioni terroriste.

È un premio per cui il criminale Sinwar che ha ordinato di decapitare i neonati, violentare, uccidere, diventa, per estremo paradosso, il Ben Gurion dei palestinesi. Fino ad ora, dato che ha usato i miliardi donati ai palestinesi invece che per fare di Gaza la Singapore del Mediterraneo per creare un piccolo stato nazista carico di gallerie e di missili, anche i palestinesi non ci avevano pensato. Preferivano il terrorismo di Arafat. Ma sta studiando: aspetta che l’ONU, l’UE con il supporto americano creando lo Stato palestinese dalla strage del 7 di ottobre, lo promuovano a questo ruolo.

 

 

 

VIDEO Presentazione al MAXXI del libro “7 ottobre 2023 Israele brucia”

venerdì 16 febbraio 2024 Generico 0 commenti

Cari amici, 

cliccando qui potrete vedere la presentazione del mio nuovo libro 7 ottobre 2023 Israele brucia registrato da Radio Radicale a Roma mercoledì 14 febbraio 2024. Dibattito organizzato da Fondazione MAXXI. 

 
Sono intervenuti: Francesco Giubilei (direttore editoriale di Historia Edizioni e direttore della Giubilei Regnani Editori), Giuliano Ferrara (giornalista, fondatore de Il Foglio), Paolo Mieli (giornalista, storico, già direttore del Corriere della Sera), Noemi Di Segni (presidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane).
 
Cliccando qui potrete vedere delle fotografie della presentazione pubblicate da Formiche.it.
 

 

SAVE THE DATE Presentazione del mio nuovo libro “7 ottobre 2023 Israele brucia”

mercoledì 14 febbraio 2024 Generico 0 commenti

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Amadeus non sente di doversi scusare? E la funzionaria Onu va allontanata

lunedì 12 febbraio 2024 Il Giornale 0 commenti

Il Giornale, 12 febbraio 2024

È tempo di smettere di giocherellare e di prendere responsabilità. Siamo di fronte a un'ondata di antisemitismo catastrofico, simile a quella degli anni Trenta, segnale di sfascio della società dei diritti umani: crea violenza contro persone di ogni età e condizione, contro i beni e il lavoro, distrugge la scuola e la cultura, impone un totalitarismo del pregiudizio che si trasforma in paura, dittatura. A Firenze Marco Carrai, coraggioso console onorario di Israele, presidente dell'ospedale dei bambini Meyer, viene perseguitato con manifestazioni e urla accusandolo di non aver speso una parola «sul massacro dei bambini in corso a Gaza» e con la persecuzione fisica. Persino due molotov al consolato.

Del resto secondo il Cdec nel 2023 si sono avuti 454 episodi contro i 241 del 2022. Israele è il nuovo deposito dell'odio. Netanyahu ieri sul Corriere era dipinto da Elly Shlein come il feroce progettatore di una «nuova ecatombe», Rafah per tutti non è un obiettivo strategico indispensabile, ma una fissazione violenta. L'era dell'avvento dell'Iran e di Hamas produce un rombo sordo: non è possibile che durante il Festival un cantante, Ghali, si prenda la libertà di dare del «genocida» a Israele, costretto per pura autodifesa a combattere la guerra più difficile. E che il padrone di casa, l'affabile Amadeus, non senta il bisogno di scusarsi. Vorrei spiegargli che equivoco è quello cui ha consentito di apparire senso comune alla menzogna antisraeliana. Non c'è Bella ciao qui, è una guerra nuova nata da 13mila missili sulla gente di Israele, stupri di donne e bambini, mutilazioni. Solo Hamas ne è responsabile. Gaza era nelle sue mani da 16 anni, e ne ha fatto una macchina di distruzione. Questa è la guerra più difficile mai combattuta: si combatte su 800 chilometri di gallerie contro un gruppo nazista che ha tagliato la testa ai neonati, violentato e smembrato 1.400 innocenti e rapito 360. Hamas ha 30mila guerrieri, oggi decimati ma senza segni distintivi (Israele ha la divisa e segue le norme internazionali), ha organizzato dentro le strutture civili depositi e fabbriche d'armi, tutta la popolazione è il suo scudo umano. Hamas ruba il rifornimento umanitario alla gente; nasconde i rapiti nei tunnel per difendere Sinwar.

Israele è sfollata dai suoi kibbutz, le famiglie sono private dei loro cari rapiti o uccisi, i soldati combattono dal 7 ottobre, ma a chi importa nulla? Sono ebrei. Secondo fonti di Hamas, programmi radiofonici e tv ci ripetono che una bambina che chiedeva aiuto adesso è morta sotto le rovine. Sarebbe tristissimo se fosse vero. Forse lo è. Ma non si sa: così urlata, la vicenda diventa una leggenda del sangue, la sete di sangue degli ebrei, quella antica del sangue infantile nelle azzime. Di quanti bimbi sono stati uccisi in braccio alla loro mamma e poi mutilati da Hamas, verità certificate, non si chiede mai. La prego, chieda scusa Amadeus, sono certa che lo vuole fare.

Come chiede il ministro degli Esteri israeliano Katz, l'Onu smetta di mantenere una funzionaria innamorata dell'immagine costruita negli anni, la solita Francesca Albanese. A Macron, che ha indicato il 7 ottobre come il giorno della maggiore strage antisemita, fa sapere che è dovuta all'oppressione di Israele. Che miserabile cinismo oppure ignoranza. Per lei Israele perseguita, opprime, uccide, occupa, aggredisce, il suo furore espansivo è un dogma palese, niente conta la storia dei rifiuti palestinesi continui dal 1948, niente la catena di decine di migliaia di vittime di un terrorismo messianico. Che ne sa la funzionaria dell'Onu? Adesso qualcuno deve capire, anche da quelle parti, dopo uscite del genere che il rischio è mondiale, proprio come al tempo di Hitler. Non lo aveva capito nessuno, nemmeno allora.

 

Netanyahu tira dritto e alza il tiro su Rafah. Ma su ostaggi e tempi concessioni a Biden

giovedì 8 febbraio 2024 Il Giornale 0 commenti

Il Giornale, 08 febbraio 2024

 

No, la proposta odierna di Hamas di cessare di combattere non può essere accettata da Israele. Netanyahu ha risposto con estrema determinazione e lo ha fatto con una dichiarazione strategica: la scelta di Israele, sulla base dei risultati positivi in guerra, dell’eroismo dei soldati, la costruzione di una Gaza liberata da Hamas è una base per la pace dell’area; con l’avanzare dell’esercito Israele vuole disegnare una vittoria definitiva, decisa, che sia di tutto il mondo democratico contro la rete terroristica internazionale pericolosa per tutti, ha detto il Primo Ministro israeliano. Ha ripetuto anche con passione la decisione di continuare a cercare un modo di liberare gli ostaggi. Qui si legge anche la volontà di venire incontro agli Stati Uniti e al mondo che desidera vedere una conclusione del conflitto a Gaza. Dall’altra Netanyahu ha alluso alla possibilità di concludere la guerra in tempi non lunghissimi.

 L’esercito infatti scoperchia in queste ore le gallerie dove, in un frettoloso spostamento, Sinwar ha lasciato decine di milioni di dollari e le tracce fresche sue e di dodici ostaggi. SI vede che fugge, e Gaza è distrutta, le sue milizie sono dimezzate. È un momento complicato, con un doppio messaggio: Hamas fugge fra le rovine, ma d’altra parte lancia proposte complicate e definite da parte non di Doha, né di Haniyeh, ma di un uomo solo: Sinwar, che riesce ancora a consegnarle a Parigi e al Cairo in risposta a Israele e agli USA. Netanyahu potrà dichiarerà la fine della guerra solo battendo lo stratega del “Peggiore evento di antisemitismo dalla fine della guerra” come ha detto ieri Macron. La proposta di Hamas è una sfida, lo stop alla guerra, spiega Netanyahu “porterà alla prossima strage”. Ma i tempi e i numeri sono, così appare, ancora sotto esame da parte di Israele e di tutti gli interessati: quattro mesi e mezzo di tregua con la liberazione degli ostaggi in tre fasi in cambio di 1500 prigionieri. Ma della richiesta impossibile, la conclusione della guerra, anche Biden ha detto che la proposta è “esagerata” mentre resta “positivo”. Per Israele, gli “ufficiali” ripetono che si tratta di una proposta “non starter”, tuttavia, si seguita a esaminare il testo “attentamente”, “con intensità”. Blinken, in Israele per la sesta volta, incontra da Netanyahu, Herzog, ai capi dell’esercito e dei servizi per cercare una strada perché il disperato tentativo dei parenti dei 136 rapiti (di cui si dice che solo 85 sarebbero in vita ormai) sia soddisfatto. Kirby il portavoce di Biden, ha indicato nell’Arabia Saudita il garante possibile per il domani, e pensa che questo può portare Israele a un dialogo con la PA e a un seguito dei Patti di Abramo. Il Qatar certo vorrebbe costringere Sinwar ad accettare uno scambio, questo esalterebbe la sua influenza. Netanyahu adesso è stretto fra la richiesta internazionale di uno stop anche se non definitivo, e il disegno indispensabile di eliminare Hamas.

Se Israele dovesse ritirarsi per sempre dallo scontro di Gaza, lasciando il terreno, andrebbe contro la stragrande maggioranza dell’opinione pubblica, creerebbe l’impossibilità per chi abita sui confini di Gaza di tornare alle proprie città in condizioni di sicurezza. Ma il governo israeliano ha certamente al primo posto la necessità di mantenere il suo rapporto indispensabile con gli USA.  La proposta che Sinwar ha fatto avere ai suoi rappresentanti dal profondo delle gallerie di Khan Yunis è zeppa di richieste che Israele non potrebbe mai accogliere, come il controllo della Moschea di Al Aqsa, uno dei temi più vecchi della contestazione islamista, già calda del fatto che il 21 marzo è Ramadan. Inoltre, Hamas chiede, fra i 1500 suoi prescelti in carcere, la liberazione di 500 assassini pericolosi. Hamas chiede 45 giorni per 45 prigionieri, più altri giorni di intervallo, libertà di movimento a Gaza, ulteriore aiuto umanitario un dilemma per Israele che sa che il 70 per cento dei camion finisce in mano a Hamas; 60mila roulotte e tende da dare alla popolazione ormai accumulatasi al sud cui si dovrebbe garantire libertà di movimento. Russia, Turchia, le Nazioni Unite, forse anche gli USA (dice Al Jazeera) dovrebbero garantire la realizzazione dell’accordo. Tutte follie grandiose di un capo terrorista in declino. Blinken è certo invece concentrato sui temi toccati dal PM israeliano, il rischio per Rafiah sul delicato confine egiziano, la continua rapina degli aiuti umanitari da parte di Hamas, e cerca quello che si può ritagliare di positivo dopo il discorso di Netanyahu.

 

La barbarie del pogrom del 7 ottobre

mercoledì 7 febbraio 2024 Generico 0 commenti
Il Giornale, 07 febbraio 2024
 
Fiamma Nirenstein racconta i fatti e il contesto internazionale dell’attacco a Israele
 
 
 
di Matteo Sacchi
 
Cosa è stato il 7 ottobre del 2023? È stato la discesa della barbarie sul mondo, il ritorno di qualcosa che ci saremmo aspettati non accadesse mai più: un pogrom. Alle sei della mattina nei kibbutz vicini al confine della Striscia di Gaza quasi tutti dormivano. Poco lontano, migliaia di giovani ballavano al ritmo della musica elettronica, a una festa chiamata «Nova». Una festa in cui sognavano che la musica, la libertà siano la stessa cosa. In un attimo su tutte queste persone inermi è piombata una violenza che non si può immaginare. Prima una pioggia di missili, poi un attacco che non ha le caratteristiche di una operazione militare. Un attacco dove lo scopo non era sconfiggere il “nemico”.
 
 
L’unico scopo accuratamente pianificato era il massacro indiscriminato. Nessuna vittima collaterale, la strage era stata programmata per essere il più orrenda possibile, per non lasciare scampo a nessuno. Gli ordini, capillarmente distribuiti ai terroristi che sarebbero penetrati nel territorio israeliano: «Mentre da qui partono i missili e tutti si rifugiano in casa, irrompete, uccidete, violentate, fatte a pezzi, bruciate, tagliate le teste e gli arti». E così è successo, senza pietà per nessuno.
 
 
Questa è la realtà terribile raccontata da Fiamma Nirenstein in 7 ottobre 2023. Israele brucia (pagg. 278, euro 23) pubblicato oggi per i tipi di Giubilei Regnani. L’autrice, che collabora stabilmente con il nostro quotidiano (parte degli articoli da cui nasce il libro sono stati pubblicati in queste pagine) racconta le atrocità senza precedenti compiute da Hamas a partire dal 7 ottobre del 2023. Facendo capire come non siano solo atrocità contro il popolo ebraico, ma una precisa e voluta aggressione alla cultura occidentale e alla libertà. Lo fa percorrendo giorno per giorno la storia del peggiore pogrom contro gli ebrei dai tempi della Shoah. E non solo in Medio oriente.
 
Accanto agli orrori perpetrati 7 ottobre, Nirenstein prende in esame l’ondata di antisemitismo, che in più parti del mondo ha accompagnato, e almeno in parte giustificato, l’ingiustificabile azione dei terroristi di Hamas. Nonostante il fatto che in Israele bambini, donne, giovani, anziani siano stati uccisi, smembrati, violentati, decapitati, dopo i rapimenti di massa, una parte dell’opinione pubblica, anche in Europa e negli Usa ha cercato una “giustificazione” alle azioni terroristiche e non ha riconosciuto ad Israele il benché minimo diritto alla difesa. Questo mentre Israele, come racconta Nirenstein, combatte una guerra complessa, pagando con la vita dei suoi soldati, e affronta il tormentoso problema degli ostaggi e di difendere la sua democrazia. L’odio di Hitler per gli ebrei ha distrutto. Dove potrebbe portare ora questo nuovo antisemitismo mascherato? Nirenstein prova a rispondere.
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